mercoledì 31 agosto 2022

Egregio Presidente Gorbaciov

 Egregio Presidente Gorbaciov,
                                                       
     un mio sogno impossibile era farle un’intervista: avrei voluto conoscerla per capire di più il travaglio dell’ex URSS, il suo rapporto con l’Occidente, i giorni difficili in Crimea nell’agosto 1991… 
    Il giudizio degli storici sul suo ruolo è controverso, con pareri discordanti tra russi e occidentali. 
    Ma io le sono assai grata perché Lei, comunque, ci ha fatto sognare un futuro migliore. Negli anni ’80 eravamo affascinati dalle sue parole d’ordine: glasnost e perestroika. 
   Abbiamo tirato tutti un enorme respiro di sollievo quando,  grazie anche alla sua iniziativa, nel 1987 USA e URSS  firmarono il trattato sull’eliminazione delle armi nucleari a raggio intermedio in Europa. 
    E abbiamo ballato di gioia il 9 novembre 1989, quando cadde il muro di Berlino  e poi in Europa orientale ritornò la libertà. 
   Spero che ora possa riabbracciare la sua amata Raissa e vegliare da lassù sul destino di questo pazzo mondo.
Maria D’Asaro

Forse non tutti sanno che… (grazie ad Angelo Cifatte, Genova)

Tre anni prima della rimozione del muro di Berlino Mikhail Gorbaciov e Rajiv Gandhi a nome dell’URSS e dell’India, un quinto dell’umanità, chiedevano un totale rovesciamento della politica di dominio e di guerra e proponevano di costruire un mondo libero dalle armi nucleari e non violento in cui la vita umana fosse considerata il valore supremo. Il messaggio fu del tutto ignorato in Occidente

LA DICHIARAZIONE DI NUOVA DELHI DEL 27 NOVEMBRE 1986

(Testo del documento firmato a Nuova Delhi dai leaders sovietico e indiano)

"L’umanità si trova oggi ad una decisiva fase di svolta della propria storia. L’arma nucleare minaccia di distruggere non solo quanto l’uomo ha realizzato nei secoli, ma anche lo stesso genere umano e persino la vita sulla Terra. Nell’era nucleare gli uomini debbono elaborare una nuova mentalità politica, una nuova concezione della pace, che sia una garanzia certa di sopravvivenza dell’umanità. La gente vuole vivere in un mondo più sicuro e più giusto. L’umanità merita un destino migliore, non deve essere ostaggio del terrore nucleare e della disperazione. Occorre cambiare la situazione internazionale venutasi a determinare e costruire un mondo libero dall’ordigno nucleare, libero dalla violenza e dall’odio, dal terrore e dal sospetto.
Il mondo che abbiamo ereditato appartiene alle generazioni presenti e future, il che impone di dare priorità ai valori universali. Occorre riconoscere il diritto di ogni popolo e di ogni persona alla vita, alla libertà, alla pace ed alla ricerca della felicità. E’ necessario rinunciare all’uso della forza e alla minaccia del suo impiego. Dev’essere rispettato il diritto di ogni popolo ad una scelta propria: sociale, politica e ideologica. Dev’essere respinta la politica volta ad affermare la supremazia di alcuni su altri. La crescita degli arsenali nucleari, la messa a punto delle armi spaziali minano la convinzione unanimemente riconosciuta, secondo cui la guerra nucleare non deve essere mai scatenata e non può essere vinta da nessuno.
A nome di oltre un miliardo di uomini, donne e bambini dei nostri due paesi amici, che insieme fanno un quinto dell’umanità intera, rivolgiamo ai popoli ed ai dirigenti di tutti i paesi l’appello ad intraprendere azioni immediate, che debbono portarci verso un mondo senz’armi di sterminio di massa, senza guerre.
Pienamente consapevoli della nostra comune responsabilità per le sorti dei nostri paesi e dell’umanità intera, noi proponiamo i seguenti princìpi per la costruzione di un mondo libero dagli armamenti nucleari e dalla violenza:
1. La coesistenza pacifica deve diventare una norma universale dei rapporti internazionali:
nell’era nucleare è indispensabile ristrutturare le relazioni internazionali, affinché il confronto sia soppiantato dalla cooperazione e le situazioni di conflitto siano risolte con mezzi politici pacifici e senza ricorrere alle armi.
2. La vita umana dev’essere considerata il valore supremo:
il progresso e lo sviluppo della civiltà umana possono essere assicurati in condizioni di pace e soltanto dal genio creativo dell’uomo.
3. La nonviolenza dev’essere alla base della vita della comunità umana:
la filosofia e la politica fondate sulla violenza e sull’intimidazione, sulla disuguaglianza e sull’oppressione, sulla discriminazione di razza, di fede religiosa o di colore della pelle sono immorali e inammissibili. Esse sprigionano uno spirito di intolleranza, sono deleterie per le nobili aspirazioni dell’uomo e negano tutti i valori umani.
4. La comprensione reciproca e la fiducia devono sostituire la paura e il sospetto:
la sfiducia, la paura e il sospetto fra i paesi e i popoli alterano la percezione del mondo reale. Generano tensione e, in ultima analisi, arrecano danno a tutta la comunità internazionale.
5. Deve essere riconosciuto e rispettato il diritto di ogni Stato all’indipendenza politica ed economica:
è necessario instaurare un nuovo ordine mondiale per garantire giustizia economica e uguale sicurezza politica per tutti gli Stati. La cessazione della corsa agli armamenti è il presupposto necessario per l’instaurazione di un simile ordine.
6. Le risorse impiegate per gli armamenti devono essere volte ad assicurare lo sviluppo sociale ed economico:
soltanto con il disarmo si possono disimpegnare ingenti risorse supplementari, necessarie alla lotta contro l’arretratezza economica e la miseria.
7. Devono essere garantite le condizioni necessarie per uno sviluppo armonioso della personalità:
tutti i paesi devono operare insieme per risolvere i problemi umanitari maturi e cooperare nel campo della cultura, dell’arte, della scienza, dell’istruzione e della medicina, per uno sviluppo completo della personalità. Un mondo senza armi nucleari e senza violenza aprirà grandiose prospettive a questo riguardo.
8. Il potenziale materiale e intellettuale dell’umanità deve essere utilizzato per risolvere i problemi globali:
è necessario trovare la soluzione di problemi globali quali il problema alimentare e quello demografico, la liquidazione dell’analfabetismo, la tutela dell’ambiente circostante attraverso un impiego razionale delle risorse della terra. Gli Oceani, il fondo marino e lo spazio cosmico sono patrimonio comune dell’umanità. La cessazione della corsa agli armamenti creerà le migliori condizioni per raggiungere tale obiettivo.
9. La sicurezza internazionale globale deve prendere il posto dell’«equilibrio del terrore»:
il mondo è uno e la sua sicurezza è indivisibile. Est e Ovest, Nord e Sud, indipendentemente dai sistemi sociali, dalle ideologie, dalle religioni e dalle razze, devono essere uniti nella fedeltà al disarmo e allo sviluppo;
la sicurezza internazionale può essere garantita con l’adozione di misure globali nel campo del disarmo nucleare, mediante tutti i mezzi accessibili e concordati di controllo, nonché con l’adozione di misure di fiducia e con una giusta composizione politica dei conflitti regionali attraverso trattative pacifiche e con la cooperazione nei campi politico, economico e umanitario.
10. Un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento richiede misure concrete e urgenti volte al disarmo:
Ci si può arrivare attraverso la stipulazione di accordi concernenti:
– la totale eliminazione degli arsenali nucleari entro la fine di questo secolo;
– l’inammissibilità della dislocazione di armi di qualsiasi tipo nello spazio, che è patrimonio comune dell’umanità;
– la totale interdizione degli esperimenti dell’arma nucleare;
– il divieto di creare nuovi tipi di armi di sterminio di massa;
– la messa al bando delle armi chimiche e l’eliminazione delle loro scorte;
– l’abbassamento dei livelli degli armamenti convenzionali e delle forze armate.

Finché le armi nucleari non saranno liquidate, l’Unione Sovietica e l’India propongono di stipulare immediatamente una convenzione internazionale che vieti l’uso delle armi nucleari o la minaccia di esso. Ciò rappresenterebbe un grosso passo concreto sulla via del disarmo nucleare totale.
La costruzione di un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento esige una trasformazione rivoluzionaria della mentalità degli uomini, l’educazione dei popoli nello spirito della pace, il rispetto reciproco e la tolleranza. Occorre vietare la propaganda della guerra, dell’odio e della violenza e rinunciare agli stereotipi della mentalità di chi vede un nemico in altri paesi e popoli.
La saggezza consiste nel non permettere che si accumulino e si aggravino i problemi globali, poiché evitare di risolverli oggi richiederà domani maggiori sacrifici.
Grande è il pericolo che incombe sull’umanità. Ma quest’ultima dispone di ingenti forze per scongiurare la catastrofe e aprire la strada che conduce ad una civiltà senza armi nucleari. La coalizione della pace, che sta accumulando le forze e che unisce gli sforzi del movimento dei non allineati, del gruppo dei «Sei», di tutti i paesi, partiti politici e organizzazioni sociali amanti della pace, ci dà motivo di speranza e di ottimismo. E’ arrivato il momento di azioni decisive e improrogabili".

Dalla rivista “Bozze 87”, gennaio/febbraio 1987, anno decimo, numero 1, pp. 17-21
Questa dichiarazione non fu pubblicata in Occidente.

Ecco, infine, l'Amaca di Michele Serra: L’ultimo degli utopisti (La Repubblica 01.09.2022)

"Gorbaciov è stato uno dei grandi sconfitti del secolo scorso: il suo proposito di trasformare in una socialdemocrazia il sistema sovietico, ottusamente immobile, è stato generoso quanto illusorio. Le dittature non sono riformabili, e piuttosto che cambiare preferiscono morire. C’è un “boia chi molla”, nel cuore di tutte le dittature, che le trascina al collasso e alla rovina pur di non confrontarsi con la realtà del mondo. Le dittature non si arrendono. Piuttosto muoiono tra le rovine, convinte anche oltre la loro fine di avere avuto ragione.
La sua mitezza e la sua intelligenza, spese in un ambiente duro e conformista, gli sono costate, in patria, ieri l’incomprensione, oggi l’oblio. L’attuale potere russo non può permettersi di celebrare Michail Gorbaciov, e nemmeno di ricordarlo con affetto e riconoscenza, perché Gorbaciov puzza di democrazia e puzza di trasparenza: quanto di più odioso per il tenebroso regime di Putin.
Gorbaciov fu un russo europeo e per il putinismo questo è un ossimoro. Non per caso fascisti e fasciocomunisti di mezzo mondo ghignano felici perché è morto Gorbaciov.
Tutte le persone miti e intelligenti salutano con gratitudine e con affetto il compagno Michail, che provò a salvare il socialismo da se stesso, e la Russia dalla rapacità disgustosa degli oligarchi, che non vedevano l’ora del “liberi tutti” per mangiarsi tutto il mangiabile.
“Socialismo o barbarie” è la sintesi della sua vita politica, nonché della sua sconfitta. Ha vinto la barbarie (la restaurazione, il patriarca Cirillo, le mafie economiche). Ha perso il socialismo."


lunedì 29 agosto 2022

Miracolo a Palermo. Basta volerlo...

     Il 24 agosto 2021 nostra signora – lo ha raccontato qui – vide un gruppetto di cittadine/i che sgombravano dai rifiuti e restituivano all’originaria condizione di aiuola due spazi di terra accanto a una fermata dell’autobus, a Palermo, in via Oreto nuova.        
    Nostra signora sa bene che pulizia e manutenzione del verde pubblico sono compiti di chi governa il Comune; ne erano consapevoli anche i cittadini autori dell’azione civica, effettuata anche per chiedere risorse e maggiore impegno all’amministrazione comunale, che, purtroppo, è rimasta sorda all’appello.  
     Mentre la città, anche con la nuova giunta, continua nel suo triste degrado, è quasi un miracolo che l’aiuola ripulita sia rimasta tale. Miracolo che non è opera divina, ma merito di alcune persone, tra cui nostra signora,  che, in silenziosa sinergia, annaffiano le piantine e tolgono cartacce e lordure che qualcuno vi deposita.
     Palermo pulita non è un’utopia, se ciascuno fa la sua parte. Basta volerlo.





domenica 28 agosto 2022

Polizzi Generosa, capitale dei legumi

     Palermo – Definiti la carne dei poveri, perché nel passato il loro consumo era diffuso soprattutto tra le classi meno agiate, i legumi sono stati il simbolo della sobria alimentazione monastica. Si ricorda forse anche il popolano Bertoldo, gran mangiatore di fagioli, mentre i potenti e i signori mangiavano carne in abbondanza. 
    A Polizzi Generosa, suggestivo paese delle Madonie in provincia di Palermo, il 20 e il 21 agosto questa credenza è stata sfatata: numerosi produttori provenienti da tutta l’Italia (alcuni anche da Germania, Bulgaria e Polonia) hanno attestato la ricchezza e i benefici di una dieta a base di legumi sia per la salute individuale che per quella del pianeta, afflitto da allevamenti intensivi, responsabili - almeno per il 15% e forse anche più - dell’esiziale produzione di CO2.
Lupino gigante
    Si sa ormai che la cosiddetta dieta dei poveri, basata su cereali e legumi, ha anticipato le attuali nozioni della scienza dell’alimentazione, secondo la quale quest’abbinamento offre un piatto completo ed equilibrato non solo dal punto di vista proteico, ma anche glucidico e calorico. Purtroppo oggi si abusa di un regime alimentare basato sulle proteine animali, anche a causa degli stili di vita frenetici che privilegiano cibi di veloce preparazione. 
    Dal punto di vista ambientale, i legumi richiedono poca superficie coltivata, nutrono il suolo grazie alla loro capacità di fissare l’azoto nel terreno e riducono le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Hanno poi bisogno di poca acqua: per un chilo di legumi ne servono dai 200 ai 400 litri, contro i circa 15.500 per lo stesso quantitativo di carne
    La due giorni polizzana è stata organizzata da Slow Beans, cartello che riunisce i piccoli produttori di legumi dei presìdi Slow Food e dell’Arca del Gusto. L’ultima edizione di Slow Beans si era svolta a dicembre 2021 a Capannori, in provincia di Lucca, da dove il vicesindaco Matteo Francesconi ha passato il testimone a Gandolfo Librizzi, sindaco di Polizzi Generosa.
Perché proprio Polizzi? Perché nel territorio polizzano i legumi vengono ampiamente coltivati: si produce in particolare il fagiolo ‘Badda’, come ha ricordato la produttrice Roberta Billitteri, polizzana doc con una laurea in Scienze Politiche e un master in Affari Internazionali, tornata nel suo paese per occuparsi di agricoltura sostenibile o ‘agri-cultura’, come la definisce la stessa Roberta, dal 2021 nel direttivo di Slow Food Italia.
Cicerchia
     Nella cittadina madonita – che il 20 e il 21 agosto ha ospitato anche la tradizionale sagra delle nocciole - oltre alla mostra mercato dedicata ai legumi provenienti da tutta Italia, ci sono stati convegni, laboratori del gusto per scoprire le tipiche specialità siciliane e le cosiddette ‘Fagioliadi’, competizione gastronomica durante la quale i vari produttori hanno cucinato piatti gustosi a base di legumi.
    Forse non tutti sanno che esistono oltre duecento varietà di fagioli, cinquanta dei quali sono presidi Slow Food. A Polizzi Generosa, oltre a tanti tipi di fagioli, c’è stata la possibilità di conoscere e assaggiare anche ceci, vari tipi di lenticchie e legumi meno noti come la cicerchia, un tipo di leguminosa coltivata in poche aree della Sicilia, soprattutto tra Catania e Ragusa. Inoltre, una produttrice di Vairano, in provincia di Caserta, ha prodotto addirittura la ‘lupinese’: una maionese a base del lupino gigante di Vairano, presidio Slow food, con olio extra vergine di oliva.
    La Vicepresidente Roberta Billitteri ha sottolineato che scopo della Slow Beans polizzana è stato quello di sensibilizzare i cittadini a un uso più frequente dei legumi in cucina, favorendone il consumo salutare nelle mense scolastiche e privilegiando i produttori a km zero, per sostenere le produzioni locali e tutelare la biodiversità.

Maria D'Asaro, 28.8.22, il Punto Quotidiano

giovedì 25 agosto 2022

Terrasini: "Poeti, scrittori e altre creature inutili"... E splendidi panorami.

       A Terrasini (Palermo), all'interno di Palazzo D'Aumale, sino al 31 agosto si può ancora visitare la suggestiva mostra di Pino Manzella "Poeti, scrittori ed altre creature inutili..."

 Pino l’ho intervistato qui.

Dell'ispirazione di questa mostra ho parlato qui.

Pino merita. E anche Terrasini…












martedì 23 agosto 2022

'Peter' Angela, grande divulgatore scientifico e musicista jazz

Ecco il bel pezzo dedicato dal collega Elio Clero Bertoldi a Piero Angela: 

PERUGIA – La morte di Piero Angela (1928-2022) ha colpito e commosso l’intera comunità nazionale, perché il giornalista, dai modi eleganti, composti, garbati, è stato il più grande divulgatore scientifico del nostro paese, e non solo – nonostante avesse compiuto i primi passi nella carriera professionale nello sport e nella cronaca nera – grazie alle sue interessanti, fortunate e seguitissime trasmissioni televisive. 
    Ma dell’Angela giornalista hanno trattato tutti: quotidiani, settimanali, radio, televisioni. Meno noti i suoi esordi e le sue passioni: la musica e gli scacchi.
    Piero era nato in corso Galileo Ferraris, 14, a Torino, figlio di Carlo, psichiatra (e “Giusto tra le Nazioni”, (continua su il Punto Quotidiano)

Elio Clero Bertoldi, 21.8.22, il Punto Quotidiano

domenica 21 agosto 2022

Museo di Kamarina, scrigno di antichità

      PALERMO – A Scoglitti, in provincia di Ragusa, in uno dei tratti più belli di costa della Sicilia orientale, noto per i suoi tramonti suggestivi, a inizio agosto è stato riaperto il museo regionale di Kamarina. 
      Dopo quattro anni di chiusura, sale e padiglioni sono stati ampliati con nuovi spazi espositivi e ripropongono una vasta collezione di reperti archeologici: i visitatori potranno ammirare suppellettili, monete, corredi funerari, statuette devozionali, resti di edifici sacri, risalenti al periodo antico greco, oltre che oggetti ed armi in selce di epoca preistorica.
        Forse unica al mondo all’interno del museo la collezione che comprende una numerosa tipologia di uno degli oggetti più usati nel mondo antico: l’anfora, utilizzata principalmente per usi domestici, ma spesso presente anche nelle tombe, per la sua valenza religiosa e simbolica nella tumulazione dei defunti.
     I reperti museali provengono principalmente dall’antica città greca di Kamarina, importante colonia fondata verso il 598 a.C. dai greci di Siracusa, su un promontorio delimitato dalla foce del fiume Ippari e dal torrente Oanis (oggi chiamato Rifriscolaro). Di Kamarina – il cui nome secondo il geografo Strabone significa “abitata dopo molta fatica” – si trovano notizie negli scritti di Tucidide e di Erodoto. La città raggiunse la sua massima espansione urbanistica nel IV secolo a.c., prima di essere conquistata dai Romani, che ne apprezzarono e utilizzarono il porto. La cittadina venne distrutta dagli Arabi nell’827 d.C.
     Quello che resta della città greca riveste grande interesse archeologico e testimonia la vastità dell’antico sito. In particolare, sono rimaste tombe arcaiche (risalenti al settimo secolo a.C.) e ruderi di un tempio dedicato a Minerva. Lungo il fiume Ippari si può riconoscere il tracciato dell’antico porto canale. La città è ancora riconoscibile nella sua area originaria dai resti di case e di pavimentazioni.
    Nel vicino bosco di Passo Marinaro si trovano ancora le tombe di una necropoli classica nel V o IV secolo a.C.: sono state esplorate circa 1000 tombe, che hanno dato abbondanti testimonianze dei riti funerari e dei tipi di sepoltura. Molti dei resti rinvenuti nel sito si trovano nell’ampia sala del museo interamente dedicata alla necropoli: in essa sono esposti, infatti, vari corredi funerari risalenti al V-IV secolo a.C., crateri a campana a fondo rosso con figure nere, lucerne, coppe, ciotole, e altri pregevoli corredi ceramici attici. La sala contiene anche una sepoltura a ‘cappuccina’ con corredo, un’epigrafe funeraria della città africana di Ippona e tegole con timbri, un’ara ed alcuni plastici ricostruttivi di una fattoria greca e di tutto il sito archeologico.
   Si deve a Paolo Orsi l’inizio degli scavi e la ricognizione completa del sito di Kamarina: l’illustre archeologo vi lavorò dal 1896 al 1911, fornendo abbondante materiale archeologico che si trova soprattutto al Museo di Siracusa.
    Domenico Buzzone, direttore del Parco archeologico di Kamarina ha dichiarato che, con la riapertura del museo, è in cantiere un progetto complessivo di rilancio dell’intera zona archeologica: “Il nostro progetto di rilancio e di riqualificazione dell’area prevede anche la realizzazione di una foresteria dove studiosi e archeologi di tutto il mondo, che si spera vengano qui a scavare e studiare, possano poi alloggiare e dormire. L’auspicio è che Kamarina – come in passato – torni a essere una ‘polis’ aperta, un importante e accogliente centro culturale.”
Maria D’Asaro, 21.8.22, il Punto Quotidiano

domenica 14 agosto 2022

"Ninfee nere": un giallo per l'estate nel paese di Monet

    Palermo - Chi è in vacanza e vuole leggere un libro che lo aiuti a distrarsi e a staccare per qualche tempo la spina anche dal presente, così opprimente e preoccupante, può mettere nello zaino il giallo Ninfee nere del francese Michel Bussi (E/O, Roma, 2021), tradotto da Alberto Bracci Testasecca.
    Suggerito alla scrivente da un blogger amico, il libro si è rivelato all’altezza di quanto promesso in quarta di copertina: un romanzo che “attraversando il magico mondo dei quadri di Monet, ci porta dentro un labirinto di specchi in cui sta al lettore distinguere il vero dal falso”.
    Ninfee nere ha in comune con Cambiare l’acqua ai fiori dell’autrice Valerie Perrin la trama intrigante, l’ambientazione nella provincia francese e il successo di pubblico. Ma, rispetto al testo della Perrin - più crepuscolare e introspettivo - il romanzo di Bussi è un vero e proprio giallo, con una storia quindi ancora più avvincente e ricca di suspence, che cattura con maestria anche il lettore più scaltrito ed esigente.
   “Tre donne vivevano in un paesino. La prima era cattiva, la seconda bugiarda e la terza egoista”: questo il fascinoso incipit della storia. Che continua: “Il paese aveva un grazioso nome da giardino: Giverny.” 
     Giverny deve la sua notorietà al celebre pittore impressionista Claude Monet che, a fine Ottocento, lo scelse come sua dimora perché, a suo parere, in quel luogo «la luce era unica: non si trova uguale in nessun'altra parte del mondo». In seguito, sfruttando la tranquilla confluenza del fiume Epte nel territorio di Giverny, il pittore creò nel proprio giardino un piccolo stagno «che delizia gli occhi» e offriva buoni «soggetti da dipingere». Lo specchio d'acqua, sovrastato da un suggestivo ponte color verde brillante di chiara ispirazione giapponese, fu poi popolato da tante specie di fiori. In quel paradiso vegetale e acquatico, regnavano delicate ninfee. 
     Nel romanzo, ambientato nell’oggi, la quiete magica del paesino della Normandia è rotta da alcuni misteriosi omicidi - legati in qualche modo alla pittura e ai quadri di Monet – dei quali l’ispettore Laurenç Serenac e il suo vice Sylvio Benavides cercano movente e responsabili.
    I lettori rimangono incollati al lavoro degli investigatori, attratti da una storia che possiede tutti gli ingredienti necessari per coinvolgere chi legge: delitti efferati, desiderio, passioni da realizzare, voglia di cambiamento… Il tutto servito con dialoghi scorrevoli e introspezioni e descrizioni altrettanto efficaci.
   La narrazione procede quasi per ‘quadretti’ espressivi, per scene che si susseguono l’una all’altra, tanto che dal testo si potrebbe agevolmente ricavare un film.
   Il genio pittorico di Claude Monet aleggia dalla prima all’ultima pagina del giallo, donando al romanzo colore, collante e prospettiva. Bussi ci regala anche una retrospettiva sull’impressionismo, quasi una lezione di storia dell’Arte, attraverso le notizie fornite a Benavides dal Direttore del Museo di Rouen. Il direttore rivela che gli specialisti hanno censito non meno di 272 Ninfee dipinte da Monet e che “negli ultimi ventisette anni di vita Claude Monet non ha dipinto altro che il suo stagno di ninfee! Gradualmente eliminerà tutta la scenografia intorno, il ponte giapponese, i rami di salice, il cielo, per concentrarsi unicamente sulle foglie, l’acqua e la luce.” “Le più grandi Ninfee sono esposte al museo dell’Orangerie, la Cappella Sistina dell’Impressionismo, donati da Monet allo stato francese in onore dell’armistizio del 1918”.
Mi fermo qui perché, trattandosi di un giallo, c’è il rischio di ‘spoilerare’.
   Buona lettura allora, in compagnia di un testo scritto generalmente in terza persona, che si trasforma però in prima persona quando a osservare e ad agire è una delle tre donne dell’incipit, una vecchia di ottantaquattro anni, che si descrive così: “Ho un viso grinzoso, rugoso, freddo. Morto. Mi metto una grossa sciarpa nera sui capelli raccolti. Quasi uno chador. Qui le vecchie sono condannate al velo, nessuno vuole vederle. È così. Persino a Giverny. Soprattutto a Giverny, il paese della luce e dei colori. Le anziane sono condannate all’ombra, al nero, alla notte. Inutili. Invisibili. Passano. Le si dimentica.”
   Ma la vecchia di Giverny, che abita nel mulino delle Chennevières, il più bell’edificio dalle parti del giardino di Monet, noi lettori di Ninfee nere non la dimenticheremo…

Maria D'Asaro, 14.8.22,  il Punto Quotidiano

La casa di Monet a Giverny


giovedì 11 agosto 2022

11 agosto 1982/2022: caro dottore Giaccone, non ti dimentichiamo...

Milly con il padre, professore Paolo Giaccone,
foto del 5.8.82
      “Dovevo esserci anch'io quel mattino. Ogni giorno insieme da casa all'Ospedale, verso il nostro lavoro così diverso eppure uguale negli intenti: tu Professore con i tuoi studi, il tuo laboratorio, con le tue analisi, ed io studentessa in Medicina. Io non c'ero. Meno male? Per quello che ho passato in questi anni direi che sarebbe stato meglio finirla quel caldo giorno accanto a te, insieme come eravamo vissuti. Ma se guardo gli occhi profondi dei miei figli dico che, forse, è giusto che abbia passato la soglia del dolore, che l'ansia e l'angoscia mi abbiano rapita la vita per lungo tempo. Non esiste controprova, comunque. Ho sempre cercato di immaginare quello che era accaduto nel vialetto alberato, tra le auto posteggiate e sull'asfalto caldo che accolse il tuo corpo. Quei due che attendevano il tuo arrivo ... il "palo" fuori dall'Ospedale dentro una 126. Le otto e un quarto. Posteggi l'auto, ti avvii al tuo giorno ... ti avvicinano, forse ti chiamano, e sparano con due pistole ... due proiettili alla tua sinistra ... cadi su quel lato e ... dopo ... un altro colpo alla tua destra. Crolli sull'asfalto e con te cade il tuo mondo, il nostro mondo. E' tutto finito. Gli assassini fuggono, scavalcano il muro di cinta dell'Ospedale ... vengono visti su una potente moto, uno di loro ha una smorfia di riso sulle labbra. Al primo uomo che ti soccorre, qualcuno con un camice bianco dice: "E' il Professore Giaccone". Poi gli assassini vanno ancora ad ammazzare. E' tutto qui il tuo giorno di morte. Essere stata assente in quel momento... è stato il mio incubo. Quando ti hanno ricomposto nella bara, dicendomi (per pietà) che non avevi subito autopsia, ti ho guardato, gridando col pensiero: "Basta! Non scherzare più!" E il freddo mi avvolge...Mi chino per baciarti la fronte, ed il freddo mi avvolge le membra, il cuore, il cervello e la vita... La sensazione del dolore la provai in quel momento: è freddo, il dolore, avvolgente... Come un ragno che trattiene l'insetto nella ragnatela, così il dolore ha avvolto il mio animo. Da quel momento ho capito che non eri più accanto a me...”  (da qui)  

11 agosto 1982.  Al Policlinico di Palermo viene ucciso il docente universitario e medico legale Paolo Giaccone. Non aveva accolto la richiesta di modificare una perizia che incolpava Giuseppe Marchese, nipote del capomafia Filippo, degli omicidi avvenuti a Bagheria, nei pressi di Palermo, il 25 dicembre del 1981. Vittima innocente della strage, voluta dai corleonesi per affermare il loro dominio, Onofrio Valvola. Grazie alla perizia di Giaccone Marchese fu condannato all'ergastolo.
Per l'assassino di Giaccone sono stati condannati Filippo Marchese come mandante e Salvatore Rotolo come esecutore. Successivamente sono stati condannati i componenti della cupola di Cosa nostra.
Nel libro di Anna Puglisi, "Storie di donne", la figlia Camilla ha ricostruito la vita del padre, la sua serietà professionale, il netto rifiuto di ogni forma di compromesso. Il Policlinico di Palermo porta il suo nome.    #nomafia #nomafiamemorial

(Ho ricordato il professore Giaccone qui e qui).

domenica 7 agosto 2022

Le Saline di Trapani, a passeggio nella natura

       Palermo – Le Saline di Trapani e Paceco fanno parte di un’area naturale protetta che si estende per quasi 1000 ettari nel territorio degli omonimi comuni. La Riserva, istituita nel 1995 e gestita dal WWF Italia, ha un elevato valore paesaggistico, architettonico ed etno-antropologico e costituisce un’oasi preziosa di biodiversità di flora e fauna, con circa 470 piante diverse e 270 specie di uccelli.
      L’ambiente tipicamente salmastro delle saline ospita infatti numerose specie erbacee e arbustive che si sono via via adattate alle condizioni naturali dell’area. 
     In particolare, lungo gli argini delle vasche di sale prosperano diverse specie di Chenopodiaceae, tra cui la salicornia strobilacea e quella amplessicaule, piccole piante perenni, legnose con rami erbacei sino alla base, piante presenti solo in pochi altri luoghi della Sicilia e della Sardegna
    Altre specie particolari sono il fiorrancio marittimo,  nella zona costiera tra le isole dello Stagnone di Marsale e il Monte Cofano, l'enula marina, il Limonio delle saline e altri tipi di Limonium, l'euforbia delle Baleari. 
   Il sito rappresenta altresì una delle più importanti aree umide costiere della Sicilia occidentale, ed è sia ambiente di sosta di numerose specie di uccelli migratori verso l’Africa sia ‘casa’ stabile per uccelli stanziali: l’avocetta, una delle numerose specie di uccelli nidificanti nell’area protetta, è diventata l’uccello simbolo della riserva. Tra gli altri numerosi uccelli, presenti il fenicottero, la spatola, l’airone bianco maggiore, la garzetta, il tarabuso, il gabbiano roseo, il martin pescatore, il falco di palude, il cavaliere d’Italia.
    L’area si caratterizza anche per la presenza di insetti rari e, nelle pozze salmastre, di un piccolo crostaceo, l’Artemia salina, che si adatta a condizioni di vita estreme.
Gran parte della Riserva è costituita da saline di proprietà privata - estese sino alle isole dello Stagnone - in cui viene tuttora praticata l'estrazione del sale secondo le tecniche tradizionali in uso da secoli.
    Di origine fenicia, la presenza delle saline è documentata già in epoca normanna. Dopo l’Unità d’Italia, nel 1861, le saline del trapanese furono le uniche a non essere nazionalizzate e continuarono a esportare in proprio il sale in diversi Paesi.
     Ma, negli anni ’50 del secolo scorso, molte furono dismesse o abbandonate, poiché non reggevano la concorrenza delle saline industrializzate di Cagliari, di Santa Margherita in Puglia e del salgemma. 
    La ripresa delle attività produttive e della lavorazione del sale si ebbe proprio con l'istituzione della Riserva, a cui fecero seguito la realizzazione di interventi di restauro e recupero degli impianti abbandonati e un Regolamento speciale che ha permesso di "esercitare la salicoltura nelle aree tradizionalmente a ciò destinate e l'attività di acquacoltura di parte delle saline".
    Nel 2011 il sale marino trapanese, già inserito nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali siciliani riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ha anche ottenuto il riconoscimento dell'IGP - Indicazione Geografica protetta - con la denominazione "Sale marino di Trapani". Nello stesso anno, con decreto del Ministero dell'ambiente, le saline di Trapani hanno ottenuto l'inserimento nell'elenco delle zone umide di importanza internazionale, previsto nel 1971 dalla Convenzione di Ramsar. 
    Dal 1995 - anno di istituzione della Riserva - la produzione del sale è in costante aumento: è passata infatti da 50.000 a circa 80.000 tonnellate all’anno, ed è in corso di realizzazione anche una nuova salina.
   “Quello del salinaro è un lavoro faticoso, che richiede molta dedizione – ha detto il ‘salinaro’ Marco Culcasi a Enrica Maio, TG3 regionale siciliano – ma io sono felice così. Questo è il posto del mio cuore. Qui mi trovo benissimo, a contatto con la natura”. La passione per il lavoro di salinaro è confermata dal padre Giovanni, che aggiunge: “Si è diplomato, ma nonostante le insistenze mie e di mia moglie non ha voluto continuare l’università perché la sua testa, il suo cuore, la sua passione sono qui”.
   I salinari camminano per chilometri nella riserva e controllano dai muretti, il colore del sale nelle vasche, colore che, in questo periodo dell’anno, è rosa.
   Nelle isole dello Stagnone è iniziata in questo mese la raccolta a mano in notturna del sale: si comincia al tramonto e si finisce verso mezzanotte: attività che i visitatori potranno ammirare sino a fine settembre.
     Di notevole impatto paesaggistico nella Riserva anche la presenza di numerosi mulini a vento, che in origine erano di diversi tipi: c’erano quelli utilizzati per pompare l'acqua tra i bacini, quelli per il sollevamento dell'acqua e infine quelli per la macinatura dei cristalli di sale. Ora sono tutti dismessi e nella Riserva fa tutto il vento che soffia costantemente e prosciuga l’acqua del mare nelle vasche.
   In estate, in uno di questi antichi mulini, il Mulino Maria Stella, in frazione Nubia, lungo la strada provinciale Trapani-Marsala, è aperto un centro di accoglienza per i visitatori.
Meritano un viaggio questi luoghi speciali, composti da elementi primordiali e preziosi come mare, cielo e distese di sale. Qui lavoro e turismo si sposano con la tutela di ambienti naturali di rara bellezza.

Maria D'Asaro, 7.08.22, il Punto Quotidiano