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Chato |
Come si evince dal titolo Chato, storia di un cane straordinario (BookSprint Edizioni, 2022, sia E-book che cartaceo) il libro è il racconto della vita di un cane, quello con cui l’autore Gianni Tassi ha condiviso la sua giovinezza a Civitavecchia, negli anni ’70 e ’80; ma è anche un po’ di più: è la storia di una particolare storia d’amore.
Chi sono dunque i protagonisti di questo legame speciale, assoluto e profondo? Chato, innanzitutto: cucciolo nero con ‘calzini’, naso e punta della coda bianchi, il bastardino, quinto di una cucciolata, nato da madre simil/collie e padre ignoto, che la sua vice mamma Cristiana Vallarino, a Civitavecchia nel marzo 1972, per dargli una ‘famiglia’ porta in una sacca al Bar Italia, allora luogo di incontro cittadino di tanta bella gioventù.
Nel bar è amore a prima vista con Gianni, geometra ventenne che ama la fotografia e che dispone di una piccionaia tutta sua a largo Cavour, piccionaia che sarà la prima casa del cucciolo. Comincia il sodalizio felice che durerà sedici anni, sino alla morte di Chato, avvenuta nel maggio 1988.
Perché Chato è un cane straordinario? Perché è intelligente, libero, autonomo e un po’ anarchico, assai simile al suo custode umano. Chato è abituato ben presto a gironzolare liberamente per la città e ritirarsi a casa la sera, come ogni essere a modo che si rispetti. Dopo qualche disavventura iniziale, impara persino ad attraversare la strada al momento giusto, senza essere investito. Spesso la mattina va al Porto, nella Capitaneria dove allora lavorava Giacomo, il padre di Gianni, che lo aveva adottato assieme a mamma Eda. In Capitaneria Chato è conosciuto e benvoluto da tutti: dai suoi simili, i cani antidroga, agli umani da cui spesso rimediava una merenda, un panino con la mortadella.
Gianni intanto cura la sua passione per il giornalismo e la fotografia: Chato condivide con lui l’odore di iposolfito di sodio e di solfito di potassio, i reagenti necessari per sviluppare le foto.
Insieme condividono le escursioni sui monti della Tolfa e vicino alla necropoli etrusca di Luni, sul fiume Mignone: “Il bello di quei luoghi era la solitudine, il silenzio rotto solo dal muggito di qualche vacca maremmana, il rumore del vento che si insinuava insistente tra i rami e le spine”. E poco importa se, con la sua irruenza canina, Chato impedisce a Gianni di immortalare un esemplare di capovaccaio, l’avvoltoio che, dall’Africa orientale e dal Medio Oriente, migrava in primavera nelle zone dell’alto Lazio e della Maremma Toscana.
Chato e Gianni amano immensamente il mare: “Il mare gli è sempre piaciuto, sin da piccolissimo. Non solo d’estate, quando restava a mollo per le lunghe e infruttuose corse dietro i piccoli pesci che vedeva specchiarsi sotto il pelo dell’acqua. Le nostre passeggiate sulla spiaggia avvenivano soprattutto d’inverno quando aveva la possibilità di saltare e scavare senza dare fastidio ai bagnanti distesi al sole.”.
Gianni racconta anche di quando una sera Chato, che aveva un debole per l’altro sesso, rientra portando con sé a casa di mamma Eda una ‘fidanzatina’, una bella cagnolina bianca e marrone! E fa commuovere i lettori quando descrive la liberazione dal canile municipale dove era finito per errore: “I suoi occhi parlavano, tutto il suo corpo parlava e solo chi ha vissuto per tanti anni con un cane può capire quello che si prova. (…) Ci siamo scambiati sguardi che dicevano tutto: amore, ma anche rimproveri, preoccupazioni, felicità”.
Certo, se a leggere il libro è una vecchia professoressa pedante non può fare a meno di sottolineare qualche ripetizione di troppo. Ma il testo vuole essere un tributo autobiografico a Chato, non un esercizio letterario. E dalla sua lettura, che si apprezza perché permette di visualizzare nitidamente gli episodi narrati, si esce arricchiti: Gianni con Chato ci fa entrare con garbo - quasi ‘visivamente’, da valente fotografo qual è - nella Civitavecchia degli anni ’70, nella sua routine di cittadina vivace dell’Italia centrale, con le sue divisioni tra fascisti e comunisti, con l’onnipresente odore del porto, con la tragedia dell’alluvione del 1981...
Infine, nel testo non mancano le inevitabili domande che si pone chi ha vissuto con un animale domestico: gli animali hanno coscienza di sé? Li rivedremo mai in un aldilà? Alla prima, Gianni risponde così: “Chi ha convissuto per tanto tempo con il suo Fido saprà trovare il modo di far capire agli scettici che questo splendido animale non solo pensa e agisce di conseguenza, ma è anche in grado di compiere azioni complesse che necessitano di un ragionamento non sempre elementare”.
Alla seconda, fa rispondere direttamente Chato: “Stai tranquillo, sto bene, in questo luogo tutti gli animali stanno bene. Penso ai tanti bellissimi momenti passati con te ed è questo pensiero a rendermi felice. Pensaci anche tu. Così continueremo a vivere uniti come lo siamo stati in quegli anni. Poi un giorno tu salirai quassù e io ti correrò incontro, ti salterò addosso come facevo a quel tempo e ti resterò vicino per l’eternità.”
La pensa come Chato il teologo tedesco Eugene Drewermann, che scrive: “Dio non esiste se non esiste l’immortalità: infatti, se esistesse e tutto quanto gli fosse indifferente, e si mostrasse insensibile anche soltanto verso il più piccolo degli esseri sensibili, allora anche a noi, che pensiamo e sentiamo nonostante la nostra. debolezza, sarebbe indifferente Dio. O tutto ritorna, le meduse e i gabbiani, le nuvole e gli arsenali, il sole e il mare, oppure tutto è nulla. È solo per poi ritornare che tutto ciò che esiste deve trapassare in quel baluginio di luce la cui forma è lo spirito, un essere senza rappresentazione, che soltanto intuiamo.”
Grazie allora a Gianni per avere condiviso l’amore per Chato, in questo libro che riporta inizialmente le toccanti parole di Milan Kundera: “I cani sono il nostro legame con il Paradiso. Non conoscono né il male, né la gelosia né la scontentezza. Sedersi in un pendio in compagnia di un cane, in uno splendido pomeriggio è come tornare nel giardino dell’Eden, in cui oziare non era noioso, era la Pace”
Maria D’Asaro