Che Paolo avesse qualche problema, lo avevamo capito già in prima media. - Mara, guarda che c’è qualche cosa di oscuro, in questo ragazzo – mi dice il collega di matematica. Quando gli chiedo se ha capito la spiegazione, mi guarda e non dice niente. E poi la grafia è indecifrabile. – Sulla presunta “stranezza” di Paolo, d’accordo anche gli altri docenti.
La madre c’è, al primo ricevimento. Vaga, dolente, misteriosa, evasiva. I colleghi la invitano a parlare con me.
Mi sta seduta di fronte, in un giorno d’inverno. Per raggiungere Paolo, meta del nostro dialogo, la signora fa infiniti giri di danza. Parla soprattutto di sé: dei suoi studi lasciati a metà per non so quale ragione; della sua fatica, nell’accudire un marito e tre figli maschi; dell’incidente in cui stava perdendo il figlio di mezzo … Da questo triste puzzle scomposto, i contorni di Paolo emergono ancora sfocati. La signora mi dice che no, dislessico vero e proprio non è, l’ha detto anche l’Asl, quando in quarta, su invito delle maestre, l’”ha fatto vedere”.
Mi dice poi di madre e suocera, morte a distanza di un giorno l’una dall’altra: e che, quando lei e il marito erano ai funerali della suocera, la nonna materna alla cui cura Paolo era stato lasciato, le è morta d’infarto, davanti. Che il nonno a cui è tanto legato ha, da mesi, una grave forma di demenza senile. Me lo dice piangendo: ha bisogno di essere sorretta. Tento di essere il più accogliente e affettuosa possibile.
Le suggerisco comunque di farsi aiutare. E, soprattutto, di accompagnare Paolo in questo cammino difficile di elaborazione del lutto. Le dico di prendere di nuovo appuntamento con l’Asl: no, non per la dislessia, per la sofferenza che lei e Paolo si portano dentro.
La signora all’Asl ci va per davvero. Il ragazzo è preso in carico da una psicologa.
Adesso Paolo è in seconda. Quell’anno decido di fare un orto, a scuola: semino grano e fave, sedano, prezzemolo e lattughe. Sperando che il seme della cura attecchisca anche nell’anima dei miei alunni difficili.
Paolo è uno dei miei quindici ortolani. Ogni giovedì zappa, annaffia, deposita i rifiuti organici in compostiera. Mi sta sempre accanto. Anche in silenzio. A volte mi pare un cagnolino, con gli occhi azzurri, il pelo chiaro e delicate efelidi bionde.
Però a scuola Paolo va male. Non sa una parola di storia, di scienze, di tecnologia. Quasi tutti quattro, i voti nella pagella di aprile. A me piange il cuore: lo sprono a studiare. Lui dice di sì con la testa cuore, per farmi piacere. So però che la sua mente è persa in plaghe lontane.
Parlo con la docente di Lettere: - Maria, capisco che, con te accanto, al laboratorio lavora. Ma, credimi, Paolo non è in grado di fare la terza. Non gli fa male per niente ripetere l’anno. –
Ora, io ascolto ovviamente tutti i docenti. Confesso però che alcuni colleghi li ascolto ancora di più. Se quell’insegnante di Lettere mi dice che è meglio per Paolo rifare la seconda, vuol dire che è proprio così. Perché io, di quella collega, ho una stima infinita.
A questo punto non resta che fare lavoro di squadra: a Paolo la bocciatura bisogna fargliela accettare. E, prima di lui, farla accettare a sua madre.
Prima di tutto però mi consulto con la psicologa che lo “accompagna”. Le prospetto la cosa: la psicologa mi rassicura: secondo lei, la bocciatura non avrà effetti devastanti sul ragazzo. E lei farà in modo che Paolo la “digerisca”.
Più complesso e difficile parlare con la madre, che ripete: no, proprio no, la bocciatura non ci voleva.. perché Paolo è depresso.. perché anche un altro figlio sarebbe stato bocciato.. perché Paolo qualche cosa la sa..
Chiedo alla collega di Lettere se, alla madre di Paolo, possiamo parlare di nuovo. Tutte e due insieme.
Non è stato facile gestire la sua burrasca interiore: c’era una “Mater dolorosa”, provvista anche di artigli: - Non sapete che male fate a mio figlio … lui può recuperare, l’anno prossimo studierà molto di più … - E poi la stoccata finale: - Se succede qualcosa a Paolo, siete voi responsabili.-
La collega e io inghiottiamo il disagio e la sua sofferenza. Siamo certe che a Paolo non succederà niente di male. Le diciamo che è necessario un lavoro di squadra. Che la psicologa non è contraria alla bocciatura. Che la classe e i docenti che accoglieranno Paolo sono speciali.
La madre va via, con lo sguardo crucciato e il dito puntato a una qualche vendetta divina.
Nel frattempo, incontro Paolo: da solo. Paolo capisce. Mi pare decisamente meno turbato di sua madre.
Gli scrutini decretano la non ammissione. Programmiamo un altro incontro: Paolo, sua madre, il nuovo insegnante di Lettere. L’incontro mi fa finalmente intuire un poco di luce: la signora è un po’ più rassegnatamente serena, Paolo è più rilassato, il futuro insegnante di Lettere abbraccia il ragazzo con il suo tono di voce e con gli occhi.
Paolo ricomincia la seconda. Si inserisce benino con i nuovi compagni. Nel frattempo cambia case. Assenze su assenze. Ma il suo insegnante speciale lo traghetta in terza, con i nuovi compagni.
In terza è ormai cresciuto. Ormai è morto anche l’ultimo nonno. C’è, nei suoi occhi una nuova durezza: non sai se sono gli ormoni, se il prezzo della dura battaglia contro una depressione familiare, se il riflesso di situazioni difficili a casa.
Alla fine, è ammesso agli esami. Lo vedo, quando legge il verdetto degli scrutini: è raggiante.
Non ce l’avrei mai fatta, senza i miei valorosi colleghi. Non ce l’avremmo fatta, senza l’appoggio della psicologa onesta. Non ce l’avremmo mai fatta, se sua madre non avesse spuntato gli artigli e non ci avesse dato una mano. Non ce l’avrebbe mai fatta, Paolo, senza i due splendidi insegnanti di Lettere.
Qualche tempo fa, Paolo mi ha chiesto il contatto su Facebook. Gliel’ho affettuosamente negato: faccio così, con tutti gli alunni o ex alunni. Paolo ha incassato.
Mi ha augurato una buona estate. Che io possa divertirmi.
Divertiti anche tu, Paolo carissimo. Anche senza i tuoi nonni. Anche se mamma, papà e i tuoi fratelli sono ancora più incasinati di te. Che la vita sia dolce, con te.
Che ci pensi lei, a tenerti un poco la mano.