mercoledì 30 settembre 2015

Blogger doc

Che motivo c’è di fare un post stasera se i blog amici hanno “prodotto” chicche imperdibili da lanciare nei mari del web?
Mr.Keats e la gentile consorte
(la foto è tratta dal blog Nine hours of separation)

Qui Silvia Pareschi ci rende edotti sul matrimonio quantico inventato dal quel geniaccio di suo marito, Mr Keats;

Qui il dr.DOC, alias Cervo a primavera, ci dice tutto sui tardigradi;

Qui Vele Ivy  nel suo blog Colorare la vita, ci regala una splendida carrellata di immagini e notizie sull’Expo;

Qui Slec non ci fa perdere una virgola del discorso coraggioso di papa Francesco al Congresso americano, discorso che apre nuove frontiere nell’orizzonte della convivenza umana;

Qui Santa, a volte furiosa a volte no, ci propone una superba incursione nella poesia di Leopardi.

lunedì 28 settembre 2015

Meloni gialli, uomini neri

    Di fruttivendoli di strada, con un lapone e cassette di frutta sistemate alla meglio su un pezzetto di marciapiede, sono piene le città siciliane. Chi vende frutta per strada è il più precario dei venditori: rischia di essere cacciato perchè abusivo, ha clienti e guadagno assai incerti ed è alla mercé di pioggia, vento e scirocco. Da qualche tempo a Palermo alcuni fruttivendoli di strada “subappaltano” il loro lavoro a uomini neri che stanno a guardia di frutta e verdura soprattutto di notte o nelle ore più calde della giornata. Ci si sente stringere il cuore osservando questi uomini dalla pelle scura e dagli occhi tristi, dallo sguardo a volte disperato, costretti a dormire per strada raggomitolati in una felpa stinta, solo per sorvegliare angurie o meloni gialli, sicuramente per un compenso irrisorio. E noi, affaccendati e distratti, compreremo i meloni, inconsapevoli di quanto la sorte ci sia stata benigna.
                                                           Maria D’Asaro, “Centonove” n. 19 del 24.9.2015

sabato 26 settembre 2015

La condanna di Alì al Nimr : una vergogna per il genere umano

Alì al Nimr
(Lo dico con le parole di Michele Serra,  pubblicate su La Repubblica di oggi) 

E’ difficile, nell’abbondanza e nella varietà dei crimini di Stato commessi in giro per il mondo, riuscire a fare spicco, attirandosi la compatta repulsione di tutta o quasi l’opinione pubblica mondiale. C’è riuscita l’Arabia Saudita annunciando la condanna a morte (per decapitazione seguita da crocefissione fino ad avvenuta putrefazione: vogliamo commentare?) di un ragazzo di 21 anni, Alì al Nimr, reo di avere partecipato, quando aveva 17 anni, a una manifestazione contro la teocrazia familiare che regge quel Paese, un regime che per l’assurdità intrinseca della sua natura compete solo con la stalino-monarchia della Corea del Nord. Ha spiegato bene lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun (Repubblica di ieri) quanto rivoltante sia l’assassinio che sta per compiersi; e quanto vergognosa l’incapacità dei governi democratici di provare a impedirlo con qualcosa di meno virtuale dei belati di protesta. Come è arcinoto, eccellenti rapporti d’affari con quei ricchi despoti rendono Usa e Europa molto arrendevoli nei loro confronti; al punto di includere l’Arabia Saudita nel novero dei “paesi islamici moderati”, grottesca definizione che annega nel petrolio dignità e diritti. Ma ci sarà pure, accidenti, uno straccio di trattato internazionale (firmato anche dai sauditi!) da far valere, o perlomeno da far presente. Per il poco che serve, questi i due indirizzi mail ufficiali sauditi ai quali inviare la propria indignazione: ambasciata.saudita@ arabia-saudita.it e item@mofa.gov.sa. Su Twitter l’hashtag utile è ‪#‎freenimr‬. Molti, nel mondo e in Italia, i siti, i partiti politici e i giornali (come l’Unità) che fanno campagna, basta cliccare Alì al Nimr e si trova un po’ di tutto. Almeno provarci. 

giovedì 24 settembre 2015

Tessere





Tessere
Incerte, sfocate
Di un puzzle
Mai del tutto composto
Noi                            







                     

lunedì 21 settembre 2015

Cuore







Cuore
Di madre
Palpita senza tregua
Colmo di cura impotente
Inquieto                                        

domenica 20 settembre 2015

La bambina siriana con l'apparecchio ai denti

Lucia Goracci: copertina pagina FB
(Pag. FB della giornalista Lucia Goracci)

   Non riesco a non pensare a quell’apparecchio per i denti. Ce lo aveva una bambina appena scesa dall’autobus che da Tovarnik in Croazia - subito dopo il confine con la Serbia - aveva scaricato i profughi alla frontiera con l’ Ungheria. Ora i trasferimenti procedono con ordine. Tra Zagabria e Budapest si accusano di tutto – traditori! fascisti! - ma alla frontiera le due polizie collaborano. La Croazia scarica oltre la sbarra i profughi arrivati e l’Ungheria se li prende. Per ora.
Dunque alla barriera c’era questa bambina, che a un certo punto è corsa alla sbarra di divisione tra me, che mi trovavo nell’ultimo lembo di Croazia e un ragazzo che stavo intervistando, nella prima propaggine di Ungheria. Per questi profughi, luoghi come questo sono il primo ingresso dentro l’Unione Europea. (…) Lei è trotterellata sino lì, mentre io intervistavo il suo amico che aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi e un inglese che avremmo potuto essere a Denver – e invece veniva da Aleppo. Venivano tutti da Aleppo i componenti di questo gruppo. Partiti insieme tra persone che si conoscevano. A pensar bene, io farei la stessa cosa: cercherei di fare gruppo, perché da soli si vive e si muore peggio. Dunque io stavo intervistando il ragazzo – pensando che con quell’inglese, gli occhi azzurri e tutto il resto probabilmente se la sarebbe cavata in Germania. Che riuscirà a continuare a studiare medicina e diventerà uno di quei medici che tu chiami anche a mezzanotte di domenica, se tuo figlio ha 38 di febbre. 
Ed è arrivata lei. Con la coda e le lentiggini. E nessuno l’ha notata. Ma lei ha ascoltato noi grandi tutto il tempo. Sorridendo. E quel sorriso aveva l’apparecchio ai denti.
Ora, dopo tre generazioni di dentisti in famiglia, cosa sia un apparecchio per i denti non mi può sfuggire. E’ simbolo di cura. Per se stessi e per l’oggetto in sé. Di un grado di benessere sufficiente a volersi migliorare. Di progettualità. Non ti metti un apparecchio per i denti se non hai progetti sul futuro, se ti manca l’intenzione di realizzarli.
Bimba siriana in viaggio nei Balcani + apparecchio per i denti, deve farti pensare. Significa non solo aver scelto tempo prima di metterlo e tempo dopo di continuare a portarlo nonostante il tuo mondo si stesse sfaldando. Ma anche capacità e desiderio di vedersi in prospettiva. E igiene dentale, operazione complicata per un fuggiasco. 
Perché non so chi tra di noi abbia il coraggio di dire che l’igiene dentale sia un moto spontaneo dell’esistenza. Che quando è stanco, stanco morto, infreddolito e ha paura, la prima cosa che prova il desiderio di fare è lavarsi i denti. Pensate solo al filo interdentale: passarselo è palloso e chi sostiene il contrario è ipocrita, o pazzo, o è mia sorella che di mestiere fa quello. Aggiusta i denti ai bambini. 
L’igiene dentale di quella bambina che da qualche settimana vive tra la terra e il cielo deve essere operazione estremamente complicata. Deve trovare tutte le sere uno specchio, anche se è accampata in una stazione dei treni o dorme sotto le stelle in un campo di granturco. O sviene di stanchezza sul bracciolo di un autobus, dove puoi dover aspettare ore e ore.
E l’apparecchio per i denti significa progettualità. Un padre e una madre che abbiano deciso di fartelo mettere. Significa che, fino a un momento prima di lasciare Aleppo dove sei nata, sino all’ultimo, tu – o almeno la tua famiglia per te – avete provato a vedere se si potesse ancora restare. A fare progetti, a migliorare la propria esistenza. Ad aggiustarsi i denti nell’attesa che si aggiustassero anche le cose. L’apparecchio ai denti è voler vivere, non sopravvivere. E continuare a portarlo mentre il tuo mondo crolla, è vera resistenza.
Ecco cosa non ho pensato, sino a stanotte, di quel sorriso che nessuno ha notato sulla sbarra di divisione tra la Croazia e l’Ungheria, prima che la bimba siriana fosse trascinata chissà dove dai poliziotti ungheresi. Non ho pensato in tempo - e mi rammarico di farlo solo ora - che quello era il suo modo di dirmi: guarda, ho l’apparecchio ai denti, c’è ancora una speranza! 
Per questo, se qualcuno vuole ancora dire qualcosa di sgradevole, o di banalmente scontato, su queste persone che fuggono perché hanno perso tutto, dovrebbe secondo me avere prima il buon gusto di sciacquarsi la bocca.
                                                                      Lucia Goracci

venerdì 18 settembre 2015

Street art? A Palermo va a ruba …

Christian Guemy /Caravaggio a Palermo
 C215 a PA: un'altra riproduzione di quadri di Caravaggio
      
     La sigla C215 evoca forse un composto chimico: si tratta invece del nome in codice dell’artista francese Christian Guemy, tra i più noti street/artist mondiali. Mesi fa, in alcune zone del centro storico di Palermo, Guemy ha realizzato graffiti ispirati ai capolavori di Caravaggio, dichiarando in un’intervista: “Caravaggio, nel suo pellegrinare, è un pittore che si può seguire come un artista che fa graffiti. Apprezzo Caravaggio per il suo uso della luce e del chiaroscuro, ma anche (…) per il suo senso della provocazione, per la sua vita caotica”. I graffiti di Guemy erano già delle icone locali, ma purtroppo alcuni sono stati rubati dai ladri, che hanno divelto l’anta di un portoncino e tre cassette postali su cui C215 aveva lavorato. 





Neppure l’arte pubblica dunque si salva dai vandali arraffoni. Forse Caravaggio dall’aldilà sorriderà divertito; un po’ meno i palermitani, amareggiati per l’ennesima barbara sottrazione di  arte e bellezza.
                                                             
 Maria D’Asaro,
      “Centonove” n. 18 del 17.9.2015

Bacco di C215, trafugato a Palermo in via Monteleone
Maria Maddalena in estasi, trafugata al Borgo Vecchio
Ancora C215: omaggio a Caravaggio

martedì 15 settembre 2015

Pace



Una donna, in riva al mare, da sola, di sera, a leggere un libro
Una campana che suona per un sacro richiamo
Una nave che solca il mare ogni giorno ad un’ora precisa
Una fila ordinata per comprare il pane
Un abbraccio, casto e innamorato, tra due che si vogliono bene

domenica 13 settembre 2015

Ciao






Ciao.
Abiti sempre
nel nostro cuore,
mia amata sorellina speciale
Sally ...

venerdì 11 settembre 2015

I migliori se ne vanno …

Lucia Borsellino
       Il 2 luglio scorso l’assessore regionale alla Sanità Lucia Borsellino si è dimessa per “prevalenti ragioni di ordine etico e morale”: in pratica non poteva fare pulizia nel ginepraio della sanità siciliana. Due giorni prima delle dimissioni, al dott. Tutino, primario di chirurgia plastica di un ospedale palermitano, venivano dati gli arresti domiciliari per truffa, falso e abuso d’ufficio. Secondo l’Espresso, smentito però dalla Magistratura, al telefono con il Presidente della Regione Crocetta, il primario avrebbe affermato: “Lucia Borsellino va fatta fuori come suo padre“. Ora il Viminale ha assegnato la scorta all’ex assessore, ormai trasferitasi a Roma dove si occuperà di anticorruzione. Ancora una volta, i migliori se ne vanno dalla Sicilia. In questo caso per fortuna non perché uccisi, ma perché impossibilitati a fare il loro lavoro. Però, dopo la partenza di Lucia, nei siciliani è ancora più flebile la fiducia nelle istituzioni e la speranza di cambiamento.
                                                              Maria D’Asaro: “Centonove” n. 17 del 10.9.2015

mercoledì 9 settembre 2015

i come invidia: presentazione

La prof. Chinnici, il prof. Muraglia e il prof. Salonia
(fonte: sito Gestalt Therapy Kairòs)
(questo breve resoconto è solo un assaggino della bellezza del libro: seguirà  recensione per la stampa!)  

Oggi pomeriggio a Palermo, alla libreria “Modus Vivendi”, la presentazione del saggio di Giovanni Salonia i come invidia (Cittadella Editrice, Assisi, 2015, € 11,00) è stata davvero interessante, intensa e molto partecipata, tanto da far invidiare, ai tantissimi rimasti in piedi, la comoda sedia di cui hanno goduto i primi arrivati.
Il prof. Maurizio Muraglia ha introdotto e moderato in modo brillante il dibattito sul testo, composto da “poche pagine ad alta densità speculativa” che ci introducono in modo affascinante e terapeutico nei meandri più profondi del più triste dei sette vizi capitali, portatore insano di infelicità.
Gli interventi acuti e a tutto tondo dei coautori Valentina Chinnici e Giovanni Salonia hanno donato agli astanti il succo di quanto scritto nel libro: la prof. Chinnici ha sottolineato come l’invidia sia da sempre la più inconfessabile e nascosta delle emozioni, che svela la sostanziale infelice staticità di chi ne è affetto; e ci ha salutato con gli splendidi versi di Orazio, che ci propongono la riflessione, lo studio e il lavoro come validi antidoti all’invidia. Il prof. Salonia ci ha invitato ad andare oltre le posizioni di Freud e della Klein, per i quali l’invidia sarebbe connaturata alla natura umana senza facili e definitive vie di superamento. Ha proposto invece una assai convincente  lettura dell’invidia come incapacità di assumere il limite proprio dell’essere "creatura" e ha sottolineato, citando Nietzsche,  che è “un errore della natura cognitiva e morale” pensare che si possa essere felici invidiando gli altri. Dall’invidia si può quindi guarire trafficando i propri talenti, strada che placa il cuore e dà pienezza. E, come sempre, il professore ci ha fatto volare alto concludendo che l’invidioso deve scoprire la propria preziosa unicità e sentire di avere le carte in regola per essere anche lui felice. Perché, a farci soffrire, “è la pienezza della nostra anima che non abbiamo ancora raggiunto”.



lunedì 7 settembre 2015

I vescovi? Non sono tutti uguali …

      Il 3 agosto è morto mons. Cassisa, ex arcivescovo di Monreale, indagato per collusione con la mafia e altri reati, seppure prosciolto in Cassazione. Per fortuna la Sicilia ha avuto arcivescovi di ben altra statura. Ricordiamo ad esempio mons. Angelo Ficarra, vescovo di Patti dal 1937 al 1957: insigne studioso, attento ai bisogni pastorali e sociali del popolo, che mantenne sempre una profetica indipendenza dal potere politico ed ecclesiastico. Nell'estate del 1950, firmò la petizione pacifista contro la proliferazione nucleare promossa dal premio Nobel Frédéric Joliot-Curie.  Per questo gesto e per le sue posizioni moderniste, il vescovo fu osteggiato dalla gerarchia, come ci ricorda anche Sciascia nel saggio “Dalle parti degli infedeli”: infatti nell’agosto 1957 il vescovo fu rimosso da Patti e “promosso” arcivescovo di Leontopoli di Augustamnica, in partibus infidelium, sede fittizia. Ma la memoria di mons. Ficarra, vescovo coltissimo, indipendente e coraggioso, rimane ancora oggi viva e apprezzata.
              Maria D’Asaro: “Centonove” n. 16 del 3.9.2015

(vedi anche qui un illuminante profilo di mons.Ficarra )

sabato 5 settembre 2015

Aylan e la morte della coscienza europea


Alla nascita e alla morte di un bambino il mondo non è mai pronto.
                                                                         Wislawa Szymborska


Poteva essere il mio nipotino, Aylan: il bimbo siriano di tre anni morto con la madre e il fratellino mentre col papà, unico sopravvissuto, cercavano scampo in Europa.
Aylan
Condivido l’editoriale di Mario Calabresi, scritto su "La Stampa" il 3.9.2015 e le riflessioni di Enaiatollah Akbari, la cui storia di migrante bambino è stata magistralmente raccontata da Fabio Geda nel libro “Nel mare ci sono i coccodrilli” (che ho recensito qui).
(Ringrazio di cuore per questi scritti, che hanno condiviso su FB, i cari amici  Massimo Messina e Claudia Costanzo).

"Si può pubblicare la foto di un bambino morto sulla prima pagina di un giornale? Di un bambino che sembra dormire, come uno dei nostri figli o nipoti? Fino a ieri sera ho sempre pensato di no. Questo giornale ha fatto battaglie perché nella cronaca ci fosse un limite chiaro e invalicabile, dettato dal rispetto degli esseri umani. La mia risposta anche ieri è stata la stessa: «Non la possiamo pubblicare».  Ma per la prima volta non mi sono sentito sollevato, ho sentito invece che nascondervi questa immagine significava girare la testa dall’altra parte, far finta di niente, che qualunque altra scelta era come prenderci in giro, serviva solo a garantirci un altro giorno di tranquilla inconsapevolezza.  
 Così ho cambiato idea: il rispetto per questo bambino, che scappava con i suoi fratelli e i suoi genitori da una guerra che si svolge alle porte di casa nostra, pretende che tutti sappiano. Pretende che ognuno di noi si fermi un momento e sia cosciente di cosa sta accadendo sulle spiagge del mare in cui siamo andati in vacanza. Poi potrete riprendere la vostra vita, magari indignati da questa scelta, ma consapevoli. 
 Li ho incontrati questi bambini siriani, figli di una borghesia che abbandona tutto – case, negozi, terreni - per salvare l’unica cosa che conta. Li ho visti per mano ai loro genitori, che come tutti i papà e le mamme del mondo hanno la preoccupazione di difenderli dalla paura e gli comprano un pupazzo, un cappellino o un pallone prima di salire sul gommone, dopo avergli promesso che non ci saranno più incubi e esplosioni nelle loro notti.  
 Non si può più balbettare, fare le acrobazie tra le nostre paure e i nostri slanci, questa foto farà la Storia come è accaduto ad una bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm o a un bambino con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia. E’ l’ultima occasione per vedere se i governanti europei saranno all’altezza della Storia. E l’occasione per ognuno di noi di fare i conti con il senso ultimo dell’esistenza."                                              Mario Calabresi

"Chissà che cosa sarebbe diventato, il piccolo Aylan. Magari un bravo avvocato, o un grande chirurgo. Invece il destino l’ha fatto morire troppo presto, sulle coste della Turchia, dopo esser fuggito assieme ai genitori dal suo Paese e aver abbandonato il suo nido, distrutto dalle bombe. In questi mesi, purtroppo, la sfortuna si accanisce su tanti altri bimbi, che magari non riescono neanche ad avvicinarsi all’Europa, perché falciati prima dalla fame o dalla sete. Altri piccoli, e sono molti di più di quanto non si creda, muoiono al settimo o all’ottavo mese nella pancia di una madre così stremata da non riuscire a portare a termine la gravidanza.
Noi rifugiati siamo gente molto fragile. E tra gli umani apparteniamo alla categoria più debole. Già nel nostro Paese d’origine non abbiamo diritti, e subiamo le peggiori ingiustizie. Imploriamo aiuto al resto del mondo, ma non c’è quasi mai nessuno che ascolti il nostro dolore, nessuno che senta il nostro grido. Lo stesso accade quando siamo all’estero. Che esistono i diritti dell’infanzia e i diritti dell’uomo l’ho scoperto dopo essere approdato in Italia, quando ho cominciato a leggere e studiare. Prima, non me n’ero accorto che c’erano delle leggi internazionali sancite al solo scopo di proteggere l’essere umano, come non se ne accorgono i migranti in viaggio da Siria, Afghanistan o Nigeria. I diritti dell’uomo vengono forse rispettati al di qua del muro europeo, sicuramente non al di fuori. Perciò, per la maggior parte dei profughi sono un concetto molto astratto, di cui non vedono mai l’applicazione e nei quali hanno difficoltà a credere. Ora, senza l’applicazione di questi diritti, che ne è dei principi fondamentali degli Stati che li hanno firmati?
La mia esperienza di guerra, vissuta quando vivevo in Afghanistan, mi ha insegnato che i bambini sono sempre i primi a morire. Ciò accade perché quando si trovano davanti a un campo minato, anche se i genitori li hanno messi in guardia e anche se ci sono dei cartelli che ne indicano il perimetro, loro non sono in grado di valutarne la pericolosità. Ci vanno ugualmente e saltano per aria. Oppure, quando una casa viene bombardata, sono loro i primi a morire, perché i più lenti.
Io ce l’ho fatta, perché sono stato più fortunato di altri, e non più forte di loro. Per riuscire ho attraversato due guerre: quella nel mio Paese, dal quale era difficilissimo e pericolosissimo uscire; e quella per arrivare in Europa, dopo un viaggio interminabile, con pochissimo cibo e pochissima acqua. Lo stesso succede in questi giorni ai profughi che arrivano in Ungheria. Hanno attraversato mari, deserti e montagne, e quando arrivano lì, la prima cosa che trovano è il filo spinato che gli blocca la cammino.
Vorrei solo che i popoli d’Europa capissero perché tanta gente s’ammassa alle sue porte. La maggior parte di chi fugge lo fa perché in patria è perseguitato. Che significa essere perseguitato? Significa che se ti trovano a casa tua, siano essi poliziotti, nemici o islamisti, ti ammazzano. Ho come l’impressione che questo concetto di persecuzione non sia chiaro a tanti. I siriani, per esempio, sono perseguitati dalle falangi dello Stato islamico, che torturano, chiudono le persone nella gabbie e gli danno fuoco, decapitano. 
Enaiatollah Akbari

Ora, le vittime di queste barbarie sono persone come noi, ma che hanno solo avuto la sfortuna di nascere in un Paese in guerra. Sono esseri umani come noi. Sono nostri fratelli, ai quali nessuno dovrebbe sbattere la porta in faccia.

Mi fanno ridere coloro che temono l’arrivo di terroristi, travestiti da profughi. Infatti, tra i migranti siriani non ci sono uomini dello Stato islamico, né tra quelli afgani dei Taliban o tra i nigeriani dei guerriglieri di Boko Haram. 
Oggi ho 27 anni, e studio Scienze politiche e cooperazione all’Università di Torino. Sono pronto a qualsiasi lavoro mi verrà offerto, ma il mio sogno è di lavorare per le Nazioni Unite. Per poter al più presto aiutare le persone che stanno vivendo adesso l’odissea che fu la mia."                                                                                                                                    Enaiatollah Akbari