mercoledì 12 dicembre 2018

Perché non possiamo non dirci (quasi) fascisti

Massimo Nava
       Riporto le riflessioni di Massimo Nava, giornalista, saggista e scrittore italiano (leggete qui se ne volete sapere di più). 
       Ringrazio Slec che ha riportato l’articolo nel suo blog, copiandolo da qui.

                    "Da più parti si stigmatizza l’uso a sproposito dell’aggettivo fascista, appiccicato come un insulto o come un giudizio politico denigratorio alla forma dell’attuale governo. Non si potrebbe che essere d’accordo se il termine fascista spingesse ad accostamenti automatici con la storia passata ed evocasse sistemi (torture, omicidi politici, deportazioni, leggi razziali, etc) ovviamente sconosciuti oggi e non previsti, almeno in Italia. Se tuttavia si analizzano in profondità la cultura politica che anima i leader del Movimento 5 Stelle e della Lega, i comportamenti, le dichiarazioni, il rapporto con gli elettori e il presupposto agire “in nome del popolo”, considerandone soltanto una parte, ovvero quella forse pentita che li ha votati, allora il termine “fascista può essere utilizzato per l’analisi della cultura che anima e ispira, anche inconsapevolmente, la leadership attuale.
                    Beninteso, anche a scanso di querele, non mi riferisco alle persone, né ai simboli, ma appunto al modo di rapportarsi all’elettorato, alla formazione delle decisioni, allo schema propagandistico organizzativo utilizzato per attuarle o spiegarne la mancata attuazione.
                    Mentre si diradano le assicurazioni su reddito di cittadinanza, legge Fornero, controllo dell’immigrazione, si vendono al popolo condoni edilizi e fiscali e fantomatiche congiure dei mercati e al tempo stesso si approfitta della posizione di maggioranza (o meglio di patto post elettorale) per occupare spazi di potere, promuovere amici degli amici, per lo più con dubbie qualità professionali.
Benedetto Croce

 (...) Basta rileggere Einaudi, Gramsci, Gobetti, Flaiano, Eco, e altri padri nobili della cultura liberista, cattolico popolare, socialista del Paese per chiedersi cosa ne rimanga nella forma di governo attuale e nel suo modo di procedere.

Un piccolo elenco fattuale di ciò a cui assistiamo:

ricerca del consenso con promesse elettorali non rispettate e non rispettabili.
violazione di trattati internazionali e del dettato costituzionale.
distruzione consapevole di finanze pubbliche e risparmio privato.
occupazione di spazi televisivi, manipolazione dell’opinione pubblica, ossessiva denuncia di                complotti internazionali e di “nemici del popolo”.
criminalizzazione di categorie professionali e sociali considerate fastidiose e disfattiste, come              giornalisti, magistrati, banchieri, intellettuali, stranieri immigrati, omosessuali. (...).
tradimento dei patti fra alleati di governo e criminalizzazione dei dissidenti interni.
assolutismo della parola del capo, delegittimazione del rappresentante ufficiale (in questo caso            l’inesistente premier Conte)
inesistente ruolo dei ministri economici piegati alla volontà dei leader.
non trasparenza delle forme organizzative di movimento e partito, essendo indiscussa la parola            di uno (Salvini per la Lega) ed eterodiretta da un’oscura piattaforma online (la Casaleggio e C.)          quella dell’altro (Di Maio).

        Linguaggio ai limiti della volgarità, riassumibile in slogan e affermazioni che hanno il solo scopo di alimentare consenso, sobillare sentimenti e nervi scoperti della popolazione, dirottare su altri obbiettivi il conto dei fallimenti e delle promesse non mantenute. È la logica del “me ne frego”, del “non arretreremo di un millimetro”, della ricerca del capro espiatorio.
        A questo si sommano banalità e indifferenza della maggioranza, il carburante dell’assolutismo di cui parlava Hannah Arendt.




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