venerdì 30 ottobre 2020

La luna bambina

E adesso a chi la diamo
questa luna bambina
che vola in un “amen”
dal Polo Nord alla Cina?

Se la diamo a un generale,
povera luna trottola,
la vorrà sparare
come una pallottola.

Se la diamo a un avaro
corre a metterla in banca:
non la vediamo più
nè rossa nè bianca.

Se la diamo a un calciatore,
la luna pallone,
vorrà una paga lunare:
ogni calcio un trilione.

Il meglio da fare
è di darla ai bambini,
che non si fanno pagare
a giocare coi palloncini:

se ci salgono a cavalcioni
chissà che festa;
se la luna va in fretta,
non gli gira la testa,

anzi la sproneranno
la bella luna a dondolo,
lanciando grida di gioia
dall’uno all’altro mondo.

Della luna ippogrifo
reggendo le briglie,
faranno il giro del cielo
a caccia di meraviglie.

La luna al guinzaglio



Con te la luna è buona,
mia savia bambina:
se cammini, cammina
e se ti fermi tu
si ferma anche la luna
ubbidiente lassù.

È un piccolo cane bianco
che tu tieni al guinzaglio,
è un docile palloncino
che tieni per il filo:
andando a dormire
lo leghi al cuscino,
la luna tutta notte
sta appesa sul tuo lettino.


Gianni Rodari: Filastrocche in cielo e in terra

mercoledì 28 ottobre 2020

Nel parco


– Ehi! – si stupisce il ragazzino –
– e chi è questa signora?

– È il monumento alla Misericordia,
o a qualcosa di simile –
gli risponde la mamma.

– Ma perché questa signora
è così ma... ma... ma... malridotta?

– Non lo so, da quando ricordo
è sempre stata così.
Il Comune dovrebbe decidersi a provvedere.
O disfarsene, o restaurarla.
Su, dai, andiamo.

 


Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere - Tutte le poesie,
traduzione di Pietro Marchesani, Adelphi, Milano 2009, pag. 599

 


domenica 25 ottobre 2020

La fantasia in cattedra, grazie Gianni Rodari

       Palermo - “Signor maestro, che le salta in mente? Questo problema è un’astruseria, non ci si capisce niente: trovate il perimetro dell’allegria, la superficie della libertà, il volume della felicità. Quest’altro poi è un po’ troppo difficile per noi: quanto pesa una corsa in mezzo ai prati? Saremo certo bocciati”. Ma il maestro che ci vede sconsolati: “Son semplici problemi di stagione. Durante le vacanze troverete la soluzione”. In questa filastrocca si riconosce la firma inconfondibile di Gianni Rodari: scrittore, pedagogista, giornalista e poeta, ma innanzitutto maestro speciale, verso il quale milioni di scolari, genitori ed educatori hanno un perenne debito di gratitudine. 
       Gianni Rodari, oltre che autore di centinaia di pubblicazioni per bambini e ragazzi, è stato l’ideatore di quella “Grammatica della Fantasia” che ha reso le lezioni scolastiche più allegre e divertenti, ma non per questo meno fruttuose ed efficaci. Dalle parole di Rodari - nella prefazione della prima edizione dell’opera pubblicata nel 1973 - ecco la genesi di questa “grammatica” così creativa e originale: “Nell'inverno 1937-38 […], venni assunto per insegnare l'italiano ai bambini in casa di ebrei tedeschi […]. Fu un bel periodo, finché durò. Imparai un po' di tedesco e mi buttai sui libri di quella lingua con la passione, il disordine e la voluttà che fruttano a chi studia cento volte più che cento anni di scuola. Un giorno, nei "Frammenti" di Novalis (1772-1801), trovai quello che dice: «Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare».  […] Pochi mesi dopo, avendo incontrato i surrealisti francesi, credetti di aver trovato nel loro modo di lavorare la «Fantastica» di cui andava in cerca Novalis. […] Io allora, ripartiti i miei ebrei in cerca di un'altra patria, insegnavo nelle scuole elementari. Dovevo essere un pessimo maestro, mal preparato al suo lavoro e avevo in mente di tutto […] fuorché la scuola. Forse, però, non sono stato un maestro noioso. Raccontavo ai bambini, un po' per simpatia un po' per la voglia di giocare, storie senza il minimo riferimento alla realtà né al buonsenso, che inventavo servendomi delle «tecniche» promosse e insieme deprecate da Breton. Fu in quel tempo che intitolai pomposamente un modesto scartafaccio "Quaderno di Fantastica"[…]. Il libretto che presento ora […] non rappresenta né il tentativo di fondare una «Fantastica» in tutta regola, pronta per essere insegnata e studiata nelle scuole come la geometria, né una teoria completa dell'immaginazione e dell'invenzione, per la quale ci vorrebbero ben altri muscoli e qualcuno meno ignorante di me. Non è nemmeno un «saggio». Non so bene che cosa sia, in effetti. Vi si parla di alcuni modi di inventare storie per bambini e di aiutare i bambini a inventarsi da soli le loro storie: ma chi sa quanti altri modi si potrebbero trovare e descrivere. […]. Io spero che il libretto possa essere ugualmente utile a chi crede nella necessità che l'immaginazione abbia il suo posto nell'educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola. […].”
     Oltre che maestro, studioso di pedagogia e scrittore, Rodari fu anche giornalista appassionato e fecondo: tra le sue collaborazioni, quella con “L’Unità”, dove curò la rubrica “La domenica dei piccoli”; con “Paese Sera”, come inviato speciale; quella con la RAI, come autore del programma televisivo per l'infanzia “Giocagiò”. Il Rodari giornalista e scrittore impegnato fondò anche periodici per ragazzi, come “Pioniere”, fu consulente della casa editrice Giulio Einaudi, direttore del “Giornale dei genitori” e diede origine, assieme all’ex partigiana a giornalista Marisa Musu, all’associazione “Coordinamento Genitori Democratici”, impegnata a promuovere i valori di una scuola antifascista, laica e democratica.
Molte sue poesie poi, già negli anni ’70, furono messe in musica da cantautori italiani: ricordiamo la celeberrima “Per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero … per fare il tavolo ci vuole un fiore…” cantata da Sergio Endrigo; le sue opere furono tradotte in varie lingue e apprezzate in molti paesi stranieri. Negli anni ’60 e ’70, periodo in cui infuriava la guerra fredda tra le due superpotenze USA e URSS, nelle sue composizioni Rodari sottolineò sempre l’assurdità della guerra: “Ci sono cose da fare ogni giorno: lavarsi, studiare, giocare, preparare la tavola, a mezzogiorno. Ci sono cose da far di notte: chiudere gli occhi, dormire, avere sogni da sognare, orecchie per sentire. Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.
      A conferma del suo talento pedagogico e letterario, nel 1970 gli è stato conferito in Danimarca il premio Hans Christian Andersen, considerato una sorta di Premio Nobel della narrativa per l'infanzia. Tale premio letterario internazionale, istituito nel 1956, viene conferito ogni due anni come riconoscimento a un «contributo duraturo alla letteratura per l'infanzia e la gioventù» all’autore che si è distinto per la qualità letteraria ed estetica delle sue opere, per la capacità di considerare la prospettiva del bambino e l’abilità di stimolarne la fantasia e l’immaginazione. Sino ad oggi, Gianni Rodari è stato l’unico autore italiano a ricevere tale premio.
     E allora, nel centenario della nascita – Rodari nacque ad Omegna il 23 ottobre 1920 e morì a Roma nell’aprile del 1980 – lo salutiamo da quaggiù con stima e affetto, ricordando una sua filastrocca che, in questi tempi difficili, vuole donarci una virtù rara, la speranza: “Se io avessi una botteguccia, fatta di una sola stanza, vorrei mettermi a vendere sai cosa? La speranza. “Speranza a buon mercato!” Per un soldo ne darei ad un solo cliente, quanto basta per sei. E alla povera gente, che non ha da campare, darei tutta la mia speranza, senza fargliela pagare.

Maria D'Asaro, 25.10.2020, il Punto Quotidiano

sabato 24 ottobre 2020

La carica dei 101...

Cara zia Lillia, 
          ligi all’ultimo DPCM del 18 ottobre, oggi nipoti, pronipoti, pro-pronipotini e pro-pronipotine tutte - compresa la splendida Alma Rose, l’ultima sinora in ordine di arrivo – purtroppo non possiamo festeggiare insieme i tuoi 101 anni con la gioia e con l’affetto che meriti.
         Meno male che lo scorso anno il Covid 19 non c’era e abbiamo potuto organizzare in ogni dove – a casa tua, nella seconda ‘casa’: la parrocchia francescana di Sant’Antonino a Palermo, nel paese natio, Chiusa Sclafani - festeggiamenti adeguati al centesimo compleanno! Con tanto di benedizione del vescovo Lorefice e di papa Francesco! Il 24 ottobre dello scorso anno c’eravamo davvero tutti, comprese Anna Rita e Gabriella. E gli assenti erano presenti col cuore.
       Ci dispiace davvero non potere essere insieme ad abbracciarti. Ci consoliamo sperando di rifarci alla fine della pandemia… Pandemia che tu hai affrontato e affronti con la tua solita saggezza, con tanta pazienza e lungimiranza. Confinata a casa, come tutti, a marzo e aprile scorso, alla fine del lockdown primaverile, pur con la necessaria prudenza, la partecipazione alla messa è stata di nuovo quasi quotidiana. E non sono mancati i due mesi di villeggiatura a Chiusa Sclafani, in compagnia dell’impareggiabile zia Ninì, coccolata da Maria e Francesca
      Ora, mi raccomando, cara zia, tieniti forte: continua a sorridere, a leggere, a tenerti informata, ad ascoltare i TG (sebbene la zia Ninì brontoli per il volume elevato della televisione), a chiedere con premura notizie aggiornate dello stuolo di pronipotini/e, a curare le amate piantine, ad abbrustolire le mandorle nel tuo modo speciale, a dispensare insegnamenti e consigli (“attenzione alle correnti d’aria”… “copritevi che c’è freschetto”… “state attenti”…”forza: bisogna andare con coraggio”).
      E speriamo che tu possa ancora per tanto tempo continuare a darci lezioni di vita, all’insegna della tua fede incrollabile, della tua saggezza, del tuo perenne buonumore.
       Grazie di esserci, e un brindisi speciale ai 101 anni splendidamente portati.









mercoledì 21 ottobre 2020

I rapporti umani

        […] E adesso siamo veramente adulti, pensiamo, e ci sentiamo stupiti che essere adulti sia questo, non davvero tutto quello che da ragazzi avevamo creduto […]. Siamo adulti perché abbiamo alle spalle la presenza muta delle persone morte, a cui chiediamo un giudizio sul nostro comportamento attuale, a cui chiediamo perdono delle passate offese: vorremmo strappare dal nostro passato tante nostre parole crudeli, tanti gesti crudeli che abbiamo compiuto quando pure temevamo la morte ma non sapevamo, non avevamo capito com'era irreparabile, senza rimedio la morte: siamo adulti per tutte le mute risposte, per tutto il muto perdono dei morti che portiamo dentro di noi.
      Siamo adulti per quel breve momento che un giorno ci è toccato di vivere, quando abbiamo guardato come per l'ultima volta tutte le cose della terra, e abbiamo rinunciato a possederle, le abbiamo restituite alla volontà di Dio: e d'un tratto le cose della terra ci sono apparse al loro giusto posto sotto il cielo, e così anche gli esseri umani, e noi stessi sospesi a guardare dall'unico posto giusto che ci sia dato: esseri umani, cose e memorie, tutto ci è apparso al suo posto giusto sotto il cielo. In quel breve momento abbiamo trovato un equilibrio alla nostra vita oscillante: e ci sembra che potremo sempre ritrovare quel momento segreto, ricercare là le parole per il nostro mestiere, le nostre parole per il prossimo; guardare il prossimo con uno sguardo sempre giusto e libero, non lo sguardo timoroso o sprezzante di chi sempre si chiede, in presenza del prossimo, se sarà suo padrone o suo servo. Noi tutta la vita non abbiamo saputo essere che padroni o servi: ma in quel nostro momento segreto, in quel momento di pieno equilibrio, abbiamo saputo che non c'è vera padronanza né vera servitù sulla terra.
       Così adesso, tornando a quel nostro momento segreto, cercheremo negli altri se già è toccato loro di vivere un momento identico, o se ancora ne sono lontani: è questo che importa sapere. Nella vita d'un essere umano, è il momento più alto: ed è necessario che stiamo con gli altri tenendo gli occhi al momento più alto del loro destino.[…] 
      E la storia dei rapporti umani non è mai finita in noi: perché a poco a poco succede che ci diventano fin troppo facili, fin troppo naturali e spontanei i rapporti umani: così spontanei, così senza fatica che non sono più ricchezza, né scoperta, né scelta: sono solo abitudine e compiacimento, ubriacamento di naturalezza. Noi crediamo sempre di poter tornare a quel nostro momento segreto, di poter sempre attingerci giuste parole: ma non è vero che ci possiamo sempre tornare, tante volte i nostri sono falsi ritorni: accendiamo di falsa luce i nostri occhi, simuliamo sollecitudine e calore al prossimo e siamo in realtà di nuovo contratti, rannicchiati e gelati sul buio del nostro cuore. I rapporti umani si devono riscoprire e re-inventare ogni giorno. Ci dobbiamo sempre ricordare che ogni specie d'incontro col prossimo, è un'azione umana e dunque è sempre male o bene, verità o menzogna, carità o peccato.  
       Noi siamo ora così adulti, che i nostri figli adolescenti già prendono a guardarci con occhi di pietra: ne soffriamo, pur sapendo bene che cos'è quello sguardo: pur ricordando bene d'avere avuto un identico sguardo. Ne soffriamo e ci lamentiamo, bisbigliamo domande sospettose, pur sapendo ormai così bene come si svolge la lunga catena dei rapporti umani, la sua lunga parabola necessaria, tutta la lunga strada che ci tocca percorrere per arrivare ad avere un po’ di misericordia.

Natalia Ginzburg, dal libro “Le piccole virtù”: I rapporti umani 

domenica 18 ottobre 2020

"Cos'è la mafia?": come parlarne ai ragazzi

    Palermo – Oltre che su salute, socialità ed economia, la pandemia da Covid 19 sta causando effetti collaterali negativi, seppure meno visibili, in altri settori. A scuola, ad esempio, è necessario dare priorità a misure organizzative, di controllo igienico-sanitario e ai contenuti didattici ordinari, in sofferenza durante il lock-down. Così, nell’emergenza attuale, per molti docenti può risultare difficile occuparsi di educazione alla pace, alla nonviolenza, di educazione antimafia e alla legalità: temi cruciali per la formazione degli alunni e costitutivi per l’educazione civica, disciplina per fortuna quest’anno ‘resuscitata’. Nella speranza di poter tornare presto alla normale agenda educativa, per spiegare agli alunni dai dieci ai quattordici/quindici anni che cosa è la mafia e come è possibile contrastarla, ottimo ausilio è il libretto Cos’è la mafia? (Buk Buk Trapani, 2020, €12,90) di Adriana Saieva, che ha già dato prova del suo talento didattico-narrativo presentando in modo avvincente la figura di Peppino Impastato, nel testo “Tutti in campo”, insieme alla co-autrice Melania Federico.

    Cos’è la mafia? parla alla mente e al cuore dei ragazzi attraverso un linguaggio semplice e coinvolgente, ma non sciatto o banale. Adriana Saieva infatti - insegnante in una scuola primaria di Palermo e impegnata con competenza e passione civile nell’ambito del “No mafia Memorial” in progetti didattici per la scuola dell’infanzia e primaria - possiede una qualità non comune: sa coniugare il rigore e la chiarezza dei contenuti con un codice espressivo in grado di essere apprezzato da bambini e adolescenti. Il testo allora, oltre che per i docenti, costituisce un supporto prezioso da tenere nella ‘cassetta degli attrezzi’ per chi – genitore, formatore/responsabile di gruppi di adolescenti - si propone di veicolare, in modo ‘leggero’ ed efficace insieme, una proposta educativa antimafia.
       In questo libretto, alla larga da discorsi astrusi, complicati e noiosi, l’autrice riesce a far capire al suo giovane pubblico cosa è e come agisce “Cosa nostra” servendosi di un felice espediente narrativo. Racconta infatti uno scambio di e.mail tra due studentesse di terza media: Emma, torinese, ed Elena, palermitana, che alla fine della storia consolideranno l’amicizia on line con un affettuoso incontro in presenza a Palermo. Altro personaggio dell’intreccio è il fratello maggiore di Elena, Dino, che da grande vuole fare il magistrato. Dino è la voce narrante che risponde agli interrogativi e ai dubbi posti da Emma: Che cosa è la mafia e perché è così diffusa? Come si riconoscono i mafiosi? La mafia dà lavoro? Che cosa è il pizzo? Perché la mafia uccide?
      Elena sottolinea che “I mafiosi non si distinguono da tutti gli altri, non vestono in modo particolare e non ho idea se quelli che incontro lo siano oppure no”; mentre Dino scrive cosi ad Emma: “La mafia attecchisce dove c’è possibilità di fare soldi. L’organizzazione mafiosa è fatta da persone che hanno gli obiettivi di arricchirsi ed esercitare potere e per raggiungere questi scopi sono disposti a tutto: commettere reati, corrompere, usare la violenza, cercare complicità.” E aggiunge che “Nei decenni i mafiosi hanno fatto in modo da rendere credibili delle falsità bestiali: la mafia dà lavoro, protegge i deboli, garantisce protezione […] fandonie su fandonie!” A proposito del lavoro, se qualche volta il mafioso procura un lavoro a qualcuno è perché “I mafiosi hanno una rete di relazioni con individui corrotti e complici che, a loro volta, sono in debito con l’organizzazione criminale e devono restituire qualche favore ricevuto. […] Ma tutte le volte che viene dato un lavoro a qualcuno, attraverso strade illecite, lo si sta togliendo a qualche altra persona altrettanto bisognosa e meritevole […], ma talmente onesta da non scendere a compromessi, anche a costo di patire la fame”
      Dino continua poi a spiegare la realtà complessa di Cosa nostra parlando della corruzione, del pizzo, della violenza mafiosa che non ha esitato a uccidere barbaramente uomini come l’imprenditore Libero Grassi o il medico Paolo Giaccone, la cui unica colpa è stata quella di non piegarsi alle intimidazioni della criminalità. 
      Il testo propone anche ulteriori spunti educativi: fa riflettere sulla necessità di superare stereotipi sessisti (la torinese Emma è una calciatrice in erba), incoraggia a combattere la prepotenza e gli atteggiamenti da bullo dovunque si manifestino, invita ciascuno a sentirsi attore della propria vita, responsabile delle proprie azioni. Il libretto infine, oltre a essere colorato e impreziosito dalle belle illustrazioni di Roberta Santi, regala squarci sulle bellezze artistiche e paesaggistiche e sui sapori speciali di Palermo e della Sicilia tutta, a testimonianza di quanto l’autrice ami e apprezzi la terra in cui vive e lavora. E il lettore, teen-ager o meno che sia, si congeda dalla storia con il buon retrogusto della speranza di cui il libro è pervaso e con un nuovo appetito verso la responsabilità e l’impegno civile. 


Maria D'Asaro, 18.10.2020, il Punto Quotidiano

venerdì 16 ottobre 2020

Quello che deve starci a cuore...

       Quello che deve starci a cuore, nell'educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l'amore alla vita. […]
      E che cos'è la vocazione d'un essere umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita? Noi dobbiamo allora aspettare, accanto a lui, che la sua vocazione si svegli, e prenda corpo. Il suo atteggiamento può assomigliare a quello della talpa o della lucertola, che se ne sta immobile, fingendosi morta: ma in realtà fiuta e spia la traccia dell'insetto, sul quale si getterà con un balzo. Accanto a lui, ma in silenzio e un poco in disparte, noi dobbiamo aspettare lo scatto del suo spirito. 
      Non dobbiamo pretendere nulla: non dobbiamo chiedere o sperare che sia un genio, un artista, un eroe o un santo; eppure dobbiamo essere disposti a tutto; la nostra attesa e la nostra pazienza deve contenere la possibilità del più alto e del più modesto destino. […]
     Una vocazione è l'unica vera salute e ricchezza dell'uomo. Quali possibilità abbiamo noi di svegliare e stimolare, nei nostri figli, la nascita e lo sviluppo d'una vocazione? Non ne abbiamo molte: e tuttavia ne abbiamo forse qualcuna. La nascita e lo sviluppo d'una vocazione richiede spazio: spazio e silenzio: il libero silenzio dello spazio. Il rapporto che intercorre fra noi e i nostri figli, dev'essere uno scambio vivo di pensieri e di sentimenti, e tuttavia deve comprendere anche profonde zone di silenzio; dev'essere un rapporto intimo, e tuttavia non mescolarsi violentemente alla loro intimità; dev'essere un giusto equilibrio fra silenzio e parole. 
         Noi dobbiamo essere importanti, per i nostri figli, e tuttavia non troppo importanti: dobbiamo piacergli un poco, e tuttavia non piacergli troppo: perché non gli salti in testa di diventare identici a noi, di copiarci nel mestiere che facciamo, di cercare, nei compagni che si scelgono per la vita, la nostra immagine. […]
   E dobbiamo essere là per soccorso, se un soccorso sia necessario; essi debbono sapere che non ci appartengono, ma noi sì apparteniamo a loro, sempre disponibili, presenti nella stanza vicina, pronti a rispondere come sappiamo ad ogni interrogazione possibile, ad ogni richiesta. 
     E se abbiamo una vocazione noi stessi, se non l'abbiamo tradita, se abbiamo continuato attraverso gli anni ad amarla, a servirla con passione, possiamo tener lontano dal nostro cuore, nell'amore che portiamo ai nostri figli, il senso della proprietà. 
      Se invece una vocazione non l'abbiamo, o se l'abbiamo abbandonata e tradita, per cinismo o per paura di vivere, o per un malinteso amor paterno, o per qualche piccola virtù che si è installata in noi, allora ci aggrappiamo ai nostri figli come un naufrago al tronco dell'albero, pretendiamo vivacemente da loro che ci restituiscano tutto quanto gli abbiamo dato, che siano assolutamente e senza scampo quali noi li vogliamo, che ottengano dalla vita tutto quanto a noi è mancato; finiamo col chiedere a loro tutto quanto può darci soltanto la nostra vocazione stessa: vogliamo che siano in tutto opera nostra, come se, per averli una volta procreati, potessimo continuare a procrearli lungo la vita intera. Vogliamo che siano in tutto opera nostra, come se si trattasse non di esseri umani, ma di opera dello spirito. 
      Ma se abbiamo noi stessi una vocazione, se non l'abbiamo rinnegata e tradita, allora possiamo lasciarli germogliare quietamente fuori di noi, circondati dell'ombra e dello spazio che richiede il germoglio d'una vocazione, il germoglio d'un essere. Questa è forse l'unica reale possibilità che abbiamo di riuscir loro di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l'amore alla vita genera amore alla vita.

Natalia Ginzburg: dal libro “Le piccole virtù”.


mercoledì 14 ottobre 2020

La mafia spiegata ai ragazzi...

         E’ stato presentato oggi a Palermo, nello spazio inter-etnico “Moltivolti, il libro di Adriana Saieva, illustrato da Roberta Santi:  Cos’è la mafia? Tre giovani in cerca di risposte (Edizioni Buk Buk, Trapani 2020, pp. 112, euro 12,90)

Con l’autrice hanno dialogato Anna Bucca e Fausto Melluso (ARCI - Palermo)

Fausto Melluso: “Uno dei tanti pregi di questo testo è che si rivolge a un target chiaro: ragazzini e adolescenti […] Prendiamo atto purtroppo che non siamo ancora riusciti in questa città a costruire una coscienza civica che vada oltre il tabù della mafia. Questo libretto didattico, col suo felice escamotage narrativo, è capace di fornire alle agenzie educative gli strumenti per collegare l’impegno antimafia all’educazione alla cittadinanza attiva.

Anna Bucca: “Sono contenta di presentare questo libro in un territorio dove l’ARCI vuole essere presente con gli strumenti della cultura e dell’intercultura. Ogni lavoro educativo e associativo o si radica in un territorio o non va da nessuna parte …

Cos’è la mafia è un percorso di educazione alla cittadinanza a tutto tondo, che smonta con gentilezza pregiudizi e atteggiamenti sbagliati; un testo capace di spiegare contenuti seri e importanti utilizzando il linguaggio degli adolescenti. Attraverso il vissuto quotidiano di alcuni ragazzi si offrono contenuti importanti con intelligenza e grazia”.

(Tra qualche giorno, la mia recensione)





lunedì 12 ottobre 2020

Scheletro di dinosauro



     Ha battuto ogni record, lo scheletro di Stan - 188 ossa, altezza 12 metri, lunghezza 4 metri, coda compresa - un Tyrannosaurus Rex vissuto sulla terra 66 milioni di anni fa.
     Il suo scheletro quasi perfetto è stato venduto per 31,8 milioni di dollari a un'asta da Christie' s, a New York, il 6 ottobre scorso. Sinora nessun fossile di dinosauro è arrivato a valere tanto.






Scheletro di dinosauro

Diletti Fratelli,
ecco un esempio di proporzioni sbagliate:
di fronte a noi si erge uno scheletro di dinosauro -

Cari Amici,
a sinistra la coda verso un infinito,
a destra il collo verso un altro -

Egregi Compagni,
nel mezzo quattro zampe che affondarono nella melma
sotto il dosso del tronco -

Gentili Cittadini,
la natura non sbaglia, ma ama gli scherzi:
vogliate notare questa ridicola testolina -

Signore, Signori,
una testolina così nulla poteva prevedere,
e per questo è la testolina di un rettile estinto -

Rispettabili Convenuti,
un cervello troppo piccolo, un appetito troppo grande,
più stupido sonno che assennato timore -

Illustri Ospiti,
in questo senso noi siamo assai più in forma,
la vita è bella e la terra ci appartiene -

Esimi Delegati,
il cielo stellato sopra la canna pensante,
la legge morale dentro di lei -

Onorevole Commissione.
è andata bene una volta
e forse soltanto sotto quest'unico sole -

Altissimo Consiglio,
che mani abili,
che labbra eloquenti,
quanta testa sulle spalle -

Suprema Corte,
che responsabilità al posto di una coda –


Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere – Traduzione di Pietro Marchesani

domenica 11 ottobre 2020

Dalla Sicilia la sfida del Giro al Covid 19

  Palermo – Il 103° Giro d’Italia, programmato per il 9 maggio e poi rimandato a causa del Covid-19, ha preso il via sabato 3 ottobre dalla Sicilia, con la prima tappa a cronometro da Monreale a Palermo.  
      Il percorso di 15,1 km - caratterizzato dal passaggio vicino ai capolavori siciliani dell’arte arabo-normanna, dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità – si è concluso in viale della Libertà a Palermo, con la vittoria del piemontese Filippo Ganna, prima maglia rosa del Giro, che ha tagliato il traguardo in 15 minuti e 24 secondi. La tappa, (continua su: il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 11.10.2020, il Punto Quotidiano

venerdì 9 ottobre 2020

La mascherina è donna. E i Nobel pure...

Louise Glück
          Dal limitato punto di osservazione di chi scrive – un quartiere periferico del capoluogo siciliano – parrebbe che l’obbligo di usare la mascherina anche all’esterno sia rispettato molto più dalle donne che dagli uomini.
      Oltre che essere diligenti nel salvaguardare la salute propria e altrui, alcune donne si sono rivelate particolarmente brave nello studio della chimica, della fisica e nel comporre poesie. 
       Il premio Nobel per la letteratura 2020 è andato a Louise Glück, poetessa e saggista americana, per "la sua inconfondibile voce poetica, che con austera bellezza rende l'esistenza individuale esperienza universale", come si legge nelle motivazioni rese pubbliche dall'Accademia di Svezia.

Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna


       Il Nobel per la Chimica 2020 è stato assegnato alla statunitense  Jennifer Anne Doudna e alla francese Emmanuelle Marie Charpentier  che, in ricerche comuni, hanno ottenuto  ottimi risultati "per lo sviluppo di un metodo per l'editing del genoma".



Andrea Ghez
  
         Il Nobel per la Fisica 2020 oltre che a Roger Penrose, University of Oxford, Uk “per avere scoperto che la formazione dei buchi neri è una robusta previsione della teoria generale della relatività”; è stato infatti conferito a Reinhard Genzel, Max Planck Institute per la Fisica spaziale, Garching, Germania e University of California, Berkeley, Usa, e alla professoressa Andrea Ghez, University of California, Los Angeles, Usa “per la scoperta di un oggetto compatto super-massiccio al centro della nostra galassia”.

mercoledì 7 ottobre 2020

Non so se tutti hanno capito, Ottobre, la tua grande bellezza...


 








“Non so se tutti hanno capito, Ottobre, la tua grande bellezza:
Nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza, prepari mosto e ebbrezza...
Lungo i miei monti, come uccelli tristi fuggono nubi pazze,
Lungo i miei monti colorati in rame fumano nubi basse, fumano nubi basse...

O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
Diverso tutti gli anni, e tutti gli anni uguale,
La mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare...”

Francesco Guccini,  da “La canzone dei dodici mesi”


domenica 4 ottobre 2020

Ce la facciamo a salvare il mondo prima di cena?

        Palermo – Se si vuole continuare a cenare tranquilli, senza troppi pensieri, il libro di Jonathan Safran Foer Possiamo salvare il mondo prima di cena (Guanda, Milano, 2019, €18; tradotto da Irene A.Piccinini) è meglio non leggerlo, né prima né dopo cena. 
       Il testo infatti - che segue Se niente importa, saggio dello stesso autore sulle scelte alimentari - propone un legame significativo tra ciò che mangiamo e crisi ambientale. Dice Foer: Questo libro non offre una spiegazione esaustiva sui cambiamenti climatici e non propone di eliminare in modo categorico dall’alimentazione i prodotti di origine animale”. Ma: “Dobbiamo rinunciare ad alcune abitudini alimentari oppure rinunciare al pianeta. La scelta è questa, netta e drammatica”. I nessi significativi tra alimentazione e crisi climatica, l’autore li snocciola in 25 pagine (da pagina 89 a 114) che forniscono dati e suggerimenti per evitare la morìa suprema, o sesta estinzione di massa, già posta in essere dall’Antropocene, la nostra epoca attuale caratterizzata dal predominio assoluto e nefasto sull’ecosistema delle attività produttive umane. Scrive Foer “Abbiamo concentrato la nostra attenzione sui combustibili fossili, ma questo ci ha fornito un quadro incompleto della crisi del pianeta”.  Infatti trascuriamo che: “Metano e protossido di azoto sono il secondo e terzo gas serra più presenti nell’atmosfera. L’allevamento animale è responsabile del 37% delle emissioni antropiche di protossido di azoto.” “L’umanità sfrutta il 59% di tutta la terra coltivabile per far crescere foraggio per il bestiame, il 60% di tutti i mammiferi presenti sulla Terra sono animali allevati a scopi alimentari”. E ancora: “Se le mucche fossero un paese, sarebbero terze in classifica per emissioni di gas serra dopo la Cina e gli Stati Uniti.” “Il bestiame è responsabile […] del 51% delle emissioni di CO2 globali annue”. Quindi: “Cambiare il nostro modo di mangiare non sarà sufficiente di per sé a salvare il pianeta, ma non possiamo salvare il pianeta senza cambiare il nostro modo di mangiare.”. 
     Tutto semplice dunque? Niente affatto. Purtroppo noi umani siamo inadeguati emotivamente ad affrontare quest’emergenza. Foer sottolinea che “Il nostro sistema d’allarme non è fatto per le minacce concettuali e continuiamo a vivere come se niente fosse.” Percepiamo infatti la crisi climatica astratta e lontana.  Così: “Continuiamo a sentire lo sforzo di salvare il nostro pianeta come una partita fuori casa di metà campionato”. Per avvalorare questa tesi, lo scrittore ripercorre l’incontro nel 1943 a Washington tra il partigiano polacco Jan Karski, e Felix Frankfurter, giudice della Corte Suprema americana, che non credette al resoconto dettagliato di Karski sulle atrocità naziste verso gli ebrei. Quindi le informazioni da sole non bastano per cambiare il corso degli eventi.
      Ecco che l’autore chiama in causa lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman, uno dei primi studiosi a capire che la nostra mente ha una modalità lenta (deliberativa) e una veloce (intuitiva): «Per mobilitare le persone, questa (la crisi climatica) deve diventare una questione emotiva». Quindi, incalza Foer: “Per mettere insieme la volontà necessaria ad affrontare la crisi del pianeta […] avremo bisogno di considerare la Terra come la nostra unica casa, non in senso figurato, non a livello intellettuale ma a livello viscerale.” “Non possiamo concettualizzare in modo adeguato la crisi ambientale finché non riconosciamo che ha la capacità di ucciderci.” 
       Foer ci mette in guardia anche da un’ulteriore trappola mentale, il tutto o niente: “Il modo migliore di sottrarsi a una scelta impegnativa è far finta che le opzioni siano solo due. Il contrario di mangiare molta carne, latticini e uova non è necessariamente essere vegani ma […] essere attenti alla frequenza con cui si mangiano prodotti di origine animale.”
      L’autore non nasconde comunque che è davvero difficile modificare le proprie abitudini alimentari, perché “Non mangiamo da soli. […] Mangiamo come famiglie, comunità, nazioni e sempre più come pianeta”. Mangiamo per soddisfare desideri primitivi, per plasmare ed esprimere noi stessi, per creare comunità. Mangiamo con la nostra bocca e con il nostro stomaco, ma anche con la nostra mente e con il nostro cuore. Tutte le nostre identità sono presenti quando mangiamo e lo stesso vale per la nostra storia.” Ciò nonostante: “Solo se gli individui prenderanno l’individualissima decisione di mangiare in modo diverso potremo contenere la distruzione ambientale”.
       Certo, Foer si interroga anche sul peso che hanno le azioni individuali all’interno di un sistema complesso come il nostro. E ricorre a un esempio concreto: “Nessun singolo automobilista è in grado di provocare un ingorgo. Ma un ingorgo non può verificarsi senza i singoli automobilisti.” Infatti: “A innescare i cambiamenti sociali, proprio come i cambiamenti climatici, sono una molteplicità di reazioni a catena simultanea”. “Sarà anche un mito neoliberista attribuire alle decisioni individuali il potere supremo, ma non attribuire alle decisioni individuali alcun potere è un mito disfattista.” “Per poter contribuire alla creazione del mondo, anziché alla sua distruzione, un individuo deve agire a beneficio della collettività. L’umanità fa i grandi passi quando gli individui fanno i piccoli passi.”
     Quasi in punta di piedi, infine, l’autore indica alcune ‘semplici’ azioni per contrastare il riscaldamento globale: ridurre lo spreco di cibo, ridurre l’uso di aereo e automobile, favorire l’istruzione femminile e la pianificazione familiare, passare collettivamente a un’alimentazione a prevalenza vegetale.
        E allora, sebbene difficile da “digerire”, il testo è una lettura obbligata per chi vuole fregiarsi del titolo di cittadino consapevole. Tra l’altro, si tratta di pagine assai coinvolgenti e ricche di concretezza descrittiva: i capitoli sono disposti a cerchi concentrici e alternano i dati scientifici a riflessioni sui comportamenti individuali e collettivi e a toccanti digressioni personali. La mente di chi legge non viaggerà comodamente su un’autostrada, ma si addentrerà in sentieri impervi che imporranno una sosta in luoghi strategici del panorama cognitivo ed emozionale. Si arriverà alla fine del percorso piuttosto provati, ma consapevoli di avere toccato una meta etica nuova, spiazzante e impegnativa. Foer ci lascia con alcune innegabili verità: “Non possiamo vivere la nostra vita come se fosse solo nostra”. “Salvare noi stessi richiederà un’azione collettiva, e agire collettivamente ci cambierà. […] Compiendo il passo necessario […] non salveremmo soltanto il nostro pianeta. Renderemmo noi stessi degni di essere salvati”. “Ci sono solo due reazioni al cambiamento climatico: rassegnazione o resistenza. Possiamo arrenderci alla morte o possiamo usare la prospettiva della morte per esaltare la vita.”

Noi da che parte vogliamo stare?

 Maria D'Asaro, 04.10.2020, il Punto Quotidiano

giovedì 1 ottobre 2020

Consolazione

Darwin.
Si dice che per rilassarsi leggesse romanzi.
Ma aveva le sue esigenze:
dovevano essere a lieto fine.
Se gliene capitava uno differente,
lo gettava con furia nel fuoco.

Vero o no che sia –
sono propensa a crederci.

Percorrendo con la mente tanti spazi e tempi
aveva visto così tante specie estinte,
tali trionfi dei forti sui più deboli,
così grandi sforzi di sopravvivenza,
prima o poi inani,
che almeno dalla finzione
e dalle sue semplificazioni
aveva diritto di aspettarsi l’happy end.

E quindi per forza: un raggio che sbuca dalle nuvole,
gli amanti di nuovo insieme, i casati riconciliati,
i dubbi dissipati, la fedeltà premiata,
i beni recuperati, i tesori dissotterrati,
i vicini pentiti del loro accanimento,
la reputazione resa, la cupidigia smascherata,
le vecchie zitelle maritate con pastori dabbene,
gli intriganti deportati nell’altro emisfero,
i falsari di documenti scaraventati dalle scale,
i seduttori di vergini di gran corsa all’altare,
gli orfani accolti in casa, le vedove consolate,
Wislawa Szymborska - dipinto di Pino Manzella
la boria umiliata, le ferite sanate,
il figliol prodigo invitato alla mensa,
il calice dell’amarezza vuotato in mare,
i fazzoletti intrisi di lacrime pacificate,
canto e musica per tutti,
e il cagnolino Fido,
smarrito già nel primo capitolo,
corra pure di nuovo per la casa
abbaiando gioioso.


Wislawa Szymborska: "La gioia di scrivere"
(traduzione di Pietro Marchesani)