sabato 17 settembre 2016

I jeans di Bruce Springsteen

       Visitare gli USA non è alla portata di tutti. Silvia Pareschi – che traduce in italiano scrittori americani prestigiosi come Jonathan Franzen, Don DeLillo, Claire Messud, Zadie Smith, Cormac McCarthy - con I jeans di Bruce Springsteen, e altri sogni americani (Giunti, Milano, 2016, €15) ci offre un imperdibile viaggio virtuale negli States, attraverso un reportage autobiografico nell’America a stelle e a strisce, che inizia a bordo di un veicolo da lavoro, un pick-up rosso scuro che attraversa Skyline Boulevard “stretta striscia d’asfalto tra foreste e cielo che guarda da una parte l’imbruttita Silicon Valley e dall’altra l’oceano” e, con un geniale capovolgimento temporale, termina nell’estate del 1985, quando Silvia concludeva il suo primo viaggio negli USA con una rocambolesca traversata in autobus da San Francisco a New York, e da qui a Freehold, nel New Jersey, dove il sarto Ralph le donava un paio di jeans di Bruce Springsteen, cantante rock per cui la ragazza sedicenne andava in delirio. 
Col suo sguardo acuto e disincantato, che non ha perduto comunque la freschezza e la curiosità dei sedici anni, e col suo incalzante ritmo narrativo, trascinante come le funzioni gospel alla Glide Church, Silvia Pareschi ci prende per mano e ci fa condividere le sue esperienze: in California, nei pressi della residenza per artisti di Carl Djerassi, incontriamo un puma e la “wilderness”: “un luogo reale, concreto, dove (…) «la terra e la vita che la abita non sono in alcun modo vincolate dalla presenza umana, e dove l’uomo stesso è un visitatore non destinato a restare», respirando “il profumo della California, un po’ americano e un po’ mediterraneo, in cui l’aroma del legno rosso si mescola a quello della salvia, della resina e degli arbusti spinosi”. Con Silvia entriamo nella St. John Coltrane, battendo le mani al ritmo della musica jazz; per incamminarci poi in una marcia pacifista insieme a Jun-san, monaca buddista giapponese “con un asciugamano giallo annodato sopra la testa rasata, una giacca a vento gialla, calzoni da lavoro e stivali di gomma infangati”. A San Francisco visitiamo persino il Palazzo del Porno e conosciamo uno strano ordine monastico: Le Sorelle della Perpetua Indulgenza, a cui appartengono gay, donne e transessuali; nella Grace Cathedral assistiamo al funerale dell’Imperatrice di San Francisco: al secolo Josè Carria, celebre “drag queen” fondatrice dell’Imperial Court System, i cui membri assumono titoli nobiliari.
      Punto privilegiato di osservazione è quindi San Francisco, ormai residenza americana dell’autrice: “culla della new age e delle good vibrations”; “rimasta estrema e un po’ selvaggia come ai tempi in cui era la frontiera della corsa all’oro. Dev’esserci qualcosa nell’aria, la polvere delle ossa dei cercatori d’oro che si mescola al vento dell’oceano e crea un’alchimia che rende tutto estremo, libertà, follia, genio, ricchezza, miseria.” Una San Francisco divisa tra ricchi e poveri, bianchi e neri: dove “due bambini neri si divertono con un gioco pericoloso (in una città) dove molti bambini bianchi girano con il casco anche in casa, perché non si sa mai, gli spigoli”; e sui cui marciapiedi “scorre la lunghissima fila di gente che aspetta il pasto gratuito … e la strada è popolata da figure spettrali, gente con i vestiti stracciati e lo sguardo allucinato.” Infatti: “In un paese dove non esistono reti di sicurezza, dove quando si cade ci si fa male sul serio (…) perdere tutto e finire sulla strada è spaventosamente facile”. Il meglio che può capitare, visti i costi esorbitanti della Sanità, è che la gente comune per curarsi i denti vada in Messico o in India. 
     Perchè talvolta i sogni americani si trasformano in incubi: come per le 918 persone, vittime nel 1978 del fanatismo omicida del reverendo Jim Jones; come per gli abitanti di New Orleans, per i quali salvarsi dall’uragano Katrina – raccontato in modo magistrale attraverso l’odissea “noir” di Lillian e Arthur - fu anche un fatto di classe: “Andarsene era costoso, bisognava avere i soldi per l’albergo e la benzina, e, in una città dove il 22% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà (…), la fuga non era alla portata di tutti.”  Alla fine si contarono quasi 2000 morti, in una New Orleans devastata dove “sotto un cielo di ardesia (…) spuntavano i tetti delle case … affollati di persone con le braccia disperatamente tese verso gli elicotteri che li sorvolavano indifferenti. (…) L’acqua … aveva liberato le bare dalle tombe, e adesso quella zona era diventata un cimitero galleggiante.”
     Grati a I jeans di Bruce Springsteen che con “calviniana” leggerezza ci hanno permesso di conoscere gli USA meglio di un libro di Storia, ci congediamo dalla nostra “narrastorie” col desiderio di altri racconti. Cara Silvia, a quando il ritrovamento di altri “jeans”?! 

                                                                    Maria D’Asaro:“Centonove” n.34 del 16.9.2016 pag.30

7 commenti:

  1. Grazie grazie! Oggi sono a Pordenonelegge, e la tua bella recensione mi incoraggia assai! :-)

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    1. @Silvia Pareschi: la preziosità del tuo reportage è tale che ne ho regalato una copia a mio figlio!

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  2. Ho letto mia cara questo libro, e a proposito dei jeans del Boss, c'è molta leggenda attorno, perchè si... avrà senza alcun dubbio contattato il venditore , ma forse ho il dubbio che i calzoni fossero simili ma non gli autentici, come poi si favoleggiava in giro..
    Comunque brava osservatrice e ottima scrittrice.
    Grazie mia cara per queste perle che ci regali
    Bacio serale!

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    1. @Nella Crosiglia: grazie per la tua visita e l'apprezzamento. Ricambio con abbraccio mattutino!

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  3. "Col suo sguardo acuto e disincantato, che non ha perduto comunque la freschezza e la curiosità dei sedici anni", è proprio così! La leggerezza di Calvino... anche nelle tue belle parole.

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    1. @Santa S: grazie per l'apprezzamento sentito e affettuoso. Buona giornata. Un abbraccio.

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