Tra i tanti amici del gruppo di Famiglie in cammino, fu lui che chiamai quando morì mia sorella: ero certa di ricevere, da una voce accogliente, parole calde ed essenziali e un grande abbraccio silenzioso.
Emanuele Villa, che è morto il 7 dicembre scorso, era davvero una persona speciale.
Del suo impegno civile e politico è stato già scritto abbastanza: sociologo, dirigente della Regione siciliana sino al 2016, si era occupato di programmazione comunitaria. Tra i fondatori di “Palermo anno uno”, il movimento di associazioni contro le mafie nato dopo le stragi del ’92. aveva poi fondato, diretto e animato il movimento Un’altra Storia, a sostegno di Rita Borsellino, ed è stato poi condirettore della Scuola di formazione politica “Alberto Tulumello”.
Il giorno del suo funerale la chiesa di santa Lucia era gremita: c’erano i volti e le anime della Palermo pulita, intelligente e impegnata che Emanuele aveva così compiutamente rappresentato.
Il prete lo ha definito un ‘uomo rigoroso, ma non rigido; un uomo mite e gentile, ma con le idee chiare; non un buon uomo, ma un uomo buono”.
Assai toccanti gli interventi di commiato: quello di un fratello, che ha ricordato innanzitutto i semi buoni sparsi da Emanuele nella vita familiare. Ha poi aggiunto un particolare privato illuminante: Emanuele da ragazzo, nella bella casa di Santa Flavia, dormiva in una stanza di passaggio: in particolare il fratello maggiore vi passava spesso di notte, quando rientrava molto tardi, mentre Emanuele dormiva. Emanuele non si lamentava mai per l’interruzione del sonno e per l’intrusione…
Ha poi aggiunto che “Non c‘era amarezza o dispiacere che resistesse al suo sorriso ostinato. Emanuele aveva sempre lo sguardo disteso e la schiena dritta".
Ha poi detto quello che in pochi sapevano: Emanuele stava male da tempo. Ma minimizzava: «Sto un pochino male» diceva. E quando stava peggio: «Forse sono un pochino peggiorato». Perché non voleva fare preoccupare nessuno…
Commoventi le parole di una nipote, fiera di uno zio che era stato anche suo padrino di Cresima, parole che mi permetto - come quelle del fratello - di citare a memoria:
“Caro zio, anche a diciott’anni non mi vergognavo di partire con te e la zia. Perché era davvero un piacere condividere l’esperienza del viaggio con i miei zii, con te in particolare.
In te c’era una costante tensione verso l’oltre; c’era sempre una bellezza artistica per la quale valeva la pena fare ancora un po' di cammino; una vetta da raggiungere, un sentiero nuovo da esplorare….
Tu, zio, avevi la capacità rara di far sentire tutti unici e importanti. La tua voce era sempre calda e gentile. I tuoi abbracci avevano la capacità di avvolgere pienamente...
Ti piaceva assaporare e gustare il buon cibo a occhi chiusi. E poi ci contagiavi con la forza dirompente dei tuoi ideali.
Ma tu non lasci un vuoto, caro zio… lasci tracce di vita piena. La tua voce sarà la mia direzione. E io cercherò di sorridere sempre ostinatamente come te.
Staremo al tuo passo, caro zio. E cercheremo di raggiungere le cime più alte e più belle.”
E l’amico fraterno di sempre, Enzo Sanfilippo, ha poi condiviso la Preghiera del fuoco, del nonviolento Lanza del Vasto, amico di Gandhi e fondatore della Comunità dell’Arca:
Siamo tutti passanti e pellegrini.
Accendiamo dunque un fuoco all'incrocio, all'indirizzo dell'Eterno.
Chiudiamo il cerchio e facciamo un tempio nel vento.
Facciamo di questo luogo qualunque un tempio.
Perché il tempo è giunto di adorare in spirito e verità,
di rendere grazie in tutti i luoghi e in tutti i tempi.
Mettiamo un termine al tempo, un centro alle tenebre
esterne e rendiamoci presenti al presente.
Questo presente che abbiamo invano inseguito nelle nostre giornate,
perché era lontano da noi nel momento in cui era. Eccolo
davanti ai nostri occhi e nei nostri cuori, il presente.
Il fuoco è il presente che brucia e brilla, è il presente che prega.
Il fuoco è il sacrificio di ciò che brucia,
il calore di vita e la gioia degli occhi.
E' la morte delle cose morte e il loro ritorno alla luce.
Fuoco di gioia! Sofferenza e gioia l'una nell'altra
L'amore è la gioia nella sofferenza.
Il fuoco è la vita e la morte l'una nell'altra,
l'apparenza che si consuma e la sostanza che appare.
Cantiamo gloria nella lingua del fuoco,
evidente e chiara a tutti gli uomini.
E voi, gente che passate sulla strada dei Quattro Venti,
entrate nel cerchio e dateci la mano.
Soffia su di noi, Signore,
perché la nostra preghiera salga in fiamma,
perché il nostro cuore di legno morto e di spine
e la sua breve e vacillante scintilla di vita
servano a nutrire un po' la tua gloria.