"Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che vi è una sola umanità composta di persone tutte differenti le une dalle altre e tutte eguali in diritti.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che sfera personale e sfera politica non sono separate da un abisso: sempre siamo esseri umani.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza del partire da sè.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza dell'incontro con l'altro.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che è la nascita, l'esperienza e la categoria che fonda l'umana convivenza, l'umano sapere.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che la pluralità, e quindi la relazione, è la modalità di esistenza propria dell'umanità.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che i corpi contano, che noi siamo i nostri corpi.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che ogni forma di autoritarismo, ogni forma di militarismo, ogni forma di dogmatismo reca già la negazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che la prima radice dell'organizzazione sociale e della trama relazionale violenta è nel maschilismo e nel patriarcato.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che solo la nonviolenza contrasta la violenza, che solo il bene vince il male, che solo l'amore si oppone alla morte, che solo l'ascolto consente la parola.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che compito comune è generare e proteggere la vita, prendersi cura delle persone e del mondo per amore delle persone e del mondo.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che compito comune è opporsi ad ogni oppressione, ad ogni sfruttamento, ad ogni ingiustizia, ad ogni umiliazione, ad ogni denegazione di umanità, ad ogni devastazione della biosfera.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che solo l'arte della compassione fonda la lotta di liberazione.
Il femminismo che è il massimo inveramento storico della nonviolenza.
Il femminismo che è la corrente calda della nonviolenza.
Il femminismo che è il cuore pulsante del movimento di autocoscienza e di liberazione dell'umanità.
E diciamo femminismo e sappiamo che dovremmo dire femminismi, che dovremmo dire pensiero delle donne e movimenti delle donne.
Ma diciamo femminismo e pensiamo a una tradizione che lega infinite donne che hanno praticato l'etica della responsabilità e della liberazione, da Saffo a Vandana Shiva, da Simone Weil a Virginia Woolf, da Edith Stein a Milena Jesenska, da Etty Hillesum a Ginetta Sagan, da Rosa Luxemburg ad Hannah Arendt, da Germaine Tillion ad Anna Politkovskaja, da Simone de Beauvoir a Franca Ongaro Basaglia, da Olympe de Gouges a Luce Fabbri.
Dal femminismo molti doni tutte e tutti abbiamo ricevuto.
In questo otto marzo di ascolto, di memoria, di lotta, diciamo anche la nostra gratitudine.
(Da Peppe Sini, giornale telematico La nonviolenza è in cammino)
Tra i tantissimi omaggi poetici di Peppe a donne che hanno onorato l’umanità, eccone alcuni:
a Etty Hillesum, o la Forza della verità
Scegliere il bene, pensare col cuore,
condividere il dolore, avere cura
degli afflitti, totalmente ripudiare
la violenza, rifiutare
la salvezza per se' che affoga gli altri.
Fare la scelta della compassione
in nulla cedere al male
salvare tutti dinanzi all'orrore
salvare almeno l'umanita' futura.
Virginia Woolf
La coscienza di Virginia Woolf
Alla corsa per l'accaparramento
sottrarsi, e preferire
altro sentiero, la propria autonomia
l'uso corretto delle tre ghinee
l'analisi serrata che connette
e smaschera per sempre
il maschilismo, il fascismo, la guerra.
E la guerra, il fascismo, il maschilismo
combattere con voce e forme proprie
trovando in sè la stanza denegata.
E' questo che chiamiamo nonviolenza.
Bertha von Suttner, o della liberazione
Che cosa resta di lei?
Ma la vera domanda è: perché
a milioni, a miliardi si danno gli umani la morte?
E la vera risposta' ancora quella
che diede allora la saggia e gentile:
giù le armi.
E' il disarmo la scelta necessaria
per aprire la necessaria via.
Anna Politkovskaja
Ci sono le parole
e ci sono le pallottole.
E solo le parole salvano le vite.
Ci sono i corpi palpitanti e fragili
e ci sono le pallottole.
E dopo le pallottole i corpi diventano sasso.
C'è la verità viva
e ci sono le pallottole
che tutto riducono a menzogna, strazio, nulla.
C'è l'umanità fatta di persone
e ci sono le guerre
che l'umanità estinguono.
Scegliere le parole, i corpi, le persone,
scegliere l'umanità. Salvare le vite. Dire
ancora e sempre la verità. Contrastare
tutte le uccisioni.
É questo che chiamiamo nonviolenza.
(e la voce potente di Fiorella Mannoia, evocata dalla carissima amica Maria Di Naro)
Che senso ha essere volontari oggi? E ancora: la punizione del carcere è la migliore soluzione possibile per i colpevoli di un reato?
Nell'ambito delle iniziative per Palermo capitale del volontariato 2025 e per ricordare i 25 anni dell'AS.VO.PE. (Associazione di Volontariato Penitenziario), ne discuteremo insieme venerdì 7 marzo, a Palermo, alle ore 16.30, al Cre. Zi. Plus (Cantieri Culturali della Zisa), con un intermezzo musicale a cura del maestro violinista Giorgio Gagliano e un aperitivo offerto dall'ASVOPE.
Ecco il programma dettagliato dell'incontro:
VENERDI’ 7 MARZO 2025, presso i locali del CRE.ZI.PLUS, Cantieri Culturali della Zisa, via Gili, 4 Palermo, nell’ambito delle iniziative per PALERMO CAPITALE DEL VOLONTARIATO, l’ASVOPE ODV (Associazione di Volontariato Penitenziario) INVITA all’inizio delle CELEBRAZIONI di 25 ANNI di VOLONTARIATO.
Il programma, che si svolgerà nell’intento di lanciare un PONTE FRA IL CARCERE E LA CITTA’, prevede due momenti, distinti, ma collegati:
1) VOLONTARI OGGI: BELLEZZA E CRITICITA’ DI UN IMPEGNO CIVICO;
2) LA DETENZIONE IN CARCERE: LA MIGLIORE SOLUZIONE POSSIBILE?
Ore 16.30-18,00
Saluto del Presidente dell’ASVOPE, dott. BRUNO MARIA DISTEFANO
MARIA D’ASARO dialoga con AUGUSTO CAVADI a partire dal volumetto di quest’ultimo “Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia” (Il Pozzo di Giacobbe, Trapani). Introduce l’incontro e modera gli interventi del pubblico il coordinatore dell’area comunicazione del CESVOP, NUNZIO BRUNO.
Ore 18.00-18.30 APERITIVO offerto dall’ASVOPE Interventi musicali del Maestro Violinista GIORGIO GAGLIANO
Ore 18.30-20.00: SANTI CONSOLO e FRANCESCO FORACI dialogano con GIOVANNI FIANDACA a partire dal volumetto di quest’ultimo “Punizione” (Il Mulino, Bologna)
Introduce l’incontro e modera gli interventi del pubblico il giornalista ROBERTO GRECO
Sono previsti interventi programmati da parte di PINO APPRENDI e di ENRICO LA LOGGIA
Palermo – È sua la frase “Fuori la guerra dalla Storia”, utilizzata da donne di varie associazioni palermitane che, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, da tre anni manifestano ogni 24 del mese contro tutte le guerre.
Scrittrice, amica di Alfred Nobel, sostenitrice del disarmo totale e dell’istituzione di una corte d'arbitrato internazionale per risolvere i conflitti internazionali, chi era Bertha von Suttner che, nel 1905, fu la prima di diciannove donne che da allora hanno ricevuto il premio Nobel per la Pace? (continua ne il Punto Quotidiano)
A cento anni dalla nascita e a 25 dalla morte, Giuliana Saladino (1925-1999) – giornalista, scrittrice, impegnata nella società e in politica, prima nel ‘grande e glorioso’ partito comunista, poi da indipendente – ha ancora tante cose da dirci.
Ad esempio sull’America.
Qui stralci del suo articolo titolato Disperazione per una guerra evitabile, scritto nel febbraio 1991, in occasione della cosiddetta prima guerra del Golfo, per la rivista palermitana Segno.
“America. Una parola carica di segno positivo, specie in Sicilia, dove «Trovasti l’America?» vuol dire trovasti ricchezza, abbondanza, benessere. La mia generazione, di chi aveva vent’anni nel ’45, ama l’America. E non solo per i ricordi ‘fisici’ e profondi come il profumo delle prime Camel, il primo pane bianco, le prime notti senza bombardamenti, ma per quell’orizzonte che si squarciò e di cui non sapevamo niente, o ben poco, libertà di associazione, di stampa, di parola, Faulkner, il cinema, il jazz, insomma tutti i crismi di un grande amore che ha resistito al tempo e alle delusioni. Hanno massacrato gli indiani, sì, ma hanno scritto ben prima della rivoluzione francese la Dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776; hanno il Klu Klux Klan, la sedia elettrica, il Bornx-Zen, la corruzione e l’arroganza, certo, ma rimane pur sempre un grande paese libero, sede di tutto il male e di tutto il bene dei tempi moderni. (…)
Ma ora stiamo diventando tutti antiamericani. Nessuno, se onesto, può credere che davvero il piano Iraq-Gorbaciov fosse da buttare all’aria in fretta, per passare allo scontro. Personalmente, la famosa notte del 16 gennaio mi rifiutavo di credere che l’America avrebbe attaccato per prima. (…)
A chi gli ha chiesto la scorsa settimana per che cosa dovrebbero combattere gli americani, il segretario di stato ha parlato poco di principi. Non ha parlato di alleati. Ha parlato invece di vitali questioni economiche. “Se volete che riassuma in una parola, ha detto Baker, sono affari (it’s jobs). (…)
La notte dal 16 al 17 gennaio ha cambiato molte cose intorno a noi e dentro di noi. (…) Dentro: una tremante confusa disperazione, un non sapere che fare, che dire, che credere, un assurdo rimpianto dell’89, di un mondo idilliaco mai esistito, tutto inventato da noi, milioni di cretini, che vedevamo cadere il muro di Berlino senza uno sparo, senza un graffio, non siamo in piazza Tien An Men, siamo in Europa, e l’Europa la lezione della storia l’ha appresa e digerita. Ma dove? (…) Ci baloccavamo col mondo nuovo. Quella notte di gennaio sembra lontanissima. (…) Baghdad, il cui solo nome evoca voluttà orientali e ghirigori e mille e una notte era tutta verde marcio, ripresa agli infrarossi, tutta luci vaganti di contraerea, tutta sbuffi di fumo di esplosioni. Non credevamo ai nostri occhi, e nemmeno alle nostre orecchie che registravano boati e tonfi su un brontolio di tuono che non cessava e che non è ancora cessato fino ad oggi 24 febbraio mentre scriviamo…”
Palermo – “Eco-giustizia subito: in nome del popolo inquinato”: ecco lo slogan della campagna nazionale promossa da sei associazioni, laiche e cattoliche (ACLI, AGESCI, ARCI, Azione Cattolica Italiana, Legambiente e Libera) che il 12 febbraio scorso hanno organizzato un flash mob di protesta davanti al depuratore sotto sequestro dell’I.A.S. (Industria Acqua Siracusana) a Priolo Gargallo, comune distante pochi Km da Siracusa.
Dopo Casale Monferrato, Taranto e Marghera, la campagna nazionale promossa dalle sei associazioni ha scelto come quarta tappa Priolo, per affermare il principio di giustizia ambientale nei principali siti d’interesse nazionale (S.I.N.) da bonificare. Questo l’inizio della sentenza simbolica letta da un finto giudice, l’attore siracusano Giancarlo Latina, durante l’iniziativa di protesta: “In nome del popolo inquinato la giustizia di Priolo, Augusta, Melilli e Siracusa riunita oggi emette la seguente sentenza. Visto il disastro ambientale e il danno subito dalle persone, dall’ambiente e dal futuro delle nuove generazioni, e rilevato che chi inquina non può continuare a farla franca, sentenzia che gli inquinatori sono dichiarati colpevoli… ed il popolo inquinato richiede giustizia immediata, riparazione dei danni ed azioni concrete per fare finire immediatamente l’inquinamento...” Il S.I.N di Priolo si (continua su il Punto Quotidiano)
Come ricorda il professore Andrea Cozzo nel testo “La logica della guerra nella Grecia antica”, già nel 373 a.C. due ateniesi illuminati, Callia e Callistrato, affermarono che bisogna iniziare le guerre con la maggiore lentezza possibile e, quando già ci siano, finirle il più rapidamente possibile e che «certamente, tutti sappiamo che sempre sono scoppiate guerre e sempre sono finite, e che noi, se non ora, poi desidereremo la pace. Perché dunque bisogna aspettare il momento in cui rinunceremo (alla guerra) per la moltitudine dei mali, piuttosto che fare la pace al più presto, prima che avvenga l’irrimediabile?».
A tre anni dalla guerra in Ucraina, oggi dalle 17 alle 19, a Palermo, a piazza Ruggero Settimo (al Politeama) le donne di varie associazioni palermitane manifestano ancora per dire no a tutte le guerre, gridando con Bertha von Suttner, premio Nobel per la Pace nel 1905: “Fuori la guerra dalla Storia”
Ciò che sta avvenendo è la spartizione territoriale dell’Ucraina tra Russia e Stati Uniti, dopo tre anni di sanguinoso conflitto, un milione di morti, danni materiali ed economici incalcolabili, sofferenze ed impoverimento generale. La Russia otterrà l’espansione regionale in Crimea e Donbass, gli Stati Uniti metteranno le mani sulle “terre rare”, mentre l’Europa sta a guardare e l’Ucraina ne esce commissariata.
Questo è il risultato della scelta militare fatta, che ha trasformato l’intera Europa in una regione ad economia di guerra, a traino della Nato. La retorica del “prima la Vittoria, poi la Pace” si è rivelata per quello che era davvero “prima la Guerra, poi la Sconfitta”. E a perderci, prima di tutti, è il popolo ucraino, che vede svanire la propria sovranità, dopo aver sacrificato un’intera generazione di giovani sull’altare del nazionalismo.
L’Europa a 27 velocità, che ha accettato il ruolo di comparsa nell’Alleanza atlantica, è indebolita e afona. Per “salvare il salvabile” si vorrebbe ancora una volta puntare tutto sulla politica di riarmo, la stessa che ha distrutto il sistema sociale della sanità e dell’istruzione nei nostri paesi. Errore fatale. L’Europa, per affrontare la questione Ucraina, ha bisogno di una politica comune di sicurezza, pace e cooperazione, non di una politica di potenza e difesa militare, e deve avere una propria visione democratica alternativa a quella oligarchica di Stati Uniti e autoritaria della Federazione Russa.
Cinque possibili passi necessari di strategia nonviolenta, per prevenire un’ulteriore escalation e per costruire una vera pace: (continua qui)
“Cambia governo, cambia maggioranza, cambia ministro… (…) La cultura, il linguaggio, le idee del tizio di turno sono più o meno sempre le stesse. Molto inglese, molto aziendalese ormai neppure percepito da chi lo pronuncia. Ogni ministro prolunga le idee del precedente o attiva piccole bombe ad orologeria innescate magari due ministeri prima (…). Qualcuno è più solerte, qualcuno meno, qualcuno conosce meglio i meandri della scuola, qualcun altro peggio, ma il risultato non cambia.
Per tutti loro, agenzie di controllo-monitoraggio-valutazione come l’Anvur e l’Invalsi e pensatoi di area confindustriale costituiscono la linea di continuità, il filo tessuto tra un ministero e l’altro.
E anche se non ci fossero, le minime differenze di visione del mondo tra un ministro e l’altro (per avere corpose differenze, a queste visioni del mondo bisognerebbe averci lavorato) assicurano dagli scossoni.
La scuola segue la società e sembra persino dispiaciuta di non poterla precedere. A nessuno tra chi è al potere viene in mente di poter concepire la scuola come ciò che dà equilibrio alla società fornendo ad essa proprio ciò che non ha, qualcosa da mettere sull’altro piatto della bilancia.
Tutti hanno paura di essere seminati da un futuro che arriva sempre più veloce, ma che sempre più somiglia allo stesso presente di prima velocizzato e reso isterico.
La scuola dovrebbe essere il correttivo della società, il suo contrappeso. Se gli studenti sono ormai dipendenti dai social e dallo smartphone, se sono - per dirla con Roberto Casati – ‘digitalmente colonizzati’, allora la scuola dovrebbe essere il luogo per fare altro, per posare gli smartphone e rivederli cinque ore dopo, per allentare la dipendenza e permettere altre esperienze di rapporto con il mondo.
Se la società è ossessionata dalla performance e dalla immediata utilizzabilità, allora la scuola dovrebbe rappresentare ciò che allenta questo guinzaglio e lascia spazio per ciò che è disinteressato. Ma questo coraggio è sempre stato di pochi e quei pochi molto di rado diventano ministri.
Così la scuola spesso potenzia e accelera i processi di deformazione e degenerazione dell’età contemporanea".
Davide Miccione La congiura degli ignoranti Valore italiano editore, Roma, 2024 pp. 82,83
Sulla scuola considerazioni sostanzialmente simili espresse dalla professoressa Rossana Rolando:
"Due logiche vanno oggi ad inquinare la possibilità di un insegnamento significativo, veramente teso alla preparazione degli studenti e ad un’autentica educazione per la vita.
Da una parte, la mentalità economicistica che si è imposta, impregnando di sé il linguaggio stesso dell’Istituzione scolastica. Ecco solo alcuni esempi": (continua qui)
Palermo – Il film “L’abbaglio”, uscito nelle sale il 16 gennaio scorso con la regia di Roberto Andò e con la ormai collaudata presenza di Toni Servillo, Ficarra e Picone, narra alcuni episodi della fase iniziale dell’impresa dei Mille: dalla partenza a Quarto, nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, alla conquista di Palermo, il 30 maggio successivo.
Un po’ come nel film precedente La stranezza, ma, ad avviso di chi scrive, con maggiore scioltezza e sapienza narrativa, ne L'abbaglio il regista alterna in modo assai felice due diversi registri: la serietà della ricostruzione storica, con Servillo che interpreta magistralmente un personaggio realmente esistito, il colonnello siciliano Vincenzo Giordano Orsini - prima ufficiale borbonico, poi a fianco di Garibaldi nell’impresa dei Mille - e i tratti godibili della commedia, con le vicende rocambolesche, e a tratti esilaranti, dei due personaggi di fantasia Domenico Tricò (Salvatore Ficarra) e Rosario Spitale (Valentino Picone), due siciliani trapiantati nel nord del continente, che si improvvisano aspiranti patrioti garibaldini perché vogliono, per motivi diversi, tornare nella loro isola.
Accolto dal favore del pubblico, L’abbaglio è un film apprezzabile, con una buona sceneggiatura e assai ben interpretato.
Per la scrivente, il film ha avuto un riverbero particolare: innanzitutto perché è nata in uno dei paesini interni menzionati nel film, paesino teatro di una delle vicende storiche narrate; inoltre, perché da siciliana doc conosce assai bene tutti i luoghi dell’epopea garibaldina, e rivederli nella pellicola le ha procurato una certa emozione. Poi perché da suo padre, come lei appassionato di Storia, aveva sentito il racconto di alcuni particolari sui ‘picciotti garibaldini’, particolari di cui il nonno del papà era stato testimone diretto.
Ancora, la spettatrice sicula si è ‘scialata’ (è stata assai contenta) di capire benissimo, senza l’ausilio dei sottotitoli, i coloriti dialoghi in dialetto tra Rosario e Domenico. Anche perché, come ha sottolineato la cara amica che con lei ha visto il film, Rosario/Ficarra e Domenico/Picone esprimono alla perfezione la capacità di comunicare propria della gente del Sud: immediato, ricco di sguardi, di gesti, di mimica… il linguaggio siculo non verbale è capace di superare ogni barriera.
Dal punto di vista di ex docente di Storia, chi scrive ha poi ripensato con disincanto a quel momento della storia siciliana e italiana: sa bene quanto fosse difficile nell’isola intorno al 1860 la condizione dei contadini e, più in generale, della massa dei meno abbienti… E di come questi ultimi avessero accolto Garibaldi e i Mille non tanto come liberatori dai Borboni per fare l’Italia unita, ma soprattutto come chi potesse liberarli da ingiustizie e miseria. Purtroppo, sebbene il 2 giugno 1860, con i suoi poteri speciali di dittatore, Garibaldi avesse emesso un decreto nel quale prometteva aiuti ai poveri e la tanto attesa divisione delle terre, la sospirata riforma agraria poi non ci fu.
Così, dopo l’annessione della Sicilia e del Meridione al Regno d’Italia, i contadini rimasero poveri come prima. Già nell’agosto del 1860 la controversa repressione di Bixio a Bronte, con processi sommari contro i presunti responsabili di alcuni fatti di sangue, aveva svelato la fretta e le ambiguità dei liberatori. E dopo il 1861 vi furono rivolte contro il nuovo governo e varie proteste contro la leva obbligatoria, che durava tra i quattro e i cinque anni e sottraeva braccia di lavoro ai campi. Nacque e si alimentò in tutta l’Italia meridionale il fenomeno del brigantaggio.
Il film ovviamente non si occupa di tali problemi, visto che il suo orizzonte narrativo è appunto compreso tra Quarto e la conquista di Palermo, nel maggio 1860.
Ma che in qualche modo l’impresa dei Mille sia stato un abbaglio, questa amara conclusione viene messa infine in bocca allo stesso colonnello Orsini, venti anni dopo l’impresa, a conclusione del film.
Tra i pensieri sparsi di chi scrive, c’è stato dunque anche il riemergere della frase assai nota “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, pronunciata da Tancredi, nipote del principe Salina, nel romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Forse non è stata sufficiente la pur eroica e generosa impresa di un manipolo di patrioti idealisti delle regioni del nord Italia, accompagnati anche da valorosi stranieri (tra essi l’ufficiale ungherese Lajos Tüköry, italianizzato, Luigi Tukory, morto a Palermo il 6 giugno 1860) e da picciotti siciliani con i più disparati interessi; non è bastato un cambio di re (da Borbone a Sabaudo) perché la mentalità dei siciliani, la loro situazione culturale, sociale ed economica cambiasse veramente.
Scrive in un giornale palermitano il giornalista Francesco Palazzo: “Se un film ti serve a pensare criticamente alla tua storia, è un ottimo prodotto culturale anche se dissenti. L'unità d'Italia non è stata un abbaglio. Ma l'apertura alla modernità, alla democrazia e alla legalità. Così come, aggiungo, non è un abbaglio l'Unione europea. Bisogna vedere cosa fai dentro la Storia” (…).
Comunque, la suggestiva potenza narrativa de L’abbaglio rimane intatta.
Grazie allora ad Andò, a Toni Servillo e soprattutto a Salvo Ficarra e a Valentino Picone, che hanno rispolverato un’importante e impegnativa pagina di Storia siciliana e italiana, facendoci riflettere. Ma anche, per fortuna, sorridere e divertire.
"Nelle favole, il binomio della donna giovane e di quella anziana assume la funzione di far sì che si scambino a vicenda le benedizioni tanto necessarie per andare avanti, per fare bene, per essere audaci e coraggiose e condurre quel tipo di vita che arricchisce l’anima.
Perché le caratteristiche della donna saggia potrebbero essere tanto importanti per la giovane, e la saggezza e l’energia della giovane tanto importanti per la donna anziana? Insieme simboleggiano due aspetti essenziali che ritroviamo nella psiche di ogni donna; poiché l’anima di una donna è vecchia di là dal tempo, e il suo spirito è sempre giovane… questi due aspetti compongono il concetto di «essere giovani da vecchie e vecchie da giovani».
Vi è mai capitato, a prescindere dal numero di anni vissuti, di sentirvi come se aveste ancora sedici anni? È quello il vostro spirito. Lo spirito è sempre giovane e, nonostante abbia acquisito saggezza ed esperienza, trasmette l’esuberanza, la curiosità e la creatività sfrenata della gioventù.
Avete mai provato la sensazione di aver detto o fatto qualcosa di molto più saggio e intelligente di quanto vi sembri facciate di solito? È una delle prove che dimostra l’esistenza della vostra anima, l’antica forza dentro la psiche che «sa» e agisce di conseguenza.
In una psiche equilibrata, entrambe queste forze, lo spirito giovane e la vecchia anima saggia, sono strette in un abbraccio in cui si arricchiscono a vicenda. La psiche è concepita per funzionare al meglio, per sfidare draghi, per fuggire dalle torri, affrontare di petto il mostro, rompere incantesimi, ritrovare lo splendore, ricordare la propria individualità… quando è guidata da questo dinamico binomio".
Clarissa Pinkola Estés La danza delle grandi madri Frassinelli pp. XX-XXI
ho saputo che te ne sei andata domenica da un messaggio che, dal tuo telefono, mi ha inviato tua figlia Olimpia.
Ti ho conosciuto anni fa alle cenette filosofiche, organizzate dall'amico Augusto Cavadi, alle quali hai saltuariamente partecipato.
Quando sono venuta a portarti il libro con la lettera postuma a tua madre Giuliana ho potuto percepire quanto amassi, stimassi, quanto ti fossero immensamente cari i tuoi figli… Mi hai mostrato le loro foto, quelle dei nipoti, mi hai parlato delle loro vite: il tuo sguardo diventava particolarmente luminoso quando parlavi di loro. Olimpia ed Emanuele, due figli meravigliosi che ho conosciuto solo ieri sera, quando sono salita di nuovo a casa tua.
Di Emanuele, con un affetto immenso che traspariva tra le righe, parlava tua madre in Romanzo civile, dove scriveva che lei, con lui piccolino, leggevano insieme di geografia e che qualche volta lo portava a cavalcare i grandi leoni di marmo griglio della piazza Pretoria e che Rocchi lo chiamava il piccolo Felipe, alludendo alla famiglia di Carlo IV esposta al Prado, con i capelli rossi e gli occhi come laghetti celesti.
Quando sono venuta a trovarti, ormai più di un anno fa, abbiamo parlato poco di mamma: tanto di Marta, che assieme alla zia Mariapia, mi aveva accolta per prima in via Maqueda, dopo che le avevo inviato la bozza della lettera alla mamma. Allora mi hai dato un librettino, curato dall’Istituto Gramsci, la breve ‘storia di Marta’, nella cui presentazione scrivevi: “Il racconto è sobrio, essenziale e limpido, ma in esso traspare tutto l’impegno, tutta la serietà, la forza, l’intelligenza e la passione di cui Marta è stata capace”.
E poi, durante la chiacchierata, abbiamo riscoperto il nostro amore per i cantautori italiani: ci siamo scoperte perdutamente innamorate di Franco Battiato.
È stato ricordato ieri che amavi stare a tavola. Non tanto per il cibo, anche se eri brava a cucinare, ma per il tuo desiderio infinito di discutere di tutto. Sempre tua madre scriveva Una coppia di giovani tedeschi, naufraghi del ’68, visse esperienze indimenticabili, perché Giuditta gli serviva su un piatto di terracotta melenzane in tutte le salse gli usi e i travestimenti; e su un piatto d’argento i «grandi temi » da dibattere: ritrovarono la favella perduta in patria, l’abitudine al discorso e andavano avanti sino alle tre o alle quattro del mattino. Partirono in lacrime.
Ieri tuo marito ha evidenziato la centralità degli affetti, nella tua vita: “Giuditta era una pietra fondante nella nostra architettura familiare… certo, troveremo un nuovo equilibrio senza di lei, ma la mancanza della sua pietra angolare si sentirà”. Ha letto certe tue poesie tenere e ingenue, con Olimpia e Emanuele ha ricordato anche il tuo carattere forte, a volte anche irascibile, la tua grande e generosa oblatività.
Mariapia ha condiviso il momento di gioia che ha vissuto quando sei nata, mercoledì 2 marzo, alla fine degli anni ’40: “A Palermo nevicava, evento davvero raro per la città… E io quel giorno sono stata particolarmente felice, stavo andando a trovare una mia cara amica ed ecco nasceva una nicuzza, morbida e tenera, la figlia di Giuliana. Una giornata che ricorderò sempre nella mia vita.”
Ieri ha avuto per te parole commosse di grande stimai persino l'anziano il professore a cui hai chiesto la tesi, che ha ricordato la tua profonda intelligenza. E come brillassero i tuoi occhi quando gli hai confidato che avevi conosciuto Salvatore Nicosia…
Cara Giuditta: tu, Marta, papà e mamma siete stati un pezzo importante della nostra Palermo. Sarà impossibile sostituire le vostre pietre fondanti, per utilizzare la felice metafora di tuo marito. La vostra splendida famiglia ha rappresentato l’intelligenza, la cultura, l’impegno civile lucido e onesto di cui la nostra città ha tanto bisogno. Continuerete a vivere, con riconoscenza, nel nostro cuore.
Palermo – “Le emissioni provocate dal digitale, se fossero quelle di uno stato, nella classifica mondiale rappresenterebbero addirittura il quarto stato al mondo, dopo USA, India e Cina… Provocano quindi un inquinamento ambientale che non è affatto trascurabile”.
Ad affermarlo è la professoressa Giovanna Sissa, che insegna Sostenibilità ambientale al Dottorato di ricerca del corso di studio Scienze e Tecnologie per l’Ingegneria Elettronica e delle Telecomunicazioni (STIET), e che ha partecipato a fine ottobre scorso a Rovereto, in Trentino, al festival ‘Informatici senza frontiere’.
Come esplicitato nel titolo del suo ultimo libro Le emissioni segrete. L’impatto ambientale dell’universo digitale (Il Mulino, Bologna, 2024), la docente definisce ‘segrete’ le emissioni causate dal digitale perché generalmente non sono abbastanza note né tenute in considerazione: “Tutte le attività digitali hanno un impatto che nasce dai dispositivi degli utenti finali (computer, smartphone), ma che soprattutto hanno una ricaduta per quanto riguarda le infrastrutture di telecomunicazione, internet e i data center, le infrastrutture di elaborazione dei dati – ha sottolineato la professoressa, intervistata dal giornalista Paolo Scandale per il TG scientifico Leonardo.
L’inquinamento ambientale, infatti, è dato soprattutto (continua su il Punto Quotidiano)
Perché è importante studiare i contenuti? Come interpretare la proposta del Ministro dell'Istruzione di far studiare la Bibbia a scuola?
Ecco cosa ne pensano rispettivamente Davide Miccione e Augusto Cavadi:
"Io credo nei contenuti non nelle competenze, nelle tecniche, nelle didattiche. Credo in una scuola dei contenuti, cioè della cultura, del pensiero, dell’affinamento del gusto. Credo che la competenza che si origina dal sapere Dante sia conoscere Dante. Credo che la competenza che si origina dal sapere Hegel sia conoscere Hegel. E se non lo sai applicare o non lo usi nella costruzione della tua cultura non è perché dovevi svilupparne le collegate competenze, ma semplicemente perché non lo hai capito, lo hai fatto male, ne hai fatto poco. Pochi contenuti, contenuti poco capiti, contenuti adulterati.
Credo che le nozioni siano importanti perché organizzano un contesto entro cui accogliere le cose che impari e che capisci. Credo che chi abbia negli anni lavorato solo agli aspetti formali e didattici del sapere sia a forte rischio di miseria concettuale e spirituale e persino morale perché per leggere eticamente il mondo devi conoscere il mondo umano e il tecnocrate ne conosce il solo funzionamento (che non è il mondo umano).
Credo che la scuola sia l’unica occasione di formare uomini decenti e che questo fine sia incommensurabilmente superiore e prioritario rispetto al creare cittadini, elettori, lavoratori, consumatori (l’ordine non è casuale ma con valore discendente). Uomini decenti sono uomini che hanno un linguaggio per capire gli altri e farsi capire. Hanno un mondo che è stratificazione del tempo e non un incubo sincronico. Per questo servono i contenuti"... (continua qui)
Davide Miccione
"Di certo non c’è ancora nulla, ma sono bastate delle anticipazioni per cenni su alcune proposte del ministro dell’istruzione del merito Valditara per scatenare dibattiti e polemiche. Ad esempio sulla proposta di inserire lo studio della Bibbia nei programmi curriculari obbligatori, dunque anche fuori dalle ore facoltative di “religione cattolica” dove è già previsto (anche se quasi mai attuato). La Destra (in Parlamento e nella società) plaude, la Sinistra (politica e sociale) protesta, il Centro (cattolico e non) nicchia. Ma chi si esprime in questi giorni sa di cosa parla?
Il presupposto (condiviso dalla quasi totalità degli interventi) è che studiare la Bibbia accrescerebbe il numero dei credenti praticanti delle varie Chiese cristiane (a cominciare dalla cattolica). Ma se fosse così, come si spiegherebbe che per quattro secoli (dal Concilio di Trento del Cinquecento al Concilio Vaticano II del Novecento) la Chiesa cattolica ha vietato lo studio della Bibbia, al punto da inserirla nell’elenco del “libri proibiti” accanto al marchese De Sade e a Marx ?
La risposta è semplice e se chi mette becco in queste tematiche avesse letto una sola volta la Bibbia la conoscerebbe: la Bibbia è una biblioteca scandalosa. Almeno da due punti di vista.
Come in ogni biblioteca ci sono libri di genere e di valore diversi.
Alcuni sono o noiosi (elencano precetti e divieti su come lavarsi, vestirsi, cibarsi, pregare…che vengono ritenuti ormai impraticabili) o francamente diseducativi (presentano come atti meritori fecondare la schiava al posto della moglie sterile, sacrificare mediante sgozzamento il figlio unico, sterminare sino al più piccolo neonato le popolazioni vinte in guerra…). Quanti studenti si avvicinerebbero alle Chiese cristiane perché attratti dalla concezione di Dio, dell’essere umano, della storia veicolata da queste pagine terribili?
Ma nella Bibbia ci sono anche libri bellissimi, soprattutto nel Secondo Testamento, in cui la religione viene presentata non come militanza obbediente in un’organizzazione burocratica verticistica, bensì come avventura comunitaria condivisa da fratelli e sorelle che s’impegnano pariteticamente per una società più creativa, solidale, compassionevole. Ebbene, anche questi testi sarebbero motivo di scandalo per tanti studenti che constaterebbero la distanza inaccettabile fra il messaggio dei profeti (e di Gesù in particolare) e il catechismo insegnato nelle parrocchie.
Insomma, in considerazione di ciò che"... (continua qui)
se i tuoi assassini (palestinesi dell'area jihādista salafita) non ti avessero rapito e ucciso, la sera del 14 aprile 2011 a Gaza, oggi avresti compiuto 50 anni.
Se la verità processuale corrisponde a quella dei fatti, hai subito una sorte atroce e ingiusta: essere trucidato da una frangia impazzita del popolo per cui ti eri speso con una generosità senza limiti…
Ti vogliamo ricordare in particolare oggi, nel giorno del tuo compleanno mancato.
Caro Vittorio, ci manchi tanto.
Manchi immensamente a tua madre Egidia, a tua sorella Alessandra… al cui affetto sei stato ingiustamente strappato.
Tua madre ha avuto però il coraggio di scrivere queste parole, dopo il tuo assassinio: “Voi, i figli che tanto amiamo, non siete nostri. Vi cresciamo, cerchiamo di educarvi, ma non dobbiamo imprigionarvi, dobbiamo lasciarvi volare con le vostre ali sulle strade che avete scelto, perché ci vorrete ancora più bene.”
E ancora: “Sono contenta di come ha vissuto Vittorio. Forse i profeti oggi non ci sono più, ma qualcuno di loro ogni tanto passa su questa Terra. Profeta non è l’uomo migliore degli altri, ma colui che vede lontano, ci fa aprire gli occhi e indica la via.”
Manchi immensamente al mondo dell'informazione, del giornalismo, privi della tua voce così precisa, limpida, coraggiosa... Manchi al mondo dell'impegno sociale e politico, che oggi appare quasi senza prospettive, senz'anima...
Chissà se, nonostante la tua assenza, ci sono ancora oggi nel mondo i trentasei giusti di cui narra una credenza ebraica, le trentasei persone speciali indispensabili perché il mondo continui ad esistere … “Nessuno sa chi siano e nemmeno loro sanno di esserlo, ma quando il male sembra prevalere escono allo scoperto e caricano i destini del mondo sulle loro spalle. E questo è uno dei motivi per cui Dio non distrugge il mondo.”
Ho tanta paura, oggi, caro Vik… ce la faremo a rimanere umani?
Palermo – Tra piogge torrenziali e grandinate, allagamenti e siccità, nel 2024 sono stati 351 gli eventi meteo estremi che hanno colpito il territorio italiano, quasi sei volte in più rispetto al 2015, quando ne sono stati registrati solo 60. Nel 2023 era andata ancora peggio, con 383 eventi estremi, ma complessivamente negli ultimi dieci anni si evidenzia purtroppo una tendenza alla crescita di tali fenomeni.
A certificare i dati è l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, che fornisce anche notizie più precise riguardo alla tipologia e alla localizzazione dei fenomeni estremi. Tra gli eventi atmosferici negativi più ricorrenti, c’è l’eccesso di precipitazioni o la loro penuria: nello specifico, l’Osservatorio segnala 134 allagamenti per piogge intense, 46 esondazioni fluviali, 30 i danni da grandinate, mentre sono 34 le zone dove si sono verificati gravi danni da siccità prolungata, 62 quelle con danni da forte vento.
Con 198 eventi meteo estremi, il nord Italia è il territorio più colpito; seguito dal Sud, con 92, mentre nel centro della nostra penisola gli eventi atmosferici dannosi sono stati 61.
Il non invidiabile primato di regione più flagellata dal maltempo è dell’Emilia Romagna, con 52 eventi estremi, seguita dalla Lombardia con 49, dalla Sicilia con 43 e dal Veneto con 41.
Se si considera il territorio delle province, le più colpite sono quella di Bologna (17 gli eventi estremi registrati), poi quella di Ravenna con 13 e ancora quelle di Roma, Torino e Palermo rispettivamente con 13,12 e 11 eventi atmosferici dannosi.
A livello urbano, le città più colpite risultano Roma (8 gli eventi estremi registrati), Genova (7), e Milano (6).
“Ogni volta che si interviene dopo un’emergenza – ha dichiarato il 30 dicembre scorso Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, ad Alessia Mari, giornalista del Tg scientifico Leonardo – si spende una cifra che potrebbe essere risparmiata per il 75% se solo si mettessero in campo le opere di prevenzione, ad esempio, il completamento delle vasche di laminazione delle aree di esondazione naturale: ai fiumi va restituito quello spazio che l’essere umano negli ultimi anni ha tolto. Questo potrà permettere delle esondazioni controllate su tutto il territorio nazionale, che in questo modo faranno meno danni e sicuramente faranno perdere meno vite umane”.
La giornalista Alessia Mari ha sottolineato che, tra le urgenze, è prioritario stanziare i fondi per attuare il Piano Nazionale di adattamento climatico, approvare una legge contro il consumo di suolo per arrestare la cementificazione del territorio e per la siccità adottare una strategia idrica anti-spreco, ad esempio riutilizzare le acque reflue in agricoltura.
A tal proposito, Stefano Ciafani ha ribadito che “Serve approvare il Decreto del Presidente della Repubblica sul riutilizzo, per i terreni agricoli, delle acque reflue depurate, per potere garantire agli agricoltori quell’acqua, tra l’altro con contenuto residuale di azoto e fosforo, con una portata costante, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno”.
Al di là del colore delle maggioranze di governo, è evidente che nel nostro Paese un’azione politica lungimirante e di buon senso non può che impegnarsi davvero nella prevenzione, con leggi urgenti e immediate, per evitare che la crisi climatica impatti in modo nefasto sui trasporti, sulle abitazioni, sulla viabilità, su tutte le attività economiche e sulla vita stessa delle persone.
Purtroppo però, perché il contrasto ai cambiamenti climatici sia efficace, è necessaria un’azione coesa tra gli stati.
Invece, il 47° presidente degli USA Donald Trump, appena tornato alla Casa Bianca, ha firmato un decreto esecutivo che delibera l’uscita del suo Paese dagli accordi di Parigi del 2016. Secondo il neo Presidente il cambiamento climatico è un’esagerazione degli ambientalisti.
Che il Cielo, in tutti i sensi, ce la mandi buona…
“Quando nasciamo ci viene data una grande possibilità: ognuno di noi riceve in dono un cervello, un organo raffinatissimo, che ci rende unici, ci individualizza. Grazie al cervello noi abbiamo facoltà di scelta, il libero arbitrio, la possibilità di decidere come condurre la nostra vita; siamo in grado di pensare, ragionare, creare. Grazie ai nostri pensieri ci sentiamo unici, diversi da tutti gli altri esseri umani.
Tuttavia, proprio per questo nella vita proviamo la falsa percezione della divisione, della distinzione; crediamo che esistano una ragione e un torto, tendiamo a giudicare il prossimo, a classificare le cose come giuste o sbagliate a seconda del nostro punto di vista personale, e talvolta diventiamo rigidi e poco flessibili: d’altra parte, il nostro cervello è chiuso in una teca di duro osso!
Durante la vita abbiamo anche la possibilità di provare amore, gioia, allegria, e questi sentimenti ed emozioni sono universali, comuni a tutte le persone di ogni razza o religione: la bellezza della natura, la dolcezza di un bimbo appena nato, o di un cucciolo, lo stupore per un arcobaleno, le risate improvvise davanti a qualche cosa di inatteso e di buffo, l’amore della donna o dell’uomo che si desidera.
Ecco: il cuore ci unisce tutti attraverso un abbraccio universale, ci rende parte di un tutto, in cui noi come individui, tuttavia, acquistiamo un’estrema importanza, in quanto ingranaggi insostituibili di un’immensa e coesa realtà. Una persona dalla mente aperta capisce che la cosiddetta illuminazione sta nel riconoscere l’importanza di questi valori universali. Allora il compito della nostra vita diventa quello di trovare la strada del ritorno verso casa: la felicità pura, punto da cui nasciamo e a cui vogliamo ricongiungerci con consapevolezza e per nostra scelta".
Silvia Di Luzio Il cuore è una porta, Amrita, Torino, 2011, p.113
“Quando ero bambina, nella mia vita immigrò un gruppo di vecchie donne, le più pericolose che avessi mai conosciuto; poiché furono tormentate da forze e poterti più grandi di loro, quando furono catturate, imprigionate, obbligate ad appassire, cadere a pezzi, estinguersi, vissero comunque alla luce delle loro anime. Furono abbattute in ogni modo, ma rinacquero a nuova vita. E sbocciarono come alberi in fiore.
Entrarono nella mia vita come quattro vecchie rifugiate scese pesantemente da grandi vagoni neri e piombate nella nebbia notturna della banchina dove noi le aspettavamo con grande trepidazione.
Camminarono faticosamente verso di noi, chine sotto i dunja, giacigli di piume avvolti da coperte rosso scuso garrotate da spago peloso. Arrivarono con gibbosi bauli neri e in legno macchiato assicurati alle spalle da corde sporche. Dalle cinghie sfilacciate pendeva ogni sorta di borsa o sacca. (…)
Erano le anziane della famiglia del mio padre adottivo. Erano le vecchie donne disperse e sparpagliate dall’Ungheria alla Russia durante e dopo la Seconda guerra mondiale, le donne internate nei campi di «lavoro», dopo essere state trascinate via dalla loro minuscola fattoria dove la famiglia viveva da 150 anni e gettate in buche nel terreno o in campi di deportazione di cartone bagnato o sui «treni della fame» impregnati di urina ed escrementi, e altre cose ancora peggiori. (…)
Erano convinte che noi avessimo salvato loro la vita, che venendo in Aa-mee-rii-kaa, avrebbero potuto lavare le loro ferite nel miracoloso fango scuro del Midwest settentrionale, che avrebbero potuto ricominciare una vita di pace. Non sapevano che erano venute anche per salvare la mia vita. Non sapevano di essere la pioggia perfetta, prolungata e penetrante, di cui una bambina che la noia rischia di inaridire ha un estremo bisogno.
La loro esistenza per noi era una ricchezza. Nonostante fossero state spogliate della loro adorata terra d’origine ancestrale, private di figli e mariti, spogliate fino all’osso delle loro icone, della soddisfazione per la stoffa bianca che tessevano, dei loro luoghi di culto (…); spogliate della possibilità di proteggere le figlie, i figli, i loro corpi, la loro intimità, il loro pudore… ciò nonostante erano riuscite ad aggrapparsi al loro Io primario e resiliente. L’Io che non muore, l’Io che non muore mai.
Quelle vecchie donne furono la mia prima prova inconfutabile che la superficie dell’anima può essere intaccata, scalfita o scottata, ma è destinata a rigenerarsi. La superficie dell’anima ritorna sempre intatta".
Clarissa Pinkola Estés La danza delle grandi madri Frassinelli pp. 40-44
Palermo - «Da quando l’uomo esiste ha sempre organizzato la guerra, è arrivata l’ora di organizzare la pace». Sono parole di don Oreste Benzi, il prete romagnolo fondatore della Comunità ‘Papa Giovanni XXIII’, a cui si deve la richiesta di istituire un Ministero della Pace, formulata una prima volta nel 1994, durante il sanguinoso conflitto nell’ex Jugoslavia, e poi formalizzata nel 2001 con una lettera all’allora Presidente del Consiglio: «Di tanti ministeri esistenti, avrei voluto che lei ne avesse aggiunto un altro: il Ministero della Pace… Questo ministero dovrebbe coordinare una politica di pace di tutti i ministeri esistenti; un ministero trasversale per organizzare la pace». Il testo Ministero della Pace: una scelta di futuro, a cura di Laila Simoncelli (Ed. Sempre, Rimini, 2024) raccoglie appunto una serie di contributi che spiegano e appoggiano la richiesta profetica di don Benzi.
Perché dunque un Ministero della Pace? Perché sancirebbe un cambio radicale di paradigma, un segno tangibile dell’abbandono della logica mortifera e nefasta del principio si vis pacem, para bellum, per abbracciare invece la nuova logica ‘se vuoi la pace, progetta la pace’. Allora: “Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi istituzionali, di una nuova architettura ministeriale per una vera costruzione strutturale di politiche di pace”. Perché la pace va pensata e resa possibile, nella consapevolezza che l’oscenità della guerra, anche se spesso ritenuta inevitabile, è in realtà una costruzione umana, frutto del primato della violenza bruta sulla diplomazia e sul dialogo. Infatti “il conflitto può essere sia fonte di violenza, sia di crescita costruttiva: decisivo è il modo con cui lo si affronta e decisivo è quanto i governi investono su una gestione nonviolenta e generativa”.
Nel libro c’è un continuo richiamo alla Costituzione italiana: nel ricordare l’art.11 - L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo - si evidenzia che in esso vengono usati tre verbi fondamentali – ripudiare, consentire, promuovere – il terzo dei quali deve però ancora trovare piena attuazione.
Mao Valpiana, attuale presidente del Movimento nonviolento italiano, sottolinea che la difesa personale e collettiva è al centro della campagna nonviolenta Un’altra difesa è possibile, con la proposta legislativa per il riconoscimento della 'Difesa civile non armata e nonviolenta', che si propone di introdurre nelle nostre Istituzioni uno strumento di difesa capace di mettere in campo capacità di prevenzione, di mediazione e di risoluzione dei conflitti: “La proposta tende al riconoscimento legislativo, oltre che culturale, politico e giuridico, di una Difesa nonviolenta basata sulla prevenzione dei conflitti per assolvere al dovere costituzionale di difesa della Patria (art.52) nell’ottemperanza del ripudio alla guerra (art.11)”.
Nell’articolo Educare alla pace, il professore Sergio Tanzarella afferma che, prima di tutto, oggi è necessario “lo smascheramento della guerra con le sue mistificazioni, le sue menzogne, la sua propaganda e la sua dichiarata e indiscutibile inevitabilità”. (…) Dobbiamo decostruire mondi e culture che hanno vincolato l’esistenza umana alla guerra e alla contrapposizione al nemico. Il primo modo per affrontare questo nodo è innanzitutto la demistificazione di tutto il passato e della propaganda su cui si fondano le ragioni della guerra. Il che significa anche abbandonare il linguaggio militaresco.”
Tanzarella propone quindi una sorta di decalogo con cui costruire un’educazione alla pace ispirata alla nonviolenza che, ribadisce, non è la semplice negazione della violenza, ma si pone “in modo autonomo e autorevole come alternativa alla rassegnazione della inevitabilità della violenza. Non collaborare al male, rifiutare che il fine giustifichi i mezzi, assumere su di sé la punizione di una legge ingiusta, non sottrarsi alla persecuzione e non coltivare risentimento e vendetta (…). Interrompere, in una parola, il circuito simmetrico della violenza assumendo l’asimmetria della nonviolenza come forza in grado di rivoluzionare la storia”.
Giulia Zurlini (impegnata col Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII) ci informa dell’esistenza dei Corpi Civili di Pace (CCP): una sorta di “Esercito della Pace” costituito da persone che entrano in aree di conflitto come terze parti al fine di proteggere i diritti umani e i civili direttamente colpiti dalla guerra, prevenendo l’escalation del conflitto e costruendo soluzioni nonviolente con strumenti nonviolenti: “I CCP sono nati proprio grazie ai movimenti di base, agli obiettori di coscienza e ai gruppi di cittadini attivi che non si sono arresi all’impotenza di non sapere come agire di fronte al mostro della guerra. (…) Questo cambio di approccio (…) ha bisogno di tutto il sostegno possibile, ha bisogno che anche le Istituzioni effettuino questo cambio di paradigma”.
Il testo si conclude con la Dichiarazione sulla Fraternità umana, scritta e firmata da vari premi Nobel e da rappresentanti di Organizzazioni internazionali insignite dal Nobel per la Pace, pronunciata a Roma a piazza san Pietro il 10 giugno 2023 durante il primo Meeting Mondiale della Fraternità Umana. In tale accorata dichiarazione si legge, tra l’altro: “Non più la guerra! È la pace, la giustizia, l’uguaglianza a guidare il destino di tutta l’umanità. (…) Incoraggiamo i Paesi a promuovere sforzi congiunti per creare società di pace, come ad esempio l’istituzione di un Ministero per la pace”.
Perché, come scrive Raffaele Crocco, giornalista e direttore del progetto “Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo”: “La pace non è questione di diventare più buoni, ma più intelligenti. Il Ministero della Pace è il luogo di questa convenienza e intelligenza. Si tratta di pensare con lucidità il modo di comunicare l’intelligenza e la convenienza del Ministero della Pace per dare corpo ad un vero progetto politico alternativo”.
Il testo, con la presenza della curatrice Laila Simoncelli, sarà presentato domani a Palermo alle 17,30 alla Biblioteca delle Donne presso UDI Palermo, in via Lincoln 121.