giovedì 30 gennaio 2020

A cena con pizza, invidia e filosofia

         Le prime cenette filosofiche del 2020 (se volete sapere di che si tratta leggete qui e qui) hanno avuto come tema portante le riflessioni suscitate dalla lettura dell’intrigante saggio a 4 mani: I come invidia, frutto della collaborazione tra lo psicoterapeuta Giovanni Salonia e le docenti Valentina Chinnici, Dada Iacono e Ghery Maltese.

Di seguito, solo  un ... assaggino delle ricche e articolate riflessioni dei 'cenacolanti':

Ecco cosa scrive Augusto Cavadi  qui, nel suo blog.

E poi le interessanti considerazioni di Armando Caccamo,  che ha sottolineato il valore positivo di quella che Giovanni Salonia definisce ‘invidia sana’ e Jung addirittura ‘sano desiderio”:
"Perché paradossalmente l’unico “vizio“ che non dà piacere: l’invidia (intesa come desiderio di avere qualcosa di materiale o di immateriale che qualcun altro ha) è stata uno dei motori della storia dell’uomo? Il rifiuto di accettare le disuguaglianze fra popoli e/o individui ha contribuito alle conquiste umane e sociali di ogni tempo. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio e può accadere che questo moto dell’anima, anziché spronare l’uomo a migliorarsi, l’ha indotto a cercare di sminuire e avversare chi è migliore. Questo succede quando l’insicurezza, l’incapacità di valutare se stessi trasforma la differenza in ingiustizia (se non a me perché a te?) 
Il risultato? Che si vive male e si fa male agli altri! "

Qui appunto il pensiero di Jung sul desiderio, cosa ben diversa dall’invidia: 
«Non è poco confessare a se stessi il proprio vivo desiderio. Molti hanno bisogno di un particolare sforzo d’onestà. Troppi non vogliono sapere a che cosa anelano, perché ciò pare loro impossibile o troppo doloroso. Il desiderio è però la via della vita. Se non ammetti di fronte a te stesso il tuo desiderio, allora non seguirai te stesso ma strade estranee che altri hanno tracciato per te. Così non vivi la tua vita, ma una vita estranea.[...] solo un’imitazione scimmiesca.» 
C.G. Jung, Libro Rosso, p.250. 

Qui la mia recensione del testo, che riprendo:

Il saggio i come invidia (Cittadella Editrice, Assisi, 2015, € 11,00), frutto della collaborazione tra lo psicoterapeuta Giovanni Salonia e le docenti Valentina Chinnici, Dada Iacono e Ghery Maltese, è una sinfonia di ‘note’ e riflessioni feconde con le quali, in felice sinergia - ciascuno/a secondo il proprio ‘vertice’ teorico - l’autore e le co-autrici scrutano il più sterile e nocivo dei sette vizi capitali: la prof. Chinnici sintetizza egregiamente la concezione dell’invidia, “virus tossico” che infetta anima e corpo, presso il mondo greco e latino; il prof. Salonia fornisce un’esauriente disamina di quest’emozione infelice spaziando, da par suo, dall’ambito psicologico al versante etico-religioso a quello sociologico-politico; le docenti Iacono e Maltese offrono una suggestiva analisi dell’invidia nel vissuto dei bambini e nelle fiabe. Nell’affollata presentazione del 9 settembre 2015, a Palermo presso la libreria “Modus Vivendi”, il moderatore prof. Muraglia ha sottolineato che le cento pagine del libretto possiedono una grande efficacia formativa  e “un’alta densità speculativa”: in effetti, la formula vincente di questo saggio è forse la capacità degli autori di analizzare la passione triste per eccellenza “battendo” con grande perizia i più svariati sentieri della mente e del cuore. Così, la sua meditata lettura può avere persino un benefico, terapeutico effetto collaterale per il lettore: farlo uscire dal cerchio nefasto degli invidiosi!
Ma che cosa è davvero l’invidia? Nella prefazione, il prof. Sichera ci ricorda che “Quando si parla dell’invidia (…) ci si misura con una passione radicale, un evento dello spirito che affonda le proprie radici nell’humus delle origini, nella consistenza mitica del nostro esserci. (…) Viene alla luce quella deviazione del fluire del godimento e dell’incontro che avvelena le sorgenti del cuore.  (…) Come se l’in-videre fosse impresso nella carne e nel cuore degli uomini, alla stregua di uno stigma indelebile, di una passione “genetica”. Le caratteristiche dell’invidia, sentimento tanto radicato e pervasivo quanto occulto e negato, sono poi magistralmente delineate da Giovanni Salonia: l’invidia è un ‘vizio senza piacere’, che fa star male senza alcun vantaggio, come ha ben intuito Nietzsche, è una sorta di “cupio dissolvi”, un desiderio fuori bersaglio che percorre strade sbagliate, un tradimento della finalità ultima del desiderio, che è invece quello di essere felici: “la verità racchiusa nell’invidia è la ricerca della felicità e dei suoi dintorni”, ricorda Salonia. Che poi afferma: “l’invidia è un modo sbagliato di affrontare due elementi costitutivi della condizione umana: l’essere limitati e l’essere in relazione” e nasce “da un vedere che non contempla, non accoglie, non incontra l’altro”.
   L’autore ripercorre i fondamenti mitico-religiosi di quest’emozione, considerata peccato di origine alla base dell’infelicità umana; peccato che si è manifestato prima nell’ostilità dello sguardo dell’angelo/diavolo ribelle e poi in quello dei nostri progenitori, sguardo che si è incupito nella vana ricerca dei doni non ricevuti anziché illuminarsi per la gratitudine di quelli presenti. Citando poi Marx, Rousseau e Amartya Sen, Salonia traccia alcune linee di demarcazione tra l’invidia e il legittimo desiderio di giustizia, suggerendo che la strada da seguire non è quella di rincorrere l’illusione di una società di eguali, ma quella di ricercare una società meno ingiusta che permetta ad ognuno la sua crescita evolutiva. Se non accogliamo l’analisi pessimistica di Freud e Melanie Klein, che ritenevano l’invidia ferita inguaribile, scopriamo allora la perla di speranza che ci consegna il libretto: tutti possiamo guarire dall’invidia,  purchè rientriamo in contatto con noi stessi: “questa fedeltà a noi stessi … ci consente di ritirare le nostre proiezioni sull’altro” e di operare una sana centratura su di noi, nonostante i nostri limiti.
 Perché  “se il limite è connaturato alla creaturalità … la creatura si realizza accettandolo”; “la sola strada che placa il cuore e dà pienezza è la soddisfazione nel trafficare i talenti, pochi o molti che se ne abbiano”.      
Dunque, come scrivono a chiusura del libro Dada Iacono e Gheri Maltese: “seguendo la sapienza delle fiabe, l’unica strada possibile è quella del ritorno a se stessi, dell’avere cura di ciò che si è, desiderando il proprio desiderio e non più quello altrui, lavorando sodo come Cenerentola o la guardiana per riappropriarsene, consapevoli di essere piccoli ma irripetibili, nonostante le proprie ferite o i propri limiti. (…) La fedeltà a se stessi … può diventare il più efficace antidoto all’invidia trasformando lo sguardo maligno in uno sguardo libero e aperto all’incontro.” Perché, come ha concluso nella presentazione il prof. Salonia,  in realtà “a farci soffrire, è la pienezza della nostra anima che non abbiamo ancora raggiunto”.   


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