martedì 22 marzo 2011

101 Storie: Quando a salvarli sono i nonni... un nonno gentiluomo

Se non fosse stato per i jeans e la maglietta griffata, avresti potuto dire che Roberto veniva fuori da un quadro del Botticelli.

Un ovale morbido; capelli lisci, un po’ ondulati alle punte, color miele maturo; naso perfetto; occhi verde-nocciola che, alla luce, assumevano un brillio colore smeraldo.
Un ragazzo tranquillo. Intelligente. Solo un po’schivo e un po’ pigro.
Affetto da un solo, grave problema: in termini tecnici la chiamiamo frequenza irregolare.[1] Roberto, appunto, si assentava spesso. Mancava almeno due giorni a settimana.

Per capirci qualcosa, convoco i genitori. Al telefono, risponde un papà gentilissimo che contratta con me la data e l’ora di un colloquio, compatibile con il suo lavoro di dipendente di una azienda importante.
Ci vediamo nel primo pomeriggio. Il papà di Roberto mi dice subito che il ragazzo vive con lui e la figlia maggiore, poiché da qualche tempo lui e la madre di Roberto si sono separati. - In modo civile, comunque – tiene a sottolineare.

Gli chiedo il perché delle tante assenze di Roberto. - Roberto la mattina non vuole alzarsi… è pigro, professoressa, solo tanto pigro. Ma farò di tutto per portarlo a scuola assiduamente. -
In realtà la presenza scolastica di Roberto non aumenta granché. Tant’è che, di lì a poco, fisso un altro colloquio, chiedendo esplicitamente di incontrare entrambi i genitori. Che, dopo un po’ di contrattazione sugli orari, si presentano insieme.
Sembrano sereni e rilassati. Forse anche troppo. Lei è una bella signora, alta e snella, con i capelli che sanno di attenzioni frequenti del parrucchiere e con il resto del corpo che parla di cura attentissima da parte della sua padrona. Parla un po’ troppo e un po’ troppo velocemente.

Il papà di Roberto, anche lui alto e piuttosto imponente, capelli precocemente argentati, ma piglio e cuore molto giovani, parla meno e più lentamente. Un po’ gentile, un po’ annoiato, un po’ rassegnato.
A fine colloquio, capisco di aver fatto un buco nell’acqua di una genitorialità sfilacciata: i due si parlano addosso.

Roberto non è contenuto nei loro pensieri: scivola via, impalpabile, attraverso le loro accennate tristezze, non trova posto nelle loro appena percettibili recriminazioni, non riesce a essere trattenuto dalla loro rete, un po’ smagliata, un po’ distratta, di attenzione e di cura.
Scopro che Roberto, a loro dire svogliato e incostante, saltella da casa di papà, a casa di mamma, a casa dei nonni materni. E quando chiedo: - Ma cosa interessa a Roberto? ... Chi lo segue nello studio? - papà e mamma non mi danno una chiara risposta.
All’ennesima assenza, il padre mi fornisce il numero di telefono dei nonni materni dicendo che Roberto ha dormito da loro. Chiamo i nonni.
E comincia un nuovo capitolo della storia.
Mi si presenta il nonno. Una figura d’altri tempi: vestito in modo impeccabile, con giacca e cravatta e, se fa freddo, un cappello di antica foggia per riparare il suo capo, con doppio velo di canizie senile. Cappello che il signore si affretta a togliere precipitosamente non appena compaio alla sua vista. Una gentilezza persino eccessiva, mai però untuosa o servile. Una cortesia antica che, talvolta, mi commuove.
E, soprattutto, un amore sconfinato per quel nipote un po’ perso e svagato.
Che, quell’anno, viene promosso in seconda media.
Chiudendo un occhio su quel mare di assenze. Promosso per “non pregiudicare il positivo inserimento nel gruppo-classe”. Perché il ragazzo ha “buone potenzialità di apprendimento”. Perché il nonno ha fatto di tutto perché Roberto facesse qualche compito, quando era ospite a casa sua.

In seconda media le assenze riprendono. Ancora maggiori dell’anno precedente.
Telefonate continue al padre, ogni tanto alla madre. Anche ai nonni, ovviamente: il nonno è afflitto e contrito. Confessa però che, per ora, il nipote abita e dorme stabilmente dal padre. Quando lo chiamo, il padre dice sempre che domani, sicuramente, Roberto verrà.
Ogni tanto, ho un colloquio con lui.
In primo piano i suoi occhi: chiari, che sorridono si, ma che abitano una loro stanza segreta.
Mi dice che, semplicemente, a scuola gli secca venire. Preferisce dormire. O giocare con la play station. Me lo dice con tutta la naturalezza e il candore del mondo.
I miei formatori mi hanno insegnato come una psicopedagogista dovrebbe confezionare un colloquio: non deve essere evasiva, ma neppure intrusiva, deve capire ma non deve colludere, deve farsi accettare senza essere seduttiva, deve capire qual è il nocciolo del problema, perché si possa affrontare e risolvere, ma non deve essere presa da deliri di onnipotenza.
Forse con Roberto non trovavo la chiave giusta. O, forse, la saracinesca sul suo cuore era troppo serrata. Da questi colloqui, uscivo sconfitta: Roberto sorrideva, sincero, ma sgusciava via come il pesciolino rosso, nella vasca del giardino, che la bimba vuole maldestramente toccare.
Quell’anno le assenze furono veramente tante. Roberto rimase in seconda.

L’anno successivo, nella nuova classe: con nuovi compagni, con qualche nuovo insegnante.
Lo stillicidio delle assenze continua. Telefonate continue. Ogni tanto viene la madre. Poi il padre, da cui Roberto risiede. Il nonno telefona spesso: giustifica, chiede di parlare con un insegnante. Implora comprensione e clemenza. A fine anno, Roberto è promosso, per evitare che ripeta di nuovo la stessa classe e cambi di nuovo i compagni.

Ed eccoci in terza media.
Si ricomincia con la solita altalena: presente, assente, assente, presente, assente, entrato in ritardo.
Roberto è cresciuto: ormai è un ragazzone di un metro e settanta, con gli stessi occhi dolci. Con più di una ragazzina che stravede per lui.
La madre la vedo pochino: impegni di ufficio, la motivazione ufficiale. Anche il padre è più defilato. Lui, una volta l’ha detto, non può farci niente, alla fine, per questo figlio svagato. La figlia maggiore è bravissima, non gli ha mai dato problemi.

A dicembre, Roberto passa di nuovo sotto la giurisdizione dei nonni.
Quasi quotidiano il filo diretto con loro: quell’anno Roberto doveva essere ammesso agli esami.
E allora i nonni lo tiravano materialmente dal letto, lo mandavano a scuola almeno a seconda ora, mi telefonavano a volte, giurando: “Dottoressa, oggi non c’è perché è veramente ammalato …”. E il nonno pietoso consegnava all’Ufficio di Segreteria l’ennesimo certificato medico, con lettera di accompagnamento vergata con la grafia perfetta in uso un tempo che fu.

Quel nonno speciale era diventato di casa, nel mio studiolo.
Poco prima degli esami di terza media, venne a trovarmi. Ci salutammo: ormai la speranza che Roberto sarebbe stato ammesso agli esami era quasi realtà.
In piedi, di fronte alla mia scrivania, quel nonno nutriente mi confidò che la sua vita, negli ultimi anni, era stata veramente difficile. Pensavo si riferisse alla separazione della figlia, al carico di quel nipote bello e indolente.
E invece c’era dell’altro: due anni fa era morta la figlia minore. Trent’anni e qualcosa. Un cancro incurabile.
Il padre fatica a trattenere le lacrime. Mi dice che ha scritto per lei una poesia. Me la legge, commosso. Mi ringrazia, per tutto quello - cioè niente - che ho fatto per Roberto. Mi ringrazia soprattutto per averlo, adesso, ascoltato. Mi lascia la copia della poesia.
Che conservo gelosamente. In una carpetta privata. In un ripostiglio segreto del cuore.

[1] Secondo un vecchio protocollo d’intesa tra l’Osservatorio provinciale contro la Dispersione scolastica e il Comune di Palermo, è considerata frequenza irregolare quella di un alunno che si assenta sette/dieci giorni al mese, senza un valido motivo.

3 commenti:

  1. Mari, ho le lacrime agli occhi. La figura del nonno è stupenda e commovente nella sua dignità e perseveranza. E colpisce soprattutto se comparato all'egoismo (mi sento di chiamarlo così, da quello che hai scritto) dei genitori.

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  2. @Ciao, Vele: che bello ritrovarti... Quando ripenso al nonno di Roberto, mi viene in mente una vecchia canzone di Guccini: "Il pensionato". Certi suoi versi si adattano proprio a quella squisita roccia di uomo. Se Roberto ce l'ha fatta, è merito soprattutto del nonno.

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