venerdì 28 dicembre 2012

Il femminicidio secondo don Piero Corsi


     Anch’io rimprovero le mie alunne se le trovo in classe con i pantaloni a vita bassa o con magliette troppo scollate. Credo infatti che l’abito indossato – da uomini e donne, piccoli e grandi – debba essere adeguato al contesto. Infatti il nostro corpo e il vestito che indossiamo è una delle più formidabili modalità comunicative in nostro possesso. 
    Però le affermazioni di don Piero Corsi, parroco di una cittadina ligure, mi mettono i brividi. Come donna innanzitutto, facente parte a tutti gli effetti di una categoria a rischio, ma anche come cittadina, come cattolica, come docente.
    A questo proposito, vi propongo le riflessioni di Michele Serra, apparse ieri 27 dicembre 2012 sul quotidiano “La Repubblica”.


    Senza saperlo e senza volerlo il parroco di San Terenzo, don Piero Corsi, ha fornito ai suoi compaesani (e attraverso i media all’Italia intera) una spiegazione schietta ed esauriente delle cause del femminicidio. Gli uomini uccidono le donne perché hanno, delle donne, la medesima concezione che ne ha don Piero. Le pensano obbedienti e sottoposte, prive di qualunque autonomia al di fuori del recinto ideologico nel quale i loro proprietari maschi le confinano. Le pensano puttane se non assoggettate a un marito e a una famiglia, se non abbastanza castigate e remissive. Le pensano indegne se non devote ai fornelli, alla cura dei maschi di casa, al servizio di chi le protegge se obbediscono, le offende e le malmena se disobbediscono.
Tutto questo don Piero lo spiega con magistrale rozzezza: donne, se non obbedite poi non lamentatevi quando qualcuno vi punisce, vi mette le mani addosso, vi uccide. Piuttosto che intimare a don Piero di tacere, le varie associazioni che tutelano i diritti delle persone, e in specie delle donne, dovrebbero chiedergli di parlare ancora, di scrivere ancora. In poche righe, spiega l’odio per le donne meglio di un manuale di criminologia.

mercoledì 26 dicembre 2012

Natale secondo Erri De Luca


(Riflessioni molto laiche sul Natale: scritte da un autore che amo e il cui pensiero di fondo condivido)

Nello scasso profondo dei nuclei familiari, Natale arriva come un faro sui cocci e fa brillare i frantumi. Si aggiungono intorno alla tavola apparecchiata sedie vuote da tempo. Per una volta all’anno, come per i defunti, si va in visita al cerchio spezzato.
Natale è l’ultima festa che costringe ai conti. Non quelli degli acquisti a strascico, fino a espiare la tredicesima, fino a indebitarsi. Altri conti e con deficit maggiori si presentano puntuali e insolvibili. I solitari scontano l’esclusione dalle tavole e si danno alla fuga di un viaggio se possono permetterselo, o si danno al più rischioso orgoglio d’infischiarsene. Ma la celebrazione non dà tregua: vetrine, addobbi, la persecuzione della pubblicità da novembre a febbraio preme a gomitate nelle costole degli sparpagliati.
Natale è atto di accusa. Perfino Capodanno è meno perentorio, con la sua liturgia di accatastati intorno a un orologio con il bicchiere in mano. Natale incalza a fondo i... disertori. Ma è giorno di nascita di chi? Del suo contrario, spedito a dire e a lasciare detto, a chi per ascoltarlo si azzittiva.
 Dovrebbe essere festa del silenzio, di chi tende l’orecchio e scruta con speranza dentro il buio. Converge non sopra i palazzi e i centri commerciali, ma sopra una baracca, la cometa. Porta la buona notizia che rallegra i modesti e angoscia i re. La notizia si è fatta largo dentro il corpo di una ragazza di Israele, incinta fuorilegge, partoriente dove non c’è tetto, salvata dal mistero di amore del marito che l’ha difesa, gravida non di lui. Niente di questa festa deve lusingare i benpensanti. Meglio dimenticare le circostanze e tenersi l’occasione commerciale. Non è di buon esempio la sacra famiglia: scandalo il figlio della vergine, presto saranno in fuga, latitanti per le forze dell’ordine di allora. Lì dentro la baracca, che oggi sgombererebbero le ruspe, lontano dalla casa e dai parenti a Nazareth, si annuncia festa per chi non ha un uovo da sbattere in due. Per chi è finito solo, per il viandante, per la svestita sul viale d’inverno, per chi è stato messo alla porta e licenziato, per chi non ha di che pagarsi il tetto, per i malcapitati è proclamata festa. Natale con i tuoi: buon per te se ne hai. Ma non è vero che si celebra l’agio familiare.
Natale è lo sbaraglio di un cucciolo di redentore privo pure di una coperta. Chi è in affanno, steso in una corsia, dietro un filo spinato, chi è sparigliato, sia stanotte lieto. È di lui, del suo ingombro che si celebra l’avvento. È contro di lui che si alza il ponte levatoio del castello famiglia, che, crollato all’interno, mostra ancora da fuori le fortificazioni di Natale.







lunedì 24 dicembre 2012

Dare un senso al Natale



Tutto ebbe inizio nell’agosto di 25 anni fa: i vicini di casa, coppia silenziosa e solitaria, sparirono per due mesi. Al rientro, li vidi attorniati da tre ragazzini, un bimbo di tre anni e due sorelline maggiori. Infatti, espletato l’iter di adozione internazionale, la coppia si era vista affidare tre fratellini brasiliani, con un doloroso vissuto pregresso. Con i nuovi genitori, i ragazzini hanno avuto un’infanzia serena. Adesso i tre si sono sposati:  hanno regalato a mamma e papà ben otto nipotini, compresa una coppia di gemelline. L’ottava nipotina è nata poco prima di Natale. C’è chi versa fiumi d’inchiostro o fa mille convegni su come cambiare in meglio il mondo. Maria e Francesco non sono molto loquaci: in compenso sono riusciti a regalare ai loro tre splendidi figli adottivi una vita degna di questo nome. A loro, e tutti gli uomini e alle donne di buona volontà, Buon Natale davvero.
Maria D’Asaro (pubblicato su "Centonove" il 21.12.2012)

"Onorerò il Natale nel mio cuore e cercherò di tenerlo con me tutto l'anno." (C. Dickens)

venerdì 21 dicembre 2012

Aspettando l'apocalisse


Qualcuno potrebbe arricciare il naso. Pensando che sia l’ennesimo instant book millenarista legato alla tanto strombazzata profezia dei Maya. Invece il saggio di Roberto Alajmo, Arriva la fine del mondo (e ancora non sai cosa mettere) - Laterza, Bari 2012, € 14 –  è un libro di lunga durata, in cui l’autore mostra la sua corda più seria. Tanto che il testo potrebbe essere considerato un buon saggio di sociologia, o almeno di psicologia sociale divulgativa. Alla domanda di fondo: Come reagirebbe il cittadino medio all’eventualità di una imminente apocalissi? Alajmo snocciola una serie di considerazioni imperdibili, intriganti e significative dal punto di vista antropologico. E ce le offre nello scrigno di una scrittura scattante, arguta e assai godibile.
Lo scrittore ci squaderna un’ampia carrellata delle possibili geo-catastrofi in arrivo, senza rinunciare alla sua vena surreale e grottesca, che rende meno indigesto il lugubre repertorio. Che va dai “finismi”, cioè dalle apocalissi di settore, per cui “persino l’invenzione di Gutemberg deve aver avuto i suoi detrattori, se non altro nella categoria degli amanuensi”; a catastrofi più corpose, quali la sovrappopolazione, lo sfruttamento rapace delle risorse del pianeta e il suo forse irreversibile inquinamento; alla rievocazione degli allarmi mediatici legati alle mucche pazze, all’influenza dei polli e alla febbre dei maiali. Non sono trascurate, ovviamente, eventuali guerre nucleari, collisioni di meteoriti e ipotetiche invasioni aliene.
Come se la caverà il genere umano con questa variegata serie di Armageddon? Alajmo non è affatto ottimista: ci ricorda che le profezie apocalittiche sono spesso appannaggio di fanatici elitari e di masse di derelitti, tra i quali si crea una pericolosa saldatura; ci spiega che il paradosso delle ultime generazioni è quello di fregarsene di rapinare il futuro a figli e nipoti; ci dimostra che la razza umana appare incapace di occuparsi dei pericoli veri, per cui: “forse è così che ti tocca morire: grasso, spensierato e ignaro di te stesso”, mentre “le arterie del sistema si stanno intasando, ma l’aspetto della società è addirittura florido”. Come si nota dalla citazione, l’autore bussa alla nostra attenzione di lettori, utilizzando un appropriato campanello stilistico: ci dà del tu, senza chiederci il permesso Così, anche se non ha il bagaglio pronto, chi legge viene subito coinvolto nel viaggio inquietante verso le paventate apocalissi. E viene chiamato in causa dalle acute riflessioni dello scrittore, che concede comunque al lettore una buona dose di buonumore quando enuncia il principio di Peter e descrive i fenomeni sociali, prettamente italiani, del “Darwinismo Invertito” e del “Garantismo Sospeso”: espressioni felici con le quali il sarcasmo di chi scrive battezza i ragionamenti sulle apocalissi italiane. Tra l’altro, un problema tutto nostro è la caduta del muro della vergogna: “Se prima ti passava per la testa di dire una cazzata, andavi al bar e la dicevi (…) Adesso, invece, se ti venisse il ticchio di dire che per fermare gli sbarchi degli extracomunitari bisognerebbe usare i cannoni (…) andresti a dirlo in televisione. O addirittura in Parlamento (…) Allora, con lo scopo di recuperare almeno in parte il senso delle cose, bisognerebbe istituire un’ora settimanale di vergogna nelle scuole”.
 Che Alajmo sia scrittore multiforme e poliedrico, lo sapevamo già: pur se gioca con l’incertezza dell’abito da indossare il giorno dell’Apocalisse, in questo libro veste assai bene i panni del docente, senza averne l’aria noiosa: non a caso la sua lezione magistrale sulle apocalissi prossime venture ci ricorda Braudel, ha qualche tocco della psicologia della Gestalt, qualcosa di Zygmunt Bauman e richiama, tra le righe, al principio responsabilità di Hans Jonas. E allora, tra il potenziale vasto pubblico dei suoi lettori, inserirei a pieno titolo gli studenti delle secondarie superiori che, nonostante le occupazioni rituali delle scuole, non si ribellano alle storture del presente perché “fin tanto che qualcuno è disposto a pagare la ricarica del telefonino, si può rinviare qualsiasi insurrezione” e sono i più propensi ad adeguarsi a modelli culturali ed economici pericolosi ed obsoleti. Ecco allora una proposta assai seria ai docenti di Storia delle Superiori: adottino il testo di Alajmo come riflessione civica da leggere in classe. Perché i ragazzi, incapaci di progettare un qualsiasi serio cambiamento, fermi a un miope “bricolage rivoltoso di corto respiro”, siano aiutati a pensare. E, come ci ricorda Tommaso Moro, imparino ad avere la forza di cambiare quello che possono cambiare, la pazienza di accettare le cose che non si possono cambiare e soprattutto l’intelligenza di distinguere le une dalle altre.  
Maria D’Asaro  (pubblicato su “Centonove” il 21.12.2012)                                                                                                                                                                                                                                                                                   

martedì 18 dicembre 2012

Nostra Signora e le sue armi segrete


Nostra Signora aveva delle risorse nascoste. Che utilizzava in particolari momenti. Come quando era dentro a quel tubo, con quel rumore assordante sulla sua testa. E quel senso gelido di solitudine, col cuore che le scoppiava nel petto. Allora aveva cominciato a pregare: Padre nostro, che sei nei cieli. E la pressione sopra il suo cuore si era allentata un pochino.
Oppure, come quando le toccò guidare di sera; e c’era la nebbia. Persino un viadotto da attraversare, nel buio più fitto: Sia santificato il tuo nome. Allora, anche suo figlio ebbe paura:  - Mamma, andremo a schiantarci. - Ma lei doveva farcela a riportare a casa i suoi grandi cuccioli:  Maria, guidami nel mio cammino, salvami dai pericoli della strada. – Mamma, ma come hai fatto? Non si vedeva la strada …  Proteggi chi mi accompagna, donami un viaggio sicuro.
Quella di nostra Signora non era superstizione. Neppure una fede di ferro. Lei si aggrappava ad un filo. Stringeva una mano invisibile, sperava nella connessione con un soffio divino, senza sapere se un Dio ci fosse davvero: Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra. Nella sua vita, erano successe cose che non capiva. Però quella sua fragile tela con l’Infinito, nostra Signora continuava a cucirla. Appena sveglia, indirizzava all’Assoluto silenzio un grato pensiero: Grazie. Sono felice di essere viva. Quel suo amico, il prete che sorrideva, diceva che pregare vuol dire sentirsi precari e riconoscere il nostro limite, la nostra impotenza: Dacci oggi il nostro pane quotidiano … Liberaci dal male. E lei precaria si era sempre sentita.
Da un poco però Nostra Signora aveva anche un sostegno terreno. Qualcuno che le sussurrava, con accento sincero: Maruzza, sei brava. Sei buona. Sei bella. Il bello era che lei ci credeva, a quei complimenti speciali. Così, si sentiva più forte.
E ogni tanto, qualcosa di buono la faceva davvero.

venerdì 14 dicembre 2012

Troppa roba vi seppellirà …


“Troppa roba vi seppellirà”: profetizzava qualche anno fa Michele Serra dalle pagine del settimanale satirico “Cuore”. Così, se nella corsa ai regali mia figlia mi trascina in uno dei tanti negozi che a Palermo vendono mille cianfrusaglie a un euro,  non sono affatto contenta. Infatti sto male a pensare quanto inquiniamo per costruire oggetti superflui, assemblati a forza dalle dita di adulti, e spesso anche di bambini, quasi sempre sfruttati. Secondo stime attendibili, noi europei abbiamo in casa circa 10.000 oggetti. Ciò nonostante continuiamo a comprarne, cercando una qualche felicità nelle tante cose di cui ci circondiamo. Ci sono per fortuna alcune minoranze che, con uno sguardo “in avanti”, predicano una “decrescita felice” e ci ricordano che la sobrietà non è una privazione, ma una liberazione dal troppo che potrebbe soffocarci. Perchè la vera ricchezza non sta negli oggetti, ma nella qualità delle relazioni umane intrecciate col filo prezioso dell’autenticità.
Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” del 14.12.2012)

martedì 11 dicembre 2012

The age of Acquarius



Mi scuso per il ritardo: queste righe avrei voluto scriverle ieri. Perché il 10 dicembre, appunto, ricorre la giornata mondiale per i Diritti Umani. Ieri, tra l’altro, all’Unione europea, è stato consegnato il Nobel per la Pace 2012. Spero che i popoli e i governi si mettano in cammino per una affermazione, la più ampia possibile, dei diritti umani universali. In questo particolare momento storico, il mio pensiero e la mia solidarietà va ai popoli  - siriano, egiziano, palestinese, iraniano - che lottano per i riconoscimento di alcuni diritti umani essenziali. Con l’augurio che presto siano riconosciuti portatori di diritti tutti gli esseri senzienti, animali e piante, e l’intero pianeta. 
La giornata internazionale per i Diritti Umani, che dal 10 dicembre 1950 celebra la Dichiarazione internazionale dei Diritti umani del 1948, ci richiama tutti a una cittadinanza consapevole. (…) Riconoscendo che ogni essere umano ha una intrinseca dignità, un valore senza prezzo, la finalità di diventare persona, ogni violenza su di lui corrisponde alla violazione di uno specifico diritto umano universale. Non si tratta solo di norme e precetti, ma di parametri di azione che riguardano la vita civile, politica, economico-sociale dei singoli e dei popoli. I diritti umani sono una meta narrazione che può sostituire le ideologie - fallimentari e tragiche – e che ci aiutano a costruire un’etica universale laica e condivisa (Francesco Colizzi, Direttore della rivista “Amici di Follereau”, 10 dicembre 2010)

sabato 8 dicembre 2012

Hello, John ...


Ci manca dall'8 dicembre di tanti anni fa. Ma è sempre con noi.



We're playing those mind games together,
Pushing barriers, planting seeds,
Playing the mind guerilla,
Chanting the Mantra peace on earth,
We all been playing mind games forever,
Some kinda druid dudes lifting the veil.
Doing the mind guerilla,
Some call it the search for the grail,
Love is the answer and you know that for sure,
Love is flower you got to let it, you got to let it grow,
So keep on playing those mind games together,
Faith in the future outta the now,
You just can't beat on those mind guerillas,
Absolute elsewhere in the stones of your mind,
Yeah we're playing those mind games forever,
Projecting our images in space and in time,
Yes is the answer and you know that for sure,
Yes is the surrender you got to let it, you got to let it go,
So keep on playing those mind games together,
Doing the ritual dance inn the sun,
Millions of mind guerrillas,
Putting their soul power to the karmic wheel,
Keep on playing those mind games forever,
Raising the spirit of peace and love, not war,
(I want you to make love, not war, I know you've heard it before)

giovedì 6 dicembre 2012

Il cielo in una stanza


Capita che tua figlia si sposi e tutto è cambiato. Allora decidi che è il caso di fare un trasloco, al tuo interno e anche fuori. Il figlio della Gina ti aiuta a spostare un armadio pesante: su il divano arancione e giù lettino e cassettiera. Metti le tende del colore che vuoi. Finalmente la tua scrivania col pc e la connessione ultrarapida. Il tavolino verde stile decò con le foto di mamma, papà e dei tre ex cuccioli. La lampada a cupola bianca e il caldo tappeto. Così quella stanza diventa un rifugio speciale. Senti in silenzio il suo abbraccio, col suo tepore sospeso. 

martedì 4 dicembre 2012

Vigili neri



In una Palermo affollata di disoccupati, di gente ai margini e di tante esistenze precarie, è emersa una nuova figura: quella del finto vigile extracomunitario. Lo si trova un po’ dappertutto: quando ci si ferma vicino a un mercatino rionale, davanti a un supermercato, accanto a una farmacia o al signore che vende il pesce fresco. Rispetto ai posteggiatori abusivi nostrani, il vigile improvvisato di pelle scura di solito non possiede petulanti fischietti, si dà veramente da fare per trovarti un posteggio, si accontenta di quello che gli viene elargito, ammesso che qualcuno gli dia qualche spicciolo. E poi, soprattutto, non ha quell’atteggiamento arrogante che connota invece il posteggiatore palermitano. Al contrario, ha occhi mansueti, se non addirittura rassegnati e imploranti. E magari sei tu a dover abbassare lo sguardo. Perché ti vergogni: perché non è umana una società che costringe degli individui a trasformarsi, per necessità, in macchiette patetiche.
Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” del 30.11.2012)

venerdì 30 novembre 2012

Web-log? Thank you/Si, grazie.


(Someone reads my blog in U.S.A. Every so often, I’ll translate my writing in English)
 On 18th of July in 1997, in U.S.A. Dave Winer announced first blog was born: an original way to assemble ideas and links on web. Now, there’re over 181 millions of bloggers. 63 Italians over 100 – who use Internet – have a blog. One blogger over 10 brings up to date own blog every day, while 43 over 100 once at month. Though “web-log” has been used since in 1997, first time “blog” was used in 1998. Originally log is the book/diary on the sheeps; log  is an important file in a p.c., too.
Today it’s the fourth birthday of my blog. It is for me as my fourth son. I thank all my followers and who comment on my wards with good grace and cleverly. Your web company give me great pleasure. With your comments, you broaden my outlook. 
Paraphrasing Feuerbach: We are what we write. I’m agree with the italian journalist Beppe Severgnini, who says: What we write – and how we write – can change our life.

1996. Il blog è stato partorito nel 2008.

Il 18 luglio 1997 lo statunitense Dave Winer annunciava la nascita del blog: primo sistema per raccogliere link e pensieri sul web. Oggi esistono oltre 181 milioni di blog e il 63% dei fruitori italiani di Internet ne ha uno. Uno su dieci ci scrive tutti i giorni, mentre il 43% almeno una volta al mese. Anche se Web-log era stato usato già nel 1997, il termine blog fu usato per la prima volta nel 1999. “Log” indica il giornale di bordo delle navi, ma viene anche usato per indicare il file che raccoglie le attività compiute su un computer.
Oggi sono quattro. Gli anni di vita del mio blog. Che - chiedo scusa per il paragone azzardato - considero un po’ il mio quarto figlio. Perché ho una sorta di rapporto materno e viscerale con le parole. Ringrazio chi continua a leggermi e a donarmi i suoi commenti: intelligenti, garbati, affettuosi. Con le vostre riflessioni, ampliate i miei orizzonti e mi fate compagnia.
Parafrasando Feuerbach, siamo anche quello che scriviamo. E, sono d’accordo con Severgnini: “Quello che scriviamo, e come scriviamo, può cambiare la nostra vita.”

giovedì 29 novembre 2012

Angelo e Gina


“Io, Gina, accolgo te, Angelo come mio sposo. Con la grazia di Cristo, prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.” Lo stesso promette Angelo a Gina. L’eccezionalità consiste nel fatto che tale promessa è stata  pronunciata sessanta anni fa. Ad essa i due sposi hanno mantenuto fede in tutti questi anni, nonostante burrasche e momenti duri.
Nella società italiana dai legami liquidi, dove la durata media del matrimonio è di quindici anni e in cui, secondo recenti dati Istat, su mille matrimoni 286 finiscono in una separazione e 179 terminano  in un divorzio, i 60 anni di unione dei genitori della mia migliore amica ci regalano una speranza: che a volte sia possibile. Convivere, tollerare i propri difetti, darsi la mano. Se ci si ama davvero, se ci si crede insieme.
Maria D’Asaro
(“Centonove”del 23.11.2012)

martedì 27 novembre 2012

Il Presidente che vorrei


Come per Giorgio Gaber, anche per me “libertà è partecipazione”. Io sono una di quelle che in genere a votare ci va, anche turandosi il naso. Domenica però non sono andata alle primarie del centro-sinistra sia perché fortemente indecisa su chi votare (il cuore mi diceva Nicky, la testa un altro candidato) sia perché non stavo bene. 
Chiunque vinca al ballottaggio, mi piacerebbe che abbia presente l’esempio di Josè Mujica, l’attuale presidente dell’Uruguay. Mujica, dei suoi 250mila pesos mensili, 10.040 euro, devolve il 90% in beneficenza, tenendo per sé circa 800 euro. Così è il presidente più povero del mondo. Ma afferma: “Sto bene con quella cifra. Devo starci bene, perché ci sono molti uruguaiani che vivono con molto meno”. 
Il presidente Josè Mujica
Il presidente vive nella sua fattoria. La casa presidenziale, nella capitale Montevideo, l’ha messa a disposizione dei senzatetto. Niente auto blu per lui. O meglio: l’auto che utilizza, una vecchia Volkswagen, è blu per pura coincidenza. Non ha conto in banca, né scorte: unica sua scorta è la cagnolina Manuela. Appassionato di giardinaggio e di agricoltura, vende i suoi prodotti in un mercatino popolare della domenica. “Non mi travesto da presidente e continuo ad essere come ero”, ha dichiarato José. “Le cose più belle della vita sono avere degli amici, godere moderatamente del cibo e molto della natura. Io non sono povero, ho tutto ciò di cui ho bisogno”. (notizie tratte dai siti: frontierenews.it e lettera43.it)
D’altra parte Gandhi, in India, viaggiava in terza classe e tesseva da sé, con l’arcolaio, il suo perizoma. Mandela è diventato presidente del Sudafrica dopo ventisette anni di carcere.
In Italia, dobbiamo solo decidere che modelli vogliamo, sia nella vita privata che in quella pubblica. Ai miei tempi, si diceva che il privato è politico. Io ci credo ancora.


venerdì 23 novembre 2012

C come chimica e Creedence Clearwater ...

La mia sorellina con nonno Turiddu (Foro Italico, Palermo, 1968)
Quando Maruzza si trasferì dal paesino alla grande città, per qualche tempo visse nella stessa casa col nonno Turiddu. Così papà e mamma, che lavoravano entrambi, potevano contare per lei e la sorellina  su un baby-sitter d’eccezione. Era comunque Maruzza a tenere il timone dei pomeriggi. 
Spesso si navigava a vista: i compiti, le briscole, la Tv dei ragazzi. A volte, la ragazzina assegnava un obiettivo preciso alla traversata. Come quando decideva: - Oggi facciamo gli esperimenti. – A dire il vero, a parte il nonno che continuava a guardare imperterrito la televisione, la sorellina non era del tutto convinta. Ma, vuoi perché non aveva alternative, vuoi per “sorerna” condiscendenza affettuosa, non opponeva resistenza e seguiva le movenze rapide della maggiore.
 – Prendiamo un bicchiere. Cominciamo col vino … Va bene, così. Ci vuole lo zucchero:  mezzo cucchiaino … Dai, adesso l’olio e il parmigiano. Ehi, c’è il sugo di pomodoro in frigo: versiamone un pochino. Ora, il pepe, il bicarbonato, l’aranciata … Nonno, dov’è l’idrolitina? Ah, eccola, grazie: versiamo tutta la bustina. Guarda, nonno, che belle bollicine! –
A questo punto, Maruzza diceva con voce suadente alla sorellina: - Assaggia, dai: questa volta non c’è il detersivo! - Per fortuna, la sorellina non aveva smarrito l’istinto di sopravvivenza e trovava la forza di rifiutare l’invito un po’ crazy. Maruzza, bontà sua, non insisteva più di tanto.
Prima dell’arrivo dei genitori, la piccola chimica lavava mani, bicchieri e stoviglie e gettava via, con  sguardo sognante, il tutto nel lavandino. Pensando già a che pozione speciale poteva venire fuori la prossima volta, se avesse aggiunto magari anche l’aceto e un tocco di  frullato di peperoni …

(Che c'entrano i Creedence Clearwater Revival? Quando faceva gli esperimenti di chimica, a Maruzza piaceva ascoltarli.)

giovedì 22 novembre 2012

I gatti and me


Felicetta, la gattina di Adriana e Augusto: le ho chiesto di mettersi in posa ...
E' facile dire: sono sciocchezze, puoi superarle. Bisogna esserci dentro. Provare, ad esempio, quell’angosciosa sensazione di vuoto quando sei in aereo. Oppure temere che il volante ti scappi di mano, quando percorri un viadotto: tanto forte ti batte il cuore, perché hai paura che il precipizio ti inghiotta.
E' duro convivere con le proprie paure, portatrici insane di autentici attacchi di panico. Ognuno ha le sue. Mia figlia ha una paura nera del buio: urla se va via la luce. Dorme con una lucina, perché, se è buio pesto, teme che la luce sia andata via dai suoi occhi. C’è a chi fanno schifo gli insetti: l’idea che un verme con le ali possa sfiorarli, li costringe a stare al chiuso, persino col caldo d’estate. Una mia amica ha paura degli ascensori e si sobbarca otto piani a piedi pur di non provare quel sudore freddo lungo la schiena, dentro la scatola chiusa.
Per tanto tempo, ho avuto terrore dei gatti. Strano, perché quand'ero bambina ho convissuto con due bei gattini. In seguito, però i gatti sono diventati simboli negativi persino nei miei sogni. Ero spaventata dalla sola idea di essere sfiorata da un felino e avevo remore a frequentare le case che li ospitavano.
Questa fobia mi ha tenuto prigioniera sino a qualche anno fa. Poi, non so bene cosa sia capitato. Forse la frequenza con Augusto e Adriana che fanno coppia fissa con Felicetta; forse le chiacchiere col mio collega dalle tante consonanti che, da sempre, ha vissuto con splendidi esemplari felini; forse la consuetudine di sguardi con i gatti che incrocio ogni giorno, quando mi reco a piedi al lavoro. Un giorno, mi sono svegliata guarita.
Guarita è poco. Adesso sono capace di prenderli in braccio, di accudirli, di accarezzarli.
Persino di parlare con loro. 


martedì 20 novembre 2012

Piove

Piove, e se piovesse per sempre
sarebbe questa tua carezza lunga
che si ferma sul petto, le tempie;
eccoci, luccicante sorella,
nel cerchio del tempo buono, nell'ora
indovinata
stiamo noi, due sguardi versati in un corpo,
uno stare senza dimora
che ci fa intangibili, sottili come un sentiero
di matita
da me a te né dopo né dove, amore,
nello scorrere
quando mi dici guardami bene, guarda:
l'albero è capovolto, la radice è nell’aria.


Pierluigi Cappello
(raccolta Mandate a dire all'imperatore)

domenica 18 novembre 2012

Questo rogito non s’ha da fare …




Palermo, anno 1994. Una giovane coppia, due onesti lavoratori a reddito fisso, decide di investire i sudati risparmi nell’acquisto di un appartamento: 100 metri quadri, tra Corso dei Mille e il Foro Italico. Espletati tutti i preliminari, si fa il compromesso. A questo punto cominciano i guai. Si scopre che il costruttore è praticamente in mano alla mafia, se non mafioso anche lui. L’intero immobile viene confiscato e passa allo Stato. E per la famiglia comincia il calvario amministrativo: non si sa più a chi pagare il resto della somma, peraltro mutuabile, perché si possa stipulare il regolare rogito. I coniugi, dal ’94 ad oggi, si sono rivolti ad Addiopizzo, a giornalisti, a politici di tutte le casacche: nessuno è riuscito a sbloccare la situazione. La famiglia Bonanno non sa più a quale santo rivolgersi per stipulare il benedetto atto di compravendita. Pare incredibile: ma a Palermo succede anche questo.
Maria D’Asaro    (“Centonove” del 16.11.2012)

venerdì 16 novembre 2012

Da lontano

Qualche volta, piano piano, quando la notte
si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie
di silenzio,
e non c’è più posto per le parole,
e a poco a poco si raddensa una dolcezza
intorno
come una perla intorno al singolo grano
di sabbia,
una lettera alla volta pronunciamo
un nome amato
per comporre la sua figura; allora
la notte diventa cielo
nella nostra bocca, e il nome amato
un pane caldo, spezzato.


Pierluigi Cappello
dalla raccolta Mandate a dire all'imperatore

martedì 13 novembre 2012

Alla ricerca del regno perduto


L’abito non fa il monaco. Ma rende riconoscibili gli adepti della setta fondata a fine ‘800 da Charles Russell.  I cui seguaci, anche se non hanno in mano la celebre rivista “Torre di Guardia”, indossano sempre camicia e cravatta e portano un immancabile desueto borsello. Le donne invece si vestono con gonne lunghe, camicette accollate e sandali dal tacco basso. I Testimoni di Geova, ben prima dell’imminente e strombazzata profezia dei Maya, da decenni annunciano ricorrenti apocalissi, sempre smentite. Eppure mi colpiscono per l’onesto candore e per la gentilezza testarda con cui vogliono convertirci a tutti i costi. E per la disinvoltura con cui, mettendo tra parentesi illuminismo, sessantotto, metodo scientifico e approccio storico-critico ai testi biblici, affermano con disarmante sicurezza che un giorno la Terra sarà trasformata in un Paradiso e che gli eletti destinati  alla vita eterna in cielo saranno 144.000. 
Non uno in più né in meno.
(Maria D’Asaro, pubblicato su “Centonove” del 9.11.2012)

domenica 11 novembre 2012

San Martino


Nel mio libro di scuola elementare degli anni ’60, san Martino è l’uomo di Tour che divide il suo mantello con un povero. Dio, per ricompensare il suo gesto di generosa condivisione, fa splendere il sole.
San Martino è anche legato all’omonima poesia di Giosuè Carducci, magistralmente interpretata dal mio conterraneo Fiorello (con qualche anno in meno e qualche capello in più …).
Ho scoperto belle cose su l’uomo Martino che la Chiesa cattolica venera come 
santo: chi vuole, legga la voce Martino di Tours su Wikipedia.







La nebbia a gl'irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.

sabato 10 novembre 2012

Tu


Tu,
amore mio,
mi salverai forse
dal male di vivere?
Tienimi.   

venerdì 9 novembre 2012

Le età dell’uomo


Se abiti per tanto tempo nello stesso quartiere, negli anni vedi sfilarti davanti la coppia fresca di viaggio di nozze, poi con tre figli, che poi si separa. Vedi i bambini che giocavano a palla, giocare oggi a palla con i propri bambini. Vedi imbiancare i capelli al panettiere e al signore che vende panelle. Vedi passare la nera signora che, senza preavviso, si porta via la figlia dell’ostetrica, poi Antonio, così gentile allo sportello del Caaf, infine gli occhi azzurri del signore del primo piano. 
Allora, con Guccini, ascolti e non capisci, la vita come è fatta e come uno la gestisce … i mille modi, i tempi, le scelte, il fato, le possibilità.Diremo forse un giorno, ma se stava così bene, avrà il marmo con l’angelo che spezza le catene …  A poco a poco andrà via dalla nostra mente piena, soltanto un' impressione che ricorderemo appena ... 
Maria D’Asaro (“Centonove” del 2.11.2012)

mercoledì 7 novembre 2012

I have a dream


            Anche se insigni opinionisti mi hanno fatto capire che, Obama o Romney, vista l’attuale congiuntura economica, non cambierà molto nel mondo, io sono contenta della vittoria di  Barack Obama.
Che non sarebbe Presidente degli USA se Martin Luther King non avesse avuto il coraggio di sognare:




Io ho sempre davanti a me un sogno
E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.
Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. 
Ho davanti a me un sogno, oggi! Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. 
Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza. Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. (…)
E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual:  "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente".

lunedì 5 novembre 2012

Grazie, Alda


L’amico blogger Valerio da Rimini, con il post  A volte il mare, ci ha ricordato che il 1° novembre del 2009 ci ha lasciati la grande Alda Merini.
La ricordo anch’io con commossa ammirazione.
Ecco un video con alcune poesie d’amore da lei stessa recitate. 
Grazie, Alda.



domenica 4 novembre 2012

Fedelissimi ...

Papà e mamma di Maruzza erano cattolici doc. Papà, se poteva, andava a messa ogni giorno. Con mamma recitava il rosario ogni sera; anche se mamma spesso si addormentava a metà delle 50 ave marie e papà completava la preghiera da solo. Maruzza, sebbene bambina, partecipava sempre alla messa domenicale.
Al centro Maruzza: 7 anni, I comunione.
A volte le toccavano gli straordinari: nel paesino dove trascorreva le vacanze estive, le zie – ancora più religiose dei suoi genitori - ogni pomeriggio la portavano in chiesa per le funzioni pomeridiane: rosario, vespri e adorazione eucaristica.
Il parroco, austero vegliardo dal portamento quasi cardinalizio, per l’ultima parte della liturgia indossava una sorta di manto, avanzando lentamente verso l'altare che custodiva le ostie consacrate. Poi apriva il tabernacolo, prendeva un’ostia e la deponeva nell'Ostensorio.[1] Protetto da una sorta di enorme ombrello tenuto dal sacrestano, ritornava all'altare principale dove lo aspettavano i fedeli: poco più di una dozzina di vecchiette, oltre a Maruzza, unica bimba presente, a fianco delle ziette. Il rito raggiungeva il culmine quando il sacerdote, dopo aver cosparso d'incenso l'altare e i presenti, con gli occhi semichiusi e i lineamenti più impenetrabili del solito, a braccia unite innalzava solennemente l'Ostensorio e compiva  un lento semi giro, a destra e a sinistra. A questo punto, la solennità della funzione si scioglieva nelle note del "Tantum ergo", cantato  anche dalla bambina che, pur non conoscendo il latino, ripeteva a gran voce quelle parole per lei senza senso. 
Alla fine c’erano le benedizioni, ripetuta all'unisono da tutti i fedeli: - Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo … Benedetta la Gran Madre di Dio, Maria Santissima ... Benedetta la sua santa e immacolata concezione ... Benedetta la sua gloriosa assunzione ... Benedetto san Giuseppe suo castissimo sposo ... Benedetto Iddio nei suoi angeli e nei suoi santi. -
Maruzza, pur se provvista di tanta pazienza, si annoiava a stare ferma per tanto tempo. Ma alla fine del rito, con le narici piene del buon profumo d'incenso, sentiva una particolare allegria. Intanto perché la forzata permanenza in chiesa era finalmente finita. E poi per la convinzione che tanto latino cantato e tante preghiere dovevano per forza aver  ristabilito l'Ordine nell'Universo. Insomma, il mondo era salvo. 
Almeno per quella sera.

Fonte Wikipedia[1] Oggetto usato per l'esposizione solenne dell'Ostia consacrata, per l'adorazione eucaristica e per la benedizione eucaristica. Solitamente è forgiato in oroargento e/o altri metalli preziosi ed è spesso a forma raggiera, come un sole.

martedì 30 ottobre 2012

L’azzurro che serve



Suor Patrizia - Comunità religiosa del Bell'Amore

Se passi da via Oreto, a due marciapiedi dalla Stazione Centrale, lo scorgi una volta su due: un uomo dall’età indefinibile - trenta, quaranta o forse più - disteso sul marciapiede. A volte dorme, oppure piagnucola, o ti chiede dei soldi. Accanto, bottiglie di birra vuote; addosso, un inconfondibile puzzo di alcool e pochi vestiti logori e strappati. Eppure il suo volto ha qualcosa di Gesù nazareno: forse per i lunghi capelli, forse per lo sguardo da crocifisso. Ogni volta che lo incontri, stai male: perché non muovi un dito per lui. Non sai proprio che fare. E poi, sei pure una donna. Pensi però che, in un universo diverso, le cose non dovrebbero andare così. Non si lascia marcire per strada un uomo che soffre, pur se ubriaco. E allora, vorresti magari indossare una veste azzurrata, come quella di Madre Teresa: per fugare ogni equivoco, e dargli una mano.            Maria D’Asaro ("Centonove": 26.10.2012)

sabato 27 ottobre 2012

Potere e servizio: la buona notizia



Ecco una sintesi dell'omelia di don Cosimo Scordato, relativa a domenica scorsa. Il Vangelo  è quello di Marco (10, 35-45).
Per chi avesse piacere di ascoltare direttamente le riflessioni di don Cosimo, ecco l'audio dell'omelia. Un grazie particolare a chi mi ha aiutato a inserire il video


(...) Gesù usa due termini uno più pesante dell’altro. Dice che per i cristiani non è pensabile un’organizzazione ecclesiastica dove ci sia dominio, dove qualcuno vuole dominare sugli altri, nelle mille forme in cui il dominio può prendere consistenza: nella coscienza, imponendo leggi, sentendosi migliori, volendo guidare la vita degli altri. Questo non è possibile tra i cristiani. E Gesù usa il termine “servo”, così almeno traduciamo in italiano, mentre il termine greco è “diacono”: dobbiamo essere gli uni i servi degli altri. Come dirci, ogni volta che ci incontriamo: - Posso esserti utile in qualche cosa? Posso farti un servizio perché tu stia meglio? – Così dovremmo salutarci, tra noi cristiani, per non perderci in chiacchiere. – Posso fare qualcosa perché tu stia meglio? Sono a tuo servizio. Io, servo tuo. – Così ci dice di essere Gesù per noi cristiani.
Poi, nei confronti degli altri che non sono cristiani, Gesù rincara la dose, perché dice: - Siate servi di tutti. – In realtà il termine greco è “doulos”, che significa schiavo. Quindi nei confronti di chi non crede, dobbiamo essere pronti non a condannare, a bruciarli, a mandarli non so a quale inferno, ma a metterci a loro servizio. Soprattutto di coloro che già sono schiavi, perché ricordiamo che al tempo di Gesù esisteva la schiavitù: farci schiavi degli schiavi. Così li trattiamo da padroni, così gli diamo dignità. Certo, poi vogliamo che non siano padroni … Ma farci schiavi degli schiavi, significa mettere in crisi la schiavitù, come a dire che per noi la schiavitù non ha senso. Ci facciamo servi gli ultimi degli ultimi perché nessuno si senta ultimo, perché a tutti sia dichiarata, sia riconosciuta la dignità. Quella dignità che Gesù vuole condividere con tutti noi.
E Gesù lo esplicita. E per evitare confusione ci dice: - Guardate che voi mi avete chiesto, senza rendervi conto, una cosa, senza capire niente (…) Questo avevano chiesto, questo si stavano aspettando: andare a Gerusalemme per andare a comandare, per avere il potere nelle mani. Questo ancora pensavano i discepoli: dopo un anno e mezzo di predicazione, di contatto con Gesù, non avevano capito niente … Ma qui dice: non hanno capito niente. Il verbo Gesù lo usa al presente: san Marco dice: - Ma tra di voi non deve essere così.
E usa il presente, san Marco, quindi si riferisce alla chiesa, alla sua chiesa. – Tra di voi non deve essere così. – E parla al presente. Non ambite di andare a comandare, di avere il potere tra le mani. Quindi, a scanso di equivoci, andiamo a Gerusalemme, poi vedremo quello che succederà. Finalmente lo capirete. Io sono venuto non per essere servito, ma per servire. –
Cosa ha fatto Gesù? A tutte le persone che si presentavano a lui, dava o diceva qualche cosa che li risollevava. Solo questo ha fatto Gesù. E’ stato il servo dei poveri, di tutta le gente disperata che bussava alla sua porta. Cosa ha fatto? Il servo dei servi. Solo questo ha fatto Gesù. E se ha alzato la voce lo ha fatto verso coloro che invece continuavano a proporre un sistema di dominio. Invece Gesù cosa ha fatto, con gli ammalati, con le persone disperate, con i peccatori, le peccatrici, ha detto: - Guarisci, muoviti … comincia adesso la tua vita. Non disperare. Guarda in avanti. – E poi aggiunge: - Io sono venuto per dare la mia vita in riscatto per i molti. - I molti sono tutti. Tutta la moltitudine, tutta l’umanità. In riscatto che significa? Che doveva pagare un debito al padre? No, perchè vuole che tutti siamo liberi. Che ci sentiamo riscattati, ci sentiamo degni di essere amati e di potere amare, degni di vivere in libertà. E’ quello che vuole Gesù: dare la vita perché tutti siamo liberi, riscattati, non ci siano schiavi, nelle mille forme di schiavitù che si possono manifestare.
Vedete, care sorelle e fratelli, come il Vangelo sia veramente sconvolgente … lasciare o prendere. E’ inutile che ci giriamo intorno. Prendere il Vangelo e quindi avere a che fare con Gesù Cristo significa scegliere volontariamente di essere gli ultimi. Sempre. Senza capeggiare. Con la volontà semplicemente di essere utile a qualcuno. Offro la mia intelligenza per aiutare qualcuno. Questo è il gesto cristiano per eccellenza.
E san Michele, il cui nome significa “Chi come Dio?”, è la denunzia permanente a tutti i potenti della terra che si sentono Dio, che vorrebbero dirci che dispongono di tutto, che sono loro il nostro Dio, perché dispongono dei soldi, delle ville, del conto in banca: - Io dispongo della ricchezza, del tuo destino, io sono il tuo Dio … -
San Michele serve solo per questo. Per dire - Mi cha El. Chi come Dio? Chi si permette di sentirsi Dio rispetto agli altri? Nessuno è Dio di nessuno. E neppure Dio è Dio! Perché Dio si è presentato a noi come Padre per evitare che noi pensassimo che per somigliare a lui dovessimo fare noi gli dei. Nessuno è Dio di nessuno. Siamo tutti fratelli e sorelle. Tutti sullo stesso piano. Amati immensamente da questo Padre.
Quindi – Chi come Dio? Chi si permette di sentirsi Dio nei confronti degli altri? Buttiamolo giù! I potenti dobbiamo buttare giù. La povera gente ha bisogno solo di essere risollevata. La povera gente, che poi siamo anche noi, la maggior parte delle persone, che vivono con tanta difficoltà, che non riescono ad andare avanti perché manca il lavoro, perché manca la casa, manca la sicurezza economica … tante cose che attentano alla libertà.
Perché Dio ci vuole liberi? Perché sin quando abbiamo bisogno di lavoro, di dipendere dagli altri, rischiamo di vendere la nostra libertà perché qualcuno ci promette qualcosa. Capisco che qualcuno, per bisogno potrebbe piegarsi … Ma chi è questo che promette … Non dovrebbe stare lì al servizio di tutti? Dei bisogni di tutti? Se è lì è perché noi lo deleghiamo e deve fare il bene della collettività.
E allora, care sorelle e fratelli, celebriamola così la parola di Dio: come parola di liberazione. Dio ci vuole liberi: non bisognosi degli altri. Al servizio sì. Perché nessuno di noi è talmente povero che non possa fare qualcosa anche per gli altri. Avere sempre due mani: una per dare e una per ricevere. Non una sola per ricevere e l’altra nascosta, perché siamo furbi. Nello scambio dei doni, si vive insieme e si migliora la qualità della vita per tutti. Il Vangelo ci propone ancora una volta tutto questo nella semplicità della vita di Gesù.

(il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)




venerdì 26 ottobre 2012

Diritto di veto

Domenica prossima noi siciliani saremo chiamati a rinnovare il Parlamento regionale.
Io, che ho sempre fatto una bandiera del  nostro diritto/dovere di esprimere i rappresentanti nelle assemblee legislative locali e nazionali, sono tentata di starmene a casa.
Guardate questo video.
L'unica cosa certa è che voto Milena Gabanelli e la trasmissione "Report".




(Ringrazio mio figlio Ricky che mi ha fatto conoscere il video)

mercoledì 24 ottobre 2012

Il diritto di piangere

Mio figlio Ricky, che è andato a scuola solo a 4 anni


Nella strada che mi porta al lavoro, incrocio una scuola dell’infanzia. Da cui, in queste prime settimane di scuola, mi arriva puntualmente il pianto disperato di un bambino che non vuole lasciare  mamma o  papà. Al pianto del piccino, segue la voce monotona dell’assistente che gli dice: - Non devi piangere, vieni … Non si piange, sai? – La frase, benevola e persino d’obbligo, mi risuona però eccessiva e stonata. E’ vero: bisogna crescere e tagliare il cordone ombelicale che ci lega all’universo magico della nostra infanzia. Ma questo comporta  fatica e dolore. E non è detto che la mano che incontreremo fuori casa sarà affettuosa come quella di mamma o di nonna.  A mio avviso allora, se non abbiamo ancora tre anni e siamo costretti a uscire dal nido e a lasciare l’abbraccio avvolgente dei nostri cari, almeno il nostro primo giorno di asilo, di piangere abbiamo tutto il diritto.
Maria D’Asaro (pubblicato su "Centonove" del 19.10.2012)