Albert Anker: Il nonno racconta una storia |
Che fare quando un bimbetto ‘ruba’ il
giocattolo al fratellino? O quando un altro, all’asilo, chiede l’attenzione
speciale della maestra o disturba ripetutamente i compagnetti? Genitori, nonni,
insegnanti ed educatori si trovano talvolta disorientati di fronte ai
comportamenti infantili, specie dinanzi a quelli che esprimono rabbia e paura. Il
testo Come l’acqua … (Il Pozzo
di Giacobbe, Trapani, 2012, €9), a cura di Dada Iacono e Ghery Maltese, insegnanti
di scuola per l’infanzia, ci offre alcune convincenti chiavi di lettura per
comprendere comportamenti e reazioni dei bambini e relazionarsi con loro in
modo armonioso ed efficace, cercando di evitare, come sottolinea lo psichiatra
Massimo Ammaniti nella presentazione del testo, “Fallimenti e scacchi interattivi, facilitati dal fatto che i segnali e
le comunicazioni dei bambini non sono facilmente decodificabili.”
Seguendo i principi teorici della
psicologia della Gestalt, le due docenti affermano che la rabbia e l’aggressività
manifestate dai bambini esprimono comunque una volontà di contatto con
l’ambiente; ma, mentre “se l’interazione
con la persona che si prende cura di lui è positiva, il bambino è pronto a un
contatto fluido e nutriente col mondo”, in contesti relazionali meno
accoglienti, i bambini possono bloccare il processo di contatto col mondo e
smarrire la capacità di esprimersi in modo adeguato e creativo e di manifestare
i loro veri desideri e bisogni.
Come comportarsi allora con quei bambini
che, anche a causa dei loro trascorsi relazionali inadeguati, vivono sentimenti
di rabbia o di ansia e paura? Bruno Bettelheim sosteneva che il primo diritto del
bambino è quello di «essere pensato bene». Le due autrici concordano con
l’autorevole psichiatra e affermano che: “il
primo passo da fare è quello di credere in lui, di offrirgli in anticipo la
nostra fiducia contro ogni evidenza”. Come per il piccolo Alberto di cui si
racconta la storia, è sempre necessario non fermarsi alla conta dei ‘buoni’ e
dei ‘cattivi’ e andare al di là di richiami moralistici, cercando di capire
cosa c’è dietro un pianto disperato o una monelleria inconsulta “con l’aiuto di quella rete elastica di
protezione che è l’anticipo di fiducia. (…) Solo così è possibile riannodare il
filo magico e invisibile della relazione che lega l’adulto al bambino e i
bambini tra loro.” Un bambino impaurito ha bisogno in primo luogo di avere
accanto una figura ‘calda e sicura’, “capace
di ascoltarlo senza ridicolizzare e senza sminuire il suo racconto”. Viene
sottolineata a tal proposito l’importanza del tono della voce “sia come parola dell’adulto che, se
pronunciata nel momento giusto e nel modo giusto, raggiunge le emozioni del
bambino, i suoi dolori, le sue ansie da sciogliere sia come ‘culla sonora’.
Il bambino ha poi diritto di ricevere dall’adulto il giusto limite alle sue
azioni infantili, ogni volta che esse minacciano la sua integrità o quella
degli altri: il pugno al fratellino non si dà. Inopportuno e deleterio è invece
controllare e bloccare le emozioni dei bambini, con frasi del tipo ‘non c’è nulla da avere paura’. Infatti, continuano le autrici, “mentre il controllo delle azioni infonde al
bambino la sicurezza che c’è un adulto pacato e fermo, capace di comprenderlo e
limitarlo (…), il controllo dei sentimenti invece lo lascia frustrato, con una
tensione maggiore di quella che ha espresso”.
Dada Iacono e Gheri Maltese ribadiscono
poi la sempiterna valenza terapeutica del gioco e della narrazione: “Attraverso il gioco i bambini hanno
l’opportunità di aggiungere pezzettini di cose buone (cure, carezze, parole) …
Nel gioco si ripara e si riparte. Così anche le fiabe rappresentano una sorta
di contenitore metaforico dove ritrovare i temi forti della propria crescita,
impersonati e ‘risolti’: la paura dell’ignoto, la paura dell’abbandono, il
sentirsi soli, la gelosia”. Le fiabe “aderiscono
ai vissuti profondi dei bambini, traducendo le diverse emozioni senza svelarle
direttamente.” Inoltre “il linguaggio
delle fiabe si accorda perfettamente con il linguaggio dei bambini,
trasformando gli scenari profondi del loro sentire in rappresentazione onirica
e suggestiva. Ascoltare (…) la propria emozione così poco nominata, impersonata
da una fanciulla abbandonata o da un ragazzo perduto nel bosco, permette ai
bambini di poter sentire la pena, il dolore, la paura attraverso la distanza
del ‘c’era una volta’. Così gioiscono
di sentirsi meno soli, fino al salvifico ‘E vissero tutti felici e contenti’.”
E dunque non lesiniamo fiabe e racconti
ai bambini: “Le storie sono possibili
lenimenti delle ferite perché mobilitano la vita interiore e vi aderiscono,
soprattutto lì dove il bambino è spaventato. Ma rappresentano anche una
lanternina accesa, nell’affrontare la propria crescita nella complessità della
vita.”