domenica 30 ottobre 2022

"Sponge cities", ecco le città del futuro

      Palermo – Le recenti disastrose alluvioni in alcune città delle Marche hanno evidenziato i rischi causati da fenomeni meteorologici imprevedibili ed estremi dovuti al cambiamento climatico, fenomeni che spesso provocano inondazioni anche nei centri urbani.
     Come difenderci nei prossimi anni?
La studiosa Eleonora Bonanno, esperta in architettura bioclimatica e sostenibile, in un’intervista al TG regionale siciliano ha dichiarato che le città del futuro sono le cosiddette ‘città spugna’: “La ‘sponge city’ è la città che riesce ad interagire con la natura, capace di accogliere la pioggia con tanti parchi che, all’occorrenza, si trasformano in laghi, con tetti-giardino che assorbono l’acqua senza riversarla sulle strade, con marciapiedi e pavimenti drenanti…I centri urbani dovrebbero realizzare delle isole verdi: superfici capaci di assorbire l’acqua nel terreno, impedendo che faccia danni”.
“Se consideriamo i notevoli danni arrecati dalle piogge torrenziali e dalle inondazioni – conclude l’architetta - dirottare somme pubbliche per la realizzazione di strutture di questo tipo è prevenzione lungimirante e intelligente”.
      La filosofia di base della ‘sponge city’ è quella di distribuire l'acqua, di rallentarla mentre defluisce e di pulirla e filtrarla in modo naturale per essere utilizzabile. 
Bisogna quindi cambiare la metodologia di approccio: mentre sino ad oggi la tendenza della gestione industriale è stata quella di confinare l'acqua con argini, canali e asfalto e portarla via rapidamente dal terreno, la nuova ‘filosofia idrica’ urbana cerca di ripristinare la naturale tendenza dell'acqua a indugiare in luoghi come le zone umide.
      Non c’è una formula unica per le ‘spong cities’; l’innovativo progetto urbano tende a comunque a utilizzare almeno il 70% delle acque alluvionali, catturandole e riutilizzandole, creando più acqua pulita per i residenti, poiché le infrastrutture verdi filtrano l’acqua in modo naturale. Diminuendo il carico sulle reti idriche e di drenaggio della città, si riduce così al minimo il rischio di future inondazioni
   Inoltre, le aree urbane più verdi migliorano sensibilmente la qualità della vita: infatti, l’assorbimento e il riutilizzo delle acque alluvionali non solo aiutano le città ad evitare le gravi conseguenze delle inondazioni urbane, ma apportano ulteriori benefici come la riduzione dell’effetto ‘isola di calore urbano’.
   Infatti, gli spazi verdi e i corpi idrici urbani, quali zone umide appositamente costruite - giardini pluviali, tetti verdi, spazi verdi incassati, fossi e parchi ecologici - sono i "corpi spugnosi" della città, che aiutano anche ad assorbire il calore estivo.
    Uno dei massimi teorici della ‘città spugna’ è il professore Kongjian Yu, urbanista ecologista cinese, noto come ‘Sponge Cities Architect’. “Quello che abbiamo fatto nel passato è stato completamente sbagliato” - afferma riferendosi al modo in cui le città moderne tendono a, utilizzare strutture in cemento per incanalare le inondazioni nei laghi o nei mari. E aggiunge: “Quello che dovremmo fare è semplicemente far rivivere l’antica saggezza”.
Attraverso le ‘città spugna’, il Prof. Kongjian Yu raccomanda agli urbanisti di lavorare con la natura, piuttosto che contro di essa. 
    Che sia cinese uno dei più convinti assertori delle ‘città spugna’ non è un caso: quasi tutte le grandi metropoli cinesi sono soggette a inondazioni; in particolare, nel 2012 la devastante alluvione a Pechino è stato un significativo campanello d’allarme per il paese. 
     Oggi la scelta urbanistica delle ‘città spugna’ tende a essere adottata in larga scala dal governo cinese, come risulta anche dall’intervista concessa a The Guardian da Qiu Baoxing, presidente della Società di studi urbani ed ex vice-ministro dell’edilizia abitativa e dello sviluppo urbano-rurale in Cina. Secondo Qiu Baoxing, le ‘spong cities’, oltre a mitigare il cambiamento climatico ridurranno le emissioni di anidride carbonica e i rischi derivanti dall’innalzamento del livello del mare.
    Ci sono già in Cina sedici ‘città spugna’ pilota, e si progetta di raddoppiarne il numero entro il 2030. Le ‘sponge cities’ si stanno affermando dappertutto: in Europa vengono chiamate infrastrutture verdi, in Australia ‘design urbano sensibile all’acqua’, in Perù infrastrutture naturali… Stati Uniti, Russia e India stanno investendo parecchio in questa nuova tipologia urbana, considerata la soluzione per affrontare gli effetti del cambiamento climatico.
 “Le inondazioni non sono nemiche”, ha ribadito il professore Kongjian Yu. “Possiamo fare amicizia con loro. Possiamo fare amicizia con l’acqua”.
    Si auspica che l’innovativa rivoluzione delle ‘città spugna’ sia presto adottata anche in Italia, magari utilizzando in modo lungimirante e davvero utile alla collettività i finanziamenti del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).

Maria D'Asaro, 30.10.22, il Punto Quotidiano

venerdì 28 ottobre 2022

Lucia Goracci: “Trovare la verità dentro una guerra è un’illusione”

     A Lucia Goracci, giornalista che stimo (qui un suo profilo), nello scorso settembre è stato assegnato il premio “Boccaccio per l’etica della comunicazione 2022”. 
      Ecco una sua intervista, a cura della segreteria del premio letteraio (da qui)

"Lucia Goracci, vincitrice del “Boccaccio per l’etica della comunicazione 2022”. Inviata di guerra da molti anni racconta di sé con il consueto rigore etico che contraddistingue tutta la sua attività giornalistica, dedicata a ricostruire la verità di un conflitto e di quello che ne consegue.

Goracci e il Boccaccio: raccontare la Storia, il conflitto e il quotidiano, quali differenze o analogie tra ieri e oggi?

Goracci è Goracci e Boccaccio è Il Boccaccio. Lo ricordiamo, lo rileggiamo, da secoli. Ciò detto, le differenze sono molte. Innanzitutto il tempo. Oggi raccontiamo gli eventi in tempo reale, mentre essi accadono. Abbiamo nuovi mezzi – dentro la straordinaria novità, rispetto all’epoca del Boccaccio, che è il mezzo televisivo, l’immagine – che consentono al reporter di scandire l’evento con il proprio racconto, restituendone tutta l’emotività, la drammaticità. Non è solo la diretta, per realizzare la quale, sino a una decina di anni fa, si doveva comunque retrocedere dall’evento, tornare indietro, raggiungere il tetto di un hotel o un altro luogo sicuro, dove enormi mezzi satellitari ci consentivano di andare in onda, ma comunque con il fatto da raccontare già sedimentato, meditato. I nuovi mezzi, carte sim da inserire in strumentazioni piccole e leggere chiamate zainetti, permettono di andare in onda da dentro le cose mentre accadono. Un bombardamento appena avvenuto, con i primi soccorsi; un’avanzata militare, con i civili liberati che ti vengono incontro. Ricordo l’emozione di Hammam al Alil, nelle periferie di Mosul. La popolazione – donne, vecchi, bambini – che tornava a rivedere la vita, la luce, dopo aver trascorso mesi nei sotterranei della guerra, come scudi umani. Sembravano Il Terzo Stato di Pelizza da Volpedo: un ininterrotto fronte umano, vestito di stracci cui la liberazione restituiva colore; la polvere si trasformava in odore; la maschera di morte sul volto, in sorriso. Accendere la telecamera e iniziare a parlare mentre un evento si sta compiendo – con tutta l’imprevedibilità, tipica di un evento di guerra – restituisce intatte la commozione, l’indignazione, la paura o il sollievo. Rende il reporter parte della storia che sta avvicinando. Quanto alle analogie, direi l’etica, come imperativo. Il racconto di guerra deve essere un racconto etico. Perché tra noi e loro la differenza è nel destino. E’ vero, come ho detto poco fa, che soffriamo con loro, proviamo freddo o paura con loro, abbassiamo la testa cercando un riparo, proprio come loro, quando ci troviamo dentro una guerra. Un giornalismo di immersione, che è quello che tento da sempre di praticare. Ma poi, noi a un certo punto ce ne andiamo. Il grado di sofferenza, o di rischio che assegniamo al nostro stare lì, è sempre temporaneo e limitato. Lo decidiamo noi. E a fine missione, rientriamo alle nostre case, al nostro mondo. Loro non possono decidere di andarsene. Loro rimangono.

Quali sono i luoghi o gli incontri che l’hanno segnata di più?

Ho un ricordo commosso dell’Onda Verde di Teheran. Quando, nel giugno 2009, dopo che molti iraniani avevano creduto di poter cambiare le cose con il loro voto ed erano tornati ad eleggere in massa i candidati riformisti Mussavi e Karrubi, in poche ore la notte dell’elezione, fu di nuovo proclamato presidente Ahmadinejad. L’indignazione si aggrumò nelle strade di Teheran. Spontanea, come spontanei erano stati i cortei e i caroselli pre-elettorali. Ma le condizioni erano mutate, repentinamente. Non era più il tempo della libera espressione – se mai lo fosse stato. E iniziò una repressione spietata del dissenso. Assistetti impietrita a scene di inaudita violenza, che anche per noi inviati divenne sempre più difficile testimoniare. La televisione di stato, da dove andavamo tutte le sere in diretta, fu presa sotto il controllo dei Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione; neanche eravamo certi, a fine giornata, nel caso fossimo riusciti a muoverci dentro le proteste degli iraniani senza farci arrestare, di riuscire a trasmettere il nostro reportage. Ebbene, quel grido, “dove è il mio voto?” raccolto nei cartelli in tutte le lingue del mondo, non potrò mai dimenticarlo.
     E ho un ricordo vivido e carico di rispetto per la resistenza di Kobane. Quando, nel gennaio del 2015, con l’operatore di ripresa Miki Stojicic con cui ho raccontato più di dieci anni di guerre, entrammo – con un ingresso rocambolesco, correndo tutta la notte dentro la Kobane dei curdi (il racconto più bello, se solo ce lo avessero fatto filmare!), attraversando la frontiera tra Turchia e Siria. Kobane era assediata dall’ISIS su tre lati. Il quarto era la frontiera con la Turchia, sigillata. Kobane resistette all’avanzata dello stato islamico. Sembrava predestinata, invece con l’appoggio dei bombardamenti americani, respinse l’ISIS e passò al contrattacco. Sino alla liberazione di Raqqa, la capitale del Califfato. Sino all’ultimo lembo di occupazione, Baghouz. A Kobane, dormivamo in terra al pianterreno, perché i piani superiori potevano esser colpiti dai proiettili di mortaio dell’ISIS. Il cibo era scarso e il riscaldamento con le stufe a legna, mentre fuori c’era la neve. A Kobane, chi era rimasto aveva imbracciato un’arma, uomo o donna che fosse, per difendere il villaggio. E i cimiteri di guerra si riempivano ogni giorno di nuova terra smossa. Il fronte era la città stessa. Ricordo, il giorno in cui fu liberata la collina di Mishtenur – dove per mesi era sventolata la bandiera dell’ISIS – portarono noi giornalisti, la nostra troupe e la troupe di Channel 4, in cima al poggio ad assistere ai combattimenti. E a un certo punto il mezzo su cui ci avevano sistemati rimase senza carburante. Succede. Ci riportarono indietro a piedi, in una corsa in discesa verso i primi quartieri riparati. Ci salvò, guidandoci, un ragazzo. Quando, due mesi dopo ritornai, perché mi ero ripromessa di assistere al primo nowruz, il capodanno dei curdi, nella Kobane liberata, mi raccontarono che il ragazzo era stato ucciso in combattimento. Ricordo le scuole sottoterra. Ai bambini Kobane continuava a fare lezione negli scantinati delle case. Erano giovani volontarie a insegnare – le maestre, come la gran parte della popolazione, erano fuggite nella vicina Turchia. Non dimenticherò mai l’emozione, al ritorno in marzo, di entrare tra i banchi delle scuole che riaprivano, anche se con grossi buchi sui muri, per i bombardamenti. Ricordo i cadaveri dell’ISIS lasciati a decomporsi ai lati della battaglia. Con le loro barbe nere, bionde, rosse, mi confermarono quanto fosse multinazionale quell’esercito, esteso il richiamo di cui fu capace lo stato islamico. Oggi queste storie sembrano dimenticate. E pure i curdi lo sono.

Qual è per una inviata-inviato di guerra il vero nemico da combattere?

La tentazione chiamata verità. Illudersi di trovarla dentro una guerra. Quando racconto un conflitto, non pretendo mai di cercare la verità – che preferisco lasciare ai filosofi, o agli uomini di fede. In guerra, si ricostruiscono i fatti. 
Se anche il giornalista potesse camminare sospeso lungo un’ideale linea del fronte, senza essere impallinato, neanche così troverebbe la verità. In guerra, quello che cerchi e che devi provare a ricostruire, con il tuo bagaglio di esperienza, fallibilità e umana onestà, sono i fatti. Una verità approssimativa. Che dipende dal grado di approssimazione che sei riuscito a raggiungere quel giorno all’evento. La guerra è vischiosa e menzognera. Il giornalista è sempre embedded. Sia quando lo è ufficialmente, perché ha firmato carte che lo collocano al seguito di un esercito; sia quando racconta la guerra dal lato della ribellione, o della piazza, mescolato tra i manifestanti. Perché ciascuno, più o meno consapevolmente persino inconsciamente, cercherà di tirarlo dalla propria parte, di vincerne il sostegno alla propria causa. E invece, in guerra non è mai Bene tutto di qua e Male tutto di là. Sempre diffido dei resoconti di guerra che tirino ascisse e ordinate definitive. Percorro guerre da 20 anni, e brancolo sempre più nel buio. Chi racconta le guerre declinando verità, in genere lo fa dal salotto di casa sua.

Alla luce degli attuali scenari storico-politici che la sua professione le ha consentito di esplorare, che idea si è fatta del futuro possibile per l’umanità?

A guardare il mondo oggi, solcato da conflitti, carestie, un mutamento climatico che sfugge di mano, quando ancora la volontà politica di fronteggiarlo latita, verrebbe da essere pessimisti. Ma io mi sforzo di cercare sempre il lato positivo delle cose. E vedo il mondo oggi più informato, collegato, consapevole. Giovani generazioni più mobili di quanto non fosse la nostra. Agili nell’uso delle nuove comunicazioni – rispetto alle quali io mi sento un brontosauro. Certo, il rovescio della medaglia, mi si lasci dire, è un più di fragilità e superficialità. Il sapere oggi è spiccio, sminuzzato. Preferivo l’epoca in cui le notizie le leggevamo sui giornali, piuttosto che dentro comunità social, popolate da tribù armate di certezze. Mi spaventa l’uso che i grandi centri di manipolazione possono fare di tutto questo.

Qual è la sfida più grande o più temuta per chi va al fronte per raccontare la guerra, il terrorismo, l’emarginazione, la sofferenza di interi popoli?

Le sfide sono molte. L’etica, innanzitutto. Occorre sempre tener presente – e farlo arrivare al pubblico – che il racconto di guerra non è mai universale, ma sempre condizionato dall’osservatorio che si sceglie – o che talvolta viene imposto dalle condizioni. E che l’osservatorio è decisivo. Raccontare le guerre di Gaza da dentro Gaza o dalle colline israeliane di Sderot, segna una differenza fondamentale. La sfida politicamente meno impegnativa, ma altrettanto cruciale, è arrivare il più vicino possibile agli accadimenti. Quando parti per una guerra, è sempre uno andare controcorrente. La vita è sospesa, i mezzi di trasporto scompaiono, la benzina scarseggia. Quale strada è meno pericolosa? Quali orari? Dove ricaricare le batterie? Dove dormire? In guerra, ci si sveglia sempre all’alba. Quando raccontavamo la liberazione di Mosul dall’ISIS. Miki, Rodi, Karwan ed io lasciavamo sempre Erbil alle quattro del mattino, per essere alle sette sulle prime linee di Mosul. Ci restavamo sino al tramonto, per poi tornare velocemente indietro: in auto, tra i checkpoint e le buche che facevano sobbalzare, riguardavo le immagini e scrivevo i testi. Di nuovo a Erbil, cominciavamo a montare i servizi, per i diversi canali RAI. Questo tutti i giorni. Per quaranta giorni. In guerra il territorio parla. Si diventa cronisti di guerra imparando ad ascoltarlo.

Progetti nel cassetto?

Un libro. L’operatore Miki Stojicic mi ha spiegato una volta, che il tempo delle due luci è quando la luce artificiale inizia ad affiancarsi a quella naturale, che se ne sta andando. Non è più giorno, non è ancora notte. E mi ha detto: un cameraman, che sa il fatto suo, la tiene a lungo viva, quella luce. La rende eterna. Credo che il mio libro, il primo, se prenderà vita avrà questo titolo: Il Tempo delle due Luci."

giovedì 27 ottobre 2022

Grazie, anonimo citoyen...

Marc Chagall: Il violinista blu
      Capita che nostra signora rientri a casa, di sera. E attraversi al buio, con un po’ di apprensione, le strade che separano la stazioncina della metropolitana dalla sua abitazione, non incontrando comunque nessuno.   
      Invece, una sera, un gradevole incontro: vede fermarsi accanto alle aiuole bonificate, vicine alle fermate dell’autobus in via Oreto, un’auto da cui scende un quarantenne provvisto di alcuni bidoni pieni di acqua, per annaffiare le piante. Nostra signora non riesce a non interloquire con il concittadino: e lo ringrazia della sua cura. Alle parole della signora, l’anonimo risponde che è stato lui a sostituire con piante grasse, più robuste e spinose, le piante morte o divelte: - Dovremmo essere tutti più educati e civili, la pulizia e le piante sono più belle dell’immondizia… - 
     Nostra signora saluta e se ne va, ripetendo il suo grazie. Quella sera, nella città per un istante redenta, si sente meno sola…

(la storia di queste aiuole è già stata raccontata qui).
Maria D’Asaro

lunedì 24 ottobre 2022

Se 103 vi sembran pochi...

Zia Lillia: ... e sono 103!
     Quando vi dice che, dopo aver compiuto cent'anni, è andata un po' indietro, non prendetela troppo sul serio: certo, l’udito non è migliorato e adesso cammina per le vie di Palermo appoggiandosi a un bastone, ma, sino a un mese fa, a Chiusa Sclafani - suo paese natìo -  andava su e giù tranquillamente da sola per le poderose scale della bella casa in via san Vito…

     Perchè zia Lillia, 103 anni oggi - festeggiati ieri con i parenti e oggi nella parrocchia di sant’Antonino a Palermo - continua a essere una forza della natura: legge ogni giorno l “Avvenire” (è più aggiornata lei, sui temi di politica estera e politica interna, di tanti italiani beoti…), cucina, cura le piante, prega...   Si relaziona, insomma, con la massima lucidità e serenità,  con i suoi simili, con Dio, con il creato.

      Per evitare di ripetermi, ecco un suo profilo nel giornale il Punto Quotidiano, in occasione dei suoi primi 100 anni, qui per ... la carica dei 101 e qui, in occasione del 102° compleanno.

     Dimenticavo: il 25 settembre zia Lillia (con la splendida zia Ninì, la sorella più giovane, 94 anni magnificamente portati) è andata a votare: “Ho votato per la prima volta per scegliere la Repubblica, il 2 giugno 1946… ho sempre votato perché votare è un dovere civico, bisogna partecipare alla vita del Paese…”.

Zia Lillia (e zia Ninì), sono davvero fari di luce in tempi così incerti… 

Grazie alla Vita!



Zia Lilia e zia Ninì dopo aver votato, il 25 settembre 2022






domenica 23 ottobre 2022

L’omaggio di Palermo alla “sua” Giuni Russo

      Palermo – Quando si esibì a Palermo vicino al ‘palchetto della musica’ Giusi Romeo aveva solo tredici anni. 
      Da allora quella ragazzina con una voce straordinaria, con il nome d’arte di Giuni Russo, ne avrebbe fatta di strada nell’universo musicale… 
      A 18 anni dalla sua scomparsa – la cantante, morta per un tumore nel 2004, era nata nel capoluogo siciliana nel 1951, a Borgo Vecchio, cuore pulsante della città – Palermo le tributa un omaggio: il cinque ottobre scorso, le è stato intitolato proprio il ‘palchetto della musica’ di piazza Castelnuovo, di fronte al teatro Politeama Garibaldi. Il Comune e la Regione hanno accolto la richiesta portata avanti dal 2020 dal sito di informazione cittadina Palermo Today, con la giornalista Sandra Figliuolo.
     Alla cerimonia della scopertura della targa era presente anche il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, che ha dichiarato: “Giuni Russo è stata un’artista innovativa, oltre a rappresentare una voce calda e identitaria della nostra città e della nostra regione”.
La cantante già a 16 anni, assieme a Elio Gandolfi, aveva vinto il festival di Castrocaro, interpretando A chi, la canzone lanciata nello stesso anno da Fausto Leali. Ma il grande successo di pubblico arrivò dopo l’inizio del suo sodalizio artistico con Franco Battiato: collaborazione feconda che durò sino alla morte della cantante. Nel 1982 Battiato scrisse per lei Un’estate al mare, che raggiunse i vertici delle classifiche italiane, stazionandovi per oltre otto mesi. Il brano venne anche presentato al Festivalbar e ottenne il Disco d'oro per le vendite. 
    Una delle peculiarità di questo celeberrimo brano è, alla fine dell'esecuzione, l’imitazione della cantante dei versi dei gabbiani con l'emissione di note particolarmente acute, che esprimono la sua eccezionale estensione vocale.
    Ma a Giuni stava stretta l’etichetta di cantante ‘balneare’: artista sperimentale e d’avanguardia, oltre che in italiano e in dialetto siciliano e napoletano, ha interpretato brani musicali in spagnolo, portoghese, inglese, ebraico, giapponese, iracheno, greco e latino. Compositrice e cantante, con un talento assai notevole è stata capace di spaziare tra il genere pop, il jazz, la musica sacra ed elettronica.
In un’intervista, Franco Battiato ha detto di lei: “Giusi era una donna piena di energia, vitale… e quindi contagiosa. Era orgogliosa, una donna fiera, con una certa vena moralistica: però si metteva in gioco, anche cantando una canzonetta divertente, è questo è l’aspetto che ha mediato con la sua austerità. La sua vocalità era un miracolo: aveva un’estensione vocale veramente impressionante, aveva sovracuti che superavano le note più alte del pianoforte.” 
All’intervistatrice, che chiedeva come mai Giuni Russo non abbia avuto il successo ancora maggiore che avrebbe senz’altro meritato, Battiato replicava: “Neanche Bach è stato apprezzato nella sua epoca. Si pensava fosse un autore retrò… il fatto è che noi diamo troppa importanza al successo come metro di giudizio”. 
     E aggiungeva: “Non ho mai avuto problemi nel lavorare con Giuni: scrivevo le canzoni adattandole a lei come un sarto. E poi ci univa l’essere siciliani. È un sentimento che hanno gli isolani. È più difficile trovare questi sentimenti di forte unione sulla terraferma, forse perché in un’isola si è più isolati, col mare che separa”.
   Nell’oggi che ci vede stanchi e confusi, in cui fatichiamo a capire cosa sia importante e cosa no; nell’oggi in cui ci stanno rubando anche i sogni… la sua splendida voce e la sua musica continuano a tenerci compagnia.
Good good-bye, cara Giuni. 

Maria D'Asaro, 23.10.22, il Punto Quotidiano


venerdì 21 ottobre 2022

Ma comu ti spércia?

      “Ma comu ti spércia?”: in Sicilia utilizziamo spesso questa frase dialettale per chiedere a qualcuno come gli sia venuto in mente qualcosa di poco opportuno, un’idea o un’azione impropria, inadeguata, balzana…
      21 ottobre 2022: oggi a Palermo ci sono in pieno giorno 26 gradi, chi può va ancora a fare il bagno a Mondello; mentre, purtroppo, continua la terribile guerra quasi fratricida tra Russia e Ucraina – a proposito, oggi alle 18, al Politeama, ci sarà una manifestazione per dire no alla guerra e perché si torni a negoziare, anziché uccidersi…  - c’è in atto un nefasto cambiamento climatico … 
      Ciò nonostante, in barba alla crisi, all’aumento delle bollette di energia, al buonsenso che ci suggerirebbe di risparmiare consumi non necessari, alcuni negozianti hanno già acceso le luminarie natalizie. “Ma comu ci spercia?” 
      Egregio signor sindaco, consiglieri comunali tutti, è possibile emanare un’ordinanza che vieti questo spreco così inconcepibile e assurdo?

Maria D’Asaro


(Questa pessima pratica è stata già sottolineata in questa serie di post)

mercoledì 19 ottobre 2022

lunedì 17 ottobre 2022

A Monreale va in scena la musica sacra

     Palermo – All’interno del duomo di Monreale, proclamato nel 2015 dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità con la cattedrale di Cefalù e altri sette monumenti dell’arte arabo-normanna di Palermo, sabato 15 ottobre avrà inizio la 64° rassegna di Musica Sacra. 
     “Exultate, jubilate!” è il titolo dato quest’anno alla manifestazione, titolo tratto dal brano di apertura della serata di sabato, che è infatti l’omonimo Mottetto per soprano e orchestra di Mozart. A “Exultate, jubilate” seguirà l’ultimo capolavoro mozartiano: il Requiem in re minore per soli, coro e orchestra KV 626. A eseguire le due composizioni saranno l’Orchestra Sinfonica Siciliana e il Coro del Teatro Massimo di Palermo.
     “Una Settimana – ha dichiarato Gianna Fratta, direttrice dell’evento artistico – che è un po’ più lunga dal punto di vista temporale, perché prevede nove concerti. Si tratta di una delle rassegne più longeve d’Europa; grazie all’apertura della Curia siamo riusciti a realizzare un cartellone di musica sacra in senso lato, dove senz’altro domina la sacralità, ma non necessariamente liturgica”. 
     Il programma della prestigiosa manifestazione musicale prevede infatti sinfonie, cantate e concerti di Durante, Händel, Vivaldi, lo Stabat Mater di Pergolesi, musiche di Paganini, Brahms, Haendel e Bach. Venerdì 21 ottobre sarà protagonista Antonella Ruggiero, con il concerto Sacrarmonia: si tratta di un concerto variegato e composito, che alterna la proposta di brani italiani di ispirazione sacra a grandi classici come il Panis Angelicus di Franck, e l’aria sulla IV corda di Bach. La cantante sarà affiancata da un quintetto dell’Orchestra Sinfonica.  
     La rassegna si concluderà domenica 23 ottobre con il concerto sinfonico “Impressioni mistiche”.
Nicola Tarantino, commissario Straordinario della FOSS (Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana), ha sottolineato la qualità delle musiche in cartellone: “Una manifestazione che si è fortificata e che quest’anno, in continuità con la scorsa edizione, conferma la grande qualità dell’offerta artistica. Poche città al mondo possono contare su una cornice così prestigiosa come quella del Duomo di Monreale, sintesi ed espressione universale di bellezza. Saranno nove giorni di grande musica con artisti di livello internazionale, sottolineati da una importante apertura mozartiana che conferma il rapporto di collaborazione fra la FOSS e il Teatro Massimo”.
    “La Musica Sacra – ha dichiarato poi il sindaco di Monreale Alberto Arcidiacono – rappresenta un fiore all’occhiello per la nostra città, un evento prestigioso nel panorama musicale internazionale”; mentre l’arciprete del Duomo di Monreale, mons. Nicola Gaglio, ha evidenziato che “L’esperienza della bellezza della Cattedrale, unita alla fruizione della musica offrono un’esperienza quasi unica al mondo”.
I nove concerti si terranno ogni sera, dal 15 al 23 ottobre, alle ore 21. 
    L’ingresso è gratuito, con prenotazione al sito: https://www.eventbrite.com/cc/64-settimana-di-musica-sacra-monreale-1245199?just_published=true

Maria D'Asaro, 16.10.22, il Punto Quotidiano

sabato 15 ottobre 2022

Da Londra un corrispondente speciale...

        "Alessandro Mariscalco vive a Londra da circa dieci anni ed è un videomaker e fotografo freelance, palermitano doc ma irpino d’adozione!
Filma soprattutto per Mediaset e Rai; oltre al lutto epocale della casa reale, ha ripreso anche la finale dell’Europeo di calcio 2021, con l’apoteosi azzurra a Wembley."


giovedì 13 ottobre 2022

Erich Fromm: lo Shabbat, profezia di vita autentica

W.Kandinsky: Vita Variopinta (1907)
      "Shabbat: si tratta solo di un giorno di riposo nell’accezione mondana del termine, nel senso che, almeno per una giornata, si è liberati dal gravame del lavoro?
      Certo, è anche questo, ed è una funzione che conferisce allo Shabbat la dignità di una delle grandi innovazioni nel corso del divenire umano. Ma se tutto si riducesse a questo, lo Shabbat ben difficilmente avrebbe avuto un ruolo così importante.
      Per comprenderlo, è opportuno penetrare nel cuore dell’istituzione dello Shabbat. Non si tratta di riposo in sé e per sé, cioè di una giornata in cui non si debbono compiere sforzi, né fisici né mentali, bensì di riposo nel senso di ristabilimento della completa armonia tra gli esseri umani e tra questi e la natura. Nulla deve essere distrutto, nulla costruito: lo Shabbat è un giorno di tregua nella lotta che l’umanità conduce col mondo. Non devono neppure avere luogo mutamenti sociali. Persino strappare un filo d’erba è considerato una trasgressione a quest’armonia, come lo è accendere un fiammifero. (…)
     Durante il Sabato si vive come se non si avesse nulla, senza perseguire altra meta che non sia quella di essere, vale a dire di dare espressione ai propri essenziali poteri: pregando, studiando, mangiando, bevendo, cantando, facendo l’amore.
    Il Sabato è un giorno di gioia perché durante esso si è pienamente sé stessi, ed è per questo motivo che il Talmud definisce lo Shabbat l’anticipazione dei Tempi Messianici, i quali a loro volta non sono che un Sabato senza fine: un giorno in cui proprietà e denaro, al pari di lutto e tristezza, sono tabù; il giorno in cui il tempo è sconfitto e regna il puro essere.
     Il suo predecessore storico, lo shapatu babilonese, era un giornata di tristezza e di paura; la moderna domenica è una giornata di allegria, consumo, fuga da se stessi. 
     E ci si chiede se non sia venuto il tempo di reintrodurre il sabato come giornata universale di armonia e pace, giornata dell’uomo che anticipa il futuro umano.”

                                                    Erich Fromm Avere o Essere? Mondadori, Trento, 1981 (pag.76,77)

mercoledì 12 ottobre 2022

Puliamo il mondo... per un clima di Pace

     Venerdì 7 ottobre, alunni/e delle classi II medie dell’Istituto comprensivo “Maneri-Ingrassia-Don Milani”, accompagnati da alcune docenti e da un gruppetto di madri, insieme ai volontari di Legambiente (circolo palermitano ‘Lo Iacono’) hanno pulito un pezzetto di litorale, in via Messina Marine, a Palermo, di fronte all’ospedale “Buccheri La Ferla”.
     L’iniziativa, che si iscrive anche nella cornice di “Puliamo il Mondo, per un Clima di Pace” –  rientra nel ‘Progetto Odisseo’, progetto triennale coordinato da ‘Impresa sociale con i bambini’, a cui hanno aderito varie scuole cittadine (la “Maneri-Ingrassia-Don Milani”,  l’Istituto Tecnico Industriale “A.Volta”. la Direzione Didattica “Orestano”, per citarne solo alcune) e che si concluderà nel marzo 2023.  
     Al progetto, che ha come obiettivo il contrasto alla Dispersione scolastica e alla Povertà educativa, Legambiente partecipa organizzando laboratori formativi che hanno come tema il Mare.

Tre le parole/chiave:
Scoperta:  i ragazzi sono stimolati alla scoperta attiva e curiosa del territorio nel quale vivono, territorio spesso poco conosciuto
Consapevolezza: alunni e alunne sono guidati in un percorso di consapevolezza che li aiuti a conoscere davvero il mare e promuoverne l’equilibrio ambientale, la tutela e la vita dei suoi abitanti. (A gestire quest’itinerario sono degli esperti, i biologi marini)
Bellezza: non si possono solo conoscere i problemi, il passo successivo è scoprire quanto può essere bello il paesaggio e il territorio pulito e in equilibrio. La consapevolezza delle criticità va sempre coniugata con la ricerca e la fruizione della Bellezza.

    Puliamo davvero allora il mondo… per la tutela dell’Ambiente marino e terrestre e per promuovere un clima di Pace  (ha aderito all’iniziativa il Movimento Nonviolento di Palermo).

Bisognerebbe poi capire cosa fanno e dove sono le Istituzioni: Comune, Regione… 
Ma questa è un’altra Storia…

Maria D’Asaro











domenica 9 ottobre 2022

Appello a Mattarella: l’ambiente al primo posto

       Palermo – Il 28 settembre scorso, alcuni scienziati italiani si sono recati al Quirinale per consegnare nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella un documento con le proposte della comunità scientifica per la lotta al cambiamento climatico. 
      In rappresentanza della Società italiana per le Scienze del Clima e di altre autorevoli istituzioni scientifiche, tra gli scienziati consegnatari dell’appello c’era il professore Giorgio Parisi, premio Nobel 2021 per la Fisica, tra i primi a dare il proprio sostegno all’iniziativa.
Le proposte degli studiosi, che riguardano i comportamenti di singoli, imprese e istituzioni, sono accompagnate da oltre 220.000 firme di appoggio di cittadini italiani che, insieme agli scienziati, chiedono che l’emergenza climatica sia posta al centro dell’agenda politica del nuovo governo. 
         Le indicazioni degli scienziati sono molto concrete: vanno dalla scelta e dalla modalità di uso più opportuna degli elettrodomestici, alla mobilità, alla spesa sostenibile, all’efficientamento energetico. Tali proposte possono essere visionate sul sito: Scegliamo il futuro.org, dove si legge: “La crisi climatica in Italia rischia di minare dalle fondamenta qualsiasi idea di sviluppo futuro del nostro Paese.      La situazione è stata chiaramente descritta nella lettera alla politica italiana elaborata all’interno della Società Italiana per le Scienze del Clima, in cui si è chiesto di individuare questo tema come prioritario nei programmi elettorali. (…)
    La situazione è drammatica, ma non si agisce a sufficienza, spesso presi da altre priorità emergenziali nelle nostre vite personali e nelle nostre società: la precarietà, la pandemia, la guerra, la scarsità di gas. Talvolta c’è anche il timore che agire per la crisi climatica e ambientale distolga risorse da altri progetti fondamentali, personali e politici (al punto da cercare talora sollievo ospitando, in noi stessi e nel discorso pubblico, tesi che negano la crisi climatica, tutte purtroppo infondate).
Agire fondandosi sul dato scientifico diventa allora cruciale: si possono evitare azioni costose, ma che non sono particolarmente efficaci, concentrandosi su quelle necessarie; soprattutto, si può evitare l’aggravarsi della crisi climatica, che, con il moltiplicarsi delle emergenze, ci costringerebbe sempre più a destinare le nostre risorse, private e pubbliche, alla mera gestione emergenziale della crisi.”
    Ecco cosa ha dichiarato al TG scientifico ‘Leonardo’ il professore Antonello Pasini, fisico del clima nel Consiglio Nazionale delle Ricerche e coordinatore dell’iniziativa: “Abbiamo proposto la costituzione di un Consiglio scientifico per clima e ambiente perché vogliamo che la migliore Scienza italiana sia al servizio del Governo, del Parlamento e – perché no – dei singoli cittadini.”
E ha aggiunto: “Purtroppo alcuni fenomeni climatici che vediamo adesso, li avremo nei prossimi decenni. Quello che dobbiamo fare è evitare di andare a scenari climatici peggiori. Se continueremo con l’idea del ‘business as usual’ (cioè del continuare a fare affari come al solito, come se niente fosse) andremo incontro, ad esempio proprio in pianura padana, a scenari di siccità da cui molto difficilmente potremo difenderci”.
“Questa iniziativa - ha dichiarato il Presidente Mattarella - ha il merito di aver messo insieme due avanguardie del nostro Paese: i giovani e gli scienziati, entrambe fondamentali, perché sanno vedere il futuro. 
   Sappiamo che il clima è il nostro problema principale, e questa consapevolezza è ormai diffusa nella società, assai più che qualche anno fa. Eppure quello che sta accadendo nel mondo sembra aver fatto accantonare gli impegni presi dalla comunità internazionale con gli Accordi di Parigi o le Conferenze ONU sul clima”.
    Il Presidente della Repubblica si è poi impegnato a trasmettere le sollecitazioni di impegno sistemico sul clima al nuovo governo e di seguirne con particolare attenzione l’operato in questo ambito così importante per la vita di tutti.

Maria D’Asaro, 09.10.22, il Punto Quotidiano

venerdì 7 ottobre 2022

Flash mob a Palermo a fianco delle donne iraniane

Foto: Ansa
(ANSA) - PALERMO, 07 OTT - Flash mob questa sera davanti al teatro Politeama a Palermo a sostegno del popolo iraniano e delle donne contro il regime degli ayatollah. 
Una manifestazione senza manifesti, bandiere, striscioni e altro che possano identificarsi con movimenti e gruppi politici.

"La protesta, esplosa ovunque, a seguito della morte violenta di Mahsa Amini per mano della polizia morale di Teheran, ha bisogno di essere amplificata dalla voce di tutti. Mentre il governo iraniano reprime le proteste, le donne continuano la loro protesta pacifica compiendo gesti di grande disubbidienza e dal forte valore simbolico, come bruciare in piazza lo hijab o tagliarsi i capelli e diffonderne il video in rete", ricordano le manifestanti. (da qui)

PERUGIA – Ammazzate perché vanno in giro, a passeggio, a scuola, al lavoro, senza il velo. Una, piccola schiavitù, all’apparenza, ma che ne nasconde una più grande e pericolosa: una valutazione negativa del genere femminile, oltre che una negazione, un rifiuto della libertà individuale, una oppressione. Mahsa, curda, aveva 22 anni; Hadis, iraniana, era più giovane di un anno. Probabilmente le due neppure si conoscevano, non si erano mai viste e vivevano in località lontane. Ma lottavano per un identico diritto. Per gli stessi ideali ... (continua, su il Punto Quotidiano, l'articolo di Elio Clero Bertoldi)

giovedì 6 ottobre 2022

Evasioni letterarie

Picasso: donna che legge (1935)
      Ogni tanto, nostra signora entra in una prigione della città. No, non ha commesso reati: ci va da volontaria dell’AS.VO.PE. 
  Insieme ad altre splendide veterane (Caterina, Grazia, Marica,Vanna) si occupa delle piccole biblioteche esistenti nella struttura, arricchendole anche con nuovi testi. 
     Oggi nostra signora è andata nel reparto femminile: la signora detenuta,  responsabile interna della biblioteca, le ha riferito, con gli occhi che le brillavano, che le compagne - tutte, proprio tutte! - avevano letto il testo di un’autrice francese ricevuto in estate. La signora era poi contenta per i libri appena donati. 
    Al di là della necessità della pena detentiva, da fuori non si riesce neppure a intuire quanto lo scorrere del tempo in carcere sia pesante, immobile e vuoto. 
     Poiché una delle pochissime attività permesse è leggere, se si ha in mano un testo intrigante, il detenuto/a può almeno viaggiare con l’immaginazione e... concedersi una sana evasione.


Maria D'Asaro

martedì 4 ottobre 2022

Il canto di Francesco: una strada per l'oggi...

       Il Cantico delle Creature è il canto della fraternità, della bellezza e del benessere che il vivere tra e con i frati fratelli porta in sé in quanto diviene condivisione di un’autentica e mistica unità relazionale gestaltica con lo scopo di essere anche una forma di terapia liberatoria dal male e dal dolore del mondo.
    A questo riguardo Francesco, a proposito della debolezza e della vulnerabilità delle creature, è un autentico testimone dell’empatia che appartiene al monoteismo biblico e alla teologia della tradizione cristiana, confermando che non può sussistere altro discorso su Dio che non sia un monoteismo debole e che, proprio per questo è essenzialmente una teologia sensibile al dolore. Inoltre questa teologia (…) costituisce anche il nucleo essenziale di universalità perché si fonda sull’immedesimazione del dolore proprio e degli altri, fino al dolore del nemico.
    Da questo discorso, che è essenzialmente teologico, scaturisce l’obbligatorietà geopolitica che venga scritta una carta etica mondiale che riconosca una ontologia della responsabilità universale verso tutte le forme di dolore innocente.
     In questo tempo, gravato dalla sofferenza del vivere a causa del moltiplicarsi di temi e problemi complessi e, spesso, altamente inquietanti a livello mondiale, si parla dell’urgenza di sostenere un’etica della cura, un’etica del benessere globale della persona. Francesco d’Assisi  va oltre e, nel Cantico delle Creature, ci aiuta a conoscere e a riconoscere di quale cura e di quale benessere ha bisogno la nostra umanità. Il canto di Francesco d’Assisi ci parla dell’opportunità di passare da un’etica del benessere a una estetica del bell’essere.
 (postfazione del prof. Erminio Gius del testo: Il Signore mi condusse, di Giovanni Salonia,
 Cinisello Balsamo, MI, Ed.San Paolo, 2022,  pagg.168,169)

    «Sono forse io il custode di mio fratello?» aveva chiesto polemicamente Caino. “Sì, sei tu il custode di tuo fratello; solo custodendo tuo fratello custodirai te stesso e il mondo nel quale vivi tu e nel quale vivranno i tuoi figli”, possiamo immaginare sia stata la risposta di Dio. Francesco ci ha detto come realizzarla.
      L’inconsistenza del vivere assieme ha generato la frammentarietà liquida: il canto di Francesco e dei suoi frati può offrire una strada per l’oggi e per il prossimo futuro della condizione umana”. 

(pagina conclusiva del prof. Salonia, testo citato, pag.153)

domenica 2 ottobre 2022

Nonviolenza, lottare senza uccidere

     Palermo – Il 2 ottobre la liturgia cattolica festeggia gli Angeli Custodi: messaggeri spirituali e ponte tra l’umano e il divino, sono presenti in quasi tutte le religioni e culture, magari come ‘archetipi’ (per utilizzare un concetto dello psicanalista Carl Jung), cioè come riferimenti del nostro immaginario mentale collettivo. Nello stesso giorno, in Italia ricorre anche la Festa dei nonni, istituita con legge n.159 del 31 luglio 2005. 
   Il 2 ottobre è anche la giornata internazionale della nonviolenza, istituita dall’Assemblea generale della Nazioni Unite nel giugno 2007, e celebrata per la prima volta il 2 ottobre dello stesso anno.
    Tale ricorrenza, che si celebra proprio nel giorno di nascita del Mahatma Gandhi, è stata voluta dalle Nazioni Unite per "la rilevanza universale del principio della nonviolenza" e per divulgarne il messaggio attraverso l'informazione, con l’auspicio di "di assicurare una cultura di pace, tolleranza, comprensione e nonviolenza".
     Ancora oggi però le idee e le pratiche nonviolente sono poco conosciute e spesso fraintese ed equivocate. Talvolta la nonviolenza viene scambiata per passività, debolezza o per pacifismo arrendevole e imbelle. Nulla di più sbagliato.
    Gandhi stesso ha ribadito che se mai “un uomo venisse preso da una mania omicida e cominciasse a girare con una spada in mano uccidendo chiunque gli si pari dinanzi (…) chiunque uccida il pazzo otterrà la gratitudine della comunità e sarà considerato un uomo caritatevole”. Attenzione però: per Gandhi si può utilizzare la violenza per difendere sé stessi e gli altri solo se prima sono state esperite le pratiche e le azioni nonviolente possibili.
      Bisogna anche sottolineare che chi aderisce a una pratica di lotta nonviolenta, per raggiungere il suo obiettivo è disposto ad accettare la sofferenza su di sé piuttosto che infliggerla al suo avversario: per rendersene conto, basta conoscere i percorsi esistenziali e politici di nonviolenti illustri quali Nelson Mandela e Martin Luther King, oltre all’esempio luminoso del Mahatma.
    Inoltre, molti confondono ancora conflitto, aggressività e violenza. Invece, mentre la violenza è una specifica forma di combattività finalizzata al danneggiamento o all’annientamento di qualcuno, il conflitto è naturalmente iscritto nelle dinamiche tra le persone e i gruppi sociali; il professore Andrea Cozzo - nel testo ‘Conflittualità nonviolenta’ – sottolinea che “il conflitto è un fondamentale fattore propulsivo per il cambiamento proprio e/o dell’altro (…) in quanto processo e dinamismo, esso è un tutt’uno con la realtà e con la vita”. La nonviolenza è allora un modo di affrontare il conflitto in modo costruttivo, ascoltando le parti in causa e facendo in modo che le energie impiegate nel conflitto non sfocino nella violenza.
     La psicologia ha poi evidenziato la differenza tra violenza e aggressività: quest’ultima, diversamente dalla violenza distruttiva, è “un fattore energetico che ha a che fare con la vita e col diritto che ogni essere vivente esercita in qualche modo per la propria conservazione ed espressione”.
Elemento costitutivo della cultura e dell’azione nonviolenta è poi la congruità tra mezzi e fini: a differenza di quanto ipotizzava Machiavelli con la massima ‘il fine giustifica i mezzi’, secondo i teorici e i praticanti della nonviolenza, per ottenere un fine buono, buoni devono essere anche i mezzi per raggiungerlo. Gandhi lo ha sottolineato spesso nei suoi scritti e con la sua azione politica: per lui – come sottolinea ancora il professore Cozzo – “i mezzi sono tutto: infatti quale è il seme, tale sarà la pianta; non si può seminare gramigna e pretendere di raccogliere rose”. 
      Inoltre la nonviolenza è sempre rivolta a combattere il comportamento che ritiene malvagio e ingiusto, senza però odiarne l’autore. Gandhi ha sottolineato che per i nonviolenti non devono esistere nemici, persone da odiare, ma solo antagonisti o avversari: persone con le quali ci si deve, comunque, sempre sentire legati dalla comune appartenenza alla famiglia umana. Ecco le sue parole testuali: “L’uomo e la sua azione sono due cose distinte. È certamente giusto impugnare e combattere un sistema, ma impugnare e combattere l’autore equivale a impugnare e combattere sé stessi”.
      Altra caratteristica poco nota della nonviolenza è che essa, come metodo di lotta, è alla portata di tutti: grandi, piccoli, donne, uomini, sapienti, ignoranti, sani, malati…Alcuni la chiamano ‘la politica della gente comune’ in quanto - in svariate situazioni purtroppo poco pubblicizzate - è stata utilizzata da gruppi eterogenei per battersi contro forme di violenza e conseguire obiettivi di giustizia sociale. 
      Infine, una curiosità: fu l’italiano Aldo Capitini - chiamato il ‘Gandhi italiano’ per la sua convinta adesione alla nonviolenza e organizzatore e ideatore nel 1961 della marcia di Pace Perugia-Assisi - a suggerire di scrivere attaccata e senza trattino la parola nonviolenza come una parola a sé stante, nuova, per sottolineare la natura innovativa del concetto rispetto alla semplice assenza di violenza.
L’auspicio, allora, è che la celebrazione della sedicesima giornata mondiale della nonviolenza faccia riflettere e converta al dialogo i tanti responsabili delle troppe, dolorose, assurde, tristi e pericolose situazioni di violenza e di guerra nel nostro martoriato pianeta.

Maria D'Asaro, 2/10/22, il Punto Quotidiano