giovedì 30 gennaio 2014

Nostra Signora e una sua 'calzinata' ...

Per molto tempo c’era cascata. Anche lei, avanzata negli anta, acquistava le creme per il viso: antirughe, anti-invecchiamento, anti-età. Un barattolino da nulla, 15 euro, se c’era lo sconto. Un vasetto da centellinare con cura. Ma un giorno la preziosa pomata era finita e lei aveva gettato lo sguardo verso l’umile crema per le mani “alla cera d’api” dal modico costo di un euro e cinquanta: che bel profumo spalmata generosamente sul viso … Finalmente aveva capito: nostra Signora era stata una gonza alla mercè del pubblicitario di turno. Senza sapere che una crema qualunque, magari appena appena un po’ grassa, andava bene per tutto. E per il viso era perfetta la crema con cui idratava il culetto al nipotino neo-cucciolo. Abbiamo la faccia come il c..o, diceva qualcuno. Alla fine, non era del tutto sbagliato.

(Il termine calzinata è un omaggio al blog di Calzino: ciao bedda!)

martedì 28 gennaio 2014

Buon sangue non mente ...

        Di Vittorio Emanuele Giuntella conoscevo vagamente il nome, come studioso dell’Illuminismo. Del figlio Paolo, giornalista, apprezzavo i servizi per stile e sostanza. Ecco alcune notizie biografiche sui due (tratte per Giuntella/padre dal quotidiano telematico “Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino”, n.531 del 28/1/2014; per Giuntella/figlio da Wikipedia).
Vittorio Emanuele Giuntella
“Vittorio Emanuele Giuntella (1913 - 1996) e' uno dei grandi maestri di vita e testimoni della dignita' umana del Novecento. Ufficiale degli alpini, dopo l'8 settembre rifiutò di porsi al servizio dei nazisti e fu internato in lager. Docente di Storia dell' Età dell'Illuminismo all'Università di Roma, ha formato generazioni di studenti all'amore per il sapere e per l'umanità, al rigore intellettuale e morale, all'impegno culturale e civile. Fondatore dell'Opera Nomadi ed impegnato in numerose iniziative di solidarietà,  ha sempre difeso i diritti di tutti gli esseri umani. Ha scritto saggi di incomparabile profondità, la cui lettura rende migliori (Il nazismo e i Lager, Edizioni Studium, Roma 1979). E' stato un uomo coraggioso e generoso, un luminoso esempio di amore per la verità, un autentico maestro di nonviolenza.”
Paolo Giuntella ( 1946 –2008) è stato un giornalista e scrittore italiano. Figlio del professor Vittorio Emanuele, dal 1999 fin quasi alla morte è stato l'inviato del TG1 al seguito del presidente della Repubblica. Fin da giovane si è impegnato nell'associazionismo cattolico, nella FUCI, e nello scautismo.
Nel 1966 fu tra gli "Angeli del Fango", i volontari, fra i quali molti scout, che scavarono senza sosta per soccorrere Firenze e i suoi cittadini colpiti dall'alluvione. Nel 1979 fonda La Rosa Bianca, un'associazione cattolica orientata a sinistra il cui nome s'ispira a quello dell'associazione di giovani cattolici e protestanti oppositori del nazismo.  
Già capo della terza pagina de Il Mattino, passato in RAI ha coordinato TV7, per poi divenire caporedattore di Speciale TG1, e in seguito corsivista televisivo e  inviato speciale in Irlanda, Albania, nelle zone colpite dal terremoto in Umbria e Marche del 1997 e in Kosovo, dove è stato menzionato al merito dall'ambasciatore italiano per aver salvato la vita di un disabile rimasto in un'abitazione incendiata,  disabile che per motivi etnici non veniva soccorso dai vicini. Morì a Roma il 22 maggio 2008 dopo una lunga malattia, che non gli ha impedito di lavorare fino a 10 giorni prima di morire. 

domenica 26 gennaio 2014

Nel giardino dei giusti

     
Janus Korczak
Dite:
è faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete: perchè bisogna mettersi
al loro livello,abbassarsi, inclinarsi,
curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
E' piuttosto il fatto di essere obbligati
a innalzarsi fino all'altezza
dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi,
alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli. 
    (da “Il diritto del bambino al rispetto” (1929, 2004 Luni Editrice)
Janus Korczak  (1878-1942), pedagogista, pediatra, scrittore, nel 1911 divenne direttore dell'orfanotrofio ebraico di Varsavia. L’orfanotrofio era gestito dagli stessi bambini, che lo sostenevano grazie al loro lavoro manuale e artigianale, pianificavano il lavoro, mantenevano un governo attraverso un Tribunale e un Giornale e organizzavano attività culturali e attività di gioco.
Korczak lavorò inoltre alla radio conducendo la trasmissione Le piccole conversazioni del vecchio dottore, durante le quali rispondeva alle domande di genitori e educatori. Nel 1914 pubblicò Come amare il bambino, testo fondamentale della moderna pedagogia. Successivamente, nel 1929 pubblicò Il diritto del bambino al rispetto.
La mattina del 5 agosto 1942 fu deportato nel Campo di sterminio di Treblinka insieme a tutti i bambini ospiti dell'orfanotrofio ebraico del Ghetto di Varsavia, bambini che si rifiutò di abbandonare. Morì nel lager subito dopo. (fonte: Wikipedia)

venerdì 24 gennaio 2014

La dittatura del Sol levante

     E’ più forte di me. Anche se vi si trova tanta merce a buon mercato, nei negozi dei cinesi non compro nulla, perché ci sto male: troppa roba gettata alla rinfusa nelle scatole, troppa polvere, troppa tristezza negli occhi della commessa di turno. La grande Cina, dismessa in fretta la zavorra ideologica del comunismo, ha copiato il peggio dell’Occidente capitalista: la voglia di profitto, il mancato rispetto per i diritti umani, l’indifferenza per i danni inferti all’ambiente. Se uniamo il tutto alla silenziosa e tenace capacità di lavoro degli orientali, meno individualisti di noi, abbiamo davanti una miscela nefasta che ha unito il peggio dell’Est e dell’Ovest: i negozi con le lanterne rosse sono segno di un’umanità ridotta a merce e di un pianeta condannato a morte. Per salvare la terra e noi stessi, ci serve con urgenza un nuovo Umanesimo, che ci restituisca senso di cura, sobrietà e  bellezza. 
                                                                           Maria D’Asaro  (“Centonove” n. 3 del 24.1.2014)


mercoledì 22 gennaio 2014

Voglio fare della mia vita un capolavoro ...

     Come scrive qui, due anni fa si è trasferito a Londra : uno di quelli che non ha lasciato l’Italia per necessità o disperazione. Ha scelto di andare via perchè, terminata la laurea specialistica, pensava che 25 anni fossero l’età giusta, il limite estremo per lasciarsi tutto alle spalle. 
Nell’ultimo anno ha deciso di documentare la sua vita. Un video per ogni giorno, un secondo alla volta.
“Ho conosciuto tanti ragazzi andati via dai loro paesi, e penso che in molti si riconosceranno in queste immagini. Londra è fatta anche di questo: cibi precotti riscaldati al microonde, fagioli Heinz mangiati direttamente in lattina, concerti e mostre, solitudine e sconforto. E lavori frustranti. Io passo i miei weekend in una cucina di un sushi bar il cui solo odore mi nausea, ma a cui sono grato in fondo, e non solo per i soldi che mi procura, ma per la disciplina, la dedizione e l’abnegazione che ha instillato giorno dopo giorno e che so che, prima o poi, mi tornerà utile anche nella mia futura carriera. (…) L’Italia è sempre presente. Tutto viene vissuto a distanza di sicurezza, dove ogni evento ti colpisce in modo diverso, attraendoti e respingendoti. (…) Volevo fare della mia vita un capolavoro. Credo di avere preso quest’idea da un video di Teledurruti. L’idea che ogni confine era valicabile e ogni ambizione possibile. Poi ho sbattuto la faccia contro la realtà. Ma continuo a provarci, e a provarci. E ancora a provarci.”

Lui è mio nipote, si chiama Alessandro.


lunedì 20 gennaio 2014

Il mantello dell’invisibilità

     E’ successo a dicembre, vicino casa mia: uno strattone improvviso e la preziosa valigetta scolastica mi è stata scippata da due ragazzi in ciclomotore. Sono caduta a terra malamente, con braccia e ginocchia un pò doloranti. So che episodi come questi non fanno notizia. Anche perché per fortuna, tranne qualche ematoma, ne sono uscita quasi illesa e con poco danno economico: gli scippatori hanno preso la borsa sbagliata e hanno lasciato quella che custodiva chiavi, soldi e vari documenti. Però l’accaduto mi ha fatto capire due cose, dure da digerire. La prima, piuttosto scontata: a Palermo una donna che cammina a piedi da sola corre dei rischi. La seconda, più triste: sebbene lo scippo sia stato visto da una decina di persone in fila davanti al postamat, nemmeno una si è avvicinata per darmi una mano e dirmi una parola gentile. A Palermo, se non ti conosce nessuno, diventi invisibile.
                                                                       Maria D’Asaro (“Centonove” n. 2 del 17.1.2014)

sabato 18 gennaio 2014

Fiabe siciliane

In contemporanea all’edizione completa delle Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani dello studioso palermitano appassionato di tradizioni popolari, pubblicata in quattro volumi dall’editore Donzelli, nell’ottobre 2013 Amelia Crisantino di Giuseppe Pitrè ha pubblicato quarantuno Fiabe siciliane e tredici storielle di Giufà, il semplicione il cui nome in Sicilia è ormai sinonimo di comportamento goffo e ingenuo. La raccolta della Crisantino è assai curata e fruibile da un vasto pubblico grazie all’ottima traduzione dal dialetto siciliano all’italiano e all’accessibilità anche economica della proposta editoriale (Di Girolamo, Trapani, 2013, € 12).
Le protagoniste delle Fiabe siciliane sono per lo più donne: in Caterina la sapiente, Caterina ci appare una femminista ante litteram; in questa e in altre storie troviamo l’esaltazione di un riscatto femminile possibile non solo grazie alla seduzione erotica, ma anche per merito della sapienza arguta della protagonista. Ne Il gran Narbone e Il re di Spagna e il Milord inglese la protagonista - come Mulan, eroina cinese del fortunato cartone Disney - deve fingersi uomo per recuperare il ruolo prestigioso e l’onore ingiustamente perduto. Non mancano fiabe dichiaratamente misogine, come Il diavolo zoppino, Vai a credere alle donne e Il devoto di san Michele Arcangelo: in quest’ultima san Michele ha tratti spietati e vendicativi assolutamente umani. Mentre L’infanta Margherita e Sole, Perla, Anna, sono, con significative varianti, rispettivamente una versione nostrana di Biancaneve e i sette nani, dei fratelli Grimm; e una versione noir de La bella addormentata nel bosco di Perrault, simile a sua volta a Sole, Luna e Talia, inclusa nel 1634 nel Pentamerone di  Giambattista Basile. 
La rilettura delle Fiabe siciliane ci permette un tuffo nella società in prevalenza contadina della Sicilia del 1800, quando c’erano le onze e i tarì come moneta contante; quando le donne venivano chiuse in casa, a porte murate ma con viveri a sufficienza, se non c’era un padre o un marito a custodirne l’onore (in Ninetta e il ramo di datteri); quando solo un indovino, e non un’ecografia, poteva predire il sesso del nascituro (in Griddu Pintu);  quando insaponare, strofinare e risciacquare i panni a mano, lavare periodicamente la lana dei materassi, lucidare le pentole di rame, ricavare le camicie da un pezzo informe di tela, erano le quotidiane fatiche femminili. Lavori umili e gravosi che si intravedono tra la filigrana di Sfortuna e Malvina,  storie che, peraltro, ci offrono un trionfo dell’immaginazione colorita e senza freni.
Come sottolineato da Amelia Crisantino nella prefazione, nelle fiabe le tensioni sociali e politiche rimangono comunque sullo sfondo. Ci vorranno Serafino Amabile Guastella prima, Leonardo Sciascia e Giuliana Saladino poi per interpretare e connotare storicamente queste tensioni. Le fiabe di Pitrè ci squadernano un universo irredento, senza una netta distinzione tra buoni e cattivi, dove non sempre le storie hanno un lieto fine. Protagonista indiscussa  dei racconti è la miseria fisica e la povertà psicologica dei protagonisti: povertà imperante nella Sicilia ottocentesca popolata da contadini e da proletari urbani, sostanzialmente  privi di un orizzonte di riscatto etico-politico, abitanti di una società immobile e arcaica, che aveva ignorato la riforma protestante, l’illuminismo e la rivoluzione francese. Società dove solo una magia poteva generare il cambiamento. 
Nella raccolta non mancano anche fiabe di moderno taglio horror-noir: come Sarinella, dove non c’è nessuna pietà per il diverso, perché lo sguardo liberatorio del neuropsichiatra Franco Basaglia è davvero di là da venire; o La figlia di Biancofiore dove: "Il re ammazzò la ragazza brutta che aveva avuto per moglie: la fece salare dentro un barile come se fosse un tonno, mettendo sul fondo la testa e la mano con l’anello. Infine mandò questo barile a sua suocera"; ne Lo schiavo: "Rosetta cominciò a guardare quella mano provando sempre più ripugnanza; non riuscendo a mangiarla finì per pestarla in un mortaio, gettandola infine nello scarico". In Tredicino, il protagonista ammazza una mammadraga e: "quando fu cotta, la uscì ben pulita: la divise alla vita, fece le gambe a pezzi e le portò a tavola"
E ricordiamo infine la chiusa più frequente delle fiabe: Loro rimasero felici e contenti/ e noi qui che ci puliamo i denti. Finale con cui anche mio nonno, quasi coevo di Pitrè, concludeva le storie narrate. Grazie ancora ad Amelia che, con questo libro, ci restituisce un prezioso pezzo di passato, personale e collettivo insieme.                                              Maria D’Asaro (“Centonove”, n.2 del 17.1.2014)

giovedì 16 gennaio 2014

Per chi suona la campana

Oggi la campana suona per Stefania, con gli occhi troppo segnati dall’ombretto viola: solo ora si accorge di non avere il libro di Matematica.
Suona per Giuseppe, segnalato all’Ufficio Dispersione Scolastica per eccesso di assenze. La madre: - Io sono al lavoro dalle cinque. E lui non si alza, perché vuole dormire.
Singhiozza con Federica: secondo lei, sua madre la odia.
Strimpella per Claudio: col solito sguardo annoiato, dice che non trova più il libro di Scienze.
Urla con tutti i ragazzi, stipati a forza nelle classi perché non ci sono supplenti.
Squilla per Mario:  mostra a tutti, festante, l’espressione di matematica che ha completato.
Sghignazza scrutando gli occhi smarriti dei professori, alle prese con il censimento: settimana lunga, corta o extra large?
Piange per Armando: ricoverato a Roma d’urgenza, per problemi renali.
Sussurra piano alla Psicopoppins, che ha ordinato il suo cassetto, dopo vent’anni: - Il vento è cambiato. E' l’ora di andare via? -

domenica 12 gennaio 2014

Ricami

Picasso: donna che scrive



Ricami
Nel buio
Trama e mistero
Di un racconto speciale.
Parole.          

venerdì 10 gennaio 2014

Almanacco del nuovo anno


     Alcuni lettori ricorderanno “L’almanacco del giorno dopo”, che dal 1976 al 1993 andava in onda la sera prima del TG1. Tale rubrica, dalla sigla molto suggestiva, anticipava qualcosa del giorno dopo: orario del sorgere e del tramonto del sole, nome del santo festeggiato e un fatto importante accaduto molto tempo prima. Forse c’è qualcosa di scaramantico e propiziatorio in tutti gli almanacchi, che mettono quasi un pegno sul futuro e lo rendono docile ai nostri auspici, alle nostre speranze bambine.
    Al contrario, l’illusione di un futuro di certo migliore è sottolineata con fredda lucidità da Leopardi nel Dialogo tra un venditore di un almanacco e un passeggere. Comunque, in barba a Leopardi, se non abdicheremo al ruolo di cittadini consapevoli e responsabili, ognuno di noi potrà contribuire a scrivere un pezzo di futuro migliore del passato. Perché, come ci ricorda De Gregori, se ci crediamo davvero, la Storia siamo noi.
                                                         Maria D’Asaro (“Centonove” n. 1 del 10.1.2014)

lunedì 6 gennaio 2014

Viva la vita ...

Facciata della chiesa di San Francesco Saverio - Palermo
    
Oggi con la II domenica dopo Natale, torniamo su questo testo indicibile del prologo di Giovanni. È un testo nel quale ci piace navigare, ci piace perderci con questa immensità dentro cui ci avvolge. Perché si tratta di questo: si tratta di questa prospettiva che ormai cuce la storia di Dio con la storia dell’uomo (...) Gesù diventa il criterio interpretativo di questo incontro tra Dio e l’uomo, che ci consente anche di valutare tutte le altre esperienze umane e religiose, di poterle valutare e prendere da tutte ciò che di bello, di buono, di giusto ci può essere. (...)
     Gesù diventa il criterio luminoso che però ci riconduce alla vita. Gesù vuole la vita degli uomini, Gesù non è per la morte degli uomini. Ed egli si farà strada in mezzo a noi annunciando ad ogni persona questa prospettiva di vita (...). Tutta la difficoltà che Gesù avvertirà è in uno scontro, chiamiamolo così, con la legge, con la Torah, la quale diventa criterio per discernere la vita. Gesù, invece, fa al contrario: partiamo dalla vita delle persone, vediamo come dobbiamo coltivarla, come dobbiamo celebrarla, come dobbiamo renderla aperta verso l’immensità, lavoriamo a questo. 
    E i segni che Gesù ci propone nel Vangelo di Giovanni, hanno questo compito di dispiegare continuamente il senso della vita, di aprire gli occhi al cieco, di svegliare Lazzaro dalla sua morte, di dare acqua zampillante alla samaritana, di portare il vino della festa e della gioia al banchetto nuziale. Gesù ci indica che la vita è il criterio della nostra esperienza di Dio, perché il Dio è il Dio della vita, è il Dio dei viventi; non è il Dio della legge, non è il Dio della sapienza dottrinale, ma è il Dio che ci vuole fare esplodere dentro la bellezza di una vita degna di essere vissuta. “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”. Appunto, la vita. (...) 
Ormai siamo invitati a sperimentare la grazia, la charis da cui viene carità, da cui viene carezza, da cui vengono tutte queste belle parole, da cui viene, in ultimo, l’amore, la verità. La verità nel senso di Giovanni non è una dottrina, la verità è la persona concreta di Gesù che si fa strada in mezzo agli avvenimenti umani, per illuminarli, per aprirli. 
     E così allora l’esperienza di Dio cui tutti noi siamo chiamati, come comunità, ma come singoli altrettanto, a cui tutti noi siamo invitati, passa dall’incontro personale con Gesù Cristo, con il suo Vangelo, con la sua esperienza di vita che siamo chiamati a fare nostra e dentro questa vita c’è Dio e ci siamo noi. C’è la promessa di Dio e c’è l’impegno nostro a rendere concreta la promessa di Dio. Dobbiamo aiutare Dio a realizzare la promessa che lui ha fatto a noi e quindi che aspetta la nostra collaborazione. In questa cifra della Parola di Dio incarnata in Gesù Cristo c’è tutto, inclusa la nostra libertà. La libertà attraverso la quale Dio vuole passare, dalla quale si fa condizionare, dalla quale dipende la possibilità di rendere concreto tutto il suo progetto di amore che passa attraverso di noi. 
      Così il prologo di Giovanni ci invita a librarci in questa vita immensa di Dio. Lo sappiamo che la vita è mortificata in maniera enorme. La vita viene attentata ogni giorno dalle tenebre, da queste resistenze, dalle opacità, da questi irrigidimenti, da questo possesso … ma la vita non si può possedere, la vita non è posseduta, la vita vive, la vita si espande. Ogni atteggiamento di possesso è un attentato, è un colpo di tenebra, è un suicidio. Questo lo sappiamo, ma dobbiamo tornare a che Dio possa vivere liberamente, incontrando la nostra libertà, passando attraverso tutti noi e ognuno facendo la sua parte, unica, che deve scoprire continuamente, che non finiamo mai di scoprire, di sperimentare e anche di esplorare perché non abbiamo mai le idee chiare prima di vivere. Siccome è la vita quella che dobbiamo realizzare, soltanto vivendo capiamo meglio noi stessi e andiamo sperimentando cosa è questo Signore della nostra vita (...)
(stralcio dell'omelia di don Cosimo Scordato  pronunciata ieri II domenica di Natale, a Palermo, nella chiesa di san Francesco Saverio)

venerdì 3 gennaio 2014

Snoopy and me




(Per Augusto e gli eventuali altri filosofi che mi leggono:  discetterò anche del libro sulla verità della De Agostini, ma intanto sposo la filosofia spicciola di Snoopy!)