domenica 30 dicembre 2018

L'anno che verrà ...


        Cosa è un classico? Un testo che, con stile originale, esprime qualcosa che tocca il cuore e la mente dei lettori: parole ‘evergreen’, sempre valide nonostante il tempo trascorso dal passato in cui sono state scritte rispetto all’oggi in cui vengono fruite. 
    Classiche sono le opere di Giacomo Leopardi, non solo le splendide poesie, ma anche gli scritti in prosa. In questi giorni di passaggio tra l’anno vecchio e il nuovo, è il caso di rispolverare una delle sue ‘Operette morali’, Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere. Il dialogo, scritto nel 1832, è ambientato per strada, in una città anonima in cui un passante (passeggere) si sofferma a parlare con un venditore di calendari. A quest'ultimo, che gli propone appunto l'acquisto di un 'almanacco' per il nuovo anno, il passante chiede se l’anno nuovo sarà felice: – Certamente! – risponde il venditore. Inizia così fra i due uno scambio di battute durante il quale il venditore, pur sostenendo che la vita è una cosa bella, incalzato dalla lucida e stringente dialettica del passante, è costretto ad ammettere che non ci sono stati anni particolarmente felici nella sua vita trascorsa, anni a cui vorrebbe somigliasse l’anno venturo. Il dialogo si conclude quindi con la reciproca ammissione che la felicità consiste nell’attesa di qualcosa che non si conosce, nella speranza di un futuro diverso, migliore del passato e del presente: Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Così il venditore riprende il suo cammino e il testo termina con la stessa battuta con cui è iniziato (Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi), a sottolineare così il ripetersi delle vicende umane e l’impossibilità del cambiamento.
        Al pessimismo razionale di Leopardi, fanno eco gli ironici versi canori di “Caro amico ti scrivo” del compianto Lucio Dalla:Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’, e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò./Da quando sei partito c’è una grossa novità: l’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va:/si esce poco la sera, compreso quando è festa; e c’è  chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra. (…) Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando./Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno (…) Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno, anche i muti potranno parlare, mentre i sordi già lo fanno/E si farà l’amore ognuno come gli va/anche i preti potranno sposarsi, ma soltanto a una certa età ...”. E Dalla,  cantautore italiano ‘evergreen’, conclude così la canzone: “Vedi, caro amico, cosa si deve inventare per poter riderci sopra, per continuare a sperare …”.
        Perché, a ben pensarci, non ci si può fare troppe illusioni sull’anno che verrà: a chi avrà la grazia di viverlo, spetta invece la responsabilità di connotarlo con la sagacia e la saggezza delle posizioni sociali e politiche, con la lungimiranza e il buon senso delle scelte ambientali ed ecologiste e, perché no, con gesti di generosità e di bontà. Buon 2019 allora. 
       E, per tutti, l’auspicio del Mahatma Gandhi: “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.


Maria D’Asaro, Il Punto Quotidiano, 30.12.2018





venerdì 28 dicembre 2018

Palermo, capitale italiana dell'immondizia

        Nostra Signora con l’ecologia era davvero fissata. Da quando, all’inizio degli anni ‘70, aveva recepito le riflessioni del Club di Roma, le quattro R – ripara, riusa, riduci, ricicla – erano il suo vangelo quotidiano. Di ogni cosa si chiedeva: è necessaria? quanto inquina? come si ricicla? Per lei l’acquisto di ogni oggetto, specie se di ‘filiera lunga’ e con conseguente sovraccarico per il pianeta, era un vera tortura.  E poi si sforzava il più possibile di diminuire la quantità dei rifiuti: sebbene la differenziata fosse sconosciuta nel suo quartiere di periferia, da tempo immemore aveva sette contenitori diversi per la spazzatura: batterie esauste, vetro, carta, plastica, olio, rifiuti organici (che conferiva da anni nella compostiera della sua scuola) e indifferenziata, che era davvero poca e portava giù forse ogni sette giorni. Per cui, i mucchi di rifiuti sotto casa, non raccolti da settimane, davvero no, proprio no, non li meritava …
Maria D’Asaro 

lunedì 24 dicembre 2018

Viaggiu dulurusu: il senso del Natale in una novena siciliana

           C’era una volta in Sicilia, tanti anni fa, assai prima che il Natale venisse trasformato in una gigantesca kermesse commerciale, la “ninnaredda”: una sorta di nenia musicata eseguita da cantastorie nei nove giorni che precedono la notte di Natale, e per questo chiamata anche novena. I “ninnariddari” erano poveri suonatori di violino, a volte ciechi, che andavano in giro di mattina presto per città e paesi della Sicilia soprattutto occidentale, fermandosi davanti alle porte delle case per far ascoltare la novena. Alla fine delle cantate, il 24 dicembre i “ninnariddari” ripassavano davanti alle abitazioni per riscuotere un’offerta. Ad essi potevano affiancarsi i “Ciaramiddara”, suonatori di “ciarameddi” (una sorta di cornamuse) che, invece, si esibivano di sera e giravano in coppia con il suonatore di flauto. 
          Il testo canoro più diffuso nel tempo è stato “Il Viaggiu dulurusu di Maria e di san Giuseppe”, composto verso la metà del 1700 da Binidittu Annuleru, nome anagrammatico di Antonino Diliberto, prete della diocesi di Monreale.
             Ecco cosa scrive don Cosimo Scordato, nel testo “Narrazione, Teologia, Spiritualità del Natale” a proposito del “Viaggiu dulurusu”: “Il testo presenta un perfetto andamento metrico: ciascun giorno ha nove strofe ripetendo così al suo interno il ritmo della novena; solo l’ultimo giorno ha tredici strofe. Tutte le strofe sono sestine di ottonari con rime ababcc. (…) Il Viaggiu rispetta profondamente i motivi e i temi religiosi della sua ispirazione, ma ciò con toglie che attraverso il racconto si possano intravedere ambiente, scenario, abitudini, comportamenti tipicamente siciliani. Si tratta infatti di una vera e propria inculturazione. Gli episodi si svolgono come se avvenissero in Sicilia. (…) La storia del viaggio di Maria e di Giuseppe e la verità di esso passa attraverso la mediazione del linguaggio siciliano, delle immagini e dei colori di una terra, dei sentimenti di una comunità che unisce e lega la sua storia e la propria vita ai contenuti di cui il racconto si fa portatore. (…) L’esperienza siciliana del viaggio cerca il suo senso compiuto in ciò che avviene nei personaggi biblici di Maria e Giuseppe”. 
              Alcune sestine narrano il patire di Maria e Giuseppe che, essendo poveri e stranieri, non trovano alloggio e riparo a Betlemme ed esprimono una sensibilità straordinariamente attuale: Cincu jorna di camminu/fari insiemi bisugnaru/caminannu di cuntinu/senz'aviri nuddu mparu/Stanculiddi ed affannati,/ puvireddi disprizzati: Cinque giorni di cammino/ hanno dovuto fare insieme/camminando sempre/senza avere alcun aiuto e riparo/Stanchi e provati/poveri e disprezzati; Cussi stanchi, ed affannati/ ntra lu friddu caminavanu,/ nun truvandu mai pusati,/pirchì tutti li sprizzavanu;/puvireddi li vidianu/pocu cuntu nifacianu: Così, stanchi ed affaticati/ camminavano col freddo/non trovando alcuna ospitalità/perché tutti erano sprezzanti con loro /in quanto erano visti come poveri/e quindi non erano degni di considerazione.
            Nel 1995, il regista Pasquale Scimeca ha tratto un film da “Viaggiu dulurusu”: nel film la storia di Maria e di Giuseppe viene ricontestualizzata sullo sfondo dell'entroterra siciliano, segnato dall'indifferenza, dalla marginalità, dalla speculazione edilizia, dalla mafia.
           E Binidittu Annulero, alias Antonino Diliberto, sarebbe fiero di assistere, il 2 gennaio 2019, alle ore 19,00, alla rappresentazione  del suo "Viaggio Dulurusu"  - con musiche di Cosimo Scordato e Vincenzo Mancuso – all’interno della splendida Cattedrale di Palermo! Buon Natale a tutti.

Maria D’Asaro, Il Punto Quotidiano

sabato 22 dicembre 2018

Prof. Angelo Baccarella: presente

            Giovedì  20 Dicembre l’aula master del Dipartimento di Scienze economiche, aziendali e statistiche dell’Università degli Sudi di Palermo è stata intitolata al prof. Angelo Baccarella, Lettore di Lingua Inglese presso la stessa Facoltà, morto a  57 anni il 30 giugno 2018 per un cancro alla laringe.
          Le docenti Marcella Romeo e Loredana Sferrazza, che lo hanno ricordato assieme ad altri Docenti del Dipartimento e al prorettore vicario professor Fabio Mazzola, hanno parlato di lui come una persona dal carattere forte e tenace, ma anche umile e discreto, dotato di un 'understatement' raro e prezioso. Tutti hanno sottolineato il suo garbo, la sua intelligenza e la sua grande umanità e disponibilità.
         La moglie, la professoressa Rosa Nocera, ha condiviso alcune memorie personali, ha ringraziato tutti per l’iniziativa e nel ricordarlo come Docente ha detto:  -  Angelo aveva il DNA del professore: era un uomo che amava profondamente lo studio e la formazione. -
       
       Ho avuto la fortuna di conoscere il prof. Baccarella: i nostri figli, per tanti anni, hanno percorso insieme l’esperienza scout. Così noi genitori abbiamo condiviso pranzi comunitari, promesse scout, cammini nel bosco. E poi ci univa una certa formazione ‘impegnata’ (Angelo, tra l’altro, ha svolto attività di volontariato come membro della LVIA, Lay Volunteers International Association, e dell’associazione Vivi e lassa Viviri. Nel 2011 ha anche fondato il movimento civico Voci Attive).
      Angelo era molto di più di quello che è stato detto giovedì scorso nell’Aula Li Donni, all’Università. Era davvero una gran bella persona. Capace di reggere splendidamente il pubblico e il privato: ottimo docente, splendido padre e marito, cittadino esemplare.
                Il problema è che la morte è bastarda, e la morte precoce per cancro ancora di più.
Ma, come scrive sua moglie Rosa nel libretto che raccoglie ricordi e poesie di suo marito, “Sol chi non lascia eredità d’affetti/poca gioia ha dell’urna …" E Angelo, conclude Rosa: "Ha lasciato una grande eredità affettiva ed intellettuale a me, ai nostri figli, ai suoi studenti, ai colleghi, agli amici e a tutte le persone che lo hanno conosciuto”.
                     E’ vero, Rosa carissima. Purtroppo, come canta l’amato Bob Dylan, non c’è risposta ai tanti perché sulla vita e sulla morte. Angelo comunque vivrà per sempre nel cuore dei tanti che lo hanno conosciuto e stimato.



martedì 18 dicembre 2018

Hanno ammazzato Antonio: Antonio è vivo ...

      Antonio Megalizzi è il giornalista italiano ventottenne ucciso nell’agguato al mercatino di Natale l’11 dicembre scorso a Strasburgo, attentato compiuto dal ventinovenne Cherif Chekatt, che in carcere si era “radicalizzato” nel fondamentalismo islamico. L’azione è stata rivendicata dall’ISIS.

«I giovani come Antonio Megalizzi sono la nuova maggioranza silenziosa: la generazione meglio istruita, più cosmopolita e più globale della storia. I media non si accorgono di loro perché non sono violenti. E il mondo politico non se ne accorge perché i partiti odierni non li rappresentano».
Così ha scritto il giornalista Simon Kuper, Columnist del Financial Times (ringrazio la giornalista Lucia Goracci che ha postato la testimonianza nella sua pagina FB)

Ed ecco, sempre dalla sua pagina FB, la testimonianza di un amico di Antonio, Andrea Fioravanti (ringrazio mio figlio Riccardo Mariscalco per averla condivisa)

Se scrivo è solo perché tutti devono sapere chi abbiamo appena perso. Antonio Megalizzi non era solo un collega o un amico: era un fratello. Antonio era il migliore di tutti noi. Amava la radio, la politica, il giornalismo, l’Europa. Chi non lo conosce non apprezzerà mai la sua voce unica, il suo sguardo ironico sul mondo, la sua grazia ed empatia con le persone, la sua voglia di raccontare la realtà.
Non scorderò mai, mai, mai i nostri discorsi a occhi aperti in un Parlamento europeo vuoto con le luci soffuse, quando tutti erano già andati a cena. C’eravamo solo noi e gli inservienti, fino a tardi a preparare le interviste del giorno dopo, ad arrovellarci su come rendere semplice il linguaggio degli eurocrati per i nostri coetanei. Eravamo lì a sognare di diventare grandi giornalisti. Lui lo era già.
Non scorderò mai come preparava con professionalità, lucidità, con amore da artigiano della parola le dirette e le interviste agli eurodeputati. Riusciva sempre a stemperare la tensione, ad alleggerire, a semplificare. Non scorderò mai quella corsa divertita per intervistare Farage, quegli sguardi complici in mille dirette dal Parlamento per non sovrapporci, le riunioni fiume, le risate, i commenti ironici su whatsapp, i nostri pranzi e cene in mezza Europa davanti a una mensa, un piatto di canederli o un panino di autogrill prima di partire in bus, treno o auto verso la diretta successiva. Ricorderò tutto, anche le nostre chiacchierate con Bartek e i suoi folli tour culturali per Strasburgo che prendevamo in giro ma in fondo amavamo. Ricorderò tutto perché sei vivo nei miei ricordi, nei nostri ricordi.
Ogni giorno degli ultimi tre anni abbiamo costruito da zero un progetto a cui non credeva nessuno. Nessuno. Volevamo raccontare l’Europa e la sua politica ai nostri coetanei.
Antonio non meritava di finire su tutti i giornali per una insulsa pallottola di un terrorista. Meritava di raccontare l’Europa e il mondo come sognava di fare per lavoro. Sognava di farlo per sempre. Sognava un’Europa diversa e io non lascerò morire quell’idea. Noi di Europhonica non permetteremo che tutto sia vano.
Il Parlamento europeo dovrebbe intitolarti mille borse di studio, l’Aula di Strasburgo per la tua voglia, il tuo impegno anche quando non c'erano i soldi ma solo la passione.
Abbiamo perso il migliore di noi. Il migliore. Ho perso un fratello. . Ciao Antonio. Nec flere, nec ridere, sed intelligere. Sarà difficile ma lo farò per te, con la tua ironia. Ti voglio bene. 
Andrea Fioravanti, pagina FB

Infine, ecco le riflessioni ad alta voce, sempre in FB, del dott. Gioacchino La Greca, che condivido:

E così anche Antonio Megalizzi, il bello e povero Antonio giornalista, se l'è cercata! 
Anche lui se l'è voluta, perché alla fine lo hanno ucciso quegli stessi extracomunitari (che poi già era nazionalizzato francese da almeno 10 anni poco importa) che lui voleva fossero integrati e non discriminati.  In una Europa libera e aperta a tutti i popoli.
E la finissero questi falsi buonisti che predicano l'accoglienza degli extracomunitari: sono tutti terroristi, meritano di annegare in mare, e bravo Salvini che chiude i porti, prima o poi toccherà anche a loro...
No, non se ne può davvero più. 
Ci sono così tanti esseri umani ridotti in miseria umana col cervello di un umanoide, di un primate del pleistocene, che ragionano così: sei donna e giri di notte sola? se ti stuprano è colpa tua. 
Sei donna e ti vesti provocante? Se ti aggrediscono in 4 o 5 te la sei voluta. 
Sei giovane e ti piace andare ai concerti di musicademmerda ( così la definiscono gli illuminati): te la sei cercata se muori calpestato dalla calca. 
Sei migrante e nero? è colpa tua che anneghi in mare, stattene a casa. 
Siamo essere umani? (…)

domenica 16 dicembre 2018

I fenicotteri colorano di rosa la Sicilia

          Da nordovest a sudest, dalle Egadi alle Saline di Priolo, da Vendicari al lago di Pergusa, sino a Lampedusa e Pantelleria, in primavera e in autunno in Sicilia nidificano e transitano centinaia di fenicotteri. Nella scorsa primavera, i grandi uccelli rosa stati avvistati nel centro dell’isola, in provincia di Enna, nei pressi del lago di Pergusa, riserva naturale ricca in biodiversità. 
          Sempre in primavera, oltre settecento esemplari sono poi arrivati alle Saline di Priolo, vicino Siracusa, nell’oasi gestita dalla Lipu (Lega Italiana Protezione Uccelli). In quest’area protetta, caratterizzata da dune, vegetazione palustre e macchia mediterranea, i volontari della Lipu, dal 2015 ad oggi, hanno verificato il ritorno dei fenicotteri adulti in precedenza marcati attraverso un anello. Agli esemplari già identificati, quest’anno si sono aggiunti nuovi individui, provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo: nella colonia di Priolo sono state contate ben 403 coppie di volatili. "Inoltre – ha dichiarato Federico Militello, delegato Lipu della provincia di Siracusa - da questa stagione riproduttiva le Saline di Priolo non sono più l’unico sito di riproduzione della specie in Sicilia. Alle nostre Saline si è aggiunta infatti l’oasi faunistica di Vendicari, divenuta ormai il secondo sito di nidificazione dei fenicotteri in Sicilia. Avere più siti permette alla specie di avere più chance di sopravvivenza e un maggior successo riproduttivo". Vendicari - che si trova a sudest della Sicilia, vicino Noto, cittadina famosa per il barocco dei suoi monumenti – in autunno si popola anche di tanti altri uccelli acquatici che scelgono questa zona della Sicilia per lo svernamento e la nidificazione; qui si riposano, prima di volare verso le coste africane.
           Nella stagione autunnale, un gruppo di fenicotteri è poi arrivato anche a Lampedusa e Pantelleria: le due isole, rispettivamente a Cala delle Palme e nei pressi del lago di Venere, offrono un luogo ideale per una sosta tra una migrazione e l’altra. A Pantelleria i fenicotteri si possono osservare assieme a gru e aironi. Questi uccelli sono una specie tranquilla che si avvicina agli uomini senza averne troppa paura. Il particolare colore rosato - e talvolta anche rosso vermiglio - delle loro piume è dovuto alla gran quantità di carotene contenuto in ciò di cui si nutrono, in prevalenza cianobatteri, crostacei e molluschi.
           Presenti anche alle Egadi, nella laguna dello Stagnone vicino Marsala, in autunno il rosa dei fenicotteri si fonde con il suggestivo paesaggio delle saline e con i tramonti rosso fuoco sul mare, offrendo ai visitatori un incantevole panorama.
Maria D’Asaro,  Il Punto Quotidiano,16.12.18

venerdì 14 dicembre 2018

Io mi chiamo R.

                        I loro nomi iniziano con R. Alle elementari erano seduti accanto: Ri. era molto bravo in aritmetica e imparava a memoria tutta la recita di Natale, Ro. era più lento e incerto. Insieme anche per la I comunione, entrambi con gli occhi sgranati e le manine giunte. Nella stessa scuola anche alle medie: promossi ogni anno, ma uno con ottimo, l’altro con sufficiente. 
          Poi le loro strade si dividono: uno maturità scientifica e ingegneria, l’altro abbandona al secondo anno l’alberghiero. Ora sono uomini adulti: uno lavora a Milano, l’altro fa il disoccupato a Palermo, ciondolando in un quartiere periferico  in compagnia di coetanei sfaccendati, tra un posto scommesse e un giardinetto senza bellezza. 
          Cosa ha fatto la differenza? L’intelligenza, il caso, la buona volontà? O anche il fatto che uno avesse a casa cultura e sostegno e l’altro un padre camionista precario e una madre casalinga con la quinta elementare?
Maria D’Asaro


mercoledì 12 dicembre 2018

Perché non possiamo non dirci (quasi) fascisti

Massimo Nava
       Riporto le riflessioni di Massimo Nava, giornalista, saggista e scrittore italiano (leggete qui se ne volete sapere di più). 
       Ringrazio Slec che ha riportato l’articolo nel suo blog, copiandolo da qui.

                    "Da più parti si stigmatizza l’uso a sproposito dell’aggettivo fascista, appiccicato come un insulto o come un giudizio politico denigratorio alla forma dell’attuale governo. Non si potrebbe che essere d’accordo se il termine fascista spingesse ad accostamenti automatici con la storia passata ed evocasse sistemi (torture, omicidi politici, deportazioni, leggi razziali, etc) ovviamente sconosciuti oggi e non previsti, almeno in Italia. Se tuttavia si analizzano in profondità la cultura politica che anima i leader del Movimento 5 Stelle e della Lega, i comportamenti, le dichiarazioni, il rapporto con gli elettori e il presupposto agire “in nome del popolo”, considerandone soltanto una parte, ovvero quella forse pentita che li ha votati, allora il termine “fascista può essere utilizzato per l’analisi della cultura che anima e ispira, anche inconsapevolmente, la leadership attuale.
                    Beninteso, anche a scanso di querele, non mi riferisco alle persone, né ai simboli, ma appunto al modo di rapportarsi all’elettorato, alla formazione delle decisioni, allo schema propagandistico organizzativo utilizzato per attuarle o spiegarne la mancata attuazione.
                    Mentre si diradano le assicurazioni su reddito di cittadinanza, legge Fornero, controllo dell’immigrazione, si vendono al popolo condoni edilizi e fiscali e fantomatiche congiure dei mercati e al tempo stesso si approfitta della posizione di maggioranza (o meglio di patto post elettorale) per occupare spazi di potere, promuovere amici degli amici, per lo più con dubbie qualità professionali.
Benedetto Croce

 (...) Basta rileggere Einaudi, Gramsci, Gobetti, Flaiano, Eco, e altri padri nobili della cultura liberista, cattolico popolare, socialista del Paese per chiedersi cosa ne rimanga nella forma di governo attuale e nel suo modo di procedere.

Un piccolo elenco fattuale di ciò a cui assistiamo:

ricerca del consenso con promesse elettorali non rispettate e non rispettabili.
violazione di trattati internazionali e del dettato costituzionale.
distruzione consapevole di finanze pubbliche e risparmio privato.
occupazione di spazi televisivi, manipolazione dell’opinione pubblica, ossessiva denuncia di                complotti internazionali e di “nemici del popolo”.
criminalizzazione di categorie professionali e sociali considerate fastidiose e disfattiste, come              giornalisti, magistrati, banchieri, intellettuali, stranieri immigrati, omosessuali. (...).
tradimento dei patti fra alleati di governo e criminalizzazione dei dissidenti interni.
assolutismo della parola del capo, delegittimazione del rappresentante ufficiale (in questo caso            l’inesistente premier Conte)
inesistente ruolo dei ministri economici piegati alla volontà dei leader.
non trasparenza delle forme organizzative di movimento e partito, essendo indiscussa la parola            di uno (Salvini per la Lega) ed eterodiretta da un’oscura piattaforma online (la Casaleggio e C.)          quella dell’altro (Di Maio).

        Linguaggio ai limiti della volgarità, riassumibile in slogan e affermazioni che hanno il solo scopo di alimentare consenso, sobillare sentimenti e nervi scoperti della popolazione, dirottare su altri obbiettivi il conto dei fallimenti e delle promesse non mantenute. È la logica del “me ne frego”, del “non arretreremo di un millimetro”, della ricerca del capro espiatorio.
        A questo si sommano banalità e indifferenza della maggioranza, il carburante dell’assolutismo di cui parlava Hannah Arendt.




lunedì 10 dicembre 2018

Appare la Madonna e ti cambia la vita: "Troppa grazia"

          Che succede se a una geometra precaria, Lucia Ravi, madre single con una figlia adolescente, mentre effettua un rilevamento catastale appare la Madonna? Succede che la poveretta, non credente e coi piedi per terra, teme di impazzire: si rifugia da un’amica e cerca l’aiuto di uno psichiatra. Ma la Madonna, scambiata prima per una profuga e poi per un’allucinazione, ripete le apparizioni e impone le sue richieste in modo assai poco canonico … E sconvolge davvero la vita di Lucia che, in un primo momento, aveva deciso di chiudere un occhio sulle irregolarità presenti nella mappatura catastale del terreno dove sarebbe stata costruita un’imponente opera edilizia.
         Questa la storia intrigante di “Troppa grazia”, film uscito nelle sale italiane il 22 novembre scorso, opera del regista Gianni Zanasi, che si è avvalso di una bravissima Alba Rohrwacher nel ruolo di Lucia e di un altrettanto convincente Elio Germano, nei panni del suo compagno. “Troppa grazia”, commedia originale e gradevole, pone agli spettatori interessanti spunti di riflessioni, offrendo nel primo tempo un buon intreccio con un frizzante ‘ritmo’ narrativo. 
        Peccato che il film, che scorre bene nella prima parte, si sfaldi nel secondo tempo, quando il regista non riesce a ricucire in modo coerente tutta la vicenda, forse perché intreccia troppi fili nella matassa della storia, che risulta così troppo arruffata e poco convincente. 
        Comunque, nonostante il finale piuttosto deludente, l’originalità della trama, l’ottima recitazione di Alba Rohrwacher, l’azzeccata colonna sonora curata da Niccolò Contessa, la bellezza e la luce del paesaggio (il film è stato girato nelle campagne tra Tarquinia, Acquapendente e Viterbo), consentono allo spettatore di uscire dal cinema, se non convertito e convinto, almeno pensoso e divertito. La suggestione della grazia celeste non dispiace mai, anche quando, come nel film, è davvero un po’ troppa …
Maria D’Asaro, Il Punto Quotidiano, 09.12.18


sabato 8 dicembre 2018

Immagina ...

San Francesco Saverio - Palermo
      "Care sorelle e fratelli, non sono pagine di terrorismo spirituale, perché questa pagina è Evangelo di Gesù, bella notizia che Gesù ci vuole dare, anche se non sempre viene facile decifrare questi testi che hanno un genere letterario particolare, apocalittico, di irruzione  della novità.
      Volendo semplificare al massimo, care sorelle e fratelli, il contesto era quello che sarebbe avvenuto da lì a pochi anni con la distruzione del tempio, e quindi una nuova situazione rispetto a quella precedente. Il tempio non è il fine della nostra umanità. Il fine della nostra umanità è che tutta l’umanità è il tempio del Signore, e quindi non abbiamo più bisogno di un tempio o di una chiesa di per sé.
      Ebbene, è come se il Vangelo ci volesse invitare a vivere le svolte della nostra storia, che avvengono continuamente e che devono trovarci preparati senza avere paura di guardare al futuro, a ciò che viene dopo, perché spesso, trattenuti dal passato, non riusciamo a immaginare un mondo migliore di quello che stiamo vivendo adesso.
      E spesso, per paura, accettiamo quello che abbiamo, convinti che quella è la situazione definitiva per tutti. Non è così. Di fronte agli sconvolgimenti della storia, l’invito che ci viene dal Vangelo è Risollevatevi e alzate il capo … Guardate l’orizzonte: sempre più grande del cielo che ci avvolge e di una storia che merita di essere più degna di quella che abbiamo costruito fino adesso. Una storia fatta spesso di distruzione e di morte, di grandi momenti anche di transizione e di maturazione … Ma l’appello che viene dal Signore è: Sollevate il capo, guardate in alto, pensate alla grande la nostra storia che è stata costruita nei segni di tante angustie geografiche, temporali, di confini, di muri alzati, di domini. 
      E tutto questo non è gradito al Signore. Ecco perché avvengono tanti fatti che non riusciamo a capire lì per lì, ma certamente l’umanità sta facendo pressione verso una unione fra tutti i popoli, neppure  i continenti soltanto, ma l’umanità tutta tout court è chiamata a vivere questa transizione epocale: che siamo italiani, europei, è importante per la nostra identità culturale e storica, ma che facciamo parte di un’unica umanità, questo è quello che dobbiamo maturare sempre di più e che deve farci rimettere in discussione tutte le acquisizioni del passato, che sono state belle perché hanno fatto superare i limiti precedenti. Certo, ne hanno creato di nuovi e dobbiamo superarli, dobbiamo rimetterci in cammino senza paura, anche se non sempre abbiamo le idee chiare sul da farsi, qui ed ora, immediatamente. Questo richiede una unità di intenti, di intelligenze, di voglia di cambiare in meglio per tutti, non in meglio solo per alcuni, a prezzo di altri che devono soffrire, no, questi rivolgimenti sono appelli che ci vengono da Dio perché pensiamo a una storia e a un mondo più degni di essere vissuti da tutti.
E in queste svolte epocali siamo invitati alla vigilanza Vegliate, apritevi bene gli occhi
       Cosa stiamo cercando? Ciò che ci può aiutare è che ogni idealizzazione umana è limitata. (…) Quindi ognuno lavori, faccia quello che può perché insieme possiamo realizzare un mondo migliore per tutti, ma sapendo che anche le nostre migliori realizzazioni sono limitate e non sono ancora il compimento che è Dio stesso, nella nostra vita, nella pienezza dei suoi doni. Ma già sin da adesso questa terra, questa storia rendiamola sempre più degna di essere vissuta e abitata. (…)
L’avvento, l’avvenire è sempre dinanzi a noi, sempre più grande di quello che noi riusciamo a fare … Ed è questa la bellezza della fede in Dio: che Dio ci fa pensare, rimette in movimento qualcosa di sempre più bello, più grande, più vero, più buono per tutti. (…)."

(Sintesi dell’omelia pronunciata da don Cosimo Scordato, il 2.12.18, I domenica di Avvento,  nella chiesa di san Francesco Saverio a Palermo: il testo non è stato rivisto dall’autore, eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle eventuali imprecisioni della trascrizione).

John Lennon è morto a New Jork l’8 dicembre 1980, ucciso da un fanatico. 
Grazie per la tua musica, John.




giovedì 6 dicembre 2018

Dove va la scuola italiana: l'open day

   (Ringrazio Slec per aver proposto  nel suo blog questa riflessione del prof. Mauro Presini)

      "Alcuni incontri che avvengono in queste settimane a scuola con le famiglie, prima delle iscrizioni, stanno diventando dei veri e propri spot pubblicitari. Ne ho il fondato sospetto da quando la scuola ha iniziato ad assomigliare sempre più ad un’azienda che ad un “organo costituzionale” [la definizione è di Piero Calamandrei] ed ha accettato di usare parole non appartenenti al proprio vocabolario (offerta, debiti, crediti, dirigente, bonus premiale, merito, ecc.).
Tali incontri – oggi va di moda chiamarli “open day” – non si facevano quando le famiglie erano obbligate ad iscrivere i propri figli nella scuola più vicina a casa; ora invece che non esistono più i bacini di utenza, dovrebbero servire ad informare i genitori sul funzionamento della scuola in Italia e sulle caratteristiche specifiche di quel determinato plesso. In tal modo le famiglie potranno iscrivere, a ragion veduta, i propri figli alla scuola che hanno scelto.
Quel che succede in questi cosiddetti “open day” è che una buona parte di scuole fa pubblicità a se stessa presentando i propri “prodotti” come fossero medaglie da esibire o articoli da vendere; infatti in una logica aziendalista la concorrenza viene legittimata, addirittura fra scuole statali.
Un’altra parte di scuole invece in questi incontri si prefigge l’obiettivo di informare e di presentare la propria organizzazione nel modo più oggettivo possibile; la competizione infatti risulta paradossale in una logica di scuola intesa come “organo costituzionale”.
Propongo alcuni sintetici confronti.
Nella logica aziendalista, la scuola A cerca di assicurarsi più alunni della scuola B così quella scuola e quel dirigente avranno più successo e più soldi. Nella logica costituzionale, la scuola A e la scuola B cercano di assicurare ai loro studenti un successo formativo più ampio possibile e dovrebbero vedersi assegnate le risorse necessarie per funzionare bene.
Nella logica aziendalista, la scuola mostra certificazioni, premi, riconoscimenti e brillanti risultati nei quiz Invalsi. Nella logica costituzionale, la scuola mostra se stessa “senza nascondere l’assurdo che è nel mondo” (Danilo Dolci).
Nella logica aziendalista, la scuola non accoglie le diversità perché impediscono il raggiungimento degli obiettivi prefissati che sono quelli dei progetti, dei premi, dei riconoscimenti e dei brillanti risultati nei quiz Invalsi. Nella logica costituzionale, la scuola accoglie le diversità perché favoriscono il raggiungimento degli obiettivi prefissati che sono quelli dell’apprendimento cooperativo, dell’integrazione fra culture diverse, di una cittadinanza consapevole e della socializzazione fra pari.
Nella logica aziendalista, la scuola è un servizio a domanda individuale: una specie  di supermercato dove si può comprare quel che si vuole. Nella logica costituzionale, la scuola è un servizio pubblico: una sorta di palestra di democrazia dove si impara meglio se si sta bene a scuola. (...)
A seconda del modello di scuola che gli insegnanti e i dirigenti hanno in testa e della logica nella quale si muovono, le riunioni con le famiglie e gli “open day” saranno improntati all’esibizione narcisistica dei propri prodotti oppure alla spiegazione di come aiutare gli studenti a stare bene per imparare meglio. (...)"

                                                                                    Prof. Mauro Presini, qui un suo breve profilo

mercoledì 5 dicembre 2018

Un tweet inopportuno: la separazione dei poteri

Gustavo Zagrebelsky, Docente di Diritto Costituzionale
     "La separazione dei poteri è uno dei principi cardine del costituzionalismo liberale e tale da connotare in buona parte le stesse democrazie costituzionali. Benché l’idea delle tripartizione delle funzioni fondamentali dello Stato (legislativa, esecutiva, giudiziaria) si ritrovi già in Aristotele, l’idea della separazione dei poteri è assai più recente ed è riconducibile a Montesquieu, il quale aveva messo in evidenza la necessità che queste tre funzioni fossero affidate a organi diversi, in posizioni di reciproca indipendenza tra loro, al fine di evitare che potesse essere minacciata la libertà.  (…)
     Il principio della separazione dei poteri ha poi trovato la sua massima realizzazione storica nelle grandi Rivoluzioni dell’età moderna e nei coevi documenti costituzionali. Sia quella inglese che quella americana che quella francese prevedevano, infatti, forme di organizzazione costituzionale caratterizzate da una rigida separazione dei poteri (…)
     D’altra parte, il fatto che la separazione dei poteri fosse la stella polare del costituzionalismo moderno è attestato all’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese del 1789, ove viene testualmente affermato che «ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata e la separazione dei poteri non è determinata non ha una costituzione».
Con il XIX secolo e l’affermarsi del regime parlamentare (…) il principio della separazione dei poteri viene riletto alla luce dell’evoluzione costituzionale: alla rigida separazione tra il potere esecutivo e il potere legislativo che caratterizzava le prime carte costituzionali si sostituisce l’idea – enunciata da W. Bagehot – della fusione dei poteri e, correlativamente, emerge un quarto potere distinto dagli altri tre, quello del Capo dello Stato, qualificato come «neutro». Successivamente, con l’avvento dello Stato democratico il principio della separazione dei poteri viene profondamente trasformato rispetto alle sue origini, tanto che alcuni studiosi hanno persino dubitato della sua effettiva vigenza nello Stato contemporaneo." (…)                                                                                                     (da qui)

domenica 2 dicembre 2018

Petralia Soprana è il Borgo dei Borghi 2018

      Petralia Soprana, il paese più alto delle Madonie, è stato proclamato Borgo dei Borghi italiani per il 2018 dal programma di RAI Tre Kilimangiaro, nella gara tra i comuni più belli d’Italia che si è conclusa la sera del 24 novembre, a seguito del responso congiunto della giuria di esperti e del televoto. 
     Petralia Soprana, circondata da boschi e avvolta dalla tipica macchia mediterranea, si trova in provincia di Palermo, all’interno del Parco delle Madonie. Anche se vi sono notizie dell’antica Petra già in epoca romana, la cittadina venne rifondata nell’undicesimo secolo, in epoca normanna, e tutt’ora conserva la sua struttura medievale, con l’antico castello, le torri e i bastioni. 
      Nel paese, che oggi conta circa 3.200 abitanti, ci sono varie chiese, tra cui Santa Maria di Loreto - antica fortezza trasformata in chiesa dai carmelitani scalzi e rifatta nel 1750 con pianta a croce greca e facciata barocca, con sculture dei fratelli Serpotta - e la chiesa madre dei Santi Pietro e Paolo, ricostruita nel  quattordicesimo secolo, che presenta in facciata due campanili, uno quattrocentesco e l'altro settecentesco, collegati da un portico di 18 colonne realizzate dai fratelli Serpotta; nel campanile settecentesco, nel 1998 è stata inserita una campana di 18 quintali ("campana dell'Unione"). Tra gli antichi palazzi degni di nota, da segnalare villa Sgadari, esempio suggestivo di architettura barocca. Petralia Soprana offre anche spettacolari panorami: dal belvedere Loreto si può ammirare l’intera vallata del fiume Imera e l’Etna sullo sfondo.
     All’annuncio della conduttrice della trasmissione televisiva, Camila Raznovich, in paese c’è stata una grande festa: in piazza del Popolo, nonostante il freddo, la gente ha brindato fino a notte inoltrata, sulle note della banda musicale. “Grazie all’impegno e alla collaborazione di tutti – ha affermato il sindaco di Petralia Pietro Macaluso - abbiamo raggiunto un obiettivo importante non solo per il nostro comune, ma per tutto il territorio madonita.  Tale risultato (…), certifica la bellezza del nostro territorio e della Sicilia. I nostri borghi sono dei veri e propri scrigni che racchiudono bellezze artistiche, culturali, paesaggistiche ed enogastronomiche. Bisogna pensare ad un’unica strategia di valorizzazione per creare percorsi turistici capaci di attrarre viaggiatori e generare ricadute occupazionali. Oggi ci godiamo la vittoria. Mi auguro – conclude Macaluso – che tutto ciò possa determinare anche uno scatto di orgoglio per sfruttare al meglio questa opportunità che ci è stata data e ci siamo conquistati.”
     In effetti, sul podio della manifestazione “Il Borgo più bello d’Italia”, sono saliti ben quattro comuni siciliani negli ultimi cinque anni: Gangi nel 2014, Montalbano Elicona nel 2016, Sambuca di Sicilia nel 2017,  Petralia Soprana nel 2018. Avanti tutta, dunque Sicilia bedda …

Maria D’Asaro, Il Punto Quotidiano, 02.12.2018