L'autrice di questo blog, Maria D'Asaro, vive in un'isola ed è affascinata dal mare: mari da sognare, mari da scoprire, mari da solcare...
giovedì 31 luglio 2014
Siamo noi il corpo di Dio
martedì 29 luglio 2014
Non gridate più
Marc Chagall: La guerra |
Cessate d’uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore
Del crescere dell’erba,
Lieta dove non passa l’uomo.
Giuseppe Ungaretti (da Il dolore, in Vita di un uomo)
domenica 27 luglio 2014
PIF intervistato solo d'estate ...
venerdì 25 luglio 2014
Straniera a casa mia
mercoledì 23 luglio 2014
Vamos a la playa
lunedì 21 luglio 2014
La mafia raccontata a mia figlia
Manfredi Borsellino |
venerdì 18 luglio 2014
Scambi culturali PA-GR …
Grosseto - Chiesa del Sacro Cuore |
mercoledì 16 luglio 2014
Per essere grande, sii intero ...
lunedì 14 luglio 2014
Intervista a Pino Manzella
Pino Manzella |
Di Peppino sappiamo
del rapporto speciale con sua madre, Felicia Bartolotta Impastato. Ma poco o niente della sua vita sentimentale:
Peppino è mai stato innamorato? Che posto avevano i sentimenti nella sua vita
così piena di impegno civile?
Dici bene: la vita di Peppino era fatta soprattutto di
impegno civile e politica. La sua vita sentimentale è stata sempre un mistero anche
per noi suoi amici. Dai suoi pochi appunti autobiografici e dalle poesie
abbiamo saputo di qualche suo innamoramento, ma era come se relegasse l’aspetto
affettivo della sua vita in una zona inaccessibile e apparentemente
ininfluente. Come d’altronde aveva fatto per le lacerazioni degli affetti
familiari, che all’apparenza poco influenzavano il suo impegno politico.
Oggi sappiamo che non era così.
Fa impressione vedere nel video della canzone “I Cento
passi” dei Modena City Ramblers il funerale “cinematografico” di Peppino: tu
sei in prima fila, con il pugno alzato. La domanda è forse banale: cosa si prova
quando uno dei tuoi più cari amici viene ammazzato dalla mafia?
Si prova rabbia, una rabbia immensa e impotente. Una
rabbia che ti porti dentro e ti avvelena il sangue perché con gli anni diventa
astio verso quella parte dei tuoi compaesani che allora, per quieto vivere e
per viltà, fecero finta di credere ai carabinieri ed ai mafiosi. E che anche
oggi, come alibi a quella viltà, continuano a trasmettere ai loro figli la
memoria falsa di un Peppino pazzoide e poco di buono che “se l’era cercata”.
Come se fosse normale accettare tutte le illegalità e le schifezze che
imponevano i mafiosi e l’anomalia fosse Peppino che le denunciava. E poi c’è la
rabbia verso quegli uomini delle istituzioni preposte alle indagini che invece
depistano e fanno carriera. Ma, lo diceva Sciascia, lo Stato non può processare
sé stesso.
A interpretare Peppino, nel film “I Cento passi”, il
regista Andrea Giordana ha voluto il palermitano Luigi Lo Cascio. E’stata una
scelta azzeccata? In generale, come giudichi “I Cento passi”? In che rapporto
sono stati, dentro di te, il vero Peppino
e quello del film?
Luigi Lo Cascio nella parte di Peppino è stata
un’ottima scelta perché Luigi è un attore bravissimo, si è calato nel
personaggio in modo totale, anima e corpo. Curava anche i minimi dettagli: una
sera, durante le riprese del film, mi telefonò per chiedermi del modo di
camminare di Peppino. Gli dissi che, quando saliva per il corso principale di
Cinisi, camminava radente al muro, guardando per terra. E quando gli raccontai
di quella volta che aveva sbattuto la testa su una persiana aperta, scoppiammo
a ridere. Sono certo che aver impersonato Peppino abbia influenzato, in qualche
modo, la sua vita privata: e non parlo del successo e di quelle cose lì, credo
che Luigi abbia anche interiorizzato la carica umana e l’impegno civile e politico
di Peppino.
“I cento passi” ha certamente avuto il merito di far
conoscere la storia di Peppino a livello nazionale e forse anche
internazionale. Ma nel film si racconta un dramma familiare con parecchie
invenzioni e con alcune deformazioni. Nell’estate del ’99, prima che
iniziassero le riprese, ci avevano detto che volevano sentire le testimonianze degli
amici, ma non se ne fece niente: solo Giovanni, il fratello di Peppino, e un
amico, Salvo Vitale, lessero la sceneggiatura. Così un’esperienza unica e
intensa come quella del Circolo Musica e Cultura viene liquidata con una
scenetta dove il Circolo diventa un posto dove si vede qualche film e dove si
balla. In realtà vi si ballò una sola volta, nel carnevale del 1977. Il Circolo
invece svolse un’intensa attività culturale, quasi giornaliera, fatta di
cinema, dibattiti, spettacoli teatrali e musicali, mostre fotografiche e di
pittura. Si riuscì persino a organizzare un festival alla spiaggia Magaggiari,
il raduno “Nuove Tendenze”. Salvo Vitale, che fu vicino a Peppino solo nella
fase finale, ai tempi di Radio Aut (prima insegnava in Sardegna), viene
presentato quasi come “braccio destro” di Peppino. Invece, non c’era nessun
braccio destro, ma c’erano tanti amici e compagni: Agostino Vitale, che
collaborò con Peppino ai tempi del
giornale “L’idea socialista”, Vito La Duca, Guido Orlando … Era nella logica degli anni ’70 fare le cose
insieme, allora non c’erano personalismi, c’era la logica del collettivo.
Un’altra inesattezza del film è l’enfatizzazione del rapporto col pittore
Stefano Venuti e col Partito comunista: in realtà Peppino e tutti noi eravamo
“movimentisti”, più libertari, non “ingabbiati” nel PCI ma più vicini a gruppi
come Lotta Continua prima e Democrazia Proletaria dopo.
Dopo tutti quegli anni di isolamento (alle
commemorazioni, il 9 maggio, eravamo 20, 30 persone al massimo, senza nessun rappresentante delle
Istituzioni), quando uscì il film, nel 2000, fummo contenti che la figura di
Peppino venisse riconosciuta a livello nazionale e soprassedemmo su invenzioni
e deformazioni. Per molti ormai Peppino è quello del film: magari diventa, di
volta in volta, “giullare dell’antimafia”, “giornalista”, “poeta”, e ci si
dimentica che era un militante politico rivoluzionario, come si diceva allora. E
poi si utilizzano frasi del film come se le avesse dette veramente lui. Una
precisazione, forse banale: se non ricordo male in quel famoso articolo la
mafia per Peppino non era una montagna, ma una valanga di merda … Definizione
forse più incisiva e travolgente. Dentro di me, per un po’, il Peppino
cinematografico e quello vero hanno fatto a pugni. Ora riescono a convivere, ma
io so chi è il vero Peppino.
La mafia e il controllo del territorio: cosa è
cambiato, a tuo avviso, a Cinisi dalla fine degli anni ’70 ad oggi? Quali
battaglie farebbe oggi Peppino in Sicilia e in Italia?
Negli anni ’70 si sapeva chi era il capomafia, chi gli
girava attorno. La mafia oggi si mimetizza, non la vedi più come allora, ora è
tutta economia. Ma di questo ormai so quello che leggo sui giornali. Certo in
un piccolo centro è più facile vedere certe cose, ma puoi solo sospettare … E
chi può dire come sarebbe evoluto il suo modo di guardare alla realtà
siciliana? Certo, se penso ad una sua coerenza con quello che pensava allora,
oggi lo vedrei a suo agio con i NO MUOS, con i NO TAV e in tutte le lotte in
difesa dell’ambiente, a fianco dei precari, dalla parte dei più deboli. Sempre in
prima fila contro arroganza e prepotenza.
Conosci bene i ragazzi perché hai insegnato Lingua Francese
a Cinisi nella scuola media per tanti anni. Quale è, secondo te, la migliore
didattica antimafia?
Bufalino diceva che contro la mafia bisogna schierare
un esercito di maestri. Aveva ragione: soprattutto maestri, prima che
professori. Quei cinque anni di Scuola Elementare sono fondamentali. E’ lì che
bisogna lavorare, alla Scuola Media potrebbe essere già tardi. La nostra scuola
ha in sé la capacità di formare degli ottimi cittadini, ma spesso abdica al suo
ruolo, tralasciando certi argomenti come la mafia e affidandosi alla buona
volontà di qualche insegnante, senza una coerente e globale didattica
antimafia. Se insegni in un paese come Cinisi, hai un punto di osservazione
privilegiato. Cinisi ha ancora solidissime radici mafiose e sicuramente la scuola
che ho conosciuto io non faceva abbastanza. Ti racconto solo due particolari:
nel 1995 abbiamo chiesto di intitolare a Peppino l’aula magna della scuola
media: ci sono voluti più di dieci anni perché la richiesta fosse accettata. E
poi a scuola, quando parlavo di antimafia poteva capitare qualcuno a ricordarmi,
magari con il sorriso in bocca, che la mia materia era il Francese…
Quando hai iniziato a dipingere? Quanto l’assassinio
di Peppino ha influenzato la tua opera di pittore?
Mi pare di aver sempre dipinto, ma sicuramente con più
continuità dall’adolescenza. L’assassinio di Peppino si inserisce in un
contesto schiacciato tra chiesa, mafia e clientelismo democristiano. Mafiosi e
amministratori corrotti con la benedizione della chiesa. Non è un caso che
Leonardo Pandolfo e Gaetano Badalamenti facessero parte del Comitato per i
festeggiamenti di Santa Fara … Per cui vedevo questa comunità immersa
nell’egoismo e nell’ipocrisia. Tutto questo ha influenzato la mia vita e quindi
anche il mio modo di guardare alla pittura. All’inizio il disegno non era solo
disegno, ma il tentativo di raccontare un luogo dal mio punto di vista, il mio
modo di interpretare e di capire la realtà in cui vivevo. Voleva essere uno
sguardo critico, una denuncia della realtà così com’era, quasi una spinta a
cambiarla. Perché quasi subito ho scoperto che c’erano troppe cose che non mi
piacevano e cercare di cambiarle disegnando era la cosa più bella che mi
potesse capitare.
La tua è una tecnica particolare: spesso disegni con
china acquerellata su vecchi fogli di archivi destinati al macero. Un critico
d’arte, Claudio Alessandri, scriveva che “Gli
antichi documenti vergati con calligrafia minuta ed ordinata richiamano dalle
ombre un passato nebuloso, ma abbastanza visibile per accostarlo alla storia
recente. Un unico filo collega due mondi temporalmente lontani, ma
emotivamente attuali. Manzella scrive con le sue opere la storia recente
lasciando agli antichi documenti, supporto delle sue opere, il compito di far
rivivere il passato.”: ti riconosci in questa definizione?
Si, abbastanza: il mio amico Claudio Alessandri, purtroppo
scomparso qualche anno fa, conosceva bene il mio percorso artistico, per cui
quello che scriveva sulla mia pittura era sempre molto pertinente.
Sul tuo percorso artistico, scrive anche il presidente
del Centro di documentazione Peppino Impastato, Umberto Santino, che ha fatto
tanto perché fosse riconosciuta la verità storico-giudiziaria su Peppino.
Umberto scrive Tu, come un antico
miniaturista, animi di colori vecchi manoscritti finiti al mercato delle pulci,
atti notarili che registrano nozze e compravendite su svolazzi d’inchiostro
ancora leggibili …
Nei miei disegni cerco di rappresentare la Storia e la
società, specie quella siciliana. Alcuni miei dipinti vogliono essere un
omaggio alla letteratura. Ad esempio, i ritratti di Consolo, Sciascia,
Bufalino, Borges sono concepiti dopo una full-immersion nelle loro opere.
Dipingere è per me riflettere graficamente sulle tensioni, sui drammi, sugli
eroi e sulle vittime della nostra isola. Senza dimenticare la luce abbagliante
della nostra isola.
Cosa conterrà e dove sarà la tua prossima mostra?
Con il murale “Il filo rosso della memoria” fatto
all’interno della Casa Museo “Felicia e Peppino Impastato” ho iniziato un nuovo
ciclo in cui la Memoria diventa l’elemento da salvaguardare, in quest’epoca
smemorata dove si vive solo al presente e non c’è né il passato né il futuro. Questo
ciclo è diventato mostra itinerante all’interno di varie scuole e Comuni non
solo siciliani (ultimamente Salerno, Roma e Macomer nell’ambito del Festival
della Legalità “Conta e cammina”). Nel futuro prossimo, c’è la mia
partecipazione, con due opere de “Il filo rosso della memoria”, a una “collettiva”
a Berlino, organizzata da RicercArte di Naire Feo e Bartolo Conciauro. Mentre
in Sicilia, ad Alcamo, in questi giorni c’è stata un’altra collettiva dal
titolo “Aspetti architettonici e paesaggistici siciliani”, organizzata dalla
Galleria d’Arte Studio 71 di Francesco Scorsone e da EMIRO ARTE di Sebastiano
Caracozzo, mostra che poi andrà in giro in diverse città siciliane e dal 19
luglio sarà al Museo degli Angeli di Sant’Angelo di Brolo, in provincia di
Messina.
Ancora Santino, in una recensione delle tue opere,
scrive: “Il tema è ancora la Sicilia, o
meglio le Sicilie, con tutte le sue contraddizioni, con i suoi miti e i suoi
stereotipi, ma pure con le sue semplici, quotidiane, umili e preziose,
speranze-certezze.” Quali sono i tuoi progetti artistici futuri? Cosa vuoi
dipingere ancora?
Senza trascurare i paesaggi naturali e notturni, altra
cifra espressiva a cui sono legato, continuerò a dipingere opere legate alla
nostra Storia, privilegiando il filo rosso della memoria e del ricordo.
Continuerò a mettere assieme letteratura, impegno e pittura, perché sono
dimensioni inscindibili dentro di me. Affiancherò ai ritratti di scrittori
famosi anche quelli di gente comune e sconosciuta, perché ognuno di noi ha la
dignità di soggetto storico.
Maria
D’Asaro (“Centonove” n. 27 dell’11.7.2014, pagg. 30,31)
venerdì 11 luglio 2014
Palermo secondo Cavadi
mercoledì 9 luglio 2014
Io-tu-noi:comunione di amore
lunedì 7 luglio 2014
Elogio alla lentezza
Maria D’Asaro (“Centonove” n. 26 del 4.7.2014)
sabato 5 luglio 2014
Filippo Basile, un eroe normale
FILIPPO BASILE L’EROE NORMALE CHE RUPPE L’INGRANAGGIO DELL’OMERTA’
Filippo Basile |
venerdì 4 luglio 2014
Grazie, Giorgio
Forse possiamo cambiarla, ma è l’unica che c’è
Questa vita di stracci e sorrisi e di mezze parole …
Forse 100 anni o 200 è un attimo che va
Fosse di un attimo appena, sarebbe con me …
Tutti i vestiti di vento a inseguirci nel sole
Tutti aggrappati ad un filo e non sappiamo dove …