domenica 28 ottobre 2018

Miriam, campionessa made in Palermo

       C’è anche una palermitana, Miriam Sylla, nella nazionale di volley femminile che, ai mondiali appena conclusi in Giappone, non ha conquistato la medaglia d'oro perdendo in finale con la Serbia,  ma si è comunque piazzata seconda, con undici vittorie e due sole sconfitte.
      La particolare storia della campionessa, che si è guadagnata il titolo di migliore schiacciatrice del mondo, merita di essere raccontata. Le radici di Miriam sono nel continente africano: suo padre infatti, negli anni ’90, è arrivato in Italia dalla Costa d’Avorio per cercare lavoro e una possibilità di vita migliore. La sua prima destinazione era stata Bergamo perché un amico gli aveva assicurato che lì avrebbe subito lavorato; invece nella città lombarda Abdoulaye (questo il nome del papà) non trovò né un’occupazione né un tetto e fu costretto anche a dormire per strada. Qualcuno lo convinse allora  a trasferirsi a Palermo, dove almeno non avrebbe sofferto tanto il freddo. 
       Nel capoluogo siciliano fu aiutato dalla generosità di Maria e Paolo, una coppia che gli offrì un lavoro e la possibilità di regolarizzare la sua posizione.
Miriam Sylla
Poté così farsi raggiungere dalla moglie Salimata e, l’otto gennaio 1995, nasce Miriam, per il quale i datori di lavoro di papà sono dei “nonni” affettuosi. Nonni che non vorrebbe proprio lasciare quando la famigliola, spinta dall’arrivo a Lecco di un fratello della mamma, si trasferisce di nuovo al nord, dove Abdoulaye trova questa volta un lavoro stabile in una fabbrica e una casa per la famigliola. Miriam frequenta elementari e medie e, convinta per caso da un’amica, a dodici anni comincia a giocare a pallavolo. La sua grinta e il suo talento vengono notate: gioca prima nella squadra dell’Olginate e poi viene selezionata per l’Orago. L’ascesa nel volley continua: Miriam viene scelta dalla ‘Villa Cortese’ e poi dal ‘Bergamo’, con cui vince la Coppa Italia nel 2015/16. Nel 2018/19 passa, sempre in campionato A1, all’Imoco di Conegliano. Miriam, già titolare nella squadra nazionale italiana, prima dell’argento ai mondiali, aveva già vinto una medaglia d’argento nel 2017 al World Grand Prix. 
          A chi le chiede se si sente più ivoriana o italiana, l’atleta risponde che è una domanda insensata: «Sono nata qui, io sono e mi sento italiana. Magari più siciliana che del Nord». E, oltre ai nonni elettivi Maria e Paolo,  l’aspetta a Palermo il sindaco Orlando, per dirle grazie a nome della città e assegnarle il riconoscimento di “Tessera preziosa del Mosaico Palermo”.
Maria D’Asaro, Il Punto Quotidiano, 28.10.18

venerdì 26 ottobre 2018

La stupidità illuminata …

Inquinamento luminoso in Europa
    Puntuali come ogni anno, anzi con un giorno di anticipo rispetto all’anno scorso, in quest’ultima settimana di ottobre a Palermo davanti a qualche negozio sono già apparse le luci natalizie. In un quartiere di periferia, ieri sera sono state avvistate luminarie gigantesche sopra una pasticceria: due luccicanti stelle bianco/blu, con contorno di lucine varie.  Non si capisce a che serva anticipare di due mesi il clima natalizio, quando ancora abbiamo ben altro a cui pensare. Allora in grembo nutriamo un sogno: che il nostro governo comunale, e poi quello regionale e persino il governo nazionale, a Montecitorio e a Palazzo Madama, dispongano per legge, controfirmata dal Presidente della Repubblica, il divieto di accendere tanto in anticipo le nocive e inopportune luci natalizie, che consumano energia elettrica e fanno aumentare l’inquinamento luminoso e atmosferico. E poi, se è sempre Natale, il Natale scompare. E noi restiamo più tristi, surriscaldati e scontenti.
Maria D’Asaro

(L'anno scorso ho posto la stessa questione: qui )

mercoledì 24 ottobre 2018

Novantanove ... e non sentirli!

Zia Lillia oggi, 99 anni
        Tra i tanti doni della vita, c’è quello di avere avuto ziette preziose: zia Concetta, zia Carmela, zia Pina, zia Jole … che mi sorridono ormai dai pascoli del cielo. 
Zia Maria, zia Rosa, e le due fantastiche sorelle di mamma, zia Ninì e zia Lillia, ci sono ancora. 
Zia Lillia compie oggi 99 anni.
Immaginate forse una vecchietta, confinata ormai a casa, magari immobile in una sedia e un po’ svanita? Vi sbagliate. Zia Lillia esce ogni giorno per andare a messa, nella parrocchia di sant’Antonino di Palermo, dove diffonde – come dice lei – la buona stampa (Famiglia Cristiana); a casa cucina, lava i piatti, cura le piante … E il suo riposo consiste nella lettura di libri e giornali.
Di zia Lillia, pietra miliare della mia vita, scrivo qui. 
Zia Lillia eccelle per il suo francescanesimo, per il suo amore per la natura e per i viaggi (ha visitato Polonia, Francia, Portogallo, Spagna, Israele … oltre ad avere girato in lungo e largo l’Italia). Zia Lillia è pacifica, nonviolenta, amante della bellezza in tutte le sue forme. 
Ha una granitica fede cattolica, ma è lontanissima dall’essere bigotta o baciapile. Avrebbe voluto farsi suora: è stata ad Alba, in provincia di Cuneo, nella comunità delle suore paoline. Poi è dovuta tornare a Palermo, ma ha seguito la sua vocazione amando il prossimo da laica. E’ diventata maestra d’asilo e ha curato con affetto tantissimi bambini, insieme ai nipoti, pronipoti e pro-pronipoti. Dal pro-pronipotino più piccolo, Davide, la distanziano 97 anni …
Cosa augurare a zia Lillia? Di continuare a vivere in salute, letizia e serenità, attorniata dall’affetto della carissima sorella più giovane (zia Ninì, quasi 91 anni) e di tutti i parenti, i nipoti, gli amici e amiche e della stima cordiale e sincera dell’affezionata comunità parrocchiale.



Zia Lillia e Ninì




lunedì 22 ottobre 2018

Servi per amore: il Paradiso è tutto qui

      (…) Che cosa resterà della nostra vita? Che cosa è eterno in noi?
Potremmo tradurre il Vangelo dicendo: Noi parteciperemo alla vita eterna, cioè resterà di noi solo quello che abbiamo donato con amore agli altri. Tutto il resto è perduto.
      Dobbiamo pensare a una condanna di Dio? No, no … non resterà niente. E’ definitivo quello che abbiamo donato agli altri. Non avrà futuro – e non ce l’ha già – quello che abbiamo trattenuto solo per noi.
Con questo non siamo invitati a non volerci bene. No, ci vogliamo bene. Scoprendo ogni volta che in noi c’è tanta ricchezza da poter condividere con gli altri. A partire dai propri familiari, dai propri cari che sono i primi destinatari del nostro amore, del nostro dono. Il Vangelo è una sorta di provocazione per noi: - Sei convinto di non aver niente da donare? Sappi che sei perduto, se non hai niente da donare … Se sei capace solo di accumulare, sarai triste per questo bisogno; mentre se scoprirai che puoi donare, sarai gioioso sin da adesso a poter vedere gioire gli altri e tu con loro. 
      E perché ciò avvenga, Gesù ci dà un’indicazione semplicissima, che noi, in dialetto siciliano, abbiamo tradotto con un’espressione che usiamo qualche volta con atteggiamento di giudizio e di disprezzo; ma se la liberiamo da quest’intonazione, ne possiamo scoprire il senso: quando vogliamo dire a una persona che non vale niente, le diciamo, in dialetto siciliano, “nun servi”, cioè “non servi”.         Infatti il valore di una persona è se serve, se sa servire gli altri, se sa offrire il suo servizio.
E quindi l’amore viene verificato attraverso la capacità di servizio che noi dobbiamo sapere attivare gli uni verso gli altri. E non dobbiamo vergognarci, ma essere soddisfatti di poter dire: Oggi ho svolto questo lavoro, ho reso questo servizio … dal pulire le strade, al lavoro d’ufficio, all’insegnare, all’essere artigiani. Ho contribuito così alla storia dell’umanità, rendendo questo mio servizio. Purtroppo mi è capitato di sentire qualcuno vantarsi di non far nulla e meno si fa più ci si sente orgogliosi. Ma (…) è assurdo vantarsi di non far nulla, bisognerebbe vergognarsi …
     Alla fine di ogni giornata, se vogliamo fare un esame di coscienza dovrebbe essere: - Oggi che servizio ho reso? A chi? Come l’ho reso? – La vera qualità della vita è questa, come il Vangelo ce la fa intravedere, perché, se uno rende servizio, sorride all’altro e vuole vederlo sorridere. L’altro non è un inciampo, è uno spazio nel quale ci si incontra e si diventa alleati … La nuova ed eterna alleanza dell’amicizia servizievole … ognuno faccia quello che sa fare e quello per cui è stato anche incaricato dalla società.
       E se la sera concludendo la giornata uno dice: - Oggi non ho fatto niente, oggi non sono servito a niente e a nessuno … -  Questa persona non ha futuro, non ha vita eterna, questo è il senso del Paradiso, sin da adesso. Una vita che si riempie di servizio, reso con umiltà, con competenza, con intelligenza (…)
      Rendere servizio gli uni agli altri. A questo ci invita il Vangelo di oggi. Il servizio è la prova del nove che dimostra se amiamo per davvero oppure no. Poi, le forme di servizio sono infinite: ognuno di noi le pratichi soprattutto in direzione di ciò che sa fare meglio, e che ha il dovere di fare se ha una professionalità da esercitare o il dovere di ampliare, se c’è un bisogno, un’emergenza da soccorrere. Dobbiamo coltivare quest’idea: tu vali perché servi, se non sei a servizio, se non servi, non vali. Ecco cosa il Vangelo ci fa scoprire.

 (il testo – omelia di don Cosimo Scordato pronunciata a Palermo nella chiesa di san Francesco Saverio domenica 21 ottobre 2018 – non è stato rivisto dall’autore. Eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)



domenica 21 ottobre 2018

Denis e Nadia, due vite da Nobel

    Il premio Nobel per la pace 2018 è stato assegnato a due persone che hanno lottato contro la brutalità umana e hanno testimoniato con la loro vita la possibilità di resistere all’odio e di aiutare le vittime di violenza. Si tratta del medico congolese Denis Mukwege e di Nadia Murad, vittima di crimini commessi dall'Isis in Iraq.
Denis Mukwege, nato nel 1955 a Bukavu, in Congo, dopo essersi laureato in medicina in Burundi, si è specializzato come ginecologo in Francia. Nel 1998 ha aperto nella sua città natale un ospedale – il Panzi Hospital – la cui missione principale è curare le donne vittime di violenza sessuale, donne che, purtroppo, nell’Africa centrale sono tante, in quanto lo stupro viene considerato un’arma da guerra.  
     Nadia Murad, di etnia yazida, è nata nel 1993 nel villaggio di Kocho, nel nord dell'Iraq. Era una studentessa ventunenne quando, nel 2014, i miliziani dell'Isis sono arrivati nel suo villaggio, hanno ucciso gli uomini, fatto scomparire le donne anziane e l’hanno rapita insieme ad altre ragazze e bambini. Divenuta schiava sessuale, qualche mese dopo Nadia è miracolosamente riuscita a scappare, quando il suo carceriere per disattenzione non ha chiuso a chiave la porta della casa di Mosul in cui era prigioniera. Aiutata da una famiglia della zona, è riuscita a raggiungere il campo profughi nel nord dell’Iraq e a rifugiarsi in Germania, a Stoccarda. E’ poi diventata ambasciatrice di pace all’ONU e ha partecipato a varie iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sul tema dei rifugiati e soprattutto sulla tratta di esseri umani.
     Il Nobel per la pace, istituito dal testamento di Alfred Nobel del 1895, a differenza degli altri premi, viene assegnato in Norvegia, ad Oslo, e non in Svezia dove invece – precisamente a Stoccolma - qualche giorno prima del conferimento del Nobel per la Pace, sono stati proclamati i vincitori degli altri premi: quello per la Medicina è stato attribuito allo statunitense James P. Allison e al giapponese Tasuku Honjo, che hanno potenziato la capacità reattiva del sistema immunitario contro le cellule cancerose; il Nobel per la Fisica è stato assegnato ad Arthur Ashkin, Gérard Mourou e  Donna Strickland per i loro studi che hanno rivoluzionato la fisica dei laser, rendendone possibili nuove applicazioni nell’industria e nella medicina; triplice condivisione anche del Nobel per la Chimica, andato a Frances H. Arnold, George P. Smith e a Gregory P. Winter, che hanno applicato i principi dell’evoluzione e della genetica a enzimi e anticorpi; a William D. Nordhaus e a Paul M. Romer, infine, il premio Nobel per l’Economia, per aver inserito i cambiamenti climatici e l’innovazione tecnologica nell’analisi dei processi macroeconomici.
     Non è stato invece assegnato quest’anno il premio Nobel per la Letteratura: una decisione sofferta da parte dell’Accademia svedese, a seguito dello scandalo sulle molestie sessuali che ha coinvolto il fotografo Jean-Claude Arnault, marito di una donna, Katarina Frostenson, membro dell’Accademia stessa. Il fotografo avrebbe ricevuto finanziamenti da parte dell’Accademia per una associazione culturale da lui fondata.
     Fermi un giro, dunque, per ritrovare credibilità e fiducia agli occhi del mondo. I candidati al Nobel per la Letteratura, rimasti quest’anno a bocca asciutta, si rifaranno comunque nel 2019, quando i premi assegnati saranno due, uno per il 2019 e uno, appunto, per il 2018. 

Maria D’Asaro, Il Punto Quotidiano, 21.10.18

giovedì 18 ottobre 2018

Shalom

Bice Triolo: san Francesco Saverio (particolare)
          Massimo, Claudia, Francesco, Ornella, Iwona, Eliana, Emanuele, Toti, Bice, Daniele, Rosa, Teresa, Giuseppe, Marco, Andreina, Alina, Paolo, Giovanna, Rita, Franco, Rosalba, Ruggero, Marilina, Maurizio, Rosalia, Vito, Antonella, Enzo, Maria, Gregorio, Pippi, Antonella, Rino, Nino, Pino, Patrizia, Sandro, Tilde, Emilia, Lina, Gabriele, Marina, Vincenzo, Pina, Carmelo, Giusi, Ivana, Salvatore, Leonardo, Giovanni, Pauline … nella chiesa di san Francesco Saverio, a Palermo, i partecipanti alla messa domenicale si chiamano per nome: ci si conosce tutti, qualcuno addirittura frequenta la comunità da più di trent’anni. E’ un momento di gioia salutarsi all’inizio della celebrazione e - oltre alle letture e allo spezzare del pane eucaristico - condividere gioie e sorrisi e, talvolta, qualche lacrima o un momento di dolore. L’incontro è un momento di cura, una festa degli occhi … E tutti, in chiesa, possono sperimentare la potenza salvifica della relazioni umane, al di la o al di qua di ogni possibile Trascendenza.
Maria D’Asaro


martedì 16 ottobre 2018

Oh, Harriet!

Cara Silvia,

       due parole per ringraziarti e … per scusarmi. Anzi, nell’ordine, prima le scuse e poi i ringraziamenti. Le scuse sono dovute in realtà a un peccato di pensiero – ti ricordi, vero, che  per l’etica cattolica i peccati possono essere di “pensiero, parole, opere ed omissioni”? – peccato che però, in quanto veniale, potrei anche non confessare apertamente.
        Ma voglio farlo, anche se non siamo in Quaresima. Ecco di che si tratta: quando mi hai prestato Oh, Harriet! scritto da Francesco D’Adamo (Giunti, Firenze, 2018, € 12) ho pensato, tra me e me:  Ma come … Io leggo e recensisco premi Nobel come la Munro o scrittori del calibro di  David Grossman  e Ionathan Franzenluminari della Psicologia della Gestalt come Polster o il prof. Salonia … E ora dovrò leggere un libro per ragazzetti … O tempora! O mores! Oh Maruzza! (sospiro) … Vabbè, ormai lo hai preso, ti tocca sfogliarlo.
      E l’ho letto, infatti.  Tutto d’un fiato. In pochissime serate. Con gusto e con passione. E quindi porgo le scuse per la silente ma supponente arroganza della scrivente che - al pari di Snoopy convinto di essere ‘l’asso della manica della I guerra mondiale’ e di potere col suo Sopwith Camel abbattere il temibile Barone Rosso - si crede grande critico letterario dedito solo alle alte letture … Ma ora passiamo ai ringraziamenti.
       Oh, Harriet! – e lo diciamo anche al suo autore, il prof. D’Adamo – a mio avviso, è un libretto delizioso: per me, per i miei meravigliosi alunni di seconda media, per tutte le classi seconde e terze della nostra scuola e di tutte le scuole italiane. Ma lo è per tutti: per chiunque voglia conoscere un pezzo di storia americana e un personaggio eccezionale come Harriet. Il testo, tra l’altro, risponde quasi naturalmente ai tre requisiti, saggiamente indicati dal caro don Lisander Manzoni, necessari per una buona opera letteraria: “Il vero come soggetto, l’utile come scopo, l’interessante come mezzo”. Il libro infatti ci racconta una storia vera, ce la racconta in modo scorrevole e convincente e la sua lettura ci lascia un po’ migliori di come ci aveva trovati.
Harriet Tubman
        La protagonista della storia è una donna nera, Harriet Tubman, nata presumibilmente nel 1822  nello stato americano del Maryland da due schiavi e quindi anch’essa schiava. Harriet, a sei anni, dovette fare da bambinaia al figlio di una donna bianca. Quando il bambino si svegliava di notte, lei veniva frustata. Dopo aver subito angherie di ogni genere, nonostante fosse debole e malata, decise di scappare  e si adopererò con ogni mezzo per restituire la libertà ai suoi familiari e a molti altri negri,  passando alla storia come la "Mosè degli afroamericani", dopo aver combattuto tutta la vita prima per abolire la schiavitù e, in seguito, per ottenere il diritto di voto alle donne.. 
       La vicenda ci viene raccontata in modo davvero avvincente, immaginando un’intervista alla Tubman ormai molto vecchia, curata nel 1912 da un certo Billy Bishop, un giovane giornalista dell’Herald Tribune di New York, proprio nei giorni successivi all’affondamento del Titanic. Ovviamente, per evitare di ‘spoilerare’ non si aggiungono altri particolari …
       
Articolo su Harriet su un giornale americano di fine '800


        Voglio infine aggiungere, cara Silvia – perché sono vecchia? perché la storia è intrigante? perché le persone belle e coraggiose sono sempre capaci di toccarci il cuore? perché il prof. D’Adamo scrive bene? – che, accidenti, mi sono persino venuti i lucciconi man mano che andavo avanti nel racconto: mi ha commosso leggere dei viaggi affrontati da Harriet per condurre in salvo i negri fuggitivi e risentire la storia di John Brown, di cui cantavo una canzoncina in inglese, da ragazzina di I media: John Brown giace nella tomba là nel pian/dopo una lunga lotta contro l’oppressor./John Brown giace nella tomba là nel pian/la sua anima vive ancor … Glory, glory alleluia./ Glory, glory alleluia. (…) Ma l’ anima vive ancor (…); mi ha intenerito persino la storia d’amore tra Billy e Mary Ann …

           
       E allora, cara Silvia, proponiamolo senz’altro questo libro ai nostri ragazzi: perché, come afferma Billy, le nostre storie e le nostre battaglie possono essere quelle giuste anche se non finiscono in prima pagina e, come ci ricordano Harriet e Martin Luther King “I sogni talvolta si avverano, ma bisogna crederci e lottare per realizzarli”.
Maria D’Asaro

P.s. La Silvia destinataria della lettera è la collega prof.ssa Silvia Borruso: docente appassionata, vulcanica, competente. La prof. che tutti vorremmo avere per i nostri figli o nipoti … 

domenica 14 ottobre 2018

A Palermo tornano "Le Vie dei Tesori"

       Città-museo a cielo aperto: così si presenterà Palermo per la dodicesima edizione de “Le Vie dei tesori”, manifestazione dedicata alla valorizzazione del patrimonio culturale, monumentale e artistico della città che si svolgerà nei cinque fine settimana dal 5 ottobre al 4 novembre prossimo. 
         Saranno 130 i  luoghi storici, artisti e monumentali che si potranno visitare nella capitale siciliana: palazzi, archivi segreti, residenze arabo-normanne, giardini, collezioni, musei scientifici, teatri, terrazze, ex fabbriche,  un carcere, un aeroporto e i luoghi della memoria legati a padre Pino Puglisi e ai giudici Falcone e Borsellino. 
        Tra oratori, cappelle, cripte e le tante antiche chiese aperte al pubblico in questa occasione, si segnalano la chiesa di Santa Venera alla Kalsa e il gioiello barocco della Madonna della Mercede al mercato del Capo. Visitabili anche quasi tutte le residenze arabo-normanne: la Zisa, la piccola Cuba con i giardini di Villa Napoli, Maredolce, l’antica fortificazione araba del Castello a Mare, le camere dello scirocco di Villa Naselli e di fondo Micciulla, quest’ultima scavata nella roccia  e da cui si intravede l’ingresso a un qanat, Sarà possibile ammirare anche il museo del tesoro di santa Rosalia, nella cappella di Monte Pellegrino; un’ala inedita dell’Albergo delle Povere che contiene la chiesa, il chiostro, gli archivi e gli antichi lavatoi; e persino l’antico aeroporto di Boccadifalco, con i suoi bunker antiaerei e il suo Aereo/Club storico.
          Tra gli interessanti itinerari proposti, si potranno inoltre visitare, nella borgata dell’Acquasanta, la sede della Manifattura dei Tabacchi, che, a fine ‘600, era un antico lazzaretto; il noto carcere dell’Ucciardone; la fabbrica dolciaria Terranova, nel quartiere Albergheria, molto nota in città per le caramelle di carrube; il Grand Hotel ‘Piazza Borsa’;  il museo delle Scienze ‘Margherita Hack’.
      A venticinque anni dell’omicidio di Padre Puglisi, il festival inserisce nel suo circuito l’abitazione del sacerdote ucciso a Brancaccio (oggi museo della memoria); il No Mafia memorial, con sede a palazzo Gulì (vicino via Vittorio Emanuele) che vuole coniugare memoria e idee/laboratorio nella lotta alla mafia; il Giardino della Concordia di Pallavicino, colorato omaggio alle vittime di tutte le violenze.
        Alla straordinaria varietà di luoghi aperti al pubblico, si aggiunge un fitto programma di eventi, tra cui le passeggiate guidate da esperti, botanici, giornalisti, scrittori e gli stand per la valorizzazione di vecchi e nuovi tipi di lavoro artigianale. Tranne 18 luoghi aperti solo su prenotazione, la maggior parte dei siti è visitabile con i coupon (dieci euro per dieci visite, cinque euro per quattro visite e due euro per una singola visita).
        Inserita nel programma istituzionale di Palermo Capitale della Cultura 2018 e partner della Biennale d’arte contemporanea Manifesta 12, l’iniziativa de “Le Vie dei tesori”, oltre a incrementare la conoscenza della bellezza e della storia della città, promuove il turismo culturale, con una ricaduta economica sul territorio palermitano che, nello scorso anno, è stato valutato in circa tre milioni di euro. A comprova del fatto che promozione culturale, cittadinanza attiva e crescita economica, se non sorelle di sangue, sono senz’altro ottime amiche.
Maria D’Asaro, Il Punto Quotidiano, 14.10.2018

mercoledì 10 ottobre 2018

Papà







Vivo
Nella mente
E nel cuore
Il tuo amorevole sorriso:
papà …                                               

martedì 9 ottobre 2018

Corradino and me

Picasso: Madre e figlio (1905)

La lettura di “Quattro soli a motore” (Neo.Edizioni, Castel di Sangro, 2012, € 15)  è avvenuta un po’ per puntiglio e per rispetto di un impegno con me stessa (avevo chiesto il libro come regalo di Natale), ma soprattutto perché volevo capire che sostanza e che ‘pasta linguistica’ contenesse l’opera seconda dell’autore, il blogger Zio Scriba, al secolo Nicola Pezzoli, che nel suo profilo si definisce - oltre a “Umorista, Battutista, Poeta Pentito, Gambler Esistenziale, Spirito Libero (…) Peter Pan Dichiarato, Naturalista Contemplativo, Interista Isterico, Bastiancontrario Cronico, Pericolosa Testa Di Pazzo” - innanzitutto “Natural Born Writer”, o semplicemente “Scrittore". Questa presentazione ‘leggermente narcisista’ – come confessato onestamente dal suddetto Nicola – ha fatto sì che iniziassi a leggere il romanzo con una certa diffidenza, col sospetto che il suo autore si rivelasse un pallone gonfiato. Invece, avanzando pagina dopo pagina e distanziando la storia dai miei ingombranti pregiudizi, “Quattro soli a motore” mi ha commosso e convinto.
La lettrice si ritrova, nell’estate del 1978 a Cuviago, paesino sperduto della Lombardia allora inondata da fabbriche e cemento, a fianco di Corradino, protagonista della vicenda, con suo padre, sua madre “che l’alcool non rendeva mai cattiva, solo svampita e più dolce”, la svanita nonna Corinna, la cui esistenza nasconde un mistero, zia Trude, la signorina De Ropp e le altre “millesettecento anime abbastanza stronzolotte” del paese. Come Corradino, ha paura del Cane Nero che abbaia furioso nella notte; si perde con lui nei campi di granturco “dove il vento produceva un fruscio come di sonagli silenziati, di campanellini con l’ovatta, accompagnato dallo stormire di centinaia di nacchere in miniatura”; s’indigna nel vedere tremare il ragazzetto colpito dalle furiose cinghiate di Videla, soprannome affibbiato dal figlio al padre manesco e violento: “Poteva bastare una sua domanda innocua per capire che più tardi le avrei prese (…). Altre volte bastava il suo sguardo, altre ancora una vera e propria dichiarazione di guerra (…). Ricordo quando mi scoppiò la stupidera, e lui mi picchiò per quello, perché ridevo e ridevo senza motivo, perché sembravo … un bambino felice.”
La lettrice si intenerisce per l’innamoramento struggente e senza speranza che il ragazzo nutre per la Marilù del bosco. E lo guarda camminarle vicino, serio e silenzioso “mentre le braci del tramonto … già incendiavano spicchi di cielo, e ciuffi di nuvole in dissolvenza”. Non sopporta la cattiveria crudele con cui Corradino viene trattato dai bulletti del paese, che si divertono a tormentarlo con mille angherie e ad affibbiargli un ridicolo nomignolo. Infine si appassiona nello scoprire l’intricato mistero di villa Kestenholz, di cui il protagonista, assieme all’amico Gianni, alla fine riesce a venire a capo. La lettrice scommette che tutti i lettori resterebbero affascinati, alla fine della vicenda, dal legame delicato e profondo che si istaura tra il ragazzo e il vecchio Kestenholz che vuole saggiamente estirpare dall’anima di Corradino i sensi di colpa che nel tempo si era fabbricato. Ricordandogli che “Chi nasce, nasce perché nel suo albero genealogico ci sono dei rami spezzati e … senza quella legna, segata e spaccata, non ci sarebbe quel fuoco che è la nostra singola, incidentale vita. Siamo solo, e lo siamo tutti, nient’altro che capricci del Caso.”  E rassicurandolo, perchè “le parole scritte non uccidono quasi mai. Le parole scritte uccidono quando vengono considerate verità assolute da qualche fanatico babbeo. “
Infine, tra le pieghe del racconto, ma soprattutto nell’epilogo della vicenda, si percepisce una netta e vibrante denuncia dell’assurdità della guerra, schiava cieca dell’odio e serva della Grande Mietitrice. Si ricorda la morte inutile e dolorosa dei soldati, destinata tragicamente all’oblio quando, dopo una guerra, ce n’è un’altra: “Essere periti in una guerra mondiale dopo che ce n’è stata già un’altra è (…) come esser stati calpestati da un elefante di Annibale durante le Guerre Puniche o decapitati da una scimitarra nelle Crociate.” E il saggio Kestenholz profetizza triste, alla fine della storia, che “Se gli uomini sono destinati ad avere sempre più forza e potenza, ma sempre meno intelligenza, saggezza e capacità di discernimento … e sempre meno bontà … il prossimo secolo saprà essere più buio. E quello dopo ancora, sempre peggio.”
Allora, caro zio Scriba, per scacciare la sacrosanta tristezza che ci rimane a chiusura del libro e per tentare di scongiurare la profezia di Kestenholz, non ci resta che provare a mettere vita e parole - e tu le parole le sai usare con vero talento! - al servizio della bellezza e della bontà.
Maria D'Asaro

domenica 7 ottobre 2018

Marcia della Pace, da Perugia ad Assisi


         E’ in programma oggi, da Perugia ad Assisi, la XXIII Marcia per la pace, che si snoda per un percorso di quasi 24 chilometri e vede la partecipazione di singoli, gruppi, scuole e associazioni provenienti da tutta l’Italia.      
         La manifestazione è promossa dai francescani del Sacro convento di Assisi, dal Coordinamento nazionale enti locali per la pace e i diritti umani e dalla Tavola della pace, che aggrega enti e associazioni del variegato movimento pacifista italiano. Un centinaio i palermitani partecipanti alla marcia: tra gli altri, una rappresentanza di alunni e docenti di due scuole superiori della città – gli Istituti superiori “ Ernesto Ascione” e “Regina Margherita” – e una delegazione del MIR, Movimento Italiano Riconciliazione, col suo vice presidente nazionale, il palermitano Francesco Lo Cascio.
        La prima marcia per la pace nacque su iniziativa del filosofo Aldo Capitini, in Italia uno dei primi teorici e attivisti della nonviolenza, che si ispirò al pensiero e alla prassi del Mahatma Gandhi. La marcia, che si svolse ad Assisi domenica 24 settembre 1961, fu concepita come un corteo popolare che testimoniasse a favore della pace e della solidarietà dei popoli. Aldo Capitini prese spunto dalle azioni dei pacifisti anglosassoni che, nel 1958, guidati dal filosofo Bertrand Russell, si radunarono ad Aldermaston per una protesta antinucleare. 
         Nel 1961, alla prima marcia parteciparono circa 20.000 persone, tra cui Arturo Carlo Jemolo, Guido Piovene, Renato Guttuso ed Ernesto Rossi. In prima fila, c’erano gli scrittori Giovanni Arpino e Italo Calvino. Successivamente, l’ideatore della marcia, ne sottolineò l’importanza come comunicazione del carattere attivo della nonviolenza, che si serve della protesta, della non-collaborazione, della denuncia, delle manifestazioni pubbliche per lottare con mezzi pacifici a favore della pace e della giustizia.
      Per scongiurarne la trasformazione in uno sterile rituale, la marcia non ha una cadenza annuale e viene organizzata ogni due o tre anni. Questi alcuni dei suoi slogan: “Per la pace e la fratellanza tra i popoli”, nel 1961; “ Liberi dalla mafia, dalla corruzione e dalla violenza”, nel 1992; “Noi popoli delle Nazioni Unite per un'economia di giustizia”, nel 1997; “Mai più eserciti e guerre”, nel 2000; “Per un'Europa di pace”, nel 2003. 
      “Tu puoi cambiare le cose” è invece il motto della marcia di quest’anno.  Con l’augurio che la bandiera arcobaleno – utilizzata per la prima volta nel 1961 e simbolo dell’opposizione nonviolenta a tutte le guerre - possa presto sventolare anche là dove oggi infuriano sanguinosi conflitti.
Maria D'Asaro, 7.10.18, su Il Punto Quotidiano

giovedì 4 ottobre 2018

La legalità comincia dal pane


            Spesso funge da ‘putìa’ un ‘lapone’ bianco, al cui interno sono accatastati  pezzi di pane rimacinato da mezzo chilo ciascuno. Accanto al lapone un uomo – talvolta un ragazzino - che chiede, con tono premuroso, stanco o annoiato, a seconda dei casi: “Quantu nni voli?”. Perché, sebbene molti panifici siano aperti anche nei giorni festivi, alcuni palermitani, la domenica pomeriggio, acquistano il pane per strada, dal rivenditore occasionale. Non facendosi domande sulla concorrenza sleale, sulla mancanza della licenza di vendita, l’assenza di scontrino fiscale; non chiedendosi se il prodotto rispetta le norme igienico-sanitarie e quale farina e quali ingredienti contenga il pane comprato per strada. Come non ci si fa domande quando si acquista la frutta da un qualsiasi venditore improvvisato. Però, se vogliamo essere cittadini davvero ‘svegli’, certe domande dovremmo comunque farcele. E a esse far seguire comportamenti corretti e coerenti. E tutto comincerebbe ad avere un altro sapore …
Maria D’Asaro

martedì 2 ottobre 2018

Insopportabile ...




Insopportabile
La durata
Della carta igienica
In una casa vuota.
Parti …