giovedì 16 maggio 2024

Addio ad Alice Munro, Nobel per la letteratura nel 2013

      Il 13 maggio scorso è morta a 92 anni Alice Ann Munro, la scrittrice canadese vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 2013, con la seguente motivazione: "maestra del racconto breve contemporaneo".
     Si legge su Wikipedia: "La maggior parte dei racconti di Alice Munro è ambientata nella sua regione natale, il Southwestern Ontario, e indaga le relazioni umane attraverso la lente della vita quotidiana, con uno stile solo ingannevolmente semplice. La sua scrittura è stata definita rivoluzionaria per come ristruttura completamente l'architettura del racconto breve, in particolare per il suo trattamento del tempo del racconto, la cui narrazione si sposta continuamente dal passato al futuro."


Io ho amato i racconti della Munro. 
Alcuni li ho letti una decina di volte, perché mi hanno acchiappato l’anima.
Chi vuole un’idea della sua scrittura può leggere questi miei post: 

La recensione di Amico, nemico, amante…

Qui la chiusa di uno splendido racconto tratto dalla raccolta Uscirne vivi;




martedì 14 maggio 2024

Frammenti di memoria





Frammenti

Di memoria

Emergenze del cuore

Onde danzanti di antica letizia

Mammina   







(compleanno di mamma, in questa dimensione...)

domenica 12 maggio 2024

Edgar Morin: “Urgente riscoprire la fraternità”

      Palermo – Ci voleva un centenario lucido e acuto come Edgar Morin per riscoprire il senso e la necessità della fraternità umana: in La fraternità, perché?, libretto di una settantina di pagine scritto nel 2021 alla vigilia dei suoi primi cento anni (ne compirà 103 a luglio!), il filosofo e sociologo francese consegna alcune riflessioni basilari su questa dimensione oggi fraintesa e spesso dimenticata.
      Nella parte iniziale del testo, Morin evidenzia innanzitutto che libertà, uguaglianza, fraternità - i tre valori tanto osannati dal tempo della Rivoluzione francese, nel 1789 – dovrebbero essere tre termini complementari, che però non si riesce a integrare insieme: “Perché la libertà, soprattutto economica, tende a distruggere l’uguaglianza, come vediamo oggi con l’espansione di questo liberalismo economico che provoca enormi disuguaglianze. Al tempo spesso, imporre l’uguaglianza mette a rischio la libertà. Il problema è allora quello di saperle combinare.” È necessario allora che la comunità umana riesca ad associare libertà e uguaglianza e, soprattutto, che riscopra e risvegli la fraternità. Che però: “Non può essere imposta dall’alto o dall’esterno; non può venire che dalle persone.
    Qual è dunque la fonte umana e indispensabile della fraternità?  (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 12.5.2024


Edgar Morin


giovedì 9 maggio 2024

Votare o non votare? Cosa votare?

       Oggi pomeriggio, a Palermo, alla Casa dell’Equità e della bellezza alcune persone si sono interrogate sul voto alle prossime elezioni europee. Ne è venuto fuori un confronto autentico, appassionato e costruttivo su candidati, programmi, legge elettorale, quorum e meccanismi di voto. 
    Nell’Italia odierna che sfiora il 50% di astensionisti, che un gruppo di persone senta l’esigenza di parlare di politica e discutere di programmi e di liste magari potrebbe fare notizia… Certamente chi ritiene riduttivo e manchevole il sistema democratico bollerà come ingenui e illusi coloro che andranno a votare, e i partecipanti a detta riunione tra questi. Ma qual è l’alternativa costruttiva al non voto? Come cercare di dare il proprio contributo in una società complessa? Quale futuro per l’Europa? 
     Grazie oggi, allora, a Schumann, Moro e Peppino Impastato che avevano buone idee politiche: in particolare a Moro e Peppino che hanno pagato con la vita il loro impegno.
Maria D’Asaro


R. Schuman



martedì 7 maggio 2024

Lutto 2.0: come esprimerlo, come elaborarlo...

Marc Chagall: Paradiso (1961)
       Adesso che la nostra vita è Onlife - per utilizzare la fortunata definizione con cui il professore Luciano Floridi ha espresso l’ormai inscindibile connessione tra vita fisica e virtuale – tra gli altri, sorge un nuovo problema: come esprimere ed elaborare il lutto per la dipartita delle persone conosciute e frequentate solo nel web? 
      Quando si scopre che un amico/a virtuale non c’è più, la fitta di dispiacere è forte: è la stessa sensazione fisica che ti attraversa quando scopri che è morto un/a  tuo/a vicino/a di casa… A comprova che i legami relazionali che si creano attraverso le comunicazioni virtuali - legami fatti di scambi intellettuali, di saluti cordiali, ma anche di condivisioni esperienziali ed emotive - non sono meno forti ed intensi di quelli che si stabiliscono tra vicini di casa.
     Forse non abbiamo ancora analizzato abbastanza le potenzialità relazionali, in positivo e in negativo, fornite dalla nostra vita onlife (“siamo probabilmente l'ultima generazione a sperimentare una chiara differenza tra offline e online”;  “le dicotomie scontate come quelle fra reale e digitale o umano e macchina non sono più sostenibili in maniera nitida”, affermano rispettivamente Luciano Floridi e Giorgio Fontana). La vita onlife è una vita sicuramente aumentata: l'aumento è arricchimento e peso insieme.
       Allora,  bisogna essere preparati agli incontri e anche alle dipartite, sul web spesso inspiegabili e improvvise, maggiormente che nel mondo solo fisico.
     Per una vecchia blogger come la scrivente (nel web ormai dal lontanissimo 2008) ci sono state svariate sparizioni senza spiegazioni: blogger scomparsi che, esagerando, si possono accostare ai ‘desaparecidos’ di cui non si hanno più notizie e la cui esistenza si dissolve nel nulla. E poi, purtroppo, ci sono le morti vere, annunciate da parenti degli scomparsi.
     Così, nel 2013, è stato doloroso sapere ufficialmente dallo zio che una blogger amica era morta suicida (quanto rammarico allora: avrei potuto scriverle qualcosa in più? Potevo esserle più vicina? Avevo la sua mail, avevamo anche una corrispondenza privata…). 
     Assai triste, qualche giorno fa, apprendere dai figli della morte improvvisa di Gus, blogger dal 2015, attento ed assiduo lettore del mio blog e io del suo.
     Ciao Gus: nel mistero insondabile dell’aldilà mi auguro che tu abbia potuto riabbracciare tua moglie che amavi tanto. Grazie per avere lasciato in questa dimensione una traccia gentile, intelligente e garbata.

(Inserito in un commento del 27 febbraio scorso, in un mio post del giorno precedente in cui riportavo una poesia di Attilio Bertolucci (Assenza) per ricordare il compleanno mancato di mia sorella, Gus mi ha donato questa lirica assai toccante: 

L'assenza non è nulla.
Un tavolo poggiato contro l'oceano del silenzio,
dell'inchiostro, della carta.
Tutto è molto forte, la notte svanisce o
la notte viene, non ho paura.
La testa un po' inclinata, guardo solo il foglio di carta.
Le parole volano via e tu sei là. L'assenza non è nulla,
un po' di tempo purissimo per inventare domani.
L'assenza è un'assoluta neutralità, indifferenza,
quiete apparente, stasi, uniformità opalescente
e grigiore appena tiepido.
Io non c'entro nulla con le more nei boschi d'estate,
le conversazioni attorno al tavolo di cucina sgranando piselli,
il profumo delle mele in cantina,
la voce di chi si ama che dice più di
quanto dicano le parole,
il rosso cupo di un bicchiere di Porto da centellinare,
il lieve fruscio della dinamo contro la ruota
durante una pedalata notturna.
Istanti preziosi, che vanno colti nella loro
immediatezza e assaporati con tranquillità.
La Première gorgée de bière, Philippe Delerm

Grazie ancora di cuore per esserci (stato), caro Gus

domenica 5 maggio 2024

Telmo Pievani e l’uomo, castoro fuori controllo

      Palermo – Organizzata dal Politecnico di Torino dal 18 al 21 aprile scorso, si è appena conclusa la quarta edizione della Biennale di Tecnologia, che quest’anno ha avuto un titolo particolare “Utopie Realiste”: “Perché senza le utopie non sapremmo dove andare, senza il realismo non sappiamo da dove partire – ha sottolineato Luca De Biase, curatore scientifico della manifestazione, assieme a Juan Carlos De Martin.
     Tra i vari interventi scientifici alla Biennale c’è stato quello del professore Telmo Pievani, filosofo delle Scienze Biologiche presso l’Università di Padova. Pievani ha proposto una riflessione basata sul cosiddetto ‘Principio del Castoro’: “Lo si chiama Principio del Castoro perché il castoro è un esempio paradigmatico di cosa significa questo modello. Il castoro è un tecnologo a tutti gli effetti nel senso che, come molti animali, costruisce degli artefatti, vale a dire modifica attivamente l’ambiente per renderlo più consono alle proprie esigenze. Il castoro, quando costruisce le sue nicchie, diviene una sorta di ingegnere ecosistemico che promuove comunque la biodiversità negli ambienti modificati. E, da circa 11.000 anni, noi specie di Homo Sapiens ci comportiamo come i castori: nel tempo abbiamo modificato circa l’80% degli ecosistemi terrestri”. -
       Ma c’è un grande problema, ha poi evidenziato il professore: modificando in modo così significativo gli ecosistemi, abbiamo moltiplicato le linee di ereditarietà. Che significa? (continua su: il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 5.5.24, il Punto Quotidiano

venerdì 3 maggio 2024

Cara Giorgia,

        vederti oggi accanto al Ministro della Difesa a passare in rassegna l’esercito, nel 163° anno dalla sua costituzione, mi ha impressionata. Per te è stato un grande successo personale diventare Presidente del Consiglio. Complimenti sinceri per questo. 
      Ma mi chiedo se l’uguaglianza sia davvero un traguardo. Dobbiamo fare le stesse cose che da sempre hanno fatto gli uomini: creare eserciti per difenderci e attaccare, fare guerre per risolvere i conflitti?
     Scriveva Carla Lonzi: “Per uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella società mediante il riconoscimento che essa possiede capacità uguali a quelle dell’uomo. Ma… ci siamo accorte che, sul piano della gestione del potere, non occorrono delle capacità, ma una particolare forma di alienazione molto efficace. Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere”. 
       Forse abbiamo sbagliato tutto. Non credi? 

Maria D’Asaro


mercoledì 1 maggio 2024

Festa del Lavoro (se ci fosse...)

Accursio Miraglia
       Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. 
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. 
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Quanti disoccupati ci sono in Italia 2024?

OCCUPAZIONE ITALIA, I DATI DI FEBBRAIO 2024

Il tasso di disoccupazione è aumentato al 7,5% (+0,2 punti rispetto al mese precedente, dato rivisto) ed è aumentato al 22,8% tra i giovani (+0,7 punti). 

(la media al Sud può arrivare però al 14% degli occupabili)

"Per  i componenti  di età tra 18 e 59 anni, di famiglie con ISEE fino a 6000 euro   per i quali è terminata ad agosto scorso  la percezione del reddito di cittadinanza  l'accesso alla nuova misura del Supporto per la formazione e il lavoro è  scattata   il 1 settembre  2023  e prevede 
un sussidio mensile di 350 euro per 12 mesi 
a condizione che la persona si iscriva alla piattaforma telematica ministeriale SIISL rendendosi disponibile a percorsi di formazione e riqualificazione nel mercato del lavoro, attraverso i Centri per l'impiego o Agenzie per il lavoro." (da qui )

(Di fatto, abolito il reddito di cittadinanza (ne parlo qui) in molte regioni italiane, non esistono più dal 2024 percorsi di formazione e riqualificazione nel mercato del lavoro e i disoccupati vivono grazie agli aiuti dei familiari occupati. Altrimenti finiscono alle mense della Caritas o in strada…)

I morti sul lavoro sono stati oltre mille nel 2023, quasi tre al giorno (Notizie - Ansa.it.16.2.24)

(Di cosa avremmo bisogno oggi? 
Di donne e uomini che sappiano tracciare la via: vedi il profilo di Accursio Miraglia;  vedi il pensiero di Erich Fromm)

(le frasi in corsivo sono di chi scrive, MD)


domenica 28 aprile 2024

Al liceo “Cannizzaro” di Palermo lezioni di buona Politica

       Palermo - “Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene”: la frase, erroneamente attribuita a Woody Allen, ma in realtà di Eugene Ionesco, sintetizza brillantemente il declino delle ideologie che hanno caratterizzato il Novecento. Ma, seppure sotterranee e ‘innominate’ le ideologie esistono ancora e condizionano le scelte sociali e politiche. 
     Proprio della consistenza e vitalità delle ideologie novecentesche si sono occupati quindici studentesse e studenti di terzo anno del liceo scientifico “Stanislao Cannizzaro” di Palermo, nell’ambito di un percorso formativo progettato dal professore Tommaso Lo Monte, docente di Lettere dell’Istituto.  
    L’insegnante, da gennaio ad aprile di quest’anno, ha infatti coordinato nella scuola alcuni seminari pomeridiani di un’ora e mezzo ciascuno, in sinergia con le docenti Anna Maria Pioppo, Rosalba Leone e il professore Augusto Cavadi, autore del testo-base del corso La bellezza della politica. Attraverso e oltre le ideologie del Novecento (Di Girolamo Editore). I tre insegnanti fanno parte dell'associazione di volontariato culturale “Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone", fondata da Cavadi e da alcuni amici e amiche trentadue anni fa, dopo le stragi del 1992. Da allora, sono stati realizzati centinaia di interventi nelle scuole, nelle università, nei centri sociali, nelle parrocchie: perché la mafia, come sosteneva Giovanni Falcone, si combatte non solo nei Tribunali, ma soprattutto investendo nella formazione e nella crescita culturale della società.
     “Ho utilizzato per questo progetto le ore previste dai PCTO, cornice didattica che indica i Percorsi per le Competenze Trasversali e l'Orientamento (ex alternanza scuola-lavoro) – chiarisce il professore Lo Monte – proponendo ai miei alunni... (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 28.4.24, il Punto Quotidiano






sabato 27 aprile 2024

Recensione di una poesia non scritta

V.incent Van Gogh: Campo di grano con mietitore all'alba (1889) - Amsterdam
Nelle prime parole dell'opera
l'autrice afferma che la Terra è piccola,
il cielo invece fin troppo grande,
e, cito, «con più stelle del necessario».

Nella descrizione del cielo si avverte una certa impotenza,
l'autrice si perde in uno spazio orribile,
è colpita dall'assenza di vita su molti pianeti,
e presto nella sua mente (aggiungiamo: non rigorosa)
comincia a nascere una domanda:
e se alla fine noi fossimo soli
sotto il sole, sotto tutti i soli dell'universo?

A dispetto del calcolo delle probabilità!
E della convinzione oggi universale!
Malgrado le irrefutabili prove che uno di questi giorni
possono cadere nelle mani umane! Ah, poesia.

Intanto la nostra profetessa torna sulla Terra,
un pianeta che forse «ruota senza testimoni»,
la sola «science-fiction che il cosmo può permettersi».
La disperazione di Pascal (1623-1662, la nota è nostra)
sembra all'autrice non avere concorrenza
su nessuna Andromeda o Cassiopea.
L'esclusività ingigantisce e impegna,
sorge dunque il problema di come vivere et cetera,
dato che «il vuoto non lo risolverà al posto nostro».
«Mio Dio,» grida l'uomo a se stesso
«abbi pietà di me, illuminami...»

L'autrice si tormenta al pensiero della vita dissipata con tanta leggerezza,
come se ce ne fosse una scorta inesauribile.
Delle guerre, che - secondo il suo dispettoso parere -
sono sempre perdute da entrambe le parti.

Dell'«autorisadismo» (sic!) dell'uomo sull'uomo.
Nell'opera traspare un intento morale.
Forse sotto una penna meno ingenua avrebbe sfavillato.

Purtroppo, ahimè. Questa tesi fondamentalmente azzardata
(se alla fine noi fossimo soli
sotto il sole, sotto tutti i soli dell'universo)
e il suo sviluppo in uno stile disinvolto
(un misto di solennità e di linguaggio comune)
obbligano a chiedersi chi possa crederci.
Certamente nessuno. Appunto.

Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009), 
a cura di Pietro Marchesani, pag. 381, Adelphi, Milano

giovedì 25 aprile 2024

25 aprile: disarmo, la strada della Liberazione oggi

       La foto vincitrice del World Press Photo Contest del 2024, scattata nella striscia di Gaza dal fotografo dell’agenzia Reuters Mohammed Salem,mostra una donna palestinese che abbraccia una bambina morta – sua nipote, uccisa insieme alla mamma e alla sorella dai bombardamenti israeliani – avvolta in un sudario. Si tratta di una foto che si inserisce nella storia delle immagini di guerra, sulle quali è necessario farsi ancora le domande fondamentali che si è posta Susan Sontag davanti al dolore degli altri: “Si sarebbe potuto evitare? Abbiamo finora accettato uno stato delle cose che andrebbe invece messo in discussione? Sono queste le domande la porsi, nella piena consapevolezza che lo sdegno morale, al pari della compassione non è sufficiente a dettare una linea di condotta” (Davanti al dolore degli altri, 2021).
      Lo stato delle cose, in questo varco stretto della storia, vede il progressivo precipitare dell’umanità in una guerra mondiale, rispetto alla quale il discorso pubblico ha bandito, a tutte le latitudini, le pratiche e i linguaggi di pace, nel delirio delle ritorsioni reciproche, dell’escalation degli armamenti perfino nucleari, dell’impossibile annientamento del “nemico”. Delirio bellicista dentro al quale è annullata ogni iniziativa politica europea e italiana.
     Eppure proprio nella Costituzione italiana nata dalla Resistenza antifascista ci sono precise, quanto ignorate, indicazioni per andare oltre il solo “sdegno morale” per le morti in guerra, nella loro sostanziale accettazione, per adottare linee di condotta fondate sul solenne ripudio della guerra, proprio come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Erano passati poco più di tre mesi dal 25 aprile al 6 agosto del 1945, data nella quale la vittoria contro il nazifascismo si trasformò in una nuova sconfitta, quella dell’umanità nei confronti dell’arma atomica, “distruttrice di mondi”, capace di realizzare la “soluzione finale” dell’umanità.
     L’Assemblea costituente fu eletta ad appena dieci mesi di distanza da Hiroshima e Nagasaki e, con grande lungimiranza, ancorò l’articolo 11 – il più antifascista dei Principi fondamentali – all’etica della responsabilità, indicando la ricerca di mezzi e strumenti alternativi all’ormai inutilizzabile ferrovecchio della guerra per gestire e risolvere i conflitti internazionali. Con la consapevolezza che la guerra e la sua preparazione hanno un impatto negativo anche sulla vita civile e democratica.
     Ne avrebbe scritto a lungo anche Aldo Capitini – passato per le galere fasciste dopo essere stato cacciato dalla Normale di Pisa, in quanto obiettore alla tessera fascista, dall’oggi osannato direttore Giovanni Gentile – insoddisfatto anche di una democrazia che, nonostante la Costituzione, non riusciva a liberarsi dalla guerra: “Si sa che cosa significa, oggi specialmente, la guerra e la sua preparazione: la sottrazione di enormi mezzi allo sviluppo civile, la strage degli innocenti e di estranei, l’involuzione dell’educazione democratica e aperta, la riduzione della libertà e il soffocamento di ogni proposta di miglioramento della società e delle abitudini civili, la sostituzione totale dell’efficienza distruttiva al controllo dal basso”.
    Per queste ragioni, una democrazia aperta, fondata sul “potere di tutti” – secondo il filosofo della nonviolenza – si manifesta “nella capacità di impedire dal basso le oppressioni e gli sfruttamenti; ma questa capacità delle moltitudini ha il suo collaudo nel rifiuto della guerra, intimando un altro corso alla storia del mondo”.
     Tuttavia, perché il rifiuto della guerra diventi effettivo e non rimanga mera aspirazione utopica, è necessario che la resistenza alla guerra si dia un’organizzazione. Quell’organizzazione che è invece mancata nella fase di avvento del fascismo: i Gobetti, i Matteotti, i Gramsci vedevano chiaro e denunciavano il pericolo, scrive Capitini, ma non poterono organizzare un’ampia “non collaborazione dal basso” per fermarne l’ascesa, perché “non avevano intorno quella preparazione e quella maturità che li assecondasse” (Il potere di tutti, 1969).
    E oggi? Oggi che i poteri costituiti, nazionali e internazionali, alimentano ancora la guerra fino ad aver portato nel 2023 a 2.443 miliardi di dollari la spesa militare mondiale con un aumento record di 200 miliardi rispetto all’anno precedente (Rapporto Sipri 2024, appena pubblicato) – anziché costruirne gli strumenti alternativi – saremmo capaci di contrastarla? Se, di questo passo, si arrivasse a una mobilitazione nazionale per parteciparvi direttamente con uomini e donne sul terreno, i cittadini italiani – pur in grande maggioranza contrari – sarebbero pronti a resistere?
     Un mezzo costituzionale, consapevole e responsabile, in questo senso è fornito dalla campagna di “Obiezione alla guerra” promossa dal Movimento Nonviolento, nella quale ciascuno, aderendovi, dichiara la propria obiezione di coscienza alla guerra e alla sua preparazione, esplicitando l’assoluta indisponibilità rispetto a qualunque “chiamata alle armi”. Non si tratta di sottrarsi al dovere di difendere la comunità (articolo 52 della Costituzione) ma – come l’esperienza storica dimostra possibile ed efficace – di essere disponibile a farlo senza le armi, nel rispetto del ripudio della guerra, attraverso i metodi della nonviolenza organizzata.
   Oggi dunque, più che mai, la Liberazione si chiama disarmo e la resistenza si chiama nonviolenza, per cui non è sufficiente farne le sole celebrazioni il 25 aprile ma è necessario organizzarsi ogni giorno dell’anno. A partire dall’esercizio della personale obiezione alla guerra.

Pasquale Pugliese, Movimento nonviolento, da il Fatto Quotidiano

martedì 23 aprile 2024

Preferisci Nietzsche o un hamburger?

Edvard Munch: F.Nietzsche, 1906 (galleria Thiel, Stoccolma)
     Il saggio di Tobia Savoca Narrazioni diversive è un testo assai intrigante e interessante. Lo recensirò presto.
       Ecco quanto scritto in quarta di copertina: “Questo saggio fornisce a tutti uno strumento per decodificare le teorie del complotto come rivendicazioni politiche diversive, funzionali al mantenimento del potere, poiché nascondono conflitti sociali reali e paure antropologiche. Capiamo così che questo fenomeno partecipa da un lato al movimento di egemonizzazione ideologica neoliberale che discredita come ‘complottista’ qualsiasi critica; dall’altro al risorgere del movimento reazionario delle destre mondiali, che offre al risentimento e all’impotenza politica dei cittadini narrazioni diversive che permettano di superare la crisi del capitalismo senza metterlo in discussione”.

Ne propongo intanto qualche assaggio.

"La scuola neoliberista ha creato le macerie intellettuali sulle quali le teorie del complotto proliferano. Il neoliberismo mira alla disintegrazione di significati condivisi e di utopie politiche. Se le teorie del complotto sono scorciatoie del pensiero, semplificazioni per comprendere gli eventi, l’educazione familiare e scolastica dovrebbe avere l’arduo compito di educare alla complessità e di fornire strumenti adatti a comprendere il mondo. La scuola di matrice liberale, fatta di tagli e spending review, sembra essere andata in direzione opposta. In primis i sistemi educativi negli ultimi decenni hanno sacrificato la costruzione del cittadino e della persona sull’altare del primato della performance e della specializzazione dei saperi. La scuola-azienda ora serve a formare lavoratori, non persone e cittadini.
      Questo da un lato ha creato il mito della «didattica per competenze», del «merito», del primato tecnico-scientifico a discapito della dimensione critica, umana ed emotiva. «Fare meglio», non «perché fare?». Dall’altro ha contribuito a enfatizzare il ruolo sociale e mediatico degli esperti che sono deputati a prendere delle decisioni. Si legittima sin dalla scuola così una tecnocrazia che non ama al condivisione tanto nel processo decisionale quanto in quello della conoscenza. Sapere è potere! La democratizzazione del sapere, anziché dalla scuola, passa attraverso canali sotterranei o virtuali che diventano quindi mezzi di informazione alternativi, spesso senza il controllo degli esperti. (…)
     La progressiva trasformazione, già inscritta nelle politiche educative, da cittadino consumatore ha lasciato l’essere umano solo di fronte a un bombardamento crescente di informazioni che affronta con le armi spuntate della completa libertà di scelta di un qualsiasi sapere «usa e getta». Men che meno è stata fornita un’educazione ai media che permettesse ai cittadini di acquisire responsabilità sul contenuto mediatico che producono o diffondono. 
    Contemporaneamente, portando l’educazione sempre più sul campo dell’intrattenimento, si è alimentato un altro cortocircuito. Quando si chiede a uno studente di leggere, spesso la risposta è che l’atto di leggere (non tanto il contenuto) è noioso.
    Ce lo racconta Mark Fischer (2009, p.62), spiegandoci che: “Essere ‘annoiati’ significa semplicemente venire esiliati dallo stimolo e dall’eccitamento comunicativo degli SMS, di YouTube, del fast food; significa essere costretti a rinunciare (…) al flusso costante di una zuccherosa gratificazione on demand. Ci sono studenti che vorrebbero Nietzsche allo stesso modo in cui vorrebbero un hamburger: quello che non colgono – ed è un fraintendimento alimentato dalle logiche del sistema consumistico – è che l’indigeribilità, la difficoltà è Nietzsche."
      Inoltre la cultura consumistica e ipermediata dell’intrattenimento ha generato una frammentazione non solo della comunità interpretativa in atomi-individui, ma delle stesse soggettività già in età adolescenziale (…).
     Immergendo cuccioli di esseri umani in un flusso di «puri significanti materiali», «di presenti puri e scollegati nel tempo», la ricostruzione di un senso (prima ancora che di uno spirito critico), della comprensione del testo, della memoria, della storia, della riflessione diventa un progetto più che ambizioso. Mentre l’informazione viaggia su canali sempre più immediati, considerando i livelli di analfabetismo funzionale e non, la sfida dell’educazione alla complessità diventa resistenza alla schizofrenia".

Tobia Savoca: Narrazioni diversive (Diogene Multimedia Bologna 2023, pagg.44/46)

domenica 21 aprile 2024

Strategie dell'azione nonviolenta: il dialogo

      Il dialogo è l’arma più leggera e facile della nonviolenza. Il nonviolento non abbandona mai il dialogo. Ma se il dialogo viene rifiutato lui arriva addirittura a provocarlo. (…)
      Ho partecipato al primo convegno tra cristiani e marxisti dell’Est e dell’Ovest che si è tenuto a Salisburgo. (…)
C’erano quasi 400 tra marxisti e cristiani dell’Est e dell’Ovest. C’erano uomini importanti. Dopo due giorni ero esausto. Dissi a mia moglie: «Non ne posso più» (…) Allora chiesi la parola. Dissi pressappoco così: «Abbiamo voluto fare un dialogo fra cristiani e marxisti. Va bene. Questo è il primo passo sulla strada del dialogo. Ma cosa abbiamo fatto per due giorni? Due monologhi.  Cioè i cristiani sono venuti alla tribuna e hanno detto tutti i crimini, tutti i gulag, tutti i massacri che hanno fatto i marxisti. Ed in seguito hanno esposto la loro verità di cristiani. I marxisti a loro volta hanno preso la parola ed hanno parlato delle crociate, delle guerre sante, di tutto quanto di male hanno fatto i cristiani, e poi hanno parlato della loro verità di marxisti. Allora potremmo continuare a chiacchierare per un sacco di tempo qui, ma senza riuscire a concretizzare niente. Il dialogo è esattamente il contrario. Prima di tutto è scoprire la verità dell’altro».
     Ogni uomo ha una verità, dal momento che è stato creato da Dio, e Dio non crea gli uomini a macchina. Dio crea personalmente nel suo atto d’amore ogni uomo e gli dona una vocazione. Lo crea con una finalità e questa è la sua verità. Quindi ogni uomo, sia credente che ateo, fa parte della Verità che è Dio. Quando siamo intolleranti siamo violenti. Anche la Chiesa cattolica, quando pensa di avere il monopolio della Verità, diventa violenta. Quindi per il nonviolento la prima cosa da fare quando vuole dialogare col proprio nemico o avversario è credere di poter scoprire questa verità.
         E quando l’ha scoperta, gli può e gli deve dire: «Io ho scoperto questo e questo in te, ed è magnifico». In questo modo, nell’accoglienza dell’altrui verità, si prepara l’accoglienza della propria verità da parte dell’altro. Qualche volta egli ha tradito la sua verità così tanto che è difficile scoprirla. Ma quando si scopre la verità e la si dice, egli scopre, o riscopre, la propria vocazione, cioè perché è stato creato.
         Secondariamente, occorre vedere come noi abbiamo disconosciuto la verità dell’altro, o addirittura le siamo stati infedeli, l’abbiamo tradita. E se abbiamo fatto questo dobbiamo dirglielo. Vedete bene che se si affronta l’avversario in questo modo si genera un rapporto diverso che se lo si affronta in modo violento.

Jean Goss, La nonviolenza trasforma la vita, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2018 (pag.71,73,74)

venerdì 19 aprile 2024

Il complottismo: una nuova forma di pensiero religioso?

Mavka e la foresta incantata
     Il saggio di Tobia Savoca Narrazioni diversive è un testo assai intrigante e interessante. Lo recensirò a breve. Ne propongo intanto qualche assaggio.

"Popper (1945) sostiene che il complottismo sia una forma moderna di superstizione, un mito che permette di giustificare la realtà. (…) Il sentimento complottista è qualcosa di assimilabile a uno ‘slancio religioso’ : quell’impressione nelle persone che «non può essere tutto lì quello che c’è». Risulta rassicurante sapere che di fronte e tristi e sconvolgenti eventi «c’è dell’altro» che possa giustificare l’assurdità dell’accaduto. E di eventi tristi e sconvolgenti, in una parola eventi di crisi, siamo sempre più abituati. «Nulla accade per caso».
   Può sembrare paradossale ma proprio oggi che le Grandi Narrazioni (la religione e le ideologie) sembrano scomparse, tanto che si parla di contesto post-ideologico, il bisogno di schemi interpretativi, di senso e di spiritualità si fanno sempre più forti. Non conoscete nessuno che sia un po’ scaramantico, che faccia discorsi da hippie sull’energia delle persone o dei luoghi, su vie personali all’illuminazione, o che creda all’astrologia? Tranquilli, non si tratta necessariamente di complottisti.
Grazie alla scienza e alla tecnica, negli ultimi due secoli abbiamo avuto la presunzione di spiegare tutto e gestire tutto, cancellando tutto quello che di spirituale, romantico è presente in noi e nella realtà. (…) 
  
    C’è chi sostiene che la razionalità abbia portato a un «disincanto del mondo» (Weber, 1918) e all’ «esaurimento del regno dell’invisibile» (Gauchet,1985) sotto la spinta della grande capacità, da parte della scienza e della tecnologia, di penetrare l’imperscrutabile spazio, tanto microscopico, quanto universale. 
     C’è chi invece, sostenendo che assistiamo da più di vent’anni a un grande ritorno del fenomeno religioso e di una sua sublimazione, ha parlato di «reincanto del mondo». Non è vero che non ci sia più nulla da spiegare, da scoprire e nulla di cui «incantarsi». La scienza e la tecnica non sono sufficienti a soddisfare in tutto la brama di conoscenza e di piena realizzazione dello stare al mondo, dell’esserci. Il complottismo, come pensiero religioso, fa parte di questo movimento di «reincanto del mondo» (Taguieff,2005)
   Mai come oggi vanno di moda medicine alternative, spiritualismo orientale, naturismo e misticismo new age. Non è un caso che alcuni acuti intellettuali abbiano rintracciato una forte accelerazione del complottismo negli ambienti legati alla cultura new age.  Wu Ming, analizzando il fenomeno di QAnon, ovvero uno dei movimenti che ha portato all’assalto del Campidoglio il 6 gennaio 2021, ha sottolineato una forte convergenza tra il pensiero cospirativo di destra e lo spiritualismo New Age, della wellness, delle medicine e spiritualità alternative.
   Questa commistione tra cospirazionismo e spiritualità, oggi denominata ‘conspirituality’, era stata in qualche modo predetta da Umberto Eco. E se andiamo a guardare ancora più indietro nel tempo, queste contaminazioni hanno già importanti precedenti europei. Il misticismo nazista della Germania affondava le sue radici nel movimento Völkisch, il quale a sua volta mescolava teosofia e occultismo, promettendo una reintegrazione dell’uomo con la natura che la modernità aveva separato.
    Questa sensibilità politica univa spiritualità individuale e razionalità politica dando significato a un progetto che mirava a cambiare una società distrutta dagli effetti della rivoluzione industriale. In tempi più recenti invece possiamo notare questa convergenza tra cospirazionismo e fondamentalismo religioso sia tra i ranghi di un certo cristianesimo americano sin dai tempi della Guerra fredda, che tra i ranghi di un certo islamismo."

Tobia Savoca Narrazioni diversive Diogene Multimedia Bologna 2023, pagg.40-42

martedì 16 aprile 2024

Un mondo a parte...

        Avevo pensato di scriverla io. Francesca Sammarco mi ha preceduta. Ecco la sua bella recensione:

     RIETI – “La montagna lo fa”. La frase ricorre spesso nel film di Riccardo Milani “Un mondo a parte” e la coppia Antonio Albanese e Virginia Raffaele è credibile, come i ragazzi e le persone del posto (attori per l’occasione), cioè Pescasseroli, Barrea e il Parco nazionale d’Abruzzo. 
    Il film riesce a mettere il dito su una piaga sanguinante, le aree interne, il rapporto dell’uomo con la natura e lo fa con semplicità, senza frasi a effetto, ma con realismo e dietro alle piccole frasi, sguardi, battute, situazioni, c’è una denuncia precisa.     Un mondo a parte, sì, per chi è nato e cresciuto nelle grandi città, ma che dovrebbe conoscere, soprattutto se si trova nelle stanze dove si decide il destino della gente, senza avere consapevolezza dei luoghi, situazioni, le esigenze e le difficoltà, condizioni atmosferiche avverse, senza pensare che le aree interne riguardano anche le grandi città, l’intero Paese.
     “Contano i numeri”, ripete chi sta in alto. E le persone? I sogni dei ragazzi? L’ambiente?  “Se chiude una scuola, chiude tutto il paese” e le speranze sono fioche, legate a sognatori, pochi, che non sono creduti e vengono osteggiati anche dai genitori, ormai rassegnati. E la salvezza, visto che non facciamo figli, sono gli immigrati, piaccia o no. Il tema della rassegnazione viene affrontato più volte, i giovani che vanno controcorrente sono soffocati e dileggiati in ogni modo. Ma chi va avanti a testa bassa, facendo leva sulle proprie idee, aspirazioni e modo di amare, può ancora ribaltare le situazioni e i destini dei luoghi, perché “Non voglio fare la fine di Sperone”, dice Duilio, mentre ostinatamente cerca di recuperare un vecchio trattore. Sono loro, i sognatori, quelli che non si arrendono, la speranza di tutto il genere umano e Sperone esiste veramente, è un paese abbandonato e silenzioso, vicino ad Opi, dove è stato girato il film, ormai solo vecchie pietre e vaghe tracce di un cinema, una scuola, una trattoria, vita passata.
    Ce ne sono tanti nelle aree interne, come fantasmi. Il film lancia un grido di dolore, lo fa sommessamente, senza essere pesante, senza clamore, pur denunciando una situazione reale e preoccupante, perché racconta la realtà di piccoli borghi montani che hanno gli stessi problemi, sia al Nord che al Centro- Sud, per la chiusura dei plessi scolastici, che vengono accorpati con altre scuole distanti tra loro, in un territorio montano, se gli iscritti non rispondono ai numeri stabiliti. 
                                                                                                (continua qui: il Punto Quotidiano)

domenica 14 aprile 2024

"Restiamo umani": l'esortazione (inascoltata) di Vittorio Arrigoni

       Palermo – Se Vittorio Arrigoni fosse ancora vivo, avremmo forse un’informazione più precisa su quanto succede oggi nella martoriata striscia di Gaza. Volontario, giornalista e reporter, dal 2004 al 2011 fu anche autore del blog Guerrilla Radio, il più letto in Italia durante l’operazione militare israeliana ‘Piombo fuso’ del 2008/2009, quando Arrigoni rimase uno dei pochi, se non l’unico, dei cronisti/testimoni sul campo.
        Ma chi fu Vittorio Arrigoni?  (continua su il Punto Quotidiano)



Maria D'Asaro, 14.4.2024 il Punto Quotidiano

Ho scritto una lettera postuma a Vittorio: qui

sabato 13 aprile 2024

La guerra non è mai una soluzione


      Lo scorso 17 febbraio, all'età di 93 anni, ci ha lasciati Johan Galtung, fondatore e pioniere della ricerca scientifica per la pace. 
   Ho incontrato una sola volta di persona Galtung partecipando ad un seminario/laboratorio che svolgeva – lui che aveva avviato i Peace studies internazionali e fondato il PRIO-Peace Research Institute di Oslo, insegnato nelle maggiori università del pianeta e fatto il consulente per le Nazioni Unite – all’interno di una sala civica di un quartiere a Bologna, agli inizi degli anni 2000. 
    E per spiegare la “trascendenza” del conflitto – spiazzando tutti con la sua ironia – aveva posto la questione dell’arancia contesa da due bambini e delle possibili soluzioni, dimostrando che sono molto più di due, se solo si va oltre la superficie del conflitto e si indagano i bisogni profondi di ciascuno dei confliggenti. (...) qui vorrei riepilogare in estrema sintesi alcuni degli elementi essenziali del pluriverso culturale e metodologico che fonda la proposta della nonviolenza di questo poliedrico studioso.

Superare la logica binaria della guerra

Approfondire l’approccio di Galtung ai conflitti significa dotarsi di alcuni di quei saperi che mancano maggiormente e drammaticamente nel nostro tempo, nel quale, da ogni parte, non si cerca altra soluzione se non quella binaria della guerra, fondata sulla dicotomia vittoria-sconfitta. Con la conseguente escalation di violenza, vittime ed armamenti, in un ciclo dal quale non si vede via d’uscita – per di più all’interno di un orizzonte nucleare esplicitamente minacciato – che contamina sempre più pericolosamente la cultura profonda.

“Una società strutturata attorno alla violenza diventa caricatura di se stessa – scrive Galtung –, sia che la violenza venga dalla cima di una piramide di potere, sia che provenga da piccole sacche di guerriglia: il terrorismo dall’alto è uguale al terrorismo dal basso. La cultura diventa un magazzino di ferite profonde, affondate nella memoria collettiva e nell’anima della gente, ferite che vengono usate per travisare ogni cosa e persona, piuttosto che per cercare nuovi approcci”.

Una fotografia perfetta della condizione attuale, dove il più grave dei problemi – la guerra – è spacciato per la loro soluzione.

Diagnosi, prognosi e terapia dei conflitti:

Per Galtung la pace non è solo l’assenza di guerra – che è una delle forme nelle quali si esprime la violenza – ma è l’assenza, e la progressiva riduzione, di ogni tipo di violenza, attraverso la trasformazione nonviolenta di tutti i conflitti. Inoltre, “essere contro la guerra è una posizione moralmente lodevole, ma non è sufficiente a risolvere i problemi delle alternative alla guerra e delle condizioni per la sua abolizione”.

Pasquale Pugliese (continua qui)

giovedì 11 aprile 2024

Quando uno è bravo, è bravo... grazie, Sandro!

Palermo, Porta Mazara: scala verso il cielo...





Foto (e didascalie) pubblicate sono dell’amico Sandro Riotta: giudicate voi se è bravo…


(qui e qui altri suoi magnifici scatti)












Palermo, spiaggia di Romagnolo: fiori di convolvolo


PA, spiaggia di Romagnolo: fiore di malva, che si 'insinua' tra i convolvoli


Monreale, Palazzo comunale, scorcio




Palermo, Cubula o Piccola cuba, prima e dopo il restauro.
Gli scavi archeologici, compiuti nel 2020 con la direzione scientifica dell’archeologo spagnolo Julio Navarro Palazón e della soprintendente Lina Bellanca e con la collaborazione del geologo Pietro Todaro, hanno messo in evidenza all’interno della Cubula l’“impronta” rimasta della piccola vasca circolare il cui zampillo impreziosiva la vista di questo edificio, riedificato dai Normanni su un’analoga struttura araba preesistente.
L’acqua giungeva a pressione in questa vasca grazie a una conduttura interrata, proveniente dalla rete di canali dell’antico Genoardo, sfruttando sapientemente la naturale pendenza del terreno. 


Palermo, Piccola Cuba:  Genoardo Jannat al-ard Paradiso della terra


Porto di Palermo, 24 febbraio 2024

Cupola 'nascente' dalla chiesa di san Cataldo - Palermo



martedì 9 aprile 2024

Fraternità chiusa e aperta, secondo Edgar Morin

     "Attenzione, però: c’è la fraternità chiusa e la fraternità aperta. La fraternità chiusa si richiude sul “noi” ed esclude chiunque sia straniero a questo “noi”. Anche il nemico suscita la fraternità patriottica, ma la suscita evidentemente contro di lui, che spesso viene persino escluso dall’umanità.
    La patria suscita una fraternità ambivalente: questa parola comincia con un maschile paterno e termina in un femminile materno; porta in sé l’autorità legittima del padre e l’amore avvolgente della madre. Le dobbiamo dunque obbedienza e amore. Ma questa fraternità si chiude ermeticamente e disumanamente nel nazionalismo che considera la propria nazione superiore alle altre, legittimandosi così a opprimerne un’altra.
    All’opposto del nazionalismo, invece, il patriottismo permette una fraternità aperta, particolarmente quando riconosce piena umanità allo straniero, al rifugiato, al migrante. Può portare in sé il sentimento d’inclusione della patria nella comunità umana, che è oggi comunità di destino di tutti gli esseri umani del pianeta (…).
    Non dimentichiamo anche che la fraternità infrange la legge di qualunque regime che comporti discriminazione e oppressione. Così, sotto Vichy e sotto l’occupazione tedesca, umili contadini, certi custodi in città e alcuni aristocratici ospitarono ebrei, stranieri illegali o combattenti della Resistenza, a rischio della propria vita. (…)
    Ma oggi, purtroppo, benché la frase Libertà, Uguaglianza, Fraternità abbia rimpiazzato il Lavoro, Famiglia, Patria, motto di Vichy, le azioni di fraternità di umili contadini alpini che aiutano e ospitano rifugiati, vittime di disgrazie e miserie, nel tentativo di attraversare le Alpi, sono perseguitate dalla giustizia francese, e la fraternità diviene di nuovo delitto e crimine."

Edgar Morin  La fraternità, perché?
 Fondaz. Apost. Actuositatem Roma 2021, pp.15,16,17

domenica 7 aprile 2024

Ad Agrigento fioccano le polemiche sul Telamone innalzato

       Palermo – Il Telamone, colosso in pietra di circa otto metri, è tornato in posizione eretta a fine febbraio scorso nel Parco archeologico di Agrigento: sarà uno dei simboli della città, capitale italiana della cultura per il 2025. L’opera di ricostruzione dei pezzi, iniziata già nel 2006, è stata infatti completata e i resti del Telamone sono stati assemblati su uno scheletro di acciaio, posto poi in verticale.
      Il Telamone era una delle statue che raffiguravano Atlante: il titano che, per aver osato sfidare con i suoi fratelli il grande Zeus, venne da questi condannato a reggere per sempre la volta celeste. Secondo le ricostruzioni archeologiche, la statua reggeva la trabeazione del tempio di Zeus Olimpio, eretto dopo la vittoria del 480-479 a.C. sui Cartaginesi, quando Agrigento, allora chiamata Akragas, era governata dal tiranno Terone. Il tempio, il maggiore all’interno dell’antica Akragas, era anche uno dei più grandi dell’antichità. Descritto come magnifico da Diodoro Siculo e celebrato da Polibio, si calcola fosse grande come un campo di calcio e alto come un palazzo di 13 metri. 
    Purtroppo nel 1401 l’intera costruzione crollò completamente per un terremoto. E, come ricorda con rammarico Andrea Camilleri nel libro La strage dimenticata, a metà del 1700 una parte dei resti del tempio furono addirittura utilizzati come materiale per realizzare i moli di attracco della cittadina di Porto Empedocle. 
    Solo nel 1928 fu poi effettuata una campagna di scavi che riportò alla luce altri reperti risalenti al tempio di Zeus, tra cui i resti di quattro telamoni. Quello ora innalzato e ricostruito interamente (con il sostegno economico della Regione Siciliana) è frutto dell’assemblamento dei resti dei quattro giganti di pietra.
     Subito dopo la presentazione ufficiale del Telamone in posizione verticale, il Museo archeologico nazionale di Venezia, dalla sua pagina Facebook, ha però ironizzato sulla poderosa figura e sull’intera operazione culturale messa in campo dal Parco archeologico di Agrigento. Il Telamone, infatti, viene messo a confronto con una statua romana di Marco Agrippa, ammiraglio dell’imperatore Augusto (esposta nel museo veneziano) e si ipotizza di incidere su una sorta di marmorea lapide virtuale queste parole: «Da un lato abbiamo una scultura colossale, eretta in un contesto artistico di valore mondiale, che svetta imponente ed emoziona il pubblico per forza evocativa e massa monumentale. Dall’altra abbiamo un Telamone. Messer Agrippa vi aspetta al Museo archeologico nazionale di Venezia. Cosa aspettate?».
    Il post è stato poi cancellato, ma intanto era divampata la polemica. 
    L’architetto siciliano Francesco Ferla ha scritto così al direttore del Museo archeologico nazionale di Venezia: «Abbiamo letto il pessimo post della vostra pagina, e siamo rimasti stupefatti. (…) Il post ridicolizzava il telamone del 480 a.C. del Tempio di Zeus di Akragas e lo metteva in una gara improbabile con una vostra opera. Nessuno di noi ha mai pensato di paragonare uno dei nostri preziosissimi kouroi greci con la vostra statua romana. Le gare sul patrimonio artistico non ci interessano. Stiamo parlando dell’area archeologica di Agrigento, una delle più importanti del mondo. Il telamone irriso faceva parte del più grande tempio della grecità: forse occorrerebbe un po’ di rispetto».
     Ma, commenti veneti irriverenti a parte, il Telamone innalzato non piace neppure al siciliano Alfonso Leto, pittore e critico d’arte, che, sempre su Facebook, scrive: “A me questa "operazione innalza-Telamòne" sembra più 'un'idea grande' che 'una grande idea'. Mi ricorda piuttosto una frase di Viaggio al termine della notte di Cèline quando Bardamu parla di come si vuol morire: cremazione o sepoltura? "Meglio essere tumulati interi, che arrostiti; in fondo uno scheletro somiglia di più ad un uomo". E qui mi pare che siamo proprio 'allo scheletro': un pupazzo piuttosto buffo, direi, per via delle sue consunzioni e mutilazioni plastiche dovute all'usura del tempo...Uno scheletro messo in piedi (assemblando pezzi di vari telamoni): posizione innaturale per dei ‘resti antropomorfi’ che la posizione orizzontale avrebbe meglio presentato e fatti accettare: nell'austerità irreversibile della 'rovina', del loro eterno e indisturbato riposo.”
    Che dire? Al di là del controverso posizionamento del Telamone, chissà quanto se la ride il grande Zeus, dall’alto dell’Olimpo, per questo vano cianciare quaggiù tra i mortali…

Maria D'Asaro, 7.4.24, il Punto Quotidiano

sabato 6 aprile 2024

La fraternità, secondo Edgar Morin

Marco Lodola: Il grande abbraccio (serigrafia; da qui)
      Libertà, uguaglianza, fraternità… questi tre termini sono complementari, eppure non si integrano automaticamente tra loro. Perché? Perché la libertà, soprattutto economica, tende a distruggere l’uguaglianza, come vediamo oggi con l’espansione di questo liberalismo economico che provoca enormi disuguaglianze.
     Al tempo stesso, imporre l’uguaglianza mette a rischio la libertà. Il problema è allora quello di saperle combinare. Ma se si possono scrivere norme che assicurano la libertà o che impongono l’uguaglianza, non è possibile imporre la fraternità tramite la legge. (…) Certo, esistono delle solidarietà sociali – come la previdenza sociale o il sussidio di disoccupazione – ma sono organizzate burocraticamente, e non possono offrire quel rapporto affettivo e affettuoso, da persona a persona, che è la fraternità. 
     La trinità libertà-uguaglianza-fraternità, peraltro, è del tutto differente alla Trinità cristiana, in cui i tre termini si inter-generano. Al contrario, dobbiamo associare e combinare libertà e uguaglianza, a costo di fare dei compromessi tra questi due termini, e suscitare, svegliare o risvegliare la fraternità.
     La fraternità, allora, ci pone un problema: non può essere imposta dall’alto o dall’esterno; non può venire che dalle persone. La sua fonte è dunque in noi. Dove? 
Ogni individuo ha, in quanto soggetto, due quasi-software in sé. Il primo è un software egocentrico: ‘me-io’ (…). Questo software è necessario giacché, se non lo avessimo, non saremmo portati a nutrirci, a difenderci, a voler vivere. Ma esiste un secondo software che si manifesta sin dalla nascita, quando il neonato attende il sorriso, la carezza, la cullata, lo sguardo della madre, del padre, del fratello. (…) 
     Gli esseri umani hanno bisogno dello sbocciare del proprio ‘io’, ma questo non può prodursi pienamente che all’interno di un ‘noi’. L’io senza ‘noi’ si atrofizza nell’egoismo e sprofonda nella solitudine. L’io ha bisogno del tu, vale a dire di una relazione da persona a persona affettiva e affettuosa. 
     Pertanto, le fonti del sentimento che ci portano verso l’altro, collettivamente (noi) e personalmente (tu), sono le fonti della fraternità. 
Edgar Morin  La fraternità, perché?
 Fondaz. Apost. Actuositatem Roma 2021, pp.13,14