martedì 29 settembre 2020

Sorpresa


Fioristi

inattesa, plumeria:

allegra sorpresa d’autunno.

Di nostra vita metafora

lieta...                                   


domenica 27 settembre 2020

Così Stanislav Petrov ha salvato il mondo

         Palermo – Se la mattina di lunedì 26 settembre del 1983 americani, russi, europei, e con loro gli altri cittadini del pianeta, hanno continuato a svolgere le proprie occupazioni, magari sorseggiando un buon caffè, lo devono ai nervi saldi e alla decisione coraggiosa presa in solitudine nella notte precedente dal tenente colonnello russo Stanislav Petrov, a cui domenica 25 settembre fu chiesto di sostituire un collega alla base militare di Serpukhov-15, non lontano da Mosca. 
        La base era una sede cruciale del sistema difensivo sovietico, poiché era il centro di comando del sistema di allarme nucleare OKO, che monitorava eventuali attacchi nucleari statunitensi.
    Purtroppo negli anni ’80 le relazioni tra le due superpotenze mondiali erano pessime: il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan aveva definito l’URSS “l’impero del male”, e il capo del Cremlino Yuri Andropov guardava gli USA con altrettanto sospetto. La tensione era ulteriormente cresciuta in quelle settimane perché il 1° settembre un caccia sovietico aveva abbattuto per errore un aereo di linea sudcoreano in volo da New York a Seul, scambiandolo per un aereo spia: l’incidente aveva causato 269 morti, tutte le persone che c’erano a bordo del Boeing.
     Nella notte tra il 25 e il 26 settembre - le 0,14 secondo l’orario di Mosca - il sistema satellitare OKO diede l'allarme segnalando in direzione del territorio sovietico un missile americano, lanciato dalla base di Malmstrom, nel Montana. Dopo pochi minuti, il sistema segnalò altre quattro volte un report uguale, per un totale di 5 missili nucleari potenzialmente in viaggio verso l'URSS. A questo punto, il compito di Petrov, ufficiale capo di controllo alla base, sarebbe stato quello di lanciare immediatamente l’allarme, al quale gli alti vertici politico-militari avrebbero reagito con un contrattacco nucleare, secondo la dottrina della “distruzione mutua assicurata”. 
     Ma Petrov, nonostante il parere contrario dei suoi collaboratori, anziché seguire meccanicamente la procedura si fermò qualche istante a riflettere: ritenne inverosimile perchè troppo esiguo l’ipotetico attacco missilistico degli USA e ipotizzò che si trattasse di un macroscopico errore del sistema sovietico di controllo. Ordinò quindi di non segnalare l’arrivo delle presunte testate nucleari, che avrebbero dovuto colpire la Russia entro una decina di minuti. Allo scadere del tempo, per fortuna non c’era traccia di missili sul territorio sovietico e l’accaduto fu quindi derubricato come un malfunzionamento del sistema.
     Successivamente venne infatti accertata anche la causa del falso allarme: quel segnale proveniente dai satelliti puntati sulla base statunitense di Malmstrom era un abbaglio dovuto a una rara congiunzione astronomica, dovuta alla posizione della Terra e del Sole rispetto ai sensori in orbita. Invece il sistema di allarme sovietico aveva interpretato come lanci di missili i riflessi solari su nubi ad alta quota. 
    Per anni le autorità sovietiche tennero nascosto lo scampato incidente nucleare, che aveva evidenziato le gravi carenze diagnostiche delle apparecchiature sovietiche impegnate nel monitoraggio dei siti missilistici statunitensi. Petrov non ebbe alcun riconoscimento, anzi fu posto in pensione anticipata senza alcuna promozione. 
     Alcuni anni prima della sua morte - avvenuta a 78 anni in dignitosa povertà il 17 maggio 2017 - la notizia dello scampato incidente nucleare del 26 settembre 1983 fece però il giro del mondo: nel 2004 l'Associazione “Cittadini del Mondo” di San Francisco gli aveva consegnato un riconoscimento e un premio simbolico di mille dollari; nel 2011 in Germania gli venne conferito il “German Media Award”, premio dedicato a chi ha dato un contributo significativo alla pace nel mondo.
     Forse comunque il riconoscimento ufficiale più significativo è arrivato a Petrov, mentre era ancora vivo, dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, con la risoluzione 68/32 del dicembre 2013, ha dichiarato il 26 settembre “Giornata internazionale per l’eliminazione totale delle armi nucleari”. Sarà comunque imperitura la gratitudine dell’umanità verso un uomo che, assumendosi il peso e la responsabilità di una decisione davvero difficile, a quella che poteva diventare un’immane tragedia mondiale, ha dato invece un lieto fine.

Maria D'Asaro, 27.09.2020, il Punto Quotidiano

(Il fatto mi è stato segnalato da mio figlio Riccardo, che ringrazio)



giovedì 24 settembre 2020

Per favore, sposti quella cassapanca?

Van Gogh: Salici al tramonto (1888)
"Presi il diploma liceale nel giugno del 1919. In agosto sentii tre medici, nella stanza accanto alla mia, dire a mia madre: “Il ragazzo morirà prima di domani mattina”.
Dato che ero un ragazzo normale, mi sentii offeso. […] Ero furibondo. Che idea, quella di dire a una madre che suo figlio sarebbe morto l’indomani mattina! E’ una cosa infame! 
Poco dopo mia madre venne nella mia stanza, col viso sereno. Io le chiesi che spostasse la grande cassapanca che avevo in camera, girandola in modo diverso rispetto al letto. Lei dovette pensare che io stessi delirando. Lei iniziò a spostarla e io continuai a fargliela spostare avanti e indietro sino a quando non mi andò bene.
La cassapanca mi impediva di vedere fuori dalla finestra, e per nulla al mondo avrei voluto morire senza vedere il tramonto! Ne vidi solo la metà. Poi rimasi senza conoscenza per tre giorni.
Non dissi niente a mia madre. E neanche lei mi disse niente."

Quest'episodio fu raccontato nel 1970 dal suo protagonista Milton Erickson, psichiatra e psicoterapeuta statunitense, che fu colpito dalla poliomielite a 17 anni, ma sopravvisse all'infezione, contrariamente alle previsioni mediche.
Ecco il commento del suo allievo e collaboratore Sidney Rosen: 
[…] Con questo racconto Erickson ci sta dicendo indirettamente che siamo fortunati a essere vivi. Quando menzionava la cassapanca e il tramonto, stava inoltre comunicando una delle sue ricette preferite per godere la vita, e forse anche per prolungarla: “Punta sempre a una meta concreta, nell’immediato futuro”. In questo caso la sua meta era quella di vedere il tramonto. Ma per raggiungere questa meta, era necessario rimuovere l’ostacolo della cassapanca. E poiché non poteva farlo da solo, chiese aiuto alla madre. Ma, significativamente, non le disse perché voleva che la cassapanca fosse spostata. Non sempre è necessario e opportuno fornire le ragioni delle nostre azioni. Ma è necessario avere delle mete, immediate e raggiungibili.
 
La mia voce ti accompagnerà” , racconti didattici di Milton Erickson,
a cura di Sidney Rosen, Astrolabio, Roma, 1983, pagg.39,40


martedì 22 settembre 2020

L'umor che move il voto e i 5 stelle...

I numeri:

53,84%    i votanti per il referendum

57,19%   i votanti nelle Regioni dove si votava anche per il rinnovo dei Consigli regionali

SI 69,64%        NO 30,36

(L’affermazione del SI al referendum è più marcata nel Sud Italia)

SI   vota, nonostante il Covid.

Dichiarazioni di Luigi Vicinanza (giornalista gruppo GEDI): "Il SI vittoria finale di una stagione del populismo. La vittoria della linea di Giorgia Meloni (suo il candidato che ha ottenuto la vittoria nelle Marche) la affranca da ruolo ancillare rispetto a Matteo Salvini" ((RaiNews 24, 21.09.20) 

Ancora RaiNews 24, 21.09.20: sottolineata la sconfitta dei 5 Stelle: "La vittoria dei SI è accompagnata dal loro tracollo politico".

Elezioni politiche: 3 a 3, pareggio tra destra e sinistra:

Veneto: stravince Luca Zaia, Lega (76% circa). Alla domanda di un giornalista a caldo (RaiNews 24, 21 sett. sera) che gli chiedeva un’analisi complessiva del voto politico regionale, Zaia risponde; “Il Governatore del Veneto non ha tempo di occuparsi di politica (…) di ‘ste robe … si occupa in Veneto di Covid, di strade, di sanità…”

Liguria: vince Giovanni Toti, centro destra (56% circa)

Toscana: sta vincendo Eugenio Giani, centro sinistra (ancora in corso lo spoglio dei voti)

Marche: vince Francesco Acquaroli, centro destra (il centro sinistra perde dopo 25 anni)

Puglia: vince Michele Emiliano, centro sinistra (senza 5 stelle e renziani, che avevano un loro candidato)

Campania: stravince Vincenzo De Luca, col 69%  circa (“La mia non è una vittoria né di sinistra né di destra…”)

Alcuni titoli dei giornali, oggi:

Corriere della Sera:  “Il voto dà respiro al Governo” 

Il Giornale:    “Spallata fallita”

Libero: “Mattarella sciolga le Camere. Non sono più Costituzionali”

La Stampa: “Stravince SI, blinda Governo”

Il Fatto Quotidiano: “SI, avete perso”

Il Messaggero: “Voto rafforza il Governo”

La Repubblica: “Regioni, PD ferma Salvini”

Domani: “Vincono il referendum, ma perdono il paese. Il declino dei populisti”

Maria D'Asaro 

(il sommo Dante mi perdonerà per la "parafrasi" scherzosa della sua splendida chiusa del Paradiso...)


domenica 20 settembre 2020

A nuoto nello Stretto per dire no alla plastica

    Palermo – Per riflettere sulle nostre cattive abitudini e per abbandonare comportamenti ambientali scorretti, a volte servono azioni inusuali, gratuite e creative. Come quella ideata qualche estate fa dal siciliano Gianni Di Pasquale, milanese di adozione che, in vacanza a Noto, ‘capitale’ siciliana del Barocco, ha escogitato un modo efficace per ripulire la spiaggia della cittadina dalle cicche: ha invogliato la gente a raccoglierle, impegnandosi a pagare un centesimo per ogni mozzicone di sigaretta consegnato. In pochissimo tempo sono state recuperate oltre 6.000 cicche. E, alla fine, molti genitori hanno persino erogato di tasca propria gli spiccioli ai ragazzini impegnati in tale meritoria opera di pulizia.

     L’11 settembre scorso il biologo Carmelo Isgrò, direttore del Museo del mare di Milazzo, ha effettuato... (continua su: il Punto Quotidiano)


Maria D'Asaro, 20.09.2020, il Punto Quotidiano

venerdì 18 settembre 2020

I giornalisti che amo: Giovanna Botteri

     Misura, essenzialità, calore umano: tre dei tanti motivi per apprezzare Giovanna Botteri. La sua professionalità è stata riconosciuta l’11 settembre scorso dal Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, che l’ha designata come Giornalista dell’anno 2020. Giovanna Botteri, dal 1° agosto corrispondente della Rai in Cina, è stata la voce e il volto che ci ha raccontato la nascita e il diffondersi del Covid-19 in quel Paese.

    Da Wikipedia alcune notizie sulla sua formazione e la sua vita professionale: nata a Trieste nel 1957, figlia d’arte – suo padre era il giornalista Guido Botteri, ex direttore della sede Rai Friuli-Venezia Giulia -  si laurea in Filosofia con il massimo dei voti all'Università degli Studi di Trieste, ottenendo poi un dottorato in Storia del cinema alla Sorbonne di Parigi. 
Giovanna Botteri col padre Guido

       Dopo aver collaborato nel 1983 con i giornali Il Piccolo e l'Alto Adige, nel 1985 inizia a lavorare per la Rai di Trieste. Nel maggio 1986 fa uno speciale con Margherita Hack per Rai 3, poi diventa collaboratrice di Michele Santoro per il programma Samarcanda e nel dicembre 1988 entra nella redazione esteri del TG3. 

       Dal 25 gennaio 1990 è iscritta come professionista all'Albo dei Giornalisti del Friuli-Venezia Giulia. Come inviata speciale ha seguito numerosi e importanti avvenimenti internazionali: nel 1991 il crollo dell'Unione Sovietica e l'inizio della guerra d'indipendenza in Croazia, dal 1992 al 1996 la guerra in Bosnia e l'assedio a Sarajevo dove, assieme a Miran Hrovatin, ha filmato l'incendio della Biblioteca Nazionale, la strage del pane, il massacro di Markale e il massacro di Srebrenica. 

    È stata in Algeria, Sudafrica, Iran e Albania, dove ha seguito la ribellione a Valona nel 1997, per poi documentare la guerra in Kosovo ed entrare a Peć assieme all'esercito italiano nel 1999. Nello stesso anno torna a lavorare con Santoro per Circus e nel 2000 per Sciuscià. 

        Dopo aver seguito il G8 di Genova nel 2001, in ottobre dello stesso anno è stata in Afghanistan fino al rovesciamento del regime talebano. Poi, come inviata di TG2 e TG3, è stata in Iraq prima e durante la seconda guerra del Golfo.

Nell'ottobre 2002 ha seguito le ispezioni ONU alle prigioni e, assieme a Guido Cravero, ha filmato in esclusiva mondiale sia l'inizio dei bombardamenti su Baghdad il 20 marzo 2003, sia l'arrivo dei carri armati statunitensi il 9 aprile. Dal 2004 al 2006 ha condotto l'edizione delle 19 del TG3 e dal 2007 al 2019 è stata corrispondente dagli Stati Uniti. Dal primo agosto 2019 è corrispondente Rai in Cina. Da fine dicembre 2019 si occupa, sempre come inviata dalla Cina, della pandemia nota come COVID-19. 

Alle sottolineature satiriche sulle sue magliette tutte uguali, durante i reportage da Pechino, la Botteri – da vera signora - non ha dato alcun peso. Ecco cosa ha scritto a “Striscia la notizia”:

"Cara Michelle, io non sono sui social, né su Facebook, né su Instagram, poi qui in Cina è molto difficile collegarsi, così c’è voluto del tempo prima che vedessi il tuo video e ti rispondo solo adesso: per fortuna non dobbiamo fare la pace, perché non abbiamo mai fatto baruffa, non abbiamo mai litigato, neanche con Striscia la Notizia e Gerry Scotti. Perché la satira è libertà, ci aiuta a ridere, a discutere, a confrontarsi e a volte mette modelli differenti di donne e uomini a confronto, per esempio nei modi diversi di approcciarsi alla vita. La satira ci aiuta anche nel confrontare come mettere le magliette o tenere i capelli. Quindi io vi ringrazio, di cuore e non posso che abbracciarvi e augurare a Michelle tutto il bene possibile. Un abbraccio virus free, perché ho appena fatto il test e non sono positiva."

Da novembre del 2003, su iniziativa dell’allora Presidente Ciampi, è Cavaliere al merito della Repubblica italiana.

domenica 13 settembre 2020

Sicilia in fiamme: è un vero "ecocidio"

La giurista Valerie Cabanes
       Palermo – Da Catania a Palermo, da Trapani a Messina a Lipari, la più grande delle isole Eolie: negli ultimi giorni di agosto e nella prima settimana di settembre gli incendi hanno di nuovo bruciato vaste aree della Sicilia. 
      E’ stata ancora una volta martoriata dal fuoco la splendida riserva naturale dello Zingaro, nel trapanese. Incendi anche a monte Grifone, nella zona a sud-est del capoluogo siciliano. Le fiamme più alte si sono levate nella notte tra sabato 29 e domenica 30 agosto a pochi chilometri da Palermo, nei pressi del comune di Altofonte, distruggendo più di 800 ettari di vegetazione nel bosco della Moarda. Il fuoco ha lambito persino alcune abitazioni del paese, imponendo a circa 400 residenti l’abbandono delle proprie case. Al disastro ambientale potrebbe seguire, in autunno, un ulteriore dissesto idrogeologico: il bosco della Moarda era stato creato nel dopoguerra anche per salvaguardare da fango, smottamenti e caduta di rocce la cittadina di Altofonte, che sorge ai piedi di una collinetta. 
     Sebbene le fiamme siano divampate in giornate di forte scirocco, con temperature tra i 35 e i 40 gradi, purtroppo ne è quasi certa l’origine dolosa: a farlo sospettare gli inneschi plurimi e il fatto che quasi tutti gli incendi sono scoppiati di sera, quando i Canadair non possono volare.
Gaspare Guarino, funzionario della Forestale, adesso operante alla Protezione Civile Siciliana, ipotizza anche la mano della mafia nella strategia criminale dei roghi incendiari. Sono state infatti aperte indagini dalle Procure di Palermo e di Trapani: il reato ipotizzato è quello di “incendio boschivo”, che prevede da 4 a 10 anni di reclusione, con aggravante prevista in caso di incendi in aree protette.

Altofonte (PA) lambita dagli incendi
     Ma, perché la Sicilia si possa difendere dal fuoco e dai reati ambientali forse c’è bisogno di un’etica personale e comunitarie molto più radicate e persino di una nuova concezione del diritto. La giurista francese Valérie Cabanes , avvocato specializzato in diritto internazionale, si batte da anni  per il riconoscimento di ‘diritti’ agli elementi della natura perché la si possa  salvaguardare meglio quando si tratta di predazione o di catastrofi ambientali. La giurista, assieme ad altri studiosi e ad associazioni ambientaliste, si batte da anni perché il diritto internazionale riconosca i danni più gravi al sistema terrestre (riscaldamento globale, esaurimento delle risorse, inquinamento, distruzione degli habitat naturali, incendi dolosi) come crimini di ‘ecocidio’, in modo che tali misfatti siano prevenuti, non rimangano impuniti e siano sanzionati con condanne adeguate. Assieme all’associazione ‘End Ecocide on Earth’, il suo obiettivo è che l' ecocidio sia riconosciuto dal diritto penale internazionale "come il quinto crimine che può essere perseguito dinanzi alla Corte Penale Internazionale allo stesso modo del crimine contro l'umanità, del crimine di genocidio, del crimine di guerra e del crimine di aggressione. 
“Solo così - afferma la giurista – possiamo preservare i diritti delle generazioni future sulla natura e sulla vita”.

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 13.06.2020

sabato 12 settembre 2020

11 settembre, tra pubblico e privato

11 Settembre 1973: a  Santiago del Cile le forze armate di Augusto Pinochet rovesciano il governo socialista di Salvador Allende che muore nel palazzo presidenziale.  Per tanto tempo, il rumore sordo e assassino degli elicotteri di Pinochet sul palazzo della Moneda continuò a ronzare nella mente e nel cuore di una quindicenne appassionata di storia e di politica e assetata di giustizia.

Anni dopo, l’11 Settembre 2001, il crollo delle Torri Gemelle a New York, e le migliaia di persone  uccise dal crudele e spietato attentato terroristico… In pezzi anche il mito dell'invulnerabilità degli Stati Uniti d'America. Il mondo col fiato sospeso per il lutto e l’orrore.

Due giorni dopo, il 13 settembre 2001, una tragedia privata anche nella vita dell’ex quindicenne.

Avevo bisogno di parlare con mia sorella

Avevo bisogno di parlare con mia sorella
parlarle al telefono intendo
come facevo ogni mattina
e anche la sera
quando i nipotini dicevano qualcosa
che ci stringeva il cuore.

Ho chiamato
il suo telefono ha squillato quattro volte
potete immaginarmi trattenere il respiro 
poi c'è stato un terribile rumore telefonico
una voce ha detto questo numero non è più attivo 
che meraviglia ho pensato
posso ancora chiamare 
non hanno assegnato il suo numero a un'altra persona 
malgrado due (19) anni di assenza per morte.      
                                                                               Grace Paley

Il dolore

Il dolore è un postino grigio, muto,
col viso scarno, gli occhi azzurro-chiari;
gli pende giù dalle fragili spalle
la borsa, scuro e logoro ha il vestito.

Dentro al suo petto batte un orologio
da pochi soldi; timido egli sguscia
di strada in strada, si stringe alle mura
delle case, sparisce in un portone.

Poi bussa. Ed ha una lettera per te.

Attila József   (Traduzione di Umberto Albini)
da “Attila József, Poesie”, Lerici editore, Milano, 1957




giovedì 10 settembre 2020

Il mio mestiere...

J.Vermeer: Donna che scrive una lettera (1670)
         […] Allora quando scrivevo quello che io chiamavo un romanzo, era un'epoca molto felice per me. Non era mai successo niente di grave nella mia vita, ignoravo e la malattia e il tradimento e la solitudine e la morte. Niente era mai crollato nella mia vita, se non delle cose futili, niente m'era stato strappato che fosse caro al mio cuore.  […].  
       Allora ero felice in un modo pieno e tranquillo, senza paura e senz'ansia, e con una totale fiducia nella stabilità e nella consistenza della felicità nel mondo. Quando siamo felici, noi ci sentiamo più freddi, più lucidi e distaccati dalla nostra realtà. […]Riusciamo facilmente a fare dei personaggi, molti personaggi, fondamentalmente dissimili da noi e riusciamo a fare delle storie solidamente costruite e come prosciugate in una luce chiara e fredda. Quello che ci manca allora, quando siamo felici di quella particolare felicità senza lagrime, senz'ansia e senza paura, quello che ci manca allora è un rapporto intimo e tenero coi nostri personaggi, con i luoghi e le cose che raccontiamo. Quello che ci manca è la carità. […]
         La nostra personale felicità o infelicità, la nostra condizione terrestre, ha una grande importanza nei confronti di quello che scriviamo. Ho detto prima che uno nel momento che scrive è miracolosamente spinto a ignorare le circostanze presenti della sua propria vita. Certo è così. Ma l'essere felici o infelici ci porta a scrivere in un modo o in un altro. Quando siamo felici la nostra fantasia ha più forza; quando siamo infelici, agisce allora più vivacemente la nostra memoria. La sofferenza rende la fantasia debole e pigra; essa si muove, ma svogliatamente e con languore, con i deboli moti dei malati, con la stanchezza e la cautela delle membra dolenti e febbricitanti; ci è difficile distogliere lo sguardo dalla nostra vita e dalla nostra anima, dalla sete e dall'inquietudine che  ci pervade. 
       Nelle cose che scriviamo affiorano allora di continuo ricordi del nostro passato, la nostra propria voce risuona di continuo e non riusciamo ad imporle silenzio. Fra noi e i personaggi che allora inventiamo, che la nostra fantasia illanguidita riesce tuttavia a inventare, nasce un rapporto particolare, tenero e come materno, un rapporto caldo e umido di lagrime, d'un'intimità carnale e soffocante. Abbiamo radici profonde e dolenti in ogni essere e in ogni cosa del mondo, del mondo fattosi pieno di echi e di sussulti e di ombre, a cui ci lega una devota e appassionata pietà. Il nostro rischio è allora di naufragare in un buio lago d'acqua morta e stagnante, e trascinarvi con noi le creature del nostro pensiero, lasciarle perire con noi nel gorgo tiepido e buio, tra topi morti e fiori putrefatti. 
        C'è un pericolo nel dolore così come c'è un pericolo nella felicità, riguardo alle cose che scriviamo. Perché la bellezza poetica è un insieme di crudeltà, di superbia, d'ironia, di tenerezza carnale, di fantasia e di memoria, di chiarezza e d'oscurità e se non riusciamo a ottenere tutto questo insieme, il nostro risultato è povero, precario e scarsamente vitale. 
Natalia e Leone Ginzburg
       E, badate, non è che uno possa sperare di consolarsi della sua tristezza scrivendo. Uno non può illudersi di farsi accarezzare e cullare dal suo proprio mestiere. Ci sono state nella mia vita delle interminabili domeniche desolate e deserte, in cui desideravo ardentemente scrivere qualche cosa per consolarmi della solitudine e della noia, per essere blandita e cullata da frasi e parole.         Ma non c'è stato verso che mi riuscisse di scrivere un rigo. Il mio mestiere allora m'ha sempre respinta, non ha voluto saperne di me. Perché questo mestiere non è mai una consolazione o uno svago. Non è una compagnia. Questo mestiere è un padrone [...]. Noi dobbiamo inghiottire saliva e lagrime e stringere i denti e asciugare il sangue delle nostre ferite e servirlo. Servirlo quando lui lo chiede. Allora anche ci aiuta a stare in piedi, a tenere i piedi ben fermi sulla terra, ci aiuta a vincere la follia e il delirio, la disperazione e la febbre. Ma vuol essere lui a comandare e si rifiuta sempre di darci retta quando abbiamo bisogno di lui. 
       M'è accaduto di conoscere bene il dolore dopo quel tempo che stavo nel sud, un dolore vero, irrimediabile e immedicabile, che ha spezzato tutta la mia vita e quando ho provato a rimetterla insieme in qualche modo, ho visto che io e la mia vita eravamo diventati qualcosa d'irriconoscibile rispetto a prima. D'immutato restava il mio mestiere […] 
        Così m'è successo a volte di pensare che non sono stata poi tanto disgraziata nella mia vita, e sono ingiusta quando accuso il destino e gli nego ogni benevolenza verso di me, perché m'ha dato tre figli e il mio mestiere. […]

Natalia Ginzburg: Il mio mestiere, dal libro “Le piccole virtù”.

domenica 6 settembre 2020

Cosimo Scordato, teologo della speranza e dell’impegno

          Palermo – Se nel 2013 si è dimesso persino il capo della Chiesa cattolica, papa Benedetto XVI, anche un semplice prete ha il diritto di dimettersi dal suo incarico. E così oggi, all’età di settantadue anni, dopo trentacinque anni di servizio e di cura pastorale verso la comunità e il territorio, lascia il suo compito di Rettore della chiesa di san Francesco Saverio, nel quartiere Albergheria di Palermo, don Cosimo Scordato. 
         Non sarà affatto facile però per la gente che frequenta san Francesco Saverio e per gli abitanti del quartiere andare avanti senza la sua presenza carismatica. 
      Ma cosa ha di speciale questo prete? (continua su: il Punto Quotidiano)



Maria D’Asaro, 06.09.2020, il Punto Quotidiano

giovedì 3 settembre 2020

Il mio mestiere

Berthe Morisot: Ragazza che scrive (1891)
       Il mio mestiere è quello di scrivere e io lo so bene e da molto tempo. Spero di non essere fraintesa: sul valore di quel che posso scrivere non so nulla. So che scrivere è il mio mestiere. Quando mi metto a scrivere, mi sento straordinariamente a mio agio e mi muovo in un elemento che mi par di conoscere straordinariamente bene: adopero degli strumenti che mi sono noti e familiari e li sento ben fermi nelle mie mani. 
      Se faccio qualunque altra cosa, se studio una lingua straniera, se mi provo a imparare la storia o la geografia o la stenografia o se mi provo a parlare in pubblico o a lavorare a maglia o a viaggiare, soffro e mi chiedo di continuo come gli altri facciano queste stesse cose, mi pare sempre che ci debba essere un modo giusto di fare queste stesse cose che è noto agli altri e sconosciuto a me. […]
      Questo è il mio mestiere, e io lo farò fino alla morte. Sono molto contenta di questo mestiere e non lo cambierei per niente al mondo. […]
      Quando uno scrive un racconto, deve buttarci dentro tutto il meglio che possiede e che ha visto, tutto il meglio che ha raccolto nella sua vita. E i particolari si consumano, si logorano a portarseli intorno senza servirsene per molto tempo. Non soltanto i particolari ma tutto, tutte le trovate e le idee. In quell'epoca che scrivevo i miei racconti brevi, con il gusto dei personaggi ben trovati e dei particolari minuziosi, in quell'epoca ho visto una volta passare per strada un carretto con sopra uno specchio, un grande specchio dalla cornice dorata. Vi era riflesso il cielo verde della sera, e io mi son fermata a guardarlo mentre passava, con una grande felicità e il senso che avveniva qualcosa d'importante. Mi sentivo molto felice anche prima di vedere lo specchio, e a un tratto m'era sembrato che passasse l'immagine della mia felicità stessa, lo specchio verde e splendente nella sua cornice dorata.  […]
      E poi mi sono nati dei figli e io sul principio quando erano molto piccoli non riuscivo a capire come si facesse a scrivere avendo dei figli. Non capivo come avrei fatto a separarmi da loro per inseguire un tale in un racconto. M'ero messa a disprezzare il mio mestiere. Ne avevo una disperata nostalgia ogni tanto, mi sentivo in esilio, ma mi sforzavo di disprezzarlo e deriderlo per occuparmi solo dei bambini. Credevo di dover fare così. Mi occupavo della crema di riso e della crema d'orzo e se c'era sole o se non c'era sole e se c'era vento o se non c'era vento per portare i bambini a passeggio. I bambini mi parevano una cosa troppo importante perché ci si potesse perdere dietro a delle stupide storie, stupidi personaggi imbalsamati.
    Ma avevo una feroce nostalgia e qualche volta di notte mi veniva quasi da piangere a ricordare com'era bello il mio mestiere. Pensavo che l'avrei ritrovato un giorno o l'altro, ma non sapevo quando: pensavo che avrei dovuto aspettare che i miei figli diventassero uomini e andassero via da me. Perché quello che avevo allora per i miei figli era un sentimento che non avevo ancora imparato a dominare. Ma poi ho imparato a poco a poco. Non ci ho messo neppure tanto tempo. Preparavo ancora il sugo di pomodoro e il semolino, ma pensavo intanto a delle cose da scrivere. 
       Stavamo allora in un paese molto bello, nel sud.
     Ricordavo le strade della mia città e le colline, e quelle strade e quelle colline si univano alle strade e alle colline e ai campi del paese dove stavamo adesso, e ne nasceva una natura nuova, qualcosa che io di nuovo potevo amare.         
     Avevo nostalgia della mia città, e l'amavo molto nel ricordo, l'amavo e ne capivo il senso come forse non m'era mai accaduto quando ci abitavo, e amavo anche il paese dove stavamo adesso, un paese polveroso e bianco nel sole del sud, larghi prati d'erba ispida e arsa si stendevano sotto le mie finestre, e mi soffiava forte in cuore il ricordo dei viali della mia città, dei platani e delle alte case, e tutto questo prendeva a bruciare lietamente dentro di me, e avevo molta molta voglia di scrivere. Ho scritto un racconto lungo, il più lungo che avessi mai scritto.
    Ricominciavo a scrivere come uno che non ha scritto mai, perché era già tanto tempo che non scrivevo, e le parole erano come lavate e fresche, tutto era di nuovo come intatto e pieno di sapore e di odore. Scrivevo nel pomeriggio, quando i miei bambini erano a spasso con una ragazza del paese, scrivevo con avidità e con gioia, ed era un bellissimo autunno e mi sentivo ogni giorno così felice.  […]

Natalia Ginzburg: Il mio mestiere, dal libro “Le piccole virtù”.