domenica 7 novembre 2010

SE NIENTE IMPORTA


Non si tratta di una lettura facile. Anzi, posso dire che è proprio difficile da mandar giù. E non certamente perché il libro sia scritto male. Al contrario ha un respiro fresco e scattante. Alterna storie personali, riflessioni, documenti, interviste. Scorre liscio e scorrevole come un racconto. 
Ciò che è indigesto in Se niente importa di Jonathan Safran Foer (ed. Guanda, Parma,  2010, € 18) è il contenuto. Che tratta di un tema fondamentale quale è il cibo. E, a noi consumatori occidentali saturi di bistecche, onnivori superficiali e contenti, suggerisce la possibilità di scelte alimentari diverse, più consapevoli ed etiche. Ma appunto, poiché: “Il cibo è cultura, abitudine e identità (pag.281) e, da sempre “Mangiare è anche un fatto sociale (pag.280), proporre di abolire il tacchino per la festa del Ringraziamento (o, analogamente, rinunciare alle nostre latitudini al capretto per Pasqua o al cappone a Natale) per abbinare cibo e scelte economiche più sagge, pranzi e ragioni morali e ambientali, è materia complessa e difficile. Perchè, suggerisce l’autore “Un’etica del cibo è così complessa perché il cibo è legato alle papille gustative e al gusto, ma anche alle biografie individuali e alle storie sociali (pag.40).
E, nella nostra cultura, da millenni ci si ciba di animali: uccelli, pesci, pecore, mucche, maiali. Ma non di cani, ad esempio. Perché, ci chiede provocatoriamente Foer? Forse perché il cane abita con noi, mentre le altre bestie sono più distanti nella nostra visione della vita? Ma questo può giustificare l’orrore degli allevamenti intensivi nei quali facciamo vivere, se di vita si può parlare, pesci, galline, vitelli? E giustifica la loro uccisione in modo spesso barbaro e crudele dopo averli costretti a una vita orribile? In pagine veramente toccanti, Foer ci mostra gli allevamenti intensivi di tacchini e di polli esistenti negli U.S.A., allevamenti/lager che hanno come unica finalità la crescita degli utili dei loro padroni. Lo scrittore, in verità, ci parla anche di quei pochi allevatori che tentano di mantenere gli animali in un habitat più naturale e di garantire loro una vita più degna, prima della macellazione; perché, se proprio non riusciamo a essere vegetariani, possiamo almeno scegliere di mangiare carne di animali a cui i loro padroni hanno regalato una vita e una morte meno bestiali, se ci è consentito l'utilizzo di quest'aggettivo...
Capiamo allora perché, per un lettore che si professa onnivoro incallito, il libro può risultare assai indigesto: perché lo costringe a perdere la sua innocenza, perché connota di colpevole indifferenza anche un’azione apparentemente naturale e quotidiana come quella di cibarsi di uova di gallina allevate intensivamente o della fettina pallida di vitello. “Quando alziamo la forchetta, diciamo da che parte stiamo (pag.280), afferma infatti l’autore. Perché decidere cosa mangiare, se essere onnivori accomodanti o vegetariani esigenti, è in qualche modo una scelta valoriale. E’, ripete l’autore, una scelta esistenziale e filosofica, economica e ambientale insieme. Perchè essere vegetariani o quantomeno scegliere di non mangiare pesce o carne proveniente da allevamenti intensivi: “aiuterà a prevenire la deforestazione, a contenere il riscaldamento globale, a ridurre l’inquinamento (…), a migliorare la salute pubblica e a contribuire a eliminare i maltrattamenti sugli animali. (pag.275,276).
E infine, Jonathan Foer suggerisce un legame implicito e forte tra le scelte alimentari da lui proposte e la crescita della nostra sensibilità personale e sociale, del nostro potenziale umano, volto alla costruzione di rapporti interpersonali costruttivi e nonviolenti: “La nostra reazione all’allevamento intensivo è in definitiva un test su come reagiamo all’inerme, al più remoto, al senza voce (pag.285.) La compassione è un muscolo che si rafforza con l’esercizio, e allenarsi a preferire la gentilezza alla crudeltà ci cambierebbe… Che mondo creeremmo se tre volte al giorno la nostra compassione e la nostra razionalità intervenissero mentre ci sediamo a tavola, se avessimo l’immaginazione morale e la volontà pratica di cambiare il nostro atto di consumo più essenziale? (pag.276.) Sicuramente migliore, parola di Jonathan Foer.
                                          Maria D’Asaro     (“Centonove”, n.44 del 19.11.2010)

8 commenti:

  1. Trova due minuti per andare sul blog IL SOCIO. ti accorgerai che al peggio non c'è fine.
    Due minuti per leggerlo, ma non basta una vita per digerirlo.
    Ciao.

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  2. l'autore è il mio preferito... i libri precedenti sono a mio avviso dei capolavori.... questo a dir la verità non scendeva giù..... l'ho mollato....

    non lo so.... io mangio carne.... e non vorrei per questo sentirmi la più abietta delle persone....

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  3. Buona recensione, ottimo libro: dico solo che dopo la sua lettura ho fatto la scelta -non ideologica- di diventare vegetariano o almeno 'onnivoro selettivo', come l'autore lo definisce, ossia di rifiutare in assoluto di consumare carne PROVENIENTE DA ALLEVAMENTI INTENSIVI, limitandomi ad un consumo in sè moderato e solo se sono ragionevolmente certo che la creatura di cui mi nutro sia stata allevata in vita con l'attenzione e la dignità che gli è dovuta. Ad esempio ho deciso di non mangiare più polli o pesci di allevamento, forse abolirò anche il tonno: negli USA l'allevamento intensivo è pervasivo, qui da noi, specie al sud, è un po' meglio, ma per gli animali che ho citato anche noi non abbiamo allevamenti ma industrie per la produzione di carne. E per questi animali trovo valida la scelta draconiana proposta: o rinunciare o rendersi complici di torturatori, deturpatori dell'ambiente, accrescitori della CO2, potenziali 'untori' per la diffusione di nuovi virus, etc.
    Il libro non protegge solo gli animali: ritengo promuova anche la nostra unità interiore, il nostro stare bene con noi stessi, in qualche modo protegge anche la nostra dignità di esseri viventi cui è stato affidato questo pianeta vivo!

    JAN

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  4. ...Aggiungo: al "Se niente importa" dell'azzeccatissimo titolo, sarebbe bello che contrapponessimo il motto cosciente e non distratto derivato da Don Milani: "I Care!"
    JAN

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  5. Mamma mia, a che riflessione mi stai spingendo…
    Premetto che Safran Foer è uno dei miei autori preferiti, nonostante “Se niente importa” (che non ho letto e NON voglio leggere) sia solo il suo terzo romanzo.

    Cultura, piacere, godimento della vita: stanno qui i motivi che mi spingono a continuare a mangiare carne. Non posso farne a meno, lo ammetto con codardia, a testa bassa.
    Tutte riflessioni giuste, le sue, ammirevoli, vere e crude come un filetto al sangue. Fanno male, fanno spalancare gli occhi, ma forse, per me, non basta.
    E mi faccio pure un po’ schifo per questo.

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  6. L'unica cosa che non devi fare è farti schifo se mangi carne! Io ho tre figli carnivori (almeno sino a ora) e continuo a cucinare filetto e polpette di carne per loro!
    A mio sommesso avviso, l'unica cosa importante è mantenere accesa una lucina di consapevolezza e un pò di voglia di mettersi in gioco. Il che non implica cambiare drasticamente le proprie abitudini alimentari. Io ci ho messo 50 anni per diventare vegetariana. Ma quando mia zia di 80 anni mi offre la salsiccia la mangio, perchè lei non capirebbe! Ciao! Scappo a scuola!

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  7. Un libro davvero sconvolgente. L'ho commentato anch'io sul mio blog

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