domenica 28 maggio 2023

Caro don Milani... lettera da una prof

                                 
Palermo - Caro don Milani, 
                                                                        se sono diventata un’insegnante è stato un po’ anche merito suo: leggere Lettera a una professoressa mi ha così intrigata e commossa da indurmi, appena laureata, a lasciare un redditizio lavoro in un’azienda di credito per fare la docente nella scuola media, convinta che insegnare in un certo modo potesse contribuire, se non a cambiare il destino del mondo, almeno a migliorarlo un pochino.
      “La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde.” “Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali tra disuguali.” “Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri”: queste affermazioni provano la sua fede adamantina nell’assoluta eguaglianza di base dei ragazzi, sul fatto che le loro differenze nell’apprendere derivino essenzialmente dalla diversità dei loro contesti economico-culturali di provenienza. Di conseguenza, si è sempre battuto per dare ai ragazzi pari opportunità di accesso all’istruzione, perché tutti potessero avere diritto alla parola e alla cultura e diventare così uomini migliori e cittadini consapevoli.
    Le sue prospettive educative e didattiche hanno segnato il mio percorso. E mi hanno spinta a cercare con ostinazione e speranza una chiave di accesso al cuore e alla mente degli alunni, specie se ‘difficili’... Purtroppo, non sono riuscita a tenere tutti i ragazzi a scuola: mi rimprovero ancora perché, da psicopedagogista, non sono stata capace di impedire la fuga di A., che poi, da adulto, è finito dentro mura dalle quali sarà difficile uscire... Per fortuna, grazie anche a colleghe competenti e illuminate, altri alunni, nonostante difficoltà di ogni genere, sono riusciti ad andare avanti nello studio.
    Ma a Barbiana, grazie alla scuola a tempo pieno e alla sua encomiabile opera di promozione umana e sociale, i ragazzi non si perdevano. Ecco il ‘manifesto’ che lei e i suoi alunni avete proposto nel celebre testo scritto insieme: “Perché il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno vi proponiamo tre riforme: Primo: Non bocciare. Secondo: A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a pieno tempo. Terzo: Agli svogliati basta dargli uno scopo”.
     E non mancavate di sottolineare: “La Costituzione, nell’articolo 34, promette a tutti otto anni di scuola. Otto anni vuol dire otto classi diverse. Non quattro classi ripetute due volte ognuna (…) Dunque oggi arrivare a terza media non è un lusso. É un minimo di cultura comune cui ha diritto ognuno.” 
Purtroppo, denunciavate ancora nel vostro libro collettivo: “Ai poveri fate ripetere l’anno. Alla piccola borghesia fate ripetizione. Per la classe più alta non importa, tutto è ripetizione”. E affermavate con forza: “É solo la lingua che fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli”
    Voi sì che volavate alto: “Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Cioè che vada bene per credenti e atei. (…) Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola?” E ancora: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia.”
    Caro don Lorenzo, in questi giorni ricordiamo i cent’anni dalla sua nascita e i cinquantasei anni dall’uscita della Lettera a una professoressa, nel maggio 1967, un mese prima della sua morte prematura, avvenuta il successivo 26 giugno.
    Ma ricordiamo anche i cinquantasette anni del testo a favore dell’obiezione di coscienza al servizio militare: L’obbedienza non è più una virtù, scritto nel 1965, quando chi si rifiutava di fare il servizio militare era punito col carcere. 
   Anche per questa sua presa di posizione, lei non ha avuto una vita facile: è stato osteggiato, calunniato e isolato anche nella Chiesa cattolica, che lei amava e di cui si sentiva servitore. Ha affrontato dure critiche e anche un processo giudiziario, continuando a fare scuola sino ai suoi ultimi giorni di vita. Riferendosi a suoi alunni, ha confessato, nel suo testamento spirituale: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto.”
    Papa Francesco ha scritto parole bellissime su di lei, parole che le rendono un meritato tributo: “La sua inquietudine non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che talvolta veniva negata. La sua era un'inquietudine spirituale alimentata dall'amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come un "ospedale da campo" per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati”.
    Caro don Milani, nella scuola di oggi, così confusa e convulsa, forse vittima di mode e riforme poco formative, l’auspicio è che si realizzi il motto affisso all’ingresso della scuola di Barbiana: I care, mi importa, mi interessa, mi sta a cuore… Se oggi educatori e politici, donne e uomini di buona volontà mettessero in pratica il suo I care, sicuramente il mondo sarebbe più vivibile, più giusto e umano.

Maria D'Asaro, 28.5.23, il Punto Quotidiano

giovedì 25 maggio 2023

Ministero della Pace: un'utopia concreta...

      Pasquale Pugliese, già segretario nazionale del Movimento Nonviolento, è intervenuto il 6 maggio a Bologna all'evento "Ministero della Pace, una Politica per il Futuro". 

Quale ruolo e funzioni rispetto al disarmo dovrebbe avere questo nuovo Ministero?

«In questa fase, nella quale lo stesso ministero della "difesa" si caratterizza sempre di più come ministero della "guerra" – più che sulle funzioni del Ministero della Pace, sarebbe necessario ragionare sui mezzi per realizzarlo, e autenticamente, come fine».

«Credo sia necessario lavorare contemporaneamente, sui mezzi e sul fine, per costruire una cultura politica di pace, fondata sulla nonviolenza e il disarmo, che abbia come esito, anche il riconoscimento istituzione di un ministero ad essa dedicato; politiche portate avanti oggi dal basso, attraverso forme di lotta e di impegno nonviolento delle relative campagne, affinché diventino domani autentiche politiche di pace dei governi del nostro paese. Ossia coniugare “pacifismo giuridico” e “pacifismo strumentale”, secondo la distinzione proposta da Norberto Bobbio».

«In questo senso il fine del ministero della pace – e quindi di istituzioni autenticamente pacifiste, secondo lo spirito e la lettera della Costituzione – dovrebbe essere conseguente (e coerente) all’impostazione di politiche attive di pace, cioè di disarmo e riconversione sociale delle spese militari, di riconversione civile dell’industria bellica e adesione al Trattato per la messa al bando delle ami nucleari, di costrizione della difesa civile non armata e nonviolenta e dei corpi civili di pace. Sul tema delle risorse sulle quali dovrà e potrà contare il futuro ministero, a mio avviso, sono da spostare dalle risorse risparmiate attraverso i processi di disarmo e di drastico taglio alle spese militari».
(...)
continua nel blog del Movimento nonviolento di Palermo

martedì 23 maggio 2023

Egregio dottor Falcone

Egregio dottor Falcone,
                                          oggi non c’ero al corteo che ogni 23 maggio commemora la strage che a Capaci ha ucciso lei, sua moglie Francesca Morvillo, i poliziotti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. 
     Non c’ero perché l’età avanza, perché ero perplessa sull’organizzazione… ma non c’ero soprattutto perché nel pomeriggio ero in un carcere della città a parlare di lei, di Peppino Impastato, di impegno civile, ma anche di poesia e letteratura…È stata letta insieme la poesia di Peppino Lunga è la notte e poi la splendida poesia/invocazione di Umberto Santino Ricordati di ricordare: Ricordati di ricordare coloro che caddero lottando per costruire un’altra storia e un’altra terra ricordali uno per uno perché il silenzio non chiuda per sempre la bocca ai morti e dove non è arrivata la giustizia arrivi la memoria e sia più forte della polvere e della complicità. 
     C’ero diversamente, caro dottor Falcone…
Maria D'Asaro

                                                                 Antonio Montinaro


                                                               Vito Schifani
                                                         
              
                                                                   Rocco Dicillo

domenica 21 maggio 2023

Le avventure "umane" della faina Archy

     Palermo – I miei stupidi intenti (Sellerio, Palermo, 2021), romanzo di esordio di Bernardo Zannoni, vincitore nel 2022 del Premio Bagutta Opera Prima e del Premio Campiello, stupisce, cattura e intriga il lettore, perché l’autore dà voce agli animali che vivono in un boschetto (volpi, ricci, faine, tassi, lepri, cani, maiali…) e li fa interagire come se vivessero nel mondo degli uomini.
     Niente a che vedere però con fiabe e favole: si tratta di un universo animale misteriosamente sospeso tra umanità pensosa e ferinità istintuale, in una sorta di limbo nè umano né bestiale, ma che è entrambe le cose e forse qualcosa di più… Un’inedita situazione di confine resa in modo felice sotto il profilo creativo ed espressivo.
    Protagonista della storia è una faina maschio di nome Archy che , appunto, esprime pensieri e sentimenti umani.  Archy, divenuto zoppo dopo l’infelice tentativo di predare delle uova in un nido, viene venduto dalla madre Annette a Solomon, una vecchia volpe che vive in cima a una collina e che esercita il mestiere di usuraio.
   Dopo il difficile adattamento alla vita da servo alle dipendenze di Solomon, ad Archy si squaderna un mondo nuovo e sconvolgente: la volpe, che è riuscita a carpire dagli uomini il segreto della scrittura e possiede una vecchia Bibbia, decide di iniziare anche la faina alla straordinaria dimensione delle parole: “Mi insegnava con grande impegno, superando la fatica. (…) Vedevo in lui una foga nascosta, un accanimento mansueto che non sapevo a cosa legare”.
   Così Archy scopre che Solomon ha scoperto Dio nelle parole della Bibbia, lo adora sopra ogni cosa e, in qualche modo, si ritiene suo figlio. Attraverso le parole di Solomon, però la faina viene a conoscenza dell’ineluttabile destino di morte, comune a bestie ed esseri umani: “la tremenda scoperta della morte mi tolse il sonno e mi rese fiacco, lasciandomi annegare in una silente disperazione (…); il mio rapporto della vita era scomparso dietro la coscienza della fine”.
   Sebbene Solomon lo avesse messo in guardia sulla caducità dei legami d’amore – “sono cose da animali, il fottere, affezionarsi a un odore, legarsi ad un solo corpo tra gli altri, sono cose per stupidi” – Archy ritrova baldanza e voglia di vivere quando incontra Anja, una faina femmina per la quale prova un innamoramento feroce e repentino. Per unirsi a lei, è disposto a superare ogni ostacolo. Accetta così nuove sfide, continuando a pensare con sagacia e premeditazione umana come nel suo corpo di faina, ma, se è il caso, ad agire in modo violento e spietato, come capita tra gli animali e tra gli uomini…
   E la vicenda presenta ulteriori sviluppi e colpi di scena.
Però, se come la scrivente si ha ribrezzo della violenza e dello spargimento di sangue, il romanzo si legge con sofferenza e si fa fatica ad arrivare alla fine. La sottoscritta confessa che forse non lo avrebbe mai intercettato, se non le fosse stato donato da una cara amica, tanto il libro è distante dal suo abituale orticello di letture e dalle prospettive ireniche e di armonia da lei auspicate.
    La scrivente ammette però che è stata una lettura gradevole dal punto di vista linguistico: la storia è scritta in prima persona, come se fosse direttamente Archy a raccontare, con una scrittura limpida e semplice, ma chiara, accurata e preziosa. 
E si tratta comunque di una storia in qualche modo formativa: I miei stupidi intenti, infatti, anche se duro da digerire per palati sensibili e delicati, è un libro potente e disperato, a tratti quasi epico, che pone con crudezza gli interrogativi esistenziali di sempre: perché si vive, animali o uomini che siamo? C’è un antidoto alla violenza, alla lotta senza quartiere per la sopravvivenza e per affermare i nostri stupidi intenti? Qual è il confine tra natura umana e natura ferina? C’è davvero un confine? C’è un aldilà dopo la morte?
    Sicuramente la possibilità di raccontarsi attraverso la scrittura, se non ci salva, ci consola. Anche se l’ultima parola, ci dice il giovane e talentuoso autore, lascerà poi il posto al silenzio disperato e misterioso del non essere più. 
    Così anche Solomon, la volpe che aveva scoperto Dio, “Alla fine, salvato o meno, non se n’era andato con un sorriso, non aveva pregato Dio, ma chi gli era accanto nel letto, sperando di rialzarsi, come un animale. Forse è questo che la morte ci insegna, per chi sa del suo arrivo: quell’attimo più buio è un percorso solitario, nei meandri di sé stessi, dove ogni cosa sparisce e si tenta di riacciuffarla. É l’anima di questo mondo, la sua forza più grande; nessuno chiede di nascere, ma nemmeno di andar via”.

Maria D'Asaro, 21.5.23, il Punto Quotidiano

giovedì 18 maggio 2023

Caro Francuzzo

Franco Battiato ci ha lasciato due anni fa. Mancano la sua musica, la sua poesia, la sua arte, la sua spiritualità, il suo acuto pensiero critico, la sua sapienza, la sua grazia, la sua gentilezza...

"Quando un individuo pensa di poter fare a meno dell’etica e della bellezza che ne è inseparabile compagna inizia la morte vera, quella spirituale".

 Franco Battiato


(dalla pagina Facebook di Lucia Contessa, che ringrazio)


mercoledì 17 maggio 2023

Il senso del lavoro, secondo Lanza del Vasto

    “Nel mondo distingueremo i lavori che sono lavori da quelli che sono giochi mascherati da lavoro. Il secondo capitolo dei Quattro Flagelli mostra come speculazione, commercio, politica, guerra e, in generale, i lavori che non sono lavori delle mani o di servizio (educazione, medicina) sono giochi. I veri lavori restano contaminati dal Peccato nella misura in cui sono centrati sul lucro e sulla rivalità, e nella misura in cui sono segnati dalla schiavitù. Schiavi sono tutti i salariati, perché né la direzione del lavoro né il frutto appartengono al lavoratore, e il lavoro non è mai fatto per amore del prossimo e per amore del lavoro, ma unicamente per amore del salario.
      Resta il lavoro di servizio: le professioni liberali, come la medicina e l’educazione, che sono nobili nella misura in cui sono libere e in cui il guadagno non è lo scopo, ma come mezzo di sussistenza per potersi dare al servizio. Poi il lavoro artigianale, che è libero, che ha la sua nobiltà, la sua utilità, nella misura in cui non è segnato dall’aspra ricerca del guadagno. (…)
     Dunque il primo carattere del lavoro dell’Arca, è l’eliminazione dello spirito di lucro e di scaltrezza, e il lavoro è definito come “servizio ai fratelli”.  Il nostro lavoro sarà dunque ispirato dallo spirito di dono, di servizio, di sacrificio, che sono il contrario del lucro. Il lavoro diviene purificazione, santificazione, creazione comune, va nel senso della volontà di Dio, va verso la completezza e la pienezza dell’uomo.
    Vediamo subito che cosa dobbiamo eliminare dal lavoro: tutto quello che è sfruttamento, degli uomini dapprima, degli animali e anche delle cose. Non intendiamo mai sfruttare, ma coltivare.
(…) L’essenziale nel lavoro dell’ordine è fare un giardino, e tutto il resto è inteso come un lavoro del giardiniere, anche il lavoro dell’artigiano. Il giardiniere contraria la natura, la monda, ma coopera con essa, ed è essa che lavora. Egli ordina, pota, fa fiorire, fruttificare, coglie,, rende grazie e mangia.
    Tutto quello che, nel lavoro non inteso così, dà luogo alla crudeltà, alla bruttezza, alla meccanica, alla costrizione, dev’essere eliminato. Il lavoro per salario deve essere abolito e considerato un’ingiuria all’umanità. Questa è una regola fondamentale: noi non paghiamo nessuno, e non ci lasciamo pagare da nessuno. Se facciamo lavorare qualcuno, dividiamo con lui i frutti del lavoro.

      Respingiamo quella porcheria che la gente adora sotto il nome di Economia: sistematico lesinare, avarizia eretta a scienza. Al contrario, come sistema, noi tenderemo a lasciar vivere, a lasciar perdere, a non tirare la corda, a non premere gli uomini, né la terra, né gli animali.
    Perché se pensate di avere sulla natura diritti illimitati di sfruttamento, finirete col trattre gli uomini come trattate la natura.
   Nel mestiere, l’importante non è la produzione, ma l’uomo, l’armonia dell’uomo, il compiersi dell’uomo nel lavoro; la vita non comincia alla fine della giornata di lavoro, né con le vacanze, né il giorno della pensione, domani o tra mille anni, la vita è adesso ed è nel lavoro. Bisogna che il lavoro sia vita.
E la vita non è ciò che forza, falsa, scuoia, strappa, torce, ma ciò che armonizza, compone, innalza cose, bestie e gente."




Lanza del Vasto: L’arca aveva una vigna per vela pag.116,117

domenica 14 maggio 2023

Ma splende davvero "Il sol dell'avvenire?"

      Palermo – “L’ultimo film di Nanni Moretti è un grande intreccio di storia italiana, di storie personali, della storia del regista, della storia e del senso del cinema e del fare cinema. Tanta roba che a volte sembra sovrabbondare, ma che per lo più trova una straordinaria e semplice armonia. Si ride, si pensa, ci si riflette: un grandissimo film.”
     “Faccio parte della minoranza di coloro che considera Il sol dell’avvenire un “non film”. (…) E in effetti non si capisce bene cosa sia l’ultima, perdibile, opera del regista eletto a coscienza critica della sinistra. Il mio giudizio nasce proprio in quanto avevo apprezzato tante sue pellicole, da Ecce Bombo a Bianca, da Palombella Rossa al Caimano, da La stanza del figlio ad Habemus Papam. In quei casi la sinistra diventa la lente, lo strumento critico per affrontare la condizione umana, i valori universali. Non parla solo a chi è di sinistra Moretti. Parla a tutti. Così intensi, così preveggenti i suoi film, così capaci di carpire lo spirito del tempo. 
    Ma questo? Questo proprio no. Che cos’ha di un film Il sol dell’avvenire? È semplicemente un insulso “patchwork” (ma io preferisco chiamarlo minestrone) autocelebrativo di riferimenti per cinefili amatoriali, condito dalle solite idiosincrasie, ossessioni, gusti e disgusti morettiani”.
    Lette su Facebook, le due valutazioni critiche, diametralmente opposte, scritte da due persone colte e autorevoli (il professore Vincenzo Lima, docente di Filosofia e cinefilo esperto, il dottore Francesco Anfossi, giornalista, già editorialista di ‘Famiglia Cristiana’) attestano quanto l’ultimo film di Nanni Moretti sia divisivo e controverso. Alla scrivente non rimaneva che andare a cinema a vederlo, e farsene una sua opinione. 
    Il film ha come protagonista Giovanni (Nanni Moretti), un regista che sta girando un film su come, in quel momento storico, reagirono i militanti del Partito Comunista Italiano all’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956. Il film di Giovanni è prodotto da sua moglie Paola (Margherita Buy), e finanziato da un altro produttore, Pierre (Mathieu Amalric). Protagonisti del film in progress sono Ennio (Silvio Orlando), giornalista de L’Unità e responsabile della sezione del partito comunista a Quarticciolo, un quartiere di Roma, e la sua compagna Vera (Barbora Bobulova), sarta e militante convinta del partito. 
    Invitato dalla sezione di Ennio, nel quartiere romano arriva il circo ungherese ‘Budavari’, proprio nei giorni in cui i carri armati sovietici invadono l’Ungheria. La brutale e violenta repressione sovietica, risposta cruenta alle richieste di cambiamento del popolo ungherese, suscita in Vera e in Ennio un tormentato conflitto tra la fedeltà alla posizione filosovietica dei vertici del partito comunista italiano e il loro desiderio e quello di tanti compagni di schierarsi a fianco del popolo ungherese. 
Durante le riprese, il sostegno economico di Pierre intanto viene meno perché Pierre è coinvolto in un’inchiesta giudiziaria. 
    E allora le cose si complicano. Paola trova il coraggio di confessare a Giovanni che la loro unione trentennale è in crisi. E una mattina Giovanni occupa materialmente il set del film di un altro regista - film di cui è produttrice sempre la moglie Paola - per contestare l’abusata rappresentazione nei film della violenza fine a sé stessa, senza alcun fine etico e catartico.
Ci si ferma qui per non raccontare tutto.
    Dalla sala cinematografica (piuttosto vuota, in verità) come ne è uscita la sottoscritta?
Né delusa né entusiasta: era il film ‘morettiano’ che si aspettava di vedere. Il regista, infatti, ha confezionato un film intellettuale e autocelebrativo per quanto si voglia, ma comunque intelligente.
   Moretti utilizza ancora una volta la metafora del cinema nel cinema e la storia (con riflessi autobiografici) del regista in crisi, in un continuo – e a mio avviso convincente - gioco di rimandi tra dimensione pubblica e privata. Il film è strapieno di citazioni e autocitazioni, ma così esplicite, manifeste e ironiche da essere ‘digerite’. Certo, Il sol dell’avvenire è assolutamente cerebrale e lascia poco spazio al sentimento o alle emozioni: niente a che fare con Caro diario, Mia madre, Aprile, La stanza del figlio…
   Ma chi, come la sottoscritta, è ‘boomer’ e appassionato/a di Storia e di Politica, ama il Cinema e vede con sospetto l’appiattimento culturale provocato dalle serie di Netflix, viste in 190 paesi perché si utilizzano gli algoritmi che catturano lo spettatore, riesce a gustare il film senza annoiarsi più di tanto, con un certo interesse e con sufficiente partecipazione. E talvolta con un sorriso. 
   E se poi la spettatrice è una donna che in cuor suo spera contro ogni speranza in un qualche ‘sol dell’avvenire’, non può che apprezzare, pensosa e commossa, il colpo d’ala dell’inatteso finale…
Maria D'Asaro, 14.5.23 il Punto Quotidiano

venerdì 12 maggio 2023

Consumo di alcolici: meno è meglio...

       Palermo – Questi i dati dell’Osservatorio nazionale dell’Istituto superiore di Sanità sul consumo di alcolici, sulla base delle cifre fornite dall’Istat relativamente al 2021: a bere alcolici sono complessivamente 36 milioni di italiani, 20 milioni gli uomini e 16 milioni le donne. Di questi, i consumatori abituali, cioè chi beve alcolici ogni giorno, sono circa dieci milioni e mezzo circa; tra essi, ci sono purtroppo circa 7 milioni e 700.000 persone, di età superiore agli 11 anni, che consumano alcool in quantità tali da mettere a rischio la propria salute. 
      In particolare, all’interno del numero così elevato di super consumatori di alcolici, vi sono poi circa 3.500.000 di cosiddetti ‘binge drinkers’, coloro che fanno uso di alcol in modo compulsivo: quelli che non riescono a smettere di bere in un intervallo di tempo fra i trenta minuti e le due o tre ore e quindi finiscono per ubriacarsi. Ancora, sono poi 750.000, al loro interno, i ‘consumatori dannosi’, coloro cioè hanno provocato ormai un danno alla loro salute, a livello fisico o mentale.
       Comunicati nel mese di aprile scorso, in occasione della giornata dedicata alla prevenzione e alla sensibilizzazione contro l’abuso di alcol, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità registrano una leggera flessione rispetto al 2020 per gli uomini, ma sono invariati per quanto riguarda le donne. E comunque i numeri rimangono elevati, distanti dagli obiettivi di Salute sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
    Quali gli effetti dell’alcol sull’organismo umano e quali i soggetti più a rischio?
L’alcol altera il normale stato psichico, agendo sui neurotrasmettitori che trasferiscono le informazioni ai neuroni. L’assunzione di alcol aumenta la produzione di dopamina e il rilascio di endorfine, sostanze queste che incidono sull’umore, riducendo i freni inibitori e inducendo senso di rilassamento ed euforia. Viene però anche depressa l’attività cerebrale e indotta sonnolenza e, talvolta, insufficienza respiratoria.
A lungo termine il cervello cerca adattamenti a aumenta la tolleranza all’alcol, cosa che apre la strada alla dipendenza.
       Tra i consumatori di alcol, i più a rischio sono i giovani (la fascia compresa tra gli 11 e i 25 anni), che sono ben un milione e 370 mila soggetti, e tra questi 620.000 sono i minorenni; ma rischiano anche i due milioni e mezzo di donne e i 2.600.000 anziani, oltre i 65 anni, che quotidianamente bevono troppo.
     “I consumi di alcol in Italia evidenziano una situazione di ritorno ai livelli pre-pandemia Covid-19, anche se cresce l’esposizione al rischio da parte delle donne, tanto giovanissime, quanto anziane – ha dichiarato Emanuele Scafato, Direttore dell’Osservatorio nazionale alcool dell’Istituto superiore di sanità – Al fine di delineare la roadmap di una prevenzione nazionale mirata, il più efficace possibile, è necessario intercettare tutti i consumatori a rischio, a sostegno oltretutto degli obiettivi delle strategie europee e globali”.
    Purtroppo, i numeri evidenziano che dei 750 mila consumatori abituali di alcol che si procurano danni alla salute e che quindi hanno necessità di aiuto e trattamento, è stata intercettata solo una quota residuale, pari all’8,5% dei soggetti.
A livello ospedaliero, poi, sono stati 35.307 gli accessi in Pronto Soccorso causati dall’alcool, il 10% dei quali per soggetti minorenni.
     Le linee guida del Ministero della Salute riprendono il detto ‘meno è meglio’.
Tenuto presente che l’unità alcolica tollerata - a livello internazionale è riconosciuta quella pari a circa 12 grammi di etanolo - corrisponde a un bicchiere di vino o a una lattina di birra da 33 ml oppure a un bicchierino di super alcolici, la regola è: 2,1, zero. Il che significa che possono bere senza danni per la salute, sempre ai pasti e non a stomaco vuoto, fino al massimo di due unità alcoliche al giorno gli uomini adulti, solo un’unità le donne e nessuna chi è sotto i diciott’anni, in quanto sino a quell’età l’organismo non è in grado di metabolizzare l’alcol, poiché i sistemi enzimatici a ciò deputati sono ancora immaturi.
     Meno alcol si assume, meglio è per tutti: l’organismo ringrazia perché ne guadagna in quantità e qualità della vita.
Maria D'Asaro, 7.5.23, il Punto Quotidiano

mercoledì 10 maggio 2023

Resisti

Percorsi

D’infinita tristezza

Nei binari impolverati

Dei nostri pensieri ordinari.

Resisti.






martedì 9 maggio 2023

La Storia siete (stati) voi...

     Un'opportunità preziosa, quasi un privilegio  avere partecipato ieri al corso di aggiornamento  nell'Auditorium della Rai e avere ascoltato le riflessioni del dottor Matteo Frasca, Presidente di Corte d'Appello del Tribunale di Palermo, del dottor Pietro Grasso, giudice a latere nel Maxiprocesso a Cosa nostra iniziato il 10 febbraio 1986, del dottor Giuseppe Ajala, Pubblico Ministero nel Maxiprocesso, dell'ex magistrato Gioacchino Natoli, già membro del pool antimafia con Giovanni Falcone, e del giornalista Salvatore Cusimano, ex direttore della sede siciliana della Rai,
  L'incontro, dal titolo "Deontologia giornalistica nell'ambito del processo penale", organizzato dall'Ordine dei Giornalisti di Sicilia, è stato condotto dal giornalista Gianfranco D'Anna. 
   Sono stati ricordati con gratitudine il Presidente del Maxiprocesso Alfonso Giordano e il Direttore di Cancelleria Vincenzo Mineo.
    La sottoscritta è uscita dall'Auditorium della Rai arricchita e commossa, consapevole di avere avuto davanti persone che incarnano un pezzo importante di Storia...






lunedì 8 maggio 2023

Anche a Palermo la staffetta per la Pace

        Nella Sicilia occidentale non era prevista, ma grazie al coinvolgimento di alcuni gruppi locali  - quali il Presidio delle Donne per la Pace (coordinamento di gruppi femminili, tra cui l’UDI con l’instancabile e preziosa Daniela Dioguardi, impegnata sin dal 24 febbraio 2022 in manifestazioni cittadine contro la guerra), la Casa del Popolo Peppino Impastato, il M.I.R. e tante altre - anche a Palermo domenica 7 maggio 2023 c’è stata la Staffetta per la Pace, promossa dal giornalista Santoro, iniziativa che da Aosta a Lampedusa ha attraversato l’Italia, unendo idealmente tutte le regioni italiane, con circa 200 tappe in totale. 
     A Palermo, da piazza Vittorio Veneto, centinaia di persone con le bandiere della Pace hanno riempito dei colori arcobaleno via della Libertà, prima di concludere la manifestazione davanti alla Prefettura di via Cavour, insieme al vignettista Vauro Senesi, presente a nome dei promotori dell'appello nazionale.
     Ecco le voci di alcuni partecipanti alla manifestazione: (continua nel blog del Movimento nonviolento - Palermo)

venerdì 5 maggio 2023

L'Arca aveva una vigna per vela...

Enzo Sanfilippo e Margarete Hiller
    ‘L’Arca aveva una vigna per vela’ è il titolo del testo in cui Lanza del Vasto racconta la sua vicenda umana e spirituale dopo il ritorno dall’India e l’incontro con Gandhi, quando si accinge a fondare la Comunità dell’Arca in Europa. Comunità che oggi ha come responsabile internazionale Margarete Hiller, una signora gentile dallo sguardo dolce e intelligente.
     Ascoltarla qualche giorno fa a Palermo, grazie a un incontro promosso da Maria Albanese e Enzo Sanfilippo - responsabili italiani della Comunità dell’Arca -  è stata un’esperienza nutriente e toccante.
     Margarete, sposata, con due figlie ormai adulte, è nata in Germania nel 1967, ha conseguito la laurea in Pedagogia all’Università di Marpurgo e si è poi formata come insegnante di yoga. Dal 1994 vive nella Comunità dell’Arca a La Flayssière, nel sud della Francia. Dopo aver assunto all’interno della Comunità vari incarichi (come la gestione dell’orto e il coordinamento della Comunità), ne è stata designata nel 2019 responsabile internazionale.
    Margarete ci ha ricordato alcuni momenti importanti della vita e dell’opera di Lanza del Vasto: la sua protesta nonviolenta negli anni ’50, in Sicilia, a fianco di Danilo Dolci, per richiamare l’attenzione delle istituzioni verso la miseria che attanagliava tanti quartieri di Palermo e faceva persino morire di fame alcuni bambini; la lotta contro la pratica della tortura in Algeria e la vendita delle armi; la lotta contro le armi atomiche e  contro la guerra in generale.
   La responsabile della Comunità dell’Arca ha poi evidenziato il legame profetico tra scelta nonviolenta e scelta ecologica, che rifiuta il paradigma perverso della crescita. Lanza del Vasto è stato un precursore della visione ecologista: ha intuito il legame tra modello consumistico, crisi sociale e sofferenza umana e della natura.
Maria Albanese, Enzo Sanfilippo e Margarete Hiller
    Scegliere quindi una modalità di vita semplice, non sottomettendosi al paradigma obbligato della crescita e del consumismo, fa bene alle persone, alla società e all'ambiente naturale. Facendo un esempio molto concreto, Margarete ci ha detto che a La Flayssière ci sono due sole auto per quindici persone.
    Margarete ha poi sottolineato l’importanza della dimensione spirituale, intesa nell’accezione più vasta ed ecumenica di ricerca di spazi interiori per trovare pace con sé stessi, con gli altri e, per i credenti, con Dio. Nell’Arca c’è spazio per ogni credo religioso  e, tenendo conto anche delle riflessioni di Lanza del Vasta, Dio viene inteso soprattutto come relazione, incontro con le persone.
    È stata poi ribadita l’importanza del lavoro personale per riconoscere e superare l’eventuale carica di violenza agita nelle relazioni personali: è necessario infatti iniziare a lavorare su di sé, sulla trasformazione nonviolenta delle relazioni per impegnarsi poi anche nella risoluzione nonviolenta dei conflitti a più ampio raggio e quindi per la pace nel mondo.
    Margarete ci ha poi detto che la vita in Comunità è ricca e gioiosa, ma anche esigente. Possono sorgere delle difficoltà e dei conflitti, ma anche questi aiutano a crescere, se affrontati con spirito costruttivo.
   “Non si ribadirà mai abbastanza come il messaggio della nonviolenza sia la vera urgenza dell’oggi, quando ci vogliono far credere che le armi siano necessarie, indispensabili – ha continuato Margarete – È in corso purtroppo una sorta di militarizzazione delle nostre menti e della società. È necessario quindi condividere con tutti i movimenti ecologisti e nonviolenti l’impegno contro le armi, per la messa al bando delle armi nucleari e l’organizzazione della difesa popolare nonviolenta.”
     Margarete ha infine sottolineato l’importanza della dimensione della Festa nella Comunità dell’Arca. Quattro le feste vissute intensamente con particolare coinvolgimento: Natale (in particolare la festa dell'Epifania) Pasqua, il 24 giugno, commemorazione di san Giovanni Battista, il 29 settembre, festa di san Michele. In tali occasioni tutta la Comunità è impegnata nel costruire un clima festoso attraverso canti, momenti di armonia e condivisione, decorazioni artistiche, danze.
Maria D'Asaro
Per chi volesse approfondire: 




mercoledì 3 maggio 2023

Non occorre titolo


Si è arrivati a questo: siedo sotto un albero,
sulla sponda d’un fiume
in un mattino assolato.
E’ un evento futile
e non passerà alla storia.
Non si tratta di battaglie e patti
di cui si studiano le cause,
né di tirannicidi pieni di memoria.


Tuttavia siedo su questa sponda, è un fatto.
E se sono qui,
da una qualche parte devo pur essere venuta,
e in precedenza
devo essere stata in molti altri posti,
proprio come i conquistatori di terre lontane
prima di salire a bordo.

Anche l’attimo fuggente ha un ricco passato,
il suo venerdì prima di sabato,
il suo maggio prima di giugno.
Ha i suoi orizzonti non meno reali
di quelli nel cannocchiale dei capitani.

Quest’albero è un pioppo radicato da anni.
Il fiume è la Raba, che scorre non da ieri.
Il sentiero è tracciato fra i cespugli
non dall’altro ieri.

Il vento per soffiare via le nuvole
ha dovuto prima spingerle qui.

E anche se nulla di rilevante accade intorno,
non per questo il mondo è più povero di particolari,
peggio fondato meno definito
di quando lo invadevano i popoli migranti.

Il silenzio non accompagna solo i complotti,
né il corteo delle cause solo le incoronazioni.
Possono essere tondi gli anniversari delle insurrezioni,
ma anche i sassolini in parata sulla sponda.

Intricato e fitto è il ricamo delle circostanze.
Il punto della formica nell’erba.
L’erba cucita alla terra.
Il disegno dell’onda in cui s’infila un fuscello.

Si dà il caso che io sia qui e guardi.
Sopra di me una farfalla bianca sbatte nell’aria
ali che sono soltanto sue
e sulle mani mi vola un’ombra,
non un‘altra, non d’un altro, ma solo sua.

A tale vista mi abbandona sempre la certezza
che ciò che è importante
sia più importante di ciò che non lo è.

Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009), 
a cura di Pietro Marchesani, pag. 497, Adelphi, Milano