mercoledì 16 maggio 2018

Ermanno Olmi, sapienza antica con la macchina da presa

    Dopo la dipartita, nell’aprile scorso, di Vittorio Taviani, autore col fratello Paolo di capolavori cinematografici come “La notte di san Lorenzo” e “Kaos”, è morto ad Asiago il grande regista italiano Ermanno Olmi. Il suo primo lungometraggio, “Il tempo si è fermato”,  che risale al 1959 e racconta la storia dell'amicizia fra uno studente e il guardiano di una diga, contiene già temi e cifre stilistiche che saranno costanti nelle sue opere: l’accostarsi a personaggi di umile origine, il legame con la natura, l’attenzione al sentire autentico e semplice delle persone. Dopo varie pellicole - tra cui, nel 1965, “E venne un uomo”, avvincente biografia di papa Giovanni XXIII – con “L’albero degli zoccoli” Olmi vince la Palma d'oro al Festival di Cannes e il Premio César per il miglior film straniero; il film, un capolavoro di lirismo narrativo, ci offre una visione insieme realistica e poetica del mondo contadino italiano di inizio ‘900. Seguono “Lunga vita alla signora!”, nel 1987 Leone d’Argento al Festival di Venezia e, l’anno dopo, nel 1988, “La leggenda del santo bevitore”, con cui ottiene il meritato Leone d’oro.
Nel 1993 Paolo Villaggio sarà il protagonista de “Il segreto del bosco vecchio”, tratto da un romanzo di  Dino Buzzati. Nel 2001 il regista si cimenta con successo nel film storico “Il mestiere delle armi” che si aggiudica nove David di Donatello. Tra i film più recenti, citiamo “Cantando dietro i paraventi” e “Centochiodi”. Ma è opportuno ricordarlo infine per l’accorata denuncia dell’orrore e della stupidità di tutte le guerre contenuta nel suo ultimo film “Torneranno i prati”: realizzato in concomitanza con le celebrazioni del centenario della Prima guerra mondiale, nel 2014, e ambientato nelle trincee dell’Altopiano di Asiago. Il film si svolge durante una sola notte, e rievoca i sanguinosi scontri in trincea, nel 1917 durante la prima guerra mondiale, mentre sullo sfondo le montagne innevate guardano mute le vicende di alcuni soldati, vittime innocenti del conflitto. 
Credo che la celebrazione del centenario della Prima Guerra Mondiale non abbia alcun senso se non chiediamo scusa per il tradimento di cui siamo stati colpevoli nei confronti dei giovani e dei milioni di morti in quel conflitto”, dichiarò prima dell’uscita del film il regista – “Ho compreso che il tradimento perpetrato verso i ragazzi morti o feriti in guerra sta nel non aver mai spiegato il perché sono rimasti vittime. E con i defunti e i bambini non si può barare.”
Dove si sono sparsi migliaia di cadaveri, “Torneranno a pascolare le mucche, appunto torneranno i prati, e tutto sarà dimenticato”, dice sul finale del film uno dei soldati, che matura la consapevolezza del non-senso di tale esperienza, in cui tutto perde di significato, dai gradi militari ad ogni speranza per un possibile futuro. Bisogna essere grati ad Olmi che ha utilizzato con sapienza la macchina da presa per denunciare l’assurdità della Prima guerra mondiale e, con essa, quella di tutte le guerre che addolorano e insanguinano il mondo. 
Maria D'Asaro

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