martedì 9 giugno 2015

Perdonaci, Tania …

Tania Valguarnera
       Il 17 maggio scorso a Palermo, in una domenica fredda e piovosa,  una giovane donna, Tania Valguarnera, mentre attraversa  una via del centro per andare a lavorare in un call-center, muore investita da un automobilista che scappa senza prestarle soccorso. Ennesimo episodio in città di una morte evitabile, causata da una pessima condotta al volante. Poco dopo, il responsabile della tragedia è stato arrestato: era il proprietario del panificio dove compro il pane. Tale “contiguità” mi ha resa più attenta all’impazzare, sui social network, dei tanti commenti, tutti molto violenti, verso l’autore della tragedia. Senza negare la terribile responsabilità del panettiere,  siamo sicuri che i forcaioli di turno siano cittadini e automobilisti esemplari? Anziché gridare al mostro, che dovrà vedersela con la propria coscienza e con la giustizia umana, non sarebbe meglio che, per evitare  in futuro  altre morti assurde, ogni palermitano promettesse di essere attento e scrupoloso alla guida?
                                                                        Maria D’Asaro, “Centonove” n.5 del 4.6.2015

2 commenti:

  1. Cara Maria,
    a documento della nostra affinità mentale e sociale, riproduco anche per i tuoi lettori il mio pezzo sullo stesso tema.
    Augusto

    “Repubblica – Palermo”
    6.6.2015
    STRADE GIUNGLA, PEDONI SENZA DIRITTI



    Seguo da Torino il bollettino di guerra dei caduti di strada in Sicilia e non faccio in tempo a finire di leggere una notizia che sul monitor ne compare una nuova. Mi tornano alla memoria i volti, le storie, di amici e conoscenti falcidiati per le strade di Palermo nell’ultimo mezzo secolo: e, ogni volta, monotonamente, le stesse proteste e le stesse proposte. Poi, dopo qualche giorno, incalzano nuovi fatti di cronaca e lo scandalo si affievolisce in attesa dell’incidente successivo. Sino a quando sarà così? Sino a quando si vorrà eliminare l’ iceberg concentrandosi sulla punta e ignorando gli altri quattro/quinti sommersi. Fuor di metafora, chiedendo più semafori e strisce pedonali più visibili senza intaccare la cultura del pedone dominante da Napoli in giù. Già, il pedone: uno che cammina a piedi, che non ha né auto né moto, si dichiara per ciò stesso un poveruomo. Un cittadino di serie C. Che diritti può rivendicare, che pretese avanzare?
    Se vogliamo essere onesti con noi stessi dobbiamo ammettere che questa filosofia dell’appiedato inquina la mente di quasi tutti noi. Quante volte, pur accorgendoci di qualcuno che sulle zebre vuole attraversare la strada, facciamo finta di nulla e procediamo senza né rallentare né fermarci? Quante volte ci siamo detti, fulmineamente, che noi automobilisti avevano fretta e che il pedone, in quanto tale, è – per definizione - uno che può aspettare? E’ questa l’opinione dominante, il senso comune, l’immaginario collettivo: io, al volante, sono il Marchese del Grillo e tu non conti un c….zzo.
    Se è così dovremmo ammettere che responsabili delle stragi su strada non sono solo i guidatori accidentalmente assassini, ma tutti noi che accettiamo e alimentiamo la concezione del pedone come sfigato senza valore che deve farsi da parte come quando passavano al trotto le carrozze dei baroni. Una concezione culturale che nessuna educazione stradale nelle scuole, nessuna campagna pubblicitaria per le vie o attraverso i media, potrà modificare senza una svolta radicale nella repressione delle infrazioni.
    Avete mai visto un vigile urbano o un poliziotto della strada fermare e multare l’automobilista che sfiora il pedone in attraversamento sulle strisce pedonali? (Talora avrebbe dovuto fermare persino qualche auto di colleghi in servizio, ma senza sirena perché non in emergenza). Qui in Piemonte, come nella vicina Lombardia, la mentalità è differente. E non per enigmi del DNA. I Savoia e gli Asburgo hanno abituato i sudditi alla punizione delle trasgressioni e, quando si è passati dalla monarchia alla repubblica, non si è deciso di gettare il bambino della legalità insieme all’acqua sporca dell’autoritarismo monarchico. La vigilanza repressiva ha creato uno stile, un costume, un ethos che gradatamente (ma gradatamente, appunto !) può fare a meno di ogni repressione. Una democrazia senza legalità costituzionale tradisce il compito primario di difendere i cittadini più deboli: dunque, in ultima istanza, tradisce sé stessa e scava la propria fossa.

    Augusto Cavadi
    www.augustocavadi.com

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  2. @Augusto: grazie di aver riportato qui il tuo articolo, che condivido in pieno. Un abbraccio.

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