domenica 27 febbraio 2022

Vittorio, angelo custode dei cani randagi

       Palermo – L’impegno di Vittorio comincia dieci anni fa, quando Nerina, la cagnolina randagia che accudiva con cibo e attenzioni, fu trovata impiccata per strada. Fu uno shock per il ragazzino, che allora aveva solo nove anni e non si dava pace di tanta gratuita crudeltà. Così, dopo la morte di Nerina, Vittorio decise di dedicare il tempo libero e le sue energie alla tutela dei cani randagi. 
       Oggi Vittorio ha 19 anni e da allora ha salvato dall’abbandono e da probabili maltrattamenti circa un migliaio di cani di tutte le razze e dimensioni, compresi alcuni pitbull che sarebbero stati utilizzati in combattimenti clandestini; molte bestiole sono state collocate felicemente in famiglie di adozione, trovate attraverso appositi appelli nei social più diffusi.
     Per il territorio, infatti, il ragazzo è diventato un punto di riferimento e, grazie ai social, è a lui che ci si rivolge in caso di necessità. La sua pagina Facebook conta tantissimi followers ed è qui che vengono postate le foto dei cani in adozione, dei cani ritrovati, dei “salvataggi” effettuati.
    Finché non si trova una famiglia ‘adottiva’, i trovatelli e i randagi sono ospiti in un rifugio, che si trova in un terreno messo a disposizione dal padre di Vittorio, nella loro cittadina siciliana di Canicattì, tra la provincia di Caltanissetta e quella di Agrigento, il capoluogo da cui dista una trentina di km. Balzata in prima pagina nella cronaca nazionale perché nelle sue vicinanze - rispettivamente nel 1988 e nel 1990 - sono stati barbaramente uccisi dalla criminalità mafiosa tre suoi cittadini, i magistrati Antonino Saetta (col figlio Stefano) e Rosario Livatino, Canicattì per fortuna è nota anche per le sue pregiate produzioni agricole, tra cui l’uva da tavola ‘Italia’.
    Ecco cosa ha detto il ragazzo a Lucia Basso, la giornalista del TG regionale siciliano che lo ha intervistato, qualche settimana fa, nel canile/rifugio a Canicattì: «Ai randagi che non posso ospitare nel canile, fornisco comunque acqua e cibo ogni giorno. E spero che in strada non vengano maltrattati. Davanti a un supermercato, qualche tempo fa, ho trovato un cane con una zampa compromessa e le orecchie tagliate. Ma ora nel mio rifugio è un cane felice: è vaccinato, con microchip. L’ho chiamato Mozart. Do un nome a ogni cane. Ora siamo in cerca di una famiglia anche per Mozart». 
     Vittorio non è solo nella sua particolare missione, gli dà una mano anche la sorellina minore Flavia che, come lui, ama i cani. Inoltre, per sostenere il suo impegno, in quest’angolo di Sicilia arrivano aiuti da tutta l’Italia: soprattutto cibo, ma anche donazioni in denaro perché si possano garantire ai cani le razioni alimentari quotidiane, le eventuali cure veterinarie, nonché le attrezzature per il rifugio. L’attenzione generosa verso l’impegno di Vittorio è prova del diffuso senso di attenzione verso queste creature, nostri ‘fratellini’ minori.


Maria D’Asaro, 27.2.22, il Punto Quotidiano

sabato 26 febbraio 2022

Niente da festeggiare



Niente
Da festeggiare
Assente un sorriso
Presente una guerra insensata


Orribile
Il mondo
Un compleanno mancato
Una esecrabile violenza annunciata

mercoledì 23 febbraio 2022

"Amante"? Ci vuole, per vivere…

Claude Monet: Lo stagno delle ninfee (1899)
      Queste considerazioni provengono dalla bacheca di FB del dottor Gioacchino Lagreca. Le condivido e ringrazio il dott. Lagreca per averle postate, il 19 febbraio scorso

    “Molte persone hanno un amante, altre vorrebbero averne uno. Ci sono anche quelle che non ce l'hanno, e quelle che lo avevano e che lo hanno perso. Di solito sono queste ultime che vengono nel mio studio per dirmi che sono tristi o che presentano sintomi tipici di insonnia, apatia, pessimismo, crisi di pianto, o i più svariati dolori.
      Mi raccontano che la loro vita procede in modo noioso e senza prospettive, che lavorano solo per sopravvivere e che non sanno come occupare il tempo libero. Trovano molti modi per dire che stanno semplicemente perdendo la speranza. Prima di dirmi tutto questo, erano già stati in altri uffici, dove hanno ricevuto le condoglianze per una diagnosi ferma: "DEPRESSIONE"... oltre l'inevitabile ricetta dell'antidepressivo del momento. Così, dopo averle ascoltate attentamente, dico loro che non hanno bisogno di antidepressivi. Dico loro che quello di cui hanno bisogno è un amante!
      È impressionante vedere l'espressione dei loro occhi quando ricevono il mio consiglio. 
Alcuni pensano: "Come può un professionista suggerire una cosa del genere?!".
Ci sono anche quelle che, scioccate e scandalizzate, salutano e non tornano mai più. 
    A quelle che decidono di restare e non scappano inorridite, io spiego loro: l'amante è "Cosa ci innamora". È ciò che prende cura dei nostri pensieri prima di addormentarci, ed è anche ciò che, a volte, ci impedisce di dormire. Il nostro amante è ciò che ci tiene distratti da ciò che accade intorno a noi. È ciò che ci mostra il senso e la motivazione della vita.
     A volte incontriamo il nostro amante nel nostro partner, altre volte in qualcuno che non è il nostro partner, ma che ci risveglia le più grandi passioni e incredibili sensazioni. 
      Lo possiamo trovare anche nella ricerca scientifica o nella letteratura, nella musica, nella politica, nello sport, nel lavoro, nel bisogno di trascendere noi stessi spiritualmente, in un buon pasto, nello studio, o nel piacere ossessivo del nostro passatempo preferito. (…).
Amante è "qualcuno" o "qualcosa" che ci dà "appuntamento" con la vita e ci allontana dal triste destino di "andare a vivere".  (…)
    "Andare a vivere" significa aver paura di vivere. Significa guardare il modo in cui vivono gli altri, è lasciarsi sopraffare dalla pressione, girare negli ambulatori medici, prendere medicine multicolori, allontanarsi da ciò che è gratificante, osservare delusi ogni nuova ruga che lo specchio ci mostra (…). 
"Andare a vivere" significa rimandare la possibilità di vivere l'oggi, fingendo di accontentarci dell'incerta e fragile illusione che forse potremo realizzare qualcosa domani.
     Per favore, non accontentatevi di "ANDARE VIVENDO" 
     Cercate un amante, siate anche un amante e un protagonista della vostra vita...
Credetemi, il tragico non è morire, perché dopotutto la morte ha buona memoria e non ha mai dimenticato nessuno. La cosa tragica è rinunciare a vivere. Quindi, senza ulteriori indugi, cercate un amante.
     La psicologia, dopo aver studiato molto sul tema, ha scoperto qualcosa di trascendentale:
"Per essere soddisfatti, attivi, e sentirsi giovani e felici, bisogna FIDANZARE LA VITA".

domenica 20 febbraio 2022

Il Castagno dei cento cavalli, albero dell’anno 2021

Castagno dei cento cavalli
      Palermo – All’anagrafe scientifica il suo nome è Castanea sativa, ma per i siciliani è il Castagno dei cento cavalli. 
   Si trova nel versante orientale dell’Etna, all’interno del bosco di Carpineto, nel territorio di Sant’Alfio, comune vicino Catania. La sua carta d’identità attesta un’età di tutto rispetto: dai due ai quattro mila anni. Secondo gli specialisti in materia, potrebbe essere l'albero da frutto più antico d'Europa.  
  Alto circa 22 metri, ha una circonferenza di 21 metri, che aumenterebbe a 50 se si provasse l’appartenenza dei tre fusti contigui a un’unica pianta. Tale tesi, tuttavia, è al vaglio degli studiosi, ancora incerti se le tre polle (fusti) - rispettivamente di 13, 20 e 21 metri – abbiano un unico apparato radicale. Se così fosse, il Castagno dei cento cavalli sarebbe anche l’albero più grosso al mondo, scalzando dal podio l’attuale detentore del primato, un cipresso messicano largo 38 metri.
    Le prime notizie storiche sull’imponente albero siciliano risalgono a documenti del 1611 e del 1636. Il 21 agosto 1745 venne emanato un primo atto dal "Tribunale dell'Ordine del Real Patrimonio di Sicilia", con cui si tutelavano il maestosa Castagno e il vicino Castagno Nave; tale documento si configura tra i primi interventi legislativi di tutela ambientale emanati in Sicilia.
   Del Castagno abbiamo anche varie raffigurazioni pittoriche di noti viaggiatori del Grand Tour del 1700 , tra cui quella di Jean-Pierre Houël, che lo descrisse e ritrasse nel ‘Voyage de la Sicile, de Malta e Lipari’.
    A cosa deve il Castagno il suo appellativo? Si narra che la regina napoletana Giovanna I d’Angiò - che regnò tra il 1343 al 1381 - mentre partecipava a una battuta di caccia nei boschi dell’Etna con un centinaio di dame e cavalieri, sia stata sorpresa da un temporale. Il gruppo avrebbe trovato riparo proprio sotto la chioma del grande albero. In assenza di prove certe della venuta in Sicilia di Giovanna d’Angiò, nel resoconto leggendario la regina è stata ‘sostituita’ dalla duchessa napoletana Giovanna d’Aragona (1502-1575) e persino dalla regina Isabella d’Inghilterra (1214-1241, terza moglie dell’imperatore Federico II. Nel frattempo, l’aneddoto si è arricchito di particolari che farebbero impallidire le odierne cronache rosa. Comunque siano andate le cose, all’albero è rimasto il particolare soprannome.
    Un ulteriore lusinghiero primato il Castagno dei cento cavalli lo ha guadagnato l’anno scorso, quando, col maggior numero di voti on line, ha vinto il concorso italiano “Albero dell’anno 2021”. Tale vittoria gli ha conferito il diritto di rappresentare il nostro Paese per il conferimento del titolo di “European tree of the year 2022”.
    Il concorso è stato organizzato dalla Giant Trees Foundation, associazione no-profit con sede nei pressi di Udine, che promuove la conoscenza e la difesa dei grandi alberi del pianeta, attraverso la loro esatta individuazione, il loro studio e la loro tutela.
Sul sito dell’associazione - https://www.gianttrees.org/it - è possibile votare on line sino al 28 febbraio per il nostro Castagno plurimillenario, esprimendo anche una seconda preferenza per uno dei quindici alberi monumentali europei in gara.
    Il più votato tra i magnifici giganti verdi sarà proclamato a Bruxelles il 22 marzo prossimo “Albero europeo per il 2022”. Comunque vada la competizione, il Castagno del cento cavalli, che dona bellezza, cultura e valore aggiunto al territorio etneo, ha già vinto la sua partita.

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 20.2.22

venerdì 18 febbraio 2022

Ciao Daniela, donna speciale

  La dottoressa Daniela Cucè, psicologa e psicoterapeuta, l’ho conosciuta nel 2018 a Siracusa, nel ruolo di tutor di un Master organizzato dall’Istituto di Neuroscienze e Gestalt Therapy “Nino Trapani”. 
      In quel contesto, ho apprezzato il suo garbo, il suo sorriso, la sua disponibilità. A volte è venuta a prendermi, in corso Gelone, davanti alla chiesa di santa Rita, quando il sabato mattina arrivavo trafelata, in ritardo…  
     In auto, mi parlava di quanto le piacesse stare a Palermo, quando studiava alla Facoltà di Psicologia… Con le foto al cellulare, mi ha ‘presentato’ Stella, la canuzza che amava. Mi ha dato dei suggerimenti per il Master; si è presa la briga poi di trovare qualcuno che mi prendesse alla stazione…
     Vedo ancora brillare i suoi occhi quando al corso, in un momento di condivisione, ha parlato di Bianca, la nipotina da poco arrivata…
     Poi si è assentata. Una collega che la conosceva bene mi ha confidato che era affetta da una severa cardiopatia congenita ed era ricoverata a Milano. Chi l’avrebbe mai detto – ho pensato tra me. 
Per fortuna Daniela è tornata, con il solito sorriso.
    A marzo del 2020, arriva lo tsunami della pandemia: niente lezioni in presenza, stop ai viaggi a Siracusa.
    Intanto, ci eravamo trovate su FB, dove lei esprimeva la sua solarità, il suo amore per i mare e per i viaggi. E il suo impareggiabile talento nel raccontare barzellette: durante il primo lockdown ci ha allietato raccontandone una al giorno! Una sorta di viatico virtuale per superare con leggerezza il trauma della pandemia.
    A fine 2020, prima di deliziarci con l’ultima barzelletta dell’anno, eccola dire in un video: “Se c’è qualcosa che ho imparato da quest’anno terribile è che so raccontare le barzellette. E vengo apprezzata per questo!”.
      Daniela cara, ti ho conosciuta solo di striscio. Ma abbastanza per essere affranta, quando te ne sei andata, il 19 gennaio. Non potrò farti gli auguri di buon compleanno, il prossimo 26 giugno… Con chi farà i duetti canori la tua nipotina adorata?
Cara Daniela, da psicoterapeuta, sai bene che, scrivendo, elaboro lutto e sgomento. Ma queste righe vogliono essere soprattutto il mio tributo alla donna speciale, che ho avuto il privilegio di incontrare.
     Nella comunione virtuale di FB, sono contenta di avere messo in tempo, nella tua bacheca, tanti cuoricini e “mi piace”. Sono contenta di aver conosciuto in foto tuo padre e averti scritto che eravate – e siete - bellissimi.

        Condivido infine le parole toccanti di Simonetta Arnone, Cristina Martin e Alessandra Turlà, dalla pagina FB “La civetta di Minerva”:
Che poi è facile dire: indossava sempre uno splendido sorriso, era dolcissima, tenace, intelligente e colta. È facile ricordare la sua passione nel portare avanti le idee con piglio e fermezza. È facile ricordare il suo corpo in un luogo e la sua coscienza in mille altri per seguire il richiamo di chiunque avesse bisogno di un soccorso.
È facile ricordare la capacità di trasformare il dolore delle grandi cose nella vita in frammenti da mettere in tasca per andare avanti. È facile ricordare quel senso di ironia, quella battuta sempre al posto giusto che solo chi ha raggiunto il posto giusto può permettersi. È facile ricordare la sua ribellione verso l’ingiusto e l’assenza di pavidità nell’affrontarlo.
È facile ricordare la sua lezione sul libro che quando si inizia si finisce, su un progetto che quando si inizia si porta a termine, su un’amicizia che quando inizia si coltiva con cura, sull’amore che quando si incontra è per sempre.
È facile ricordare il suo urlo silenzioso e leggero verso un percorso di vita ad ostacoli. È facile ricordare il suo amore per le piccole cose che assemblate chiamiamo vita, la vita che lei non ha mai smesso di amare. 
È facile perfino ricordarla adesso al fianco di Miss Marx perché le coscienze gemelle alla fine si ritrovano sempre. 
È facile pensarti in viaggio, comunque, ancora con noi, in un altrove così lontano e mai così vicino.
Tutto questo è davvero facile, il difficile adesso è darsi una ragione. Ma la risposta è già lì, a portata di mano. È facile trovarla.
La ragione è la sfumatura dell’orma lasciata sulla terra che lei ha calpestato, nella mente di chi l’ha incontrata e nel cuore di chi l’ha amata. È veramente facile immaginarla sorridere adesso e sentirle dire… “Il mio compito l’ho portato a termine, adesso tocca a voi farne tesoro, non siate pigri, dopotutto è facile”.

      Ciao Daniela, grazie di esserci stata. Grazie, infine, dei tuoi auguri per il 2022, un modo speciale di salutarci: “Io vi auguro un anno pieno di risate, che fin quando si ride vuol dire che non si hanno grossi problemi”. 

Maria D’Asaro

(Grazie ad Andrea Francesco Rebolino, marito di Daniela, che mi ha dato il consenso per la  pubblicazione delle foto)

mercoledì 16 febbraio 2022

Un classico dice cose che ci riguardano

Brema - Agosto 2019 foto marida@solcare
    "Un classico è un autore di cui noi decidiamo ogni volta che è vivo. (…) È un autore che, quanto più leggo, tanto più scopro ricco. (…) 
     Classico è anche un autore che non ha bisogno di mediazioni troppo ingombranti. (…) Il classico non ha bisogno di molte mediazioni: naturalmente la mediazione critica è importante, è indispensabile per la lettura, per la decifrazione e l’interpretazione del testo. Però un classico è un autore che ci prende rapidamente: dice cose che ci riguardano. È una differenza abissale: la cultura dà sì un piacere molto forte, ma un classico ci tocca in profondità".

Giuseppe Pontiggia I classici in prima persona, Mondadori, Milano, 2020, pag.31


lunedì 14 febbraio 2022

Ogni anno 10 miliardi buttati nell'immondizia

     Palermo – Per nonni e bisnonni, vissuti in tempi di maggiore povertà, gettare anche solo un pezzetto di pane era un gesto intollerabile, quasi blasfemo.
   Oggi non è più così. Tanto che, su proposta di Andrea Segrè, professore di Politica agraria internazionale e comparata all'Università di Bologna,  otto anni fa, il 5 febbraio 2014, è stata istituita la Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare per iniziativa congiunta del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna, del Ministero dell’Ambiente e della campagna Spreco Zero dell’associazione “Last Minute Market”, impegnata nel recupero delle eccedenze alimentari e nel sensibilizzare cittadini e istituzioni verso il problema.
   Anche quest’anno il 5 febbraio, nona Giornata nazionale contro lo spreco, si è fatto il punto sulla situazione, per individuare insieme strategie finalizzate a diminuire il cibo in discarica. I dati forniti dall’Osservatorio 'Waste Watcher International' dicono che oggi in Italia si spreca un po’ meno: nel 2021 sono state gettate 222.000 tonnellate di cibo in meno rispetto all’anno precedente.  Gli sprechi ammontano però ancora a 3.624.973 tonnellate, 1.661.000 delle quali costituite da alimenti casalinghi.
   Sprecare cibo equivale, a livello nazionale, alla perdita di circa 6 miliardi e 403 milioni di euro; costo che arriva a 10 miliardi circa se si sommano ai costi di produzione quelli dovuti alla commercializzazione e alla distribuzione del bene prodotto. Nella grande distribuzione, molti alimenti vengono gettati perché invendibili a causa di una scadenza troppo ravvicinata; la recente indagine dell’Osservatorio Waste Watcher, svolta sui singoli cittadini, evidenzia che è sempre la frutta fresca al top della classifica degli sprechi (27%), seguita da cipolle, aglio e tuberi (17%), pane fresco (16%), verdure (16%) e insalata (15%).
    Ma qual è la prima conseguenza dello spreco alimentare, secondo i consumatori italiani? Lo spreco di denaro, vissuto come aspetto più grave da oltre 8 italiani su 10 (83%). La gestione oculata del cibo va quindi di pari passo con quella del bilancio familiare, ma si riflette anche sull’effetto diseducativo per i giovani (83%), sull’immoralità intrinseca dello spreco alimentare (80%) e delle risorse (78%) e sull’inquinamento ambientale (76%).
   A questo proposito, il professore Giuseppe Mancini, Docente di Ingegneria Chimica all’Università di Catania, sottolinea che «Per produrre il cibo che poi viene gettato abbiamo utilizzato energia, acqua, terreni agricoli. Possiamo calcolare che l’1% delle emissioni nazionali di anidride carbonica venga causato ‘inutilmente’ dalla produzione di alimenti che finiranno in discarica».
    Anche se le dimensioni dello spreco alimentare sono ancora pesanti sotto ogni aspetto, gli italiani si posizionano meglio di altri popoli: secondo un’indagine effettuata nel 2021 tra Stati Uniti, Cina, Regno Unito, Canada, Russia, Germania, Spagna e Italia, il nostro Paese è quello dove il cibo si spreca di meno. E l’85% degli italiani desidera che il cibo, ritirato per vari motivi dalla vendita nei supermercati e nelle aziende, sia donato per obbligo di legge ad associazioni assistenziali che si occupano di assistenza ai poveri.
    In Sicilia si gettano ancora ogni anno circa 400.000 tonnellate di cibo, ben il 30% dei prodotti che finiscono in pattumiera. Per fortuna, come nel resto d’Italia, nell’isola esiste l’associazione no-profit del Banco alimentare, che distribuisce generi alimentari a persone bisognose mediante il recupero, la raccolta e la redistribuzione delle eccedenze e dello scarto generati lungo tutta la filiera alimentare.
   Ecco cosa ha detto il 5 febbraio scorso, al TG regionale siciliano, Pietro Maugeri, Presidente del Banco Alimentare siciliano: «Ci occupiamo spesso di recuperare prodotti invendibili solo perché hanno una scadenza ravvicinata. Ma si tratta di cibo buono, che viene consumato immediatamente da chi ha fame ed è bisognoso».
    Salvo Pappalardo, membro della Caritas di Catania, ha aggiunto: «Con la pandemia è aumentata la povertà. I numeri dei poveri sono davvero alti: noi prepariamo 700 pasti al giorno. Il cibo che recuperiamo non scade mai: viene cucinato e consumato immediatamente».
Inoltre, la Giornata di prevenzione dello spreco alimentare ha lo scopo di mantenere il problema al centro dell’attenzione: «Studiare l’evoluzione dei comportamenti dei cittadini in rapporto agli sprechi – sottolinea il professore Andrea Segrè – permette di tracciare un monitoraggio sugli stili di vita e di alimentazione, evidenziando le implicazioni in tema di salute dei cittadini e dell’ambiente, insieme agli effetti della pandemia sui comportamenti di consumo e sugli sprechi. L’analisi dei dati è quindi essenziale in chiave di sensibilizzazione per lo sviluppo sostenibile e la prevenzione degli sprechi».
    La Giornata del 5 febbraio si focalizza anche sul decennio che porterà al conseguimento degli Obiettivi di Sostenibilità dell’Agenda ONU 2030. L’Italia vuole fare la sua parte, in vista del prossimo 29 settembre, quando la FAO (Agenzia delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) e l’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, celebreranno la 3° Giornata mondiale di consapevolezza delle perdite e degli sprechi alimentari. L’auspicio è quello di azzerare il cibo in discarica, scandalo insopportabile per l’ambiente, l’etica e l’economia.

Maria D'Asaro, 13.2.22, il Punto Quotidiano

sabato 12 febbraio 2022

Esequie anticipate

Berlino, 2019 - foto marida@solcare
Si avanza una richiesta, ad amici e parenti,
nell’auspicio che non risulti troppo bislacca.
Mi auguro che nessuno metta in dubbio
il pieno possesso delle mie facoltà mentali.
Si illude di averne – qualcuno malignerà…

Vorrei un  anticipo delle mie esequie da viva.
C’è chi chiede una frazione del TFR
Chi la cessione del quinto dello stipendio
Un figlio chiese anzitempo la sua eredità.
Legittima è dunque l’istanza.




Dopo approfondite riflessioni e indagini
Pervenni a una fondata conclusione:
sarà impossibile presenziare al mio funerale.
Con il corpo sarò li ma la mente mia no no
Ho ragione di ritenere che l’udito sarà difettoso
E la vista piuttosto appannata.

Allora, care/cari tutte/i, dovunque siate -
in Facebook, in Instagram, nei vostri splendidi blog
in un trullo pugliese, nelle ridenti terre emiliane -
profferite in anticipo complimenti eventuali:
Si quella volta, fosti bravina a lucidare quel libro;
Come le stiri tu le camicie, nessuna

Ma anche, alla bisogna, rimbrotti e rampogne:
Suvvia, una siciliana incapace di fare la pasta con le sarde
Che errore, abbinare i jeans a quel pullover
Correzioni, esortazioni consigli: 
Urla, se è il caso 
Mandalo finalmente a… fare la spesa - suggerirà forse l’amica

Pronunciate, vi prego, tutte le parole non dette;
esplodano i fragori delle risate trattenute;
svecchiate i commenti, scongelate le omissioni,
evitate l’eccesso di pudore - così suggeriva una cara vegliarda…
Dite la vostra anche su Zoom, se non ve la sentite in presenza.

Onorate qui, con parole vostre, la vostra cara non-ancora estinta.
Osate gesti inconsulti: se è il caso, invitatela a ballare un liscio.
Domani, forse sarà già tardi.
Saremo magari impegnati ad arrivare puntuali - qualcuno trafelato e confuso,
io freddina e compassata - al mio funerale.

Maria D’Asaro: Dillo con parole tue

giovedì 10 febbraio 2022

Guardati, o poeta, dalle notti di luna

Berlino, 2019 - marida@solcare
        “Ricordo una frase di Eliot, scrivere è fuggire dall’emozione; ma aggiungeva che solo chi ha attraversato l’emozione può metterla a distanza. C’è, tra emozione e verità narrativa, un rapporto essenziale, però è un rapporto complesso, problematico, difficile da individuare. (…) 
      Una delle interpretazioni più fuorvianti è di pensare che, quando noi comunichiamo con immediatezza una emozione, siamo nella verità. Siamo invece nella sincerità, che è una cosa diversa. Siamo sinceri, ma possiamo esprimerci con un linguaggio che non è il nostro, che è ricalcato sui modelli. L’importante non è di essere sinceri con parole altrui, ma di interessare gli altri con parole proprie.
       Più si legge meno si imita (…) È bene apprendere più linguaggi per trovare il proprio. (…) Quando noi riusciamo a dire con precisione quello che sentiamo, ossia quando siamo veri nel linguaggio, è il momento che suscitiamo negli altri il massimo interesse. (…) In generale, più che credere alla ispirazione, bisogna badare agli effetti che essa produce. Sono questi che contano. (…)
      In ogni caso, penso che uno scrittore sia sempre rivolto al futuro del testo più che al passato della memoria. Penso che Proust fosse orientato verso il futuro del suo percorso, tendesse a creare un universo espressivo in cui abitare. Attingeva al passato, però lo trasformava. Psicologicamente il suo interesse era per la metamorfosi, non per la memoria, era per la recherche, non per le temps passé.(…) 
    Spesso ci si inganna attribuendo all’intensità dell’emozione significati potenziali dal punto di vista artistico. Forse è più proficuo l’atteggiamento di molti narratori, che vivono le esperienze già immaginandone le metamorfosi in linguaggio. Un caso di sdoppiamento, a volte schizofrenico, che è alla radice di tante interpretazioni del rapporto tra vita e arte.(…)
      Non credo però all’opposizione o vivere o scrivere. Scrivere è un modo, a volte straordinariamente intenso, di vivere. E vivere può essere anche un modo, indiretto e preparatorio, dello scrivere."

Giuseppe Pontiggia Per scrivere bene imparate a nuotare (Mondadori, Milano, 2020), pagg.21-25

martedì 8 febbraio 2022

Ogni caso



Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.




Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.

Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull'acqua galleggiava un rasoio.

In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.

Dunque ci sei? Dritto dall'animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? 
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore

 Wislawa Szymborska  La gioia di scrivere - Tutte le poesie (1945-2009),
Adelphi Edizioni, Milano 2009, pag. 267 (trad. Pietro Marchesani


La poesia è stata proposta da Adriana Saieva per l’incontro di meditazione laica “Stati d’animo”, mercoledì 2 febbraio alla Casa dell’Equità e della bellezza, via Garzilli, 43, Palermo. 
(Per chi fosse interessato, questi incontri di riflessioni condivise si tengono ogni mercoledì, dalle 18.30 alle 20), Qui il sito della Casa.

Ecco alcune riflessioni di Adriana:
      “L’incontro con questi versi mi ha quasi tolto il fiato: quante decine e decine di volte ci imbattiamo in quel bivio, in quel ritardo, in quell’anticipo, in quell’imprevisto, in quella visione con la coda dell’occhio, in uno sguardo per strada che ci fa rallentare giusto quei dieci secondi, in quel ci vado, nel non ci vado… Se fossi partita, se non fossi partita (…)
Sembra quasi che la nostra vita dipenda dal trapassato del modo congiuntivo; vuoi vedere, mi sono detta, che la formula è nascosta in una declinazione verbale? 
Migliaia e migliaia di micro-scelte o micro eventi che determinano, però, un tempo diretto, indicativo e presente: «Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?».
Questo verso (...) riporta con i piedi per terra dal limbo delle infinite casualità.
Poi arriva quell’ultimo verso che sbaraglia tutte le carte: «Ascolta come mi batte forte il tuo cuore». 

     All’inizio mi sembrava di avere a che fare con due dimensioni, una che percorre tutta la poesia fino allo stupore del concatenarsi misterioso delle vicende umane: «non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo» e un’altra che, in otto parole, mi svela cos’è l’empatia con quell’ultimo immenso verso. 
Ma durante l’incontro, ascoltando le risonanze dei presenti, è apparso il ponte che ha unito le due dimensioni… “Dunque ci sei?” Io ti vedo, ti ascolto, ti sento, mi batte il tuo cuore. Per te che ti sei salvato perché eri a destra quello a sinistra non ce l’ha fatta; per te che ti sei salvato perché c’erano alberi, per un altro sono stati la fine. “Dunque ci sei?” e in quest’assurdo cambio continuo di rotaie, il senso non è forse in questi cuori che sanno incontrarsi, battere all’unisono?
Riconoscersi per ogni istante che dura un battito?           Grandiosa Wisława…”

Grazie di cuore, dunque. Alla grande Wislawa e alla preziosa Adriana che ha condiviso tanta bellezza.






(foto mari@dasolcare, Berlino, 2019)

domenica 6 febbraio 2022

Bentornato al Quirinale, Presidente Mattarella

(al netto delle infinite possibili osservazioni politiche sulla rielezione del Presidente, il mio pezzo su tutti gli uomini del Quirinale e sul rapporto di mio padre con la famiglia Mattarella: con il ministro Bernardo, con il Presidente Piersanti e con Sergiuzzo...)

     Palermo – Fumata bianca. sabato 29 gennaio, nel Parlamento italiano che, all’ottava votazione, ha rieletto come 13° Presidente della Repubblica il palermitano Sergio Mattarella con 759 voti, 94 voti in più rispetto a quelli ottenuti nel 2015. Nella classifica del ‘gradimento parlamentare’, Mattarella si colloca terzo dopo Sandro Pertini e Giovanni Gronchi, eletti nel 1978 e nel 1955.
Sino ad ora, la più alta carica dello Stato è stata appannaggio solo maschile. Chi sono stati dunque gli inquilini eccellenti del Quirinale?  
     Il primo Presidente fu il giurista napoletano Enrico De Nicola, eletto Capo provvisorio dello Stato il 28 giugno 1946 e riconfermato nella carica il 26 giugno 1947; De Nicola assunse il titolo di Presidente della Repubblica solo il 1° gennaio 1948.
A De Nicola è succeduto, l’11 maggio 1948, il liberale piemontese Luigi Einaudi, assai stimato in Italia e all’estero per la sua vasta cultura economica, finanziaria e industriale.
     Terzo presidente della Repubblica, dal maggio 1955 al maggio 1962, è stato il toscano Giovanni Gronchi, democristiano, nel 1919 tra i fondatori del Partito Popolare insieme a Luigi Sturzo.
    Il quarto Presidente è il sardo Antonio Segni, anche lui democristiano; la sua presidenza dura solo due anni perché, per motivi di salute, si dimette nel dicembre del 1964. 
Suo successore è il torinese Giuseppe Saragat, eletto il 28 dicembre 1964, socialista appartenente al Partito social democratico italiano, il più moderato e centrista dei partiti socialisti allora esistenti in Italia. Con Saragat, che pare non disdegnasse il vino Barbera delle sue Langhe, il messaggio di 
Capodanno diventa, da rito incolore, bilancio dell’attività politica dell’anno appena trascorso. 
       Il sesto presidente della Repubblica italiana è il napoletano Giovanni Leone, democristiano, avvocato penalista di fama internazionale, eletto il 24 dicembre 1971 al ventitreesimo scrutinio. Leone si dimise nel giugno 1978, qualche mese prima della scadenza del mandato, anche per le accuse di un suo coinvolgimento nel cosiddetto scandalo Lockeed, accuse da cui fu in seguito prosciolto.
L’8 luglio 1978 fu eletto Presidente della Repubblica con una maggioranza schiacciante, 832 voti su 995, il socialista ed ex partigiano Sandro Pertini, forse il Presidente più amato dagli italiani, che gli riconobbero un passato limpido di combattente per la libertà, onestà e schiettezza politica, vicinanza genuina alla gente. Pertini preferì continuare ad abitare nel piccolo appartamento romano, con la moglie Carla Voltolina, e recarsi al Quirinale solo per gli impegni istituzionali. Lo si ricorda con la pipa, lo si rivede trepidante per il piccolo Alfredino, nel giugno del 1981, durante quella che divenne poi la tragedia di Vermicino; indignato e dolente ai tanti funerali di stato per le vittime delle Brigate rosse e dei terroristi neri; esultante e gioioso per la vittoria dell’Italia, 3 a 1 sulla Germania, ai mondiali di calcio di Spagna nel 1982.
       Meno popolare e piuttosto controverso il suo successore, il sardo Francesco Cossiga, eletto il 24 giugno 1985 al primo scrutinio. La fine del suo settennato fu caratterizzata da continue irrituali esternazioni, e per Cossiga fu coniato l’appellativo di ‘Presidente picconatore’.  Cossiga si dimise il 28 aprile 1992, qualche settimana prima della strage di Capaci, avvenuta il 23 maggio successivo.
Strage di Capaci che diede un’accelerazione alle votazioni presidenziali in corso, facendo confluire i voti sul democristiano Oscar Luigi Scalfaro, che come prima uscita pubblica dopo la sua elezione partecipò ai funerali del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie e dei tre agenti di scorta e, quasi due mesi dopo, a quelli del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta. Durante il suo settennato, venne alla luce lo scandalo di Tangentopoli.
Il Presidente Pertini gioca a carte con Bearzot, Zoff e Causio
      Il decimo Presidente della Repubblica è stato il toscano Carlo Azeglio Ciampi, ex Governatore della Banca d’Italia, ‘tecnico’ prestato alla politica: eletto il 13 maggio 1999 alla prima votazione, fu tra i registi dell’ingresso dell’Italia nell’Europa dell’euro.
    Il successore di Ciampi fu il campano Giorgio Napolitano, ex comunista ‘migliorista’ la corrente più distante dal Cremlino. Napolitano, eletto il 15 maggio 2006, è stato poi rieletto per un secondo mandato, dall’aprile del 2013 sino al 14 gennaio 2015, quando si dimise dall’incarico.
 A Giorgio Napolitano è subentrato Sergio Mattarella, eletto il 31 gennaio 2015.  Anche lui, come il predecessore, rieletto il 29 gennaio 2022 per un secondo mandato, malgrado ambisse a un sereno e meritato pensionamento.
    Chi è Mattarella lo sanno bene gli italiani, conquistati dal suo equilibrio, dalla sua correttezza, dal suo garbo signorile. La gente si fida di lui e lo ha sentito sempre vicino, soprattutto nei due anni difficili della pandemia.
      Per chi non lo sapesse, è un insigne giurista, già docente universitario di Diritto costituzionale e Diritto parlamentare. Mattarella avrebbe continuato nell’ombra la sua carriera universitaria se i mafiosi – forse d’accordo con altri criminali eversivi – non avessero assassinato il 6 gennaio 1980, davanti alla sua abitazione, il fratello maggiore Piersanti, Presidente della Regione Siciliana, mentre andava a messa con la moglie Irma e i figli Bernardo e Maria.
     La storia personale del silenzioso e schivo professore di Diritto, allora appena trentottenne, il giorno dell’Epifania del 1980 ebbe una dolorosa e imprevista virata: fu chiamato all’impegno politico attivo nell’ex partito nel quale avevano militato il fratello Piersanti e, prima ancora, il padre Bernardo. Allora come ora, impossibile per lui rifiutare la responsabilità a cui era chiamato. Per dirla con le sue parole della sera fatidica del 29 gennaio scorso, era necessario per ‘Sergiuzzo’ “Non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati – e, naturalmente, devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti – con l’impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini”.
Pertini e Piersanti Mattarella
     Perché la scrivente lo chiama così? Perché Sergiuzzo era il diminutivo affettuoso con cui a casa lo appellava suo padre, negli anni ‘50 in un minuscolo paesino della Sicilia sindaco democristiano, seguendo l’orizzonte ideale di Giorgio La Pira, di Giuseppe Dossetti, di Aldo Moro. Suo padre era vicino alla famiglia Mattarella per la comune militanza politica e per la condivisione della stessa area di riferimento nella DC. 
   Negli anni ’50 e ‘60, quando il papà di Sergio, Bernardo fu prima sottosegretario al Ministero dei Trasporti e poi Ministro della Marina Mercantile, dei Trasporti, del Commercio con l’Estero e delle Poste e Telecomunicazioni, il padre della sottoscritta ebbe modo di conoscere in particolare due dei suoi quattro figli: il secondo, Piersanti e Sergiuzzo, così chiamato appunto perché era il più piccolo dei quattro figli del ministro.
    Di Piersanti, il padre della scrivente apprezzava il talento, l’acume e lo spessore politico: “Ha la stoffa del padre” – non si stancava di ripetere. Una volta, negli anni ’60, in occasione di un incontro politico nel paesino di Palazzo Adriano, raccolse la grande sofferenza di Piersanti per le accuse di contiguità con boss mafiosi della zona di Castellamare del Golfo - paese del trapanese da cui era originaria la famiglia Mattarella – mosse in quel tempo al padre Bernardo, accuse da cui fu poi prosciolto.
Bernardo Mattarella


      Su quella foto, ecco cosa ha scritto il giornalista Attilio Bolzoni, il 31.1.2015 su “La Repubblica”, dopo la prima elezione di Sergio Mattarella al Quirinale: “C’è la storia di una famiglia che è l’attraversamento della Sicilia, c’è il confine fra la vita e la morte. Era ancora vivo, respirava ancora il Presidente della Regione Piersanti Mattarella quando suo fratello Sergio lo stava tirando fuori dalla berlina scura dove era rimasto schiacciato qualche istante prima da otto pallottole. Era ancora vivo quando lui cercava di prenderlo per le spalle e gli sorreggeva il capo mentre la moglie Irma gli spingeva le gambe, spingeva e spingeva senza sentire più il dolore per quelle dita spezzate da uno dei proiettili.  Questa è una foto che racconta molto dei Mattarella, padri, figli, fratelli, c’è dentro la Palermo degli Anni Ottanta, c’è dentro la paura, il prima e il dopo, c’è soprattutto l’attimo in cui cambia per sempre l’esistenza di un tranquillo professore universitario che ha fra le braccia il fratello morente e raccoglie l’eredità di una stirpe politica che con orme assai diverse ha profondamente segnato la vicenda siciliana fin dal dopoguerra.
     Così Sergio, messa da parte la cattedra all’Università di Palermo, non sa che entrerà – suo malgrado - nella Storia italiana. 
     In una recente intervista televisiva, la scrittrice siciliana Dacia Maraini ha affermato che il presidente Sergio Mattarella è stato ed è un modello di dignità, saggezza, equilibrio e lungimiranza; e incarna la quintessenza dell’uomo politico, con idee chiare, salde, ben radicate, nel rispetto di quelle altrui.
     A Sergiuzzo, rieletto di nuovo Presidente a 80 anni, non possiamo che augurare tanta salute, tanta pazienza e un ulteriore supplemento di saggezza. 
    Ci dispiace per la meritata pensione ancora rimandata…ma mio padre sarebbe stato assai lieto di vederLa ancora al Quirinale.  
    In quanto a me, spero di incontrarLa, prima o poi, nella nostra cara Palermo…

Maria D'Asaro, 6.2.22, il Punto Quotidiano



venerdì 4 febbraio 2022

Ѐ possibile ‘incarnare’ una scrittura gestaltica? Dalla ‘verbalizzazione’ alla poiesis

Berthe Morisot: Al ballo (1875)
      "Chi scrive è ‘blogger’ (...) e giornalista pubblicista. Per la sottoscritta, scrivere non è il suo mestiere (la sua professione è stata per decenni quella di docente e di psicopedagogista nella scuola media inferiore), ma una passione vitale, una sorta, insieme, di necessità e di piacere esistenziale. 
   Dopo la ‘masticazione’ dell’ermeneutica gestaltica negli ambiti canonici del counselling e dei contesti educativi in generale, è stato naturale per lei chiedersi quale potesse essere la ricaduta della weltanschauung gestaltica nell’ambito della scrittura creativa – quella esercitata in quanto blogger – e nel campo più codificato e circoscritto della scrittura giornalistica.
      L’interrogativo – nato da una genuina istanza personale – allora è questo: quale marcia in più, quale maggiore consapevolezza teorica nell’uso delle parole può dare una formazione gestaltica a chi si occupa di scrittura, sia a livello di scelta privata sia con un ruolo pubblico riconosciuto? Può la parola scritta esercitare una forma di ‘cura’ intanto per chi scrive e poi anche per i lettori?
   Ancora una volta, anche in questo particolare settore, il testo base della GT ha fornito spunti di riflessione intriganti e nutrienti. Ѐ stata particolarmente coinvolgente la lettura del capitolo numero sette: ‘Verbalizzazione e poesia’, nel quale gli autori analizzano dell’uso linguistico la modalità ‘verbalizzante’, a loro avviso dominante già dagli anni ’50 del secolo scorso a oggi, alla quale viene contrapposta in positivo la valenza intrinsecamente terapeutica della poesia e/o di ogni uso originale e creativo della parola.
        «Proprio come entro la nostra cultura totale si è sviluppata una cultura simbolica priva di contatto o di affetto, isolata  dalla soddisfazione animale e dall’invenzione spontanea sociale, analogamente in ogni sé, quando la crescita dei rapporti originari interpersonali è stata disturbata e i conflitti non sono stati risolti ma pacificati in una tregua precoce incorporando delle forme aliene, si forma una personalità ‘verbalizzante’, un linguaggio insensibile, prolisso, privo di affetto, monotono, stereotipato nel contenuto, inflessibile nell’atteggiamento retorico, meccanico nella sintassi, e senza significato».(1)
       E ancora: «La verbalizzazione facilmente serve da sostituto della vita; costituisce un mezzo pronto attraverso il quale si può vivere una personalità introiettata e aliena, con le sue convinzioni e atteggiamenti, invece del proprio sé (…). Invece di costituire un mezzo di comunicazione o di espressione, la verbalizzazione protegge il proprio isolamento sia dall’ambiente che dall’organismo». (2)
         E le riflessioni dei fondatori vengono rilanciate e puntualizzate dal professore Antonio Sichera: «In GT non si dà alcuna acritica diffidenza verso il linguaggio in quanto tale; quel che Perls e Goodman contestano duramente nel libro fondativo è solo l’eloquio vuoto, la parola che non serve al contatto e anzi lo fugge: il suo nome è verbalizing, ovvero ‘verbalizzazione’. 
Perché la parola che si stacca dal corpo e non rimane legata al sé è condannata a vagare nell’inconsistenza. Ma il linguaggio rimane in GT un aspetto fondamentale dello sviluppo dell’uomo e una condizione essenziale del suo fare esperienza nel mondo. (…) Gestalt Therapy sceglie la strada profondamente ermeneutica della rivitalizzazione del linguaggio comune». (3)
       Tornando al testo base della GT, i suoi autori si lanciano in una meditata apoteosi della creazione poetica, esaltandola per l’uso libero, originale, personale e variegato della parola che la poesia è capace di fare: «Una poesia costituisce un caso particolare di buon atto linguistico. In una poesia, come negli altri atti linguistici buoni, le tre persone, il contenuto, l’atteggiamento e il carattere, nonché il tono e il ritmo, si esprimono reciprocamente, e ciò costituisce l’unità strutturale della poesia. Per esempio, il carattere consiste per la maggior parte nella scelta dei vocaboli e della sintassi, ma questi elementi sorgono e cadono con l’argomento e vengono ritmicamente deformati dall’aspettativa istaurata dai sentimenti; o, ancora, il ritmo accumula urgenza in una progressione che tende a un culmine, l’atteggiamento diventa più difetto, e la proposizione è dimostrata; e via dicendo. Ma per il poeta l’atto di parlare e, come dicono i filosofi, ‘fine a sé stesso’: cioè solo per mezzo del comportamento linguistico manifesto, solo tramite la manifestazione del mezzo stesso, egli risolve il suo problema. (…) Il suo contenuto non costituisce una verità presente dell’esperienza da comunicare, ma piuttosto il poeta trova nell’esperienza o nella memoria o nella fantasia un simbolo che di fatto lo eccita senza che egli abbia bisogno di sapere il suo contenuto latente. Il suo io è il suo stile così come è usato nel momento presente, non è la sua biografia. (…) La poesia è quindi l’esatto contrario della verbalizzazione nevrotica, poiché la prima è l’atto del parlare in quanto attività organica volta a risolvere il problema, una forma di concentrazione; mentre la seconda è l’atto del parlare che tenta di dissipare l’energia nell’atto stesso, reprimendo il bisogno organico e ripetendo una scena incompiuta sub-vocale, piuttosto che concentrandosi su di essa». (4) (...)

[1]. F. Perls, R. Hefferline, P. Goodman (1997) Teoria e pratica della Terapia della Gestalt, cit.130
[2.] Ivi,133
[3] G. Salonia, V. Conte, P. Argentino (2013) Devo sapere subito se sono vivo, cit.15,16
[4] F. Perls, R. Hefferline, P. Goodman (1997) Teoria e Pratica della Terapia della Gestalt, cit.131,132

 Dalla tesi di diploma della scrivente dal titolo "Le potenzialità di cura dell'ermeneutica gestaltica nei contesti on life della postmodernità", per il conseguimento del Master in Counselling Socio-educativo.


mercoledì 2 febbraio 2022

Aria siciliana, con Giuni e Franco

 


Vite Parallele


Duminica jurnata di sciroccu
Fora nan si pò stari
Pi ffari un pocu 'i friscu Mettu 'a finestra a vanedduzza
E mi vaju a ripusari 
Ah, ah! 'A stissa aria ca so putenza strogghi 'u mo pinzeri 
Ah, ah! 'U cori vola s'all'umbra pigghi forma e ti prisenti 
Nan pozzu ripusari 
'U suli ora trasi dintr'o mari E fannu l'amuri 
'Un c'è cosa cchiù granni Tu si la vera surgenti Chi sazia i sentimenti 
Ah, ah! 'A stissa aria ca so calura crisci e mi turmenta 
Ah, ah! 'U cori vola sintennu sbrizzi d'acqua di funtana 
'Ndo mo' jardineddu mi piaci stari sula
 Ah, ah! 'A stissa aria ca so calura crisci e mi tormenta
 Ah, ah! 'U cori vola sintennu sbrizzi d'acqua di funtana '
Ndo mo jardineddu mi piaci stari sulu 
Mi piaci stari sula 

 Giuni Russo e Franco Battiato