venerdì 21 giugno 2019

L'altrui mestiere

             Avrei voluto recensire il testo di Primo Levi L’altrui mestiere (Einaudi, Torino, 2018,  € 11).
Ma Italo Calvino ne ha scritto una prefazione bellissima. Cedo a lui la parola.
               Primo Levi ha raccolto in volume una cinquantina di scritti apparsi sui giornali (soprattutto su “La Stampa”) che rispondono alla sua vena d’enciclopedista dalle curiosità agili e minuziose e di moralista d’una morale che parte sempre dall’osservazione.
Tra le pagine degne di una antologia ideale “Segni sulla pietra”, che comincia con una ‘lettura’ dei selciati dei marciapiedi torinesi come documento mineralogico, antropologico, storico, e termina con amare riflessioni sull’indistruttibilità della gomma da masticare. L’occhio di Levi si posa sulla città come quello del paleontologo futuro che nelle stratificazioni dell’asfalto scoprirà «come gli insetti del pliocene nell’ambra, i tappi-corona della Coca-Cola e gli anellini a strappo della birra in lattine».
E’ questo il metodo con cui (La mia casa)  egli descrive l’appartamento in cui è nato e in cui tuttora vive (caso di sedentarietà simile a quello delle patelle che «si fissano a uno scoglio, secernono un guscio e non si muovono più per tutta la vita»).
Questi due pezzi e altri del volume esemplificano una ‘letteratura della memoria’ quale può nascere da una mente ordinata e sistematica, in cui dalla concretezza e precisione dei dettagli non manca di scaturire una nota di pathos lirico, pur sobrio e controllato.
Primo Levi
         Stabile/instabile – che comincia che comincia con un elogio del legno, per poi spiegare la sua naturale instabilità al contatto con l’ossigeno e rievocare (…) un caso di autocombustione della segatura – esemplifica altri due ‘generi letterari’ rappresentati variamente nel libro: quello della ‘voce di enciclopedia’ (…) e quello delle ‘memorie di un chimico industriale’, che è un tipo di racconto tutto suo, di cui avevamo avuto dei precedenti nel volume più “primoleviano”  di tutti, Il sistema periodico”. 
Nella chiusa di questo racconto, ecco tornare la vena del Primo Levi moralista: «I contorni di questa stabilità fragile, che i chimici chiamano meta stabilità, sono ampi. Vi stanno compresi, oltre a tutto ciò che è vivo, anche quasi tutte le sostanze organiche (…); ed altre ancora, tutte quelle che vediamo mutare stato a un tratto, inaspettatamente: un cielo sereno, ma segretamente saturo di vapore, che si annuvola di colpo; un’acqua tranquilla che, al di sotto dello zero, congela in pochi istanti se vi si getta un sassolino. Ma è grande la tentazione di dilatare quei contorni ancora di più, fino a inglobarvi i nostri comportamenti sociali, le nostre tensioni, l’intera umanità di oggi, condannata e abituata a vivere in un mondo in cui tutto sembra stabile e non è, in cui spaventose energie (…) dormono di un sonno leggero
Tra gli oggetti dell’attenzione enciclopedica di Levi, i più rappresentati nel volume sono  le parole e gli animali. Qualche volta si direbbe che egli tenda a fondere le due passioni in una glottologia zoologica o in una etologia del linguaggio. Nelle sue divagazioni linguistiche dominano le amene ricostruzioni di come le parole si deformano con l’uso, nell’attrito tra la dubbia razionalità etimologica e la sbrigativa razionalità dei parlanti. (…).
Anche negli scritti che riguardano la letteratura, la capacità di osservazione è la grande dote di Primo Levi: si veda Il pugno di Renzo, in cui dimostra che nei Promessi Sposi i gesti dei personaggi sono tutti sbagliati o impossibili, come gesti di un cattivo attore. E l’osservazione serve da chiave per capire qualcosa di più: 

«Il Manzoni sembra disposto ad ammettere certe soluzioni recitative solo “quando due passioni schiamazzano insieme nel cuore di un uomo”; ma in quello schiamazzo si legge chiara l’avversione cattolico-stoica dell’autore per le passioni di cui il personaggio, pur così amato, è schiavo».
Insomma, la stessa disposizione di spirito anima in Primo Levi l’abito mentale scientifico, la misura dello scrittore e del moralista. Un capitolo, Ex chimico, è dedicato al passaggio dalla sua prima professione a quella di scrittore ed enumera le lezioni valide per entrambe. «L’abitudine a penetrare la materia, a volerne sapere la composizione e la struttura, a prevederne le proprietà e il comportamento, conduce ad un insight, ad un abito mentale di concretezza e di concisione, al desiderio costante di non fermarsi alla superficie delle cose. La chimica è l’arte di separare, pesare e distinguere: sono tre esercizi utili anche a chi si accinge a descrivere fatti o a dare corpo alla propria fantasia».

Italo Calvino

2 commenti:

  1. Italo Calvino e Primo Levi: due giganti, accomunati - mi pare - da un uso asciutto, preciso, necessario della parola: "arte di separare, pesare, distinguere". Grazie e buon fine settimana.

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  2. @Rossana: due giganti di cui - lo confesso - sono da sempre innamorata! Buona domenica e saluti cordiali.

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