domenica 28 giugno 2020

Francesco Guccini, 80 anni di musica, poesia e utopie

           Palermo – “Giugno, che sei maturità dell'anno, di te ringrazio Dio: in un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io, ci sono nato io...” 
          Nella ‘Canzone dei dodici mesi’, Francesco Guccini comunica la sua data di nascita: infatti, nato a Modena il 14 giugno del 1940, ha festeggiato adesso 80 anni.  
Francesco, prima di diventare uno dei più apprezzati e poliedrici cantautori italiani, è stato docente di Italiano (anche se la laurea in Scienze della Formazione l’ha ottenuta solo honoris causa nel 2002 dall’Università di Bologna); cronista per due anni alla “Gazzetta di Modena”; compositore di canzoni per altri cantanti; persino autore di pubblicità per Carosello. Adesso, dopo l’addio a concerti e a nuove canzoni, si è dedicato a tempo pieno alla scrittura, rivelandosi un cultore raffinato della lingua italiana. Ha collaborato a vari scritti di saggistica e narrativa  e ha pubblicato tre romanzi: Cròniche epafàniche - con riferimenti autobiografici a Pàvana, paese di infanzia sull'Appennino tosco-emiliano - Vacca d'un cane e Cittanova blues. Inoltre, è stato anche autore e sceneggiatore di fumetti, oltre che un appassionato del genere.
Non è facile riassumere la poetica e lo stile musicale di Francesco Guccini, le cui canzoni hanno fatto da colonna sonora ad almeno tre generazioni. C’è il cantautore politicamente impegnato, che inneggia alla giustizia sociale, all’uguaglianza e alla libertà, che ci ha donato le parole indimenticabili de “La locomotiva”: Ma un' altra grande forza spiegava allora le sue ali, parole che dicevano "gli uomini son tutti uguali" e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via la bomba proletaria e illuminava l'aria la fiaccola dell'anarchia”; il ricordo commosso de “La Primavera di Praga”: Quando quel fumo si sparse lontano, Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava, all'orizzonte del cielo di Praga... Dimmi chi sono quegli uomini stanchi di chinar la testa e di tirare avanti, dimmi chi era che il corpo portava, la città intera che lo accompagnava, la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga; l’omaggio a Che Guevara: Che Guevara era morto e ognuno lo capiva che un eroe si perdeva, che qualcosa finiva...
C’è poi il Guccini intimista, che raggiunge vette di autentica poesia con i testi de “Il pensionato”, di “Vorrei”, di “Autogrill”; il Guccini dagli accenti esistenziali in “Incontro”: E pensavo dondolato dal vagone, cara amica il tempo prende, il tempo dà, noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa, restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento, le luci nel buio di case intraviste da un treno. Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno. E quello delle grandi domande metafisiche in “Shomèr ma mi llailah” (titolo ebraico che significa “Sentinella, quanto resta della notte?”) e in “Stelle”: Ma guarda quante stelle questa sera, fino alla linea curva d'orizzonte ellissi cieca e sorda del mistero … E sembrano invitarci da lontano, per svelarci il mistero delle cose o spiegarci che sempre camminiamo fra morte e rose. O confonderci tutto e ricordarci che siamo poco o che non siamo niente e che è solo un pulsare illimitato, ma indifferente …C'erano ancora prima del respiro, ci saranno alla nostra dipartita, forse fanno ballare appesa a un filo la nostra vita. E in tutto quel chiarore sterminato, dove ogni lontananza si disperde, guardando quel silenzio smisurato l'uomo si perde …
Ci sono ancora i testi suggestivi degli album “L’isola non trovata” e “Gulliver”, dove Francesco canta il viaggio come utopia e ricerca infinita di nuove frontiere; i ritratti indimenticabili di Don Chisciotte, Cirano de Bergerac, Cristoforo Colombo, Ulisse/Odisseo nelle indimenticabili canzoni omonime; le canzoni “Noi non ci saremo” e “Il vecchio e il bambino”, dai toni apocalittici e struggenti.
Non è mancata a chi scrive l’emozione di ascoltarlo più volte a Palermo dal vivo: in affollati concerti che iniziavano sempre con le note toccanti di “Canzone per un’amica”.  
E infine chi scrive ha cantato in una chiesa “Dio è morto” – canzone inizialmente censurata dalla RAI e poi elogiata addirittura da papa Paolo VI - e ha fatto ascoltare ai suoi alunni “Auschwitz-Canzone del bambino nel vento”: Ad Auschwitz tante persone, e un solo grande silenzio: è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento... Io chiedo come può l'uomo uccidere un suo fratello, eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento…Ancora tuona il cannone, ancora non è contenta di sangue la bestia umana e ancora ci porta il vento… Io chiedo quando sarà che l'uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare e il vento si poserà e il vento si poserà.
Buon compleanno, caro Francesco. E grazie di cuore: senza le tue canzoni la nostra vita sarebbe stata più insipida e grigia.

Maria D'Asaro, 28.06.2020, il Punto Quotidiano










martedì 23 giugno 2020

La casa, Natalia Ginzburg

Vincent Van Gogh: Case ad Auvers (1890)
       Anni fa, venduto un alloggio che avevamo a Torino, ci mettemmo a cercare casa a Roma; e la ricerca di questa casa durò lungo tempo.
Io desideravo da anni una casa con un giardino. Avevo vissuto, da bambina, in una casa col giardino, a Torino: e la casa che immaginavo e desideravo assomigliava a quella. […]
      Mio marito nei primi tempi si astenne dalla ricerca e mi guardava mentre sottolineavo gli annunci come se fossi stata preda d’una quieta follia […]; gli leggevo forte gli annunci del “Messaggero”, lui ascoltava di solito in un silenzio ironico e sprezzante, che mi scoraggiava e che insieme sempre più mi spingeva sulla strada della follia; siccome comperare una casa mi sembrava impossibile, mancando il suo assentimento, inseguivo sogni impossibili e ombre […]
       Poi vi fu un secondo periodo, nel quale mio marito cercò la casa con me. Quando lui cominciò a cercare con me la casa, scopersi che la casa che lui voleva non assomigliava in nulla a quella che volevo io. Scopersi che lui, come me, cercava una casa simile a quella nella quale aveva trascorso la propria infanzia. Siccome le nostre infanzie non si assomigliavano, il dissidio fra noi era insanabile. […] Noi dunque amavamo due tipi di case nettamente dissimili; ma c’era una sorta di case che detestavamo entrambi: […] le case dei Parioli, semi nuove, sontuose e raggelanti, che guardavano su strade totalmente prive di negozi; […] e detestavamo entrambi le case del quartiere Vescovio, strette in un groviglio di vie e piazze piene di salsamenterie e drogherie, di mercati coperte e di reti tranviarie. Tuttavia andavamo a vedere anche questa sorta di case, che detestavamo. Le andavamo a vedere perché ormai ci possedeva entrambi il demonio della ricerca […].
Tornando stanchi alla nostra casa d’affitto dai pavimenti gialli, noi ci chiedevamo se ci importava tanto, davvero, cambiare di casa.
In fondo, non ce ne importava un gran che. Anche lì, in fondo, si stava abbastanza bene. Io conoscevo, di quella casa, ogni macchia sulla parete, ogni crepa nel muro, gli aloni scuri che s’eran formati al di sopra dei termosifoni; conoscevo il fragore delle lastre di ferro che venivano rovesciate davanti al portone, avendo il nostro padrone di casa, proprio accanto al portone, un’officina: quando andavamo a pagargli l’affitto, ci riceveva tra i bagliori della fiamma ossidrica e il ronzio dei motori. Ogni volta che gli pagavamo l’affitto il nostro padrone di casa sembrava stupito, ogni volta sembrava immemore di averci affittato quell’appartamento […]: sembrava unicamente assorto alla sua officina, e agli arrivi di quei lastroni, che crollavano sul selciato con un sordo fragore.
      Io mi ero scavata, in quella casa, la mia tana. Era una tana dove, quando ero triste, mi rimpiattavo come un cane malato, bevendo le mie lacrime, leccando le mie ferite. Ci stavo dentro come una calza vecchia. Perché cambiare casa? Qualsiasi altra casa mi sarebbe stata nemica e io ci avrei vissuto con ribrezzo. Vedevo sfilare davanti a me, come in un incubo, tutte le case che avevamo visto e che per qualche momento avevamo pensato di poter comprare. Tutte mi ispiravano un senso di repulsione. Avevamo pensato di comperarle, ma nel momento che avevamo deciso di rinunciarvi, avevamo sentito un profondo sollievo, una leggerezza, come chi è sfuggito, per miracolo, a un rischio mortale.
    Ma forse ogni casa, col tempo, poteva diventare una tana? E accogliermi nella sua penombra, benigna, tiepida, rassicurante?
     Oppure non era forse piuttosto che io non desideravo vivere in nessuna casa, in nessuna, perché quello che sentivo di odiare non erano le case, bensì me stessa? E non era che tutte le case, tutte, potevano andare bene, purché le abitasse qualcun altro, e non io?

 Natalia Ginzburg: Mai devi domandarmi,  Einaudi, Torino, pagg. 3-9



domenica 21 giugno 2020

Adnan ucciso perchè difendeva gli sfruttati

      Caltanissetta – Nel quartiere di Caltanissetta dove viveva, Adnan Siddique era conosciuto e stimato come lavoratore onesto e uomo gentile e generoso. Adnan aveva 32 anni, era emigrato in Italia dal Pakistan cinque anni fa per sostenere economicamente papà, mamma e i suoi numerosi fratelli. 
     Aveva imparato benino l’italiano e aveva trovato lavoro nel settore delle macchine tessili, con regolare contratto. Avrebbe potuto farsi la sua vita, senza prestare attenzione ai problemi degli altri, in particolare a quelli dei suoi connazionali meno fortunati e garantiti. 
      E invece, quando alcuni pakistani si sono consigliati con lui, raccontando di essere vessati e sfruttati dal racket del caporalato nelle campagne, li ha aiutati a sporgere denuncia. E per questo è stato barbaramente ucciso... (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 21.06.2020

giovedì 18 giugno 2020

Dottore, ho un problema...

Salve, dottore: ho il solito problema…
Mi dica, signora…

Sono assalita dai sensi di colpa…
Mi pare che ne abbiamo già parlato: sono un retaggio della sua educazione familiare, improntata a un moralismo senza gioia.

Si… ma mi sento in colpa perché io sono viva e mia sorella è morta di tumore…
E’ il risiko dell’esistenza…

E poi mi chiedo anche perché sia morta la mia vicina di casa che aveva quattro figli da curare e due splendidi nipotini e non sia invece toccato a me…
Non ci sono risposte… viva con gratitudine ogni giorno la vita.

Si, ha ragione … ma poi sono assalita da altri sensi di colpa…
Quali?

Non riesco a utilizzare l’automobile perché so di aumentare la CO2 nel pianeta…
Mi pare che spesso lei si muova con la metro e a piedi… non saranno le emissioni della sua macchinetta a uccidere il pianeta…

Lei dice? Ma non mi sento comunque tranquilla… 
A proposito di uccisioni: l’altra sera c’era un ragnetto, in un angolo del mio bagno e l’ho ucciso… così come ho eliminato una piccola blatta in cucina… Ma l’ho fatto per i miei figli che odiano gli insetti…
In effetti, i jainisti la pensano come lei :” Il Jainismo è il massimo tentativo in ambito spirituale per ridurre o annullare la violenza perché insegna che ogni singolo essere vivente, dal moscerino all'uomo, è un'anima eterna e indipendente, responsabile dei propri atti. I jainisti ritengono che il loro credo insegni all'individuo come vivere, pensare e agire in modo tale da rispettare e onorare la natura spirituale di ogni essere vivente, al meglio delle proprie capacità.
Quindi nulla di nuovo sotto il sole… lei ha una sensibilità del genere…

Si, ma tutto questo mi rende la vita difficile: non riesco neppure a mangiare un pezzetto di carne animale o di pesce senza essere ‘divorata’ da sensi di colpa…
Gliel’ho detto: evidentemente, la sua anima ha delle affinità con tale sensibilità culturale-religiosa: “Predicando un'assoluta non-violenza, il Jainismo prevede una forma estrema di vegetarismo: la dieta del fedele è da sempre molto restrittiva: oltre a non cibarsi di alcun animale, esclude anche molti vegetali che contengono princìpi di vita, e quindi l’anima, estirpando le quali si uccide l’intera pianta, come bulbi, radici, patate, carote e rape, e anche il miele non può essere mangiato perché è prodotto mettendo in pericolo la vita delle api. Persino l'acqua viene filtrata al fine di non ingerire involontariamente piccoli organismi. È fatto divieto di mangiare, bere e viaggiare dopo il tramonto ed è invece necessario alzarsi prima dell'alba, poiché la luce del sole (e quindi del mondo) deve cogliere l'uomo sveglio e vigile.

Si... però a me piacciono tantissimo carote e patate. E anche il miele…
E poi, un’ultima cosa: ho seminato del basilico. Mi piace il profumo del basilico nel sugo di pomodoro e nelle melanzane… e invece ho grandi sensi di colpa a tagliare quelle floride, verdi, sane, profumate foglioline viventi…
(attimo di silenzio, poi):
Per fortuna a me il basilico non piace. Lo scarto sempre nelle melanzane alla parmigiana...




domenica 14 giugno 2020

Oceani, ecco il respiro liquido della Terra

      Palermo – Dovremmo inchinarci davanti agli oceani che, circa 4 miliardi di anni fa, sono stati la culla della vita nel nostro pianeta. 
      Proprio con lo scopo di ricordare a tutta l’umanità l’importanza di questo straordinario ecosistema terrestre, nel 1992, durante il vertice sull’ambiente di Rio de Janeiro, venne istituita dall’ONU la Giornata degli Oceani, da celebrarsi ogni anno l’8 giugno.
        Purtroppo si dimentica troppo spesso che (continua su: il Punto Quotidiano)

Maria D’Asaro, 14.06.2020, il Punto Quotidiano

venerdì 12 giugno 2020

La danza delle grandi madri

      In quel giorno lontano in cui giungeremo alla porta del paradiso non ci verrà chiesto con quanta cura abbiamo spolverato le crepe del marciapiede. Bensì con quanta profondità abbiamo deciso di vivere. […]
    Forse sei giunta alla mia porta perché sei interessata a vivere in modo tale da essere benedetta dal miracolo di “essere giovane da vecchia e vecchia da giovane”, ovvero essere ricolma di una graziosa varietà di paradossi in stabile equilibrio. Ricordi che la parola paradosso significa un’idea contraria alle opinioni convenzionali? E così è per la grand-mère, la più grande delle donne, la grande madre… perché è una donna saggia in formazione che abbina ciò che sembra illogico, ma assolutamente utile con le grandi dote della psiche profonda.
      Le grandi doti paradossali sono, principalmente, essere saggia e acquisire di continuo nuovi insegnamenti; essere ricolma di spontaneità e affidabilità; essere selvaggiamente creativa e risoluta; essere audace e accorta; proteggere la tradizione ed essere originale. […]
     Se sei interessata a queste contraddizioni, sei interessata anche all’archetipo misterioso e irresistibile della donna saggia di cui la grande madre è una rappresentazione simbolica. L’archetipo della donna saggia appartiene a donne di tutte le età e si manifesta con forme e modalità uniche nella vita di ogni donna.
      Parlare dell’imago profonda della grande madre come uno degli aspetti più importanti dell’archetipo della donna saggia non significa parlare di un’età cronologica o di una fase nella vita delle donne.
     Grande perspicacia, grande preveggenza, grande pace, espansività, sensualità, grande creatività, acume e audacia nell’apprendimento, ovvero essere sagge non è una condizione pienamente formata che arriva all’improvviso a una certa età e ricade sulle spalle di una donna come un mantello.
         Grande chiarezza e percezione, grande amore di immensa magnitudine, grande consapevolezza di sé di enorme profondità e ampiezza […] sono tutte ‘opere in divenire’, non conta quanti anni abbia accumulato una donna.
          Il fondamento della grandezza contrapposto alla mera ordinarietà è spesso conquistato attraverso crolli e ferite devastanti, slanci dello spirito, svolte sbagliate ed eccitanti nuove partenze subite in gioventù, nella mezza o nella tarda età. Ciò che si raccoglie dopo un disastro o una fortuna inaspettata… è plasmato e poi vissuto dalla donna e dal suo spirito, dal suo cuore, dalla sua mente, dal suo corpo e dalla sua anima… finché non solo diventa esperta della sua saggezza paradossale, ma spesso abilissima nei suoi modi di vivere, vedere ed essere.

Clarissa Pinkola Estés, La danza delle grandi madri, Frassinelli, Trento, 2006 €13(pagg.VII-XII)

martedì 9 giugno 2020

Resilienza



Rialzarsi
di nuovo,
malgrado lo schianto,
dopo ogni improvviso, violento
tsunami.                                     









domenica 7 giugno 2020

Palermo, cena con Socrate e Aristotele

      Palermo – Su iniziativa di un filosofo ‘patentato’, il professore Augusto Cavadi, e di un non-filosofo, il dottore Pietro Spalla che nella vita fa l’avvocato, a Palermo da quasi vent’anni un gruppetto di persone si incontrano due sere al mese per condividere le riflessioni su un testo, scelto di comune accordo, e che ciascuno si impegna a leggere in anticipo.
     Questi gli ingredienti delle cosiddette “Cenette filosofiche”, appellativo con cui sono definiti gli incontri. Cenette perché, prima della discussione comunitaria, chi vuole può condividere insieme una pizza; filosofiche perché i “cenacolanti” fanno filosofia insieme: infatti, secondo l’insegnamento e il metodo di Socrate, discutono liberamente - senza dogmi, maestri e verità preconcette - e si confrontano sui temi di natura esistenziale, psicologica, sociale e politica che emergono dalle pagine del libro prescelto.
      In questi anni, gli appassionati del confronto filosofico hanno meditato con giganti della letteratura quali Dostoevskij e Marguerite Yourcenar, e i loro capolavori “Memorie dal sottosuolo” e “Le memorie di Adriano; con filosofi del calibro di Voltaire e il suo “Candido”; hanno riflettuto sui nessi tra meccaniche celesti e pensieri quotidiani con i best sellers  “Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Revelli e “Il Tao della fisica” di Fritjof Capra; si sono chiesti quale sia “La vita autentica” con l’omonimo saggio del teologo Vito Mancuso; si sono interrogati su questioni cruciali quali l’eutanasia prendendo spunto dal saggio a più voci “Laici e cattolici in bioetica”.
         Ancora, leggendo insieme “Nulla da cercare” di Thich Nhat Hanh hanno approfondito temi cari al buddismo e alla spiritualità zen; meditando su “I come invidia” dello psicoterapeuta Giovanni Salonia hanno preso coscienza della più sterile e triste delle passioni; con “Se niente importa”, del giornalista statunitense Jonathan Safran Foer, si sono confrontati sulle abitudini alimentari – mangiare o no gli animali? – e le conseguenze planetarie, ecologiche ed economiche, della scelta di cosa mettere sul piatto.
Augusto Cavadi
     Nei tempi del lockdown, le cenette filosofiche dal vivo sono state ovviamente sospese; con l’utilizzo di una delle tante piattaforme d’incontro on line, è stato comunque possibile organizzare due incontri telematici, incentrati addirittura sui contenuti di due canti del Paradiso dantesco.
   I testi e i temi citati sono stati solo alcuni dei compagni di viaggio degli “amanti di Sofia”, che nella vita sono pensionati, medici, insegnanti, farmacisti, avvocati, disoccupati, neuropsichiatri, bancari, credenti, non-credenti …  Accomunati comunque dal desiderio di interrogarsi sulle grandi questioni che continuano a interpellare gli esseri umani. A riprova che, come affermato da Socrate e teorizzato poi da Aristotele nel suggestivo incipit ai libri della Metafisica: “Tutti gli uomini per natura tendono al sapere".
           La pratica filosofica infatti, come la intendono i “cenacolanti” palermitani e come l’ha teorizzata il docente e filosofo Augusto Cavadi, non ha niente da spartire con l’esercizio accademico - talvolta meramente erudito e cerebrale - nel cui sterile recinto, negli ultimi decenni, è stata confinata la filosofia; ma è, per dirla con le parole dello stesso Cavadi,  "Un modo di fare un passo indietro per guardare sé stessi e il mondo con occhi nuovi; una modalità di regalare un risveglio alle nostre potenzialità più intime e di immergersi in un bagno di 'senso' per uscirne più disposti a spendere in maniera dignitosa gli anni che ci restano da vivere sul nostro pianetino.  E’ un’esperienza di bellezza che ci rende meno prigionieri del nostro 'io' e più motivati a rapporti equi e sereni con le persone, gli animali e l’intera Terra."

Maria D'Asaro, 07.05. 2020, il Punto Quotidiano

venerdì 5 giugno 2020

Vendesi


Il quadretto di vetro
col puffo che offre un fiore arancione a Puffetta.

La casettina di legno
con le tartarughine verdi
e i poster di Topolino e di Nonna Papera.

La bambolina con i capelli rossi,
il pupetto morbidoso con la testa mozzata.

L’adesivo panciuto
di un coccodrillo rosso
Nel balcone della cucina.

Il bimbo che batte i denti per la febbre
nel lettino a castello bianco.




La bimba che gioca in strada
con le piccole amiche: “Ura iè!”

L’acquasantiera trasparente,
Gesù bambino con le tortorelle.

L’orologio che batte
ogni quarto d’ora.

Il mosaico arcobaleno
del bambino che si ostina a sorridere,
nonostante tutto.



Stagione finita, signori. Si (s)vende.


martedì 2 giugno 2020

Disattenzione

Pino Manzella: Wislawa Szymborska (15.1.2020)
Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.

Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro,
incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.


Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.

Nessun come e perché -
e da dove è saltato fuori uno così -
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.

Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
oppure
(e qui un paragone che mi è mancato).

Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio.

Su un tavolo più giovane, da una mano d’un giorno più giovane
il pane di ieri era tagliato diversamente.

Le nuvole erano come non mai e la pioggia era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.

E’ durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.

Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.

Wislawa Szymborska, traduzione di Pietro Marchesani


Un grazie speciale a Pino Manzella e a Margherita Di Marco: