martedì 2 novembre 2010

101 STORIE: CHE SUCCEDE, SE MANCA LA LUCE...


I due maschietti, in I media, vennero insieme. Ma non erano gemelli: uno, dodici anni; l’altro già tredici. In ritardo tutti e due perché bocciati alle elementari: una volta C., due volte P. Ci accorgiamo subito che qualcosa non va: i ragazzi sanno leggere e scrivere appena. Ieri non sono andato a scuola, C. lo scrive così: rinosono adato scola. Come se non avesse finito neppure la prima. E poi ogni tanto si assentano. Siamo appena a novembre, la collega mi chiama e mi dice: - Mancano spesso e nemmeno giustificano. Ho chiesto alla famiglia di dirmi perché non comprano i libri di testo: la risposta non è mai arrivata - . Poi si rivolge a uno dei due, con tono affettuoso: - Perché la mamma non ha giustificato? E perché non risponde al messaggio?- C. si stringe alla spalle: il suo viso è attraversato da un lampo di dispiacere. Dico alla collega che chiamerò la famiglia. Cerco il numero di telefono. E’ un cellulare. (Anche questo è un segnale: i più poveri non hanno più il telefono fisso: così non pagano il canone. E, ovviamente, non hanno neppure Internet. Il Digital divide[1] tra gli alunni è spesso abissale). Qualche squillo. Poi risponde una voce: - Signora, sono la psicopedagogista di scuola, ho bisogno di incontrarla al più presto – Un attimo di silenzio, c’è una bambina che piange. Poi la signora risponde: “Pozzu venire dumani doppu mezziorno…picchi me figghia mi lassa la picciridda – Va bene, signora, l’aspetto domani.
L’indomani, quasi puntuale, ecco la madre dei fratellini: più bassa di me, larga di fianchi e di viso, occhi mobilissimi e neri. Un elastico raccoglie alla meglio una coda di lunghi capelli castani con striature biancastre. Vestiti modesti, non proprio stirati. Mani tozze e grassocce, abituate a continue fatiche, unghia corte e spezzate. La signora sorride, confusa e un po’ imbarazzata: - Che succede signora, i ragazzi mancano spesso… O arrivano in grande ritardo – Ci aia dari lignati un si vonnu susiri ca matinata, u sacciu c’anna veniri a scola
[2] – No signora, nenti lignati, li aiuti a venire puntuali – Alla signora si inumidiscono gli occhi, tira su col naso e si asciuga due lacrime col dorso di una mano: - Aiu me matri malata ca grida, aiu a dari adenzia a idda, picchi aiu l’accumpagnamentu, me maritu è disoccupatu, dintra aiu cinqu figli[3] – Non solo C. e P.: anche un ragazzo di 17 anni, una bambina di 10, una ragazza di ventidue, un marito disoccupato, una vecchia madre invalida e aterosclerotica. L’unica figlia: – Fuiuta cu na picciridda: idda sta puru cu nuatri. E pure me ienniru[4]. - Perché non può pagare l’affitto. E iddi un si vonnu susiri, all’orario. Iu fazzu a bili… Professorè, lei mi pare na bona signura: u sacciu ca i me figghi su tosti e un sannu nenti, lei m’havi aiutare[5]… - Mi guarda, con occhi che implorano la mia comprensione.
La guardo e capisco che, in qualche modo, lei svolge il suo ruolo di madre. Come può, come sa. I ragazzini, in fondo, hanno uno sguardo sereno. Le chiedo – ma ormai ho capito – se è in grado di scrivere. Mi dice che è analfabeta. Sa apporre solo la firma.
Da allora, per anni, con lei un filo diretto. Perché il problema di C. e P., più che le divisioni e la lettura stentata, sono i vestiti logori, il giubbotto che manca, le assenze continue, i graffi che P. prende dal fratello maggiore a cui non vuole cedere il letto, la merenda e il pranzo che spesso non c’è. Scriviamo, ovviamente, ai Servizi sociali: la lettera attende, polverosa e invecchiata, ancora un riscontro. Si chiedeva un aiuto, una visita domiciliare. Per dei ragazzi che intanto vengono a scuola. Non sono dispersi. Nè maltrattati. Ma a Palermo, si sa, la povertà non è un’emergenza: con i tagli agli organici, per C. e per P., il Servizio sociale ha poco da fare. Il loro stomaco poteva aspettare, paziente, all’ora di pranzo, quando, tre volte su sei, i ragazzi rimanevano a scuola. - C. non ha niente in cartella – comunica l’insegnante di turno. Che fare?
Fu così che li abbiamo “adottati”: la mensa e il panino li dava la “scuola”... E i libri. E quaderni e colori.
Due anni dopo è arrivata la sorellina. Sgradevole, ispida, quasi selvaggia. Non sapeva neppure parlare. Intanto C., in seconda, era stato bocciato. – Non è solo indietro, secondo me non capisce – dice così la collega, attenta e dubbiosa.
A volte mi tocca un compito ingrato. Chiamare le mamme (e i papà, se ci sono): e dire con tatto e dolcezza che una visitina, un controllo all’Asl sarebbe opportuno. E’ duro da dire. Perché la prima reazione è sempre, dopo uno sguardo perplesso o infuriato: - Mio figlio… perché …. non ha niente … non è scemo … è normale –
E allora io dico che è vero, che hanno ragione. Però magari, il figlio, la figlia ha bisogno di un aiuto speciale. La madre di C., P. e G. mi guarda negli occhi e capisce: - Professorè, se è per il bene dei miei figli, iu ci li porto. Ma un facemu ca mi levano i picciriddi… - E si asciuga gli occhi, ancora una volta. Le chiedo di fidarsi di me. Nessuno le porterà via i suoi bambini.
La signora manterrà la promessa. C. e G. avranno un certificato: lieve ritardo mentale. E un insegnante per loro: il famoso sostegno. E lezioni e percorsi tagliati per loro. Così, possiamo promuoverli. Il grande è già in terza media. Lo aiutiamo e preparare il colloquio d’esame.
Quell’anno successe una cosa. Gli insegnanti li vedevano stanchi, nessuno dei tre studiava a casa qualcosa. Eravamo a gennaio. E’ C. a parlare: “C’è friddu, professoressa. Non posso fare i compiti perché non ci vedo - . Scopriamo che gli hanno tagliato la luce. – U papà un travagghia e un putemu pagari.
Chiamiamo la signora. Questa volta piange senza ritegno. Da un anno non paga la luce. I soldi bastano si e no per mangiare. – Mi danno i pacchi pure a Santa Caterina…
[6] Il marito è a Bologna, a cercare lavoro. – Ma l’assistente sociale la sa questa cosa? – chiede premurosa la Preside. – A dumanna a fici, ci devo tornare tra 4 mesi.
Siamo in inverno. E i ragazzi sentono freddo. Con le candele non possono leggere, P. rischia di non fare gli esami. Riunione speciale: La Preside, io, vari docenti. Ci guardiamo negli occhi. – Ci porti la bolletta, domani – dice in fretta la Preside alla signora. Due giorni dopo è pagata. Qualcuno telefona subito all’Enel: per i tre alunni ritorna la luce.
Abbiamo pagato per un anno le bollette dell’Enel. E dato gli occhiali a G, che proprio non ci vedeva, neppure a tre passi dalla lavagna…
Comunque, non li abbiamo viziati. La preside li rimbrottava per i continui ritardi. Entravano spesso a seconda ora. Ogni tanto però tornavano a casa. – Perché non possono approfittare della nostra pazienza – sbottava la Preside. Alla fine, è rimasta solo la ragazzina: anche lei arrivava ogni giorno puntualmente in ritardo. Fu così che abbiamo conosciuto suo padre: scuro in volto, baffoni, impacciato, di poche parole. Aveva l’ingrato compito di negoziare con la Preside l’ingresso scuola di G. col consueto ritardo… Alla fine, scappava a tutti un sorriso…
Dove sono C., P. e G. adesso, mi chiedo… Avranno continuato la scuola? Abbiamo fatto all’inizio “continuità verticale”
[7]: ma all’Artistico, all’Alberghiero e al corso per parrucchiera ci saranno poi andati ogni giorno? Non lo so, non posso saperlo.
Quando G. era in terza media, sua madre un giorno è venuta. Non l’avevo chiamata. Chissà cosa vuole – ho pensato tra me. La signora ritira in portineria l’ennesimo libretto di giustificazioni. Poi, mi dice, con aria segreta, - Ci pozzu fari a vidiri na cosa? – Entriamo nella mia stanzetta. Da un borsone tira fuori un album di foto: - Questa è mia figlia, professorè … E questa è mia nipotina…Ci vulia a fari canuscere a lei. E' sapurita, a picciridda, unn'è veru...? -







[1] (Da Wikipedia, l'enciclopedia libera: Il digital divide è il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione (in particolare personal computer e internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale.
[2] Devo prenderli a botte, non vogliono alzarsi di mattina, ma io lo so che devono venire a scuola
[3] Ho mia madre malata, devo dare assistenza a lei, innanzitutto, perché ricevo l’assegno per l’accompagnamento
[4] E’ scappata con un uomo: ora ha una bambina: lei e la figlia abitano a casa nostra. E anche mio genero.
[5] I ragazzi non vogliono alzarsi, all’orario stabilito. Io mi innervosisco … so che i miei figli sono monelli e sono digiuni di scuola, ma lei deve aiutarmi…
[6] Si tratta di una parrocchia del quartiere
[7] Contatti didattici con la scuola superiore per facilitare l’inserimento degli alunni



5 commenti:

  1. Sono certo che il tuo impegno ti dà 'anche' delle soddisfazioni.
    Ma non farti mai beccare senza fazzolettini in borsa: non è bello che un'insegnante si asciughi occhi e naso con la manica delle maglie.

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  2. Che storia vera! Prolungata nel tempo. Giusta, anche nelle soluzioni adottate dalla scuola e dai docenti probabilmente, ma con la rabbia che se l'amministrazione pubblica non provvede come DOVREBBE c'è solo da... pregare piamente che le famiglie in queste condizioni siano davvero poche, viceversa non si può sostenerle. Ma già so che se nel nostro quartiere -pur di periferia- casi così estremi non sono numerosissimi, in altri quartieri di Palermo l'incidenza è assai alta! Questo rattrista più d'ogni altra cosa
    JAN

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  3. Grazie, Jan, dell'attenzione e della tua riflessione.

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  4. Perchè questo piatto della bilancia si possa sollevare bisogna che l'opposto si privi dell'eccessiva abbondanza, è quello che ho sempre pensato. I tuoi racconti sono molto belli, anche se fanno male, ma è proprio quella la loro forza: dovrebbero girare in certe stanze, sostituirsi ai giornali di economia che campeggiano in bella vista sulle scrivanie di certi personaggi che si definiscono "colti"... E la situazione attuale non è per nulla confortante. Che si dimettano tutti, accidenti a loro. Scusa lo sfogo, ti assicuro che mi sono contenuto. Buonanotte.

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  5. Bentornato, Peter! Grazie della tua attenzione. Mi sei mancato.

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