lunedì 27 aprile 2015

Dio perdona, la Natura no

Santa Barbara - California
     Nel 1969, a seguito del disastro ambientale vicino Santa Barbara in California, causato dalla fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oil, molti cittadini americani si mobilitarono a difesa della Terra. Così, il 22 aprile del 1970, sotto l’egida delle Nazioni Unite, si celebrava per la prima volta l’Earth day, la Giornata della Terra. Nel corso degli anni, la partecipazione all'Earth Day è cresciuta e ha superato il miliardo di persone, raggiungendo l’adesione di 175 Stati. Oggi la Giornata della Terra è divenuta anche un avvenimento educativo ed informativo; media e scuole lo utilizzano come occasione propizia per dibattere su alcuni nodi critici del pianeta: l'inquinamento di aria, acqua e suolo, la distruzione di interi ecosistemi e specie animali, l'esaurimento delle risorse non rinnovabili. A proposito della necessità di tutelare gli interessi del pianeta, ricordiamo il monito di papa Francesco: “Dio perdona sempre; gli uomini, a volte; la Natura mai”.
                                                                             Maria D’Asaro,  “Centonove” n. 16 del 23.4.2015


sabato 25 aprile 2015

Felicità e dintorni

     Questi non sono giorni del tutto felici per nostra Signora, per alcune ragioni di fondo di cui non è il caso parlare. Nostra Signora ha persino vergogna di questa sua pacata ipofelicità, perché ha davvero tanto di cui ringraziare: la salute e il lavoro, innanzitutto. Adesso le fa compagnia un libro prezioso, che legge a poco a poco, perché non finisca troppo presto. Il libro s’intitola Sulla felicità e dintorni.
Eccone, prima della recensione, alcune righe in assaggio:

Bisogna riscrivere la grammatica della relazione. Forse la cultura dell’altro è ormai al capolinea. Dobbiamo imboccare la strada che porta alla ‘cultura della relazione’. L’altro non è un puro ’fuori’ di me. In realtà io sono coinvolto sino in fondo nella dinamica della relazione. Non esiste un ‘altro’ difficile: esiste una relazione nella quale ‘io’ ho difficoltà. (…) ‘Ritornare alla relazione’ diventa il compito del terzo millennio. Non sarà facile, perché non si tratta di riprendere vecchie regole ma di riappropriarci del cuore e del mistero della nostra esistenza, che è sempre comunque co-esistenza. Ci viene chiesto il coraggio e l’audacia di consegnarci a una nuova danza, pur non conoscendone in anticipo il ritmo e i movimenti. Nella cultura della relazione l’altro è sempre l’’oltre’ che mi rimanda a mondi inesplorati della mia umanità. (…) La relazione si invera e si rigenera quando ogni partner lascia progressivamente i calzari del potere e della seduzione, della dipendenza e dell’accusa, per entrare in una terra a lui sconosciuta: “la terra di nessuno”, dove ci si riscopre – finalmente e unicamente – compagni di viaggio 
(pag.105/106: Giovanni Salonia Sulla felicità e dintorni, Il pozzo di Giacobbe, Trapani, 2011, € 16,00)

Qui, dallo stesso testo, una felice interpretazione del più amato dei burattini.

martedì 21 aprile 2015

Mendicante









Mendicante
di dolcezza,
te ne andrai
senza averne gustato abbastanza,
digiuna.                                                                            

venerdì 17 aprile 2015

Palermo, città anormale

        Se si cercasse una prova della costante “anormalità” del capoluogo siciliano, basterebbe recarsi, la domenica mattina, nelle vie tra corso Tukory e l’ospedale Di Cristina  - noto come ospedale dei bambini - quando strade e marciapiedi annessi sono invasi da una congerie infinita di oggetti per una sorta di multietnico mercato dell’usato. Il paradosso è che, sebbene ogni centimetro di suolo pubblico sia occupato da ogni genere di cianfrusaglie piccole e grandi, circolano anche auto, ciclomotori e autobus, dando origine a una commistione caotica e pericolosa, che non assicura l’incolumità dei passanti, e spesso neppure la loro semplice circolazione. Il caos che si respira è cifra della disordinata Palermo di oggi, nella quale l’osservanza condivisa di una regola rimane un miraggio. E ci si trova d’accordo con Calogero Roxas, il nisseno lucido e geniale che, nell’accorato “Romanzo civile” di Giuliana Saladino, affermava: “Palermo non è una città, è un assembramento”.
               Maria D’Asaro, “Centonove” n. 15 del 16.4.2015

giovedì 16 aprile 2015

2100







2100:
Cosa rimane
del nostro amore?
Una scatola di baci.
Croccanti.                                      

lunedì 13 aprile 2015

Sola senza WhatsApp ...

    Il tema in cui si chiede agli alunni di presentare il gruppo dei compagni e raccontare amicizie e interessi comuni è un classico a cui nessun insegnante di scuola media si sottrae. Ecco cosa è venuto fuori dal compito di una ragazzina di prima media di una scuola di Palermo: “Io non so mai niente di quello che si organizza in classe: qualche giorno fa i compagni avevano deciso di andare al cinema;  l’ho saputo per caso quando  una compagna mi ha chiesto se andavo. Avevano deciso tutto su whatsapp! Sono caduta dalle nuvole! Non ho whatsapp perché il mio cellulare è vecchio; in famiglia, con cinque fratelli, siamo in sette; mio padre non può comprare a tutti il telefono nuovo.” Quest’alunna ci dice che oggi l’emarginazione ha nuovi indicatori: a fare la differenza sono lo smartphone e i “mezzi di connessione” di cui si dispone. Meditate, professori, meditate …
                                                                      Maria D’Asaro ,“Centonove” n. 14 del 9.4.2015

mercoledì 8 aprile 2015

Stranieri ... ma non troppo

A cosa può servire nel mondo attuale un’indagine sul problema dello straniero nella Grecia antica?” Non c’è il rischio di “fare storia fine a se stessa o informazione erudita, evasione?” Nell’introduzione a Stranieri, Figure dell’Altro nella Grecia antica (Di Girolamo editore, Trapani, 2014, € 12), è l’autore stesso, Andrea Cozzo, a interrogarsi sui possibili rischi che una ricerca specialistica su tali argomenti può comportare. Cozzo supera brillantemente la prova e ci offre un saggio serio e rigoroso, sostanziato da una straordinaria ricchezza quanti-qualitativa di fonti storiche; saggio che ci permette di comprendere come i problemi che agitano oggi la contemporaneità – l’immigrazione crescente, l’atteggiamento verso gli stranieri, le cause che ‘producono’ profughi, il rapporto tra cittadinanza e jus sanguinis - siano stati vissuti e ‘agiti’ con altrettanto pathos e con la stessa intensità nel mondo greco antico. Tale retrospettiva storica ci consente uno sguardo più lucido e acuto verso gli stranieri di oggi e ci suggerisce un approccio razionale ai problemi, invitandoci a superare pulsioni emotive ed errori grossolani, come quelli di credere che il problema dell’immigrazione si possa risolvere erigendo fragili e inutili barriere.
Leggendo il saggio, che si gusta volentieri anche grazie anche a uno stile espressivo chiaro e scorrevole,  scopriamo intanto che nel mondo omerico gli stranieri erano ospitati e accolti perché vi era la consapevolezza che si poteva essere Altri, stranieri, in alcuni momenti dell’esistenza; scopriamo poi che il razzismo antico non aveva mai a che fare col colore della pelle e che il pre-giudizio verso gli stranieri era connesso a precise condizioni storiche: infatti “il giudizio negativo verso coloro che parlano una lingua diversa da quella greca … si sviluppa dalle guerre persiane in poi, cioè da quando i Greci inventano (…) la loro autocoscienza”.  Prendiamo atto poi di un errore di prospettiva comune tra noi e gli Ateniesi, presso i quali “l’accoglienza dello straniero convive con la rivendicazione di non essere mai stati, loro, stranieri da nessuna parte” per cui  “l’autoctonia e/o l’antichità sono garanti della ‘stessità’ nel tempo e nello spazio e, con essa, dello jus sanguinis”. Leggiamo più avanti però che “Atene rinunciava al mito dell’autoctonia ogni volta che la concessione della cittadinanza le faceva comodo: (…) per rimediare alla penuria di uomini dopo una guerra … per far fronte a un nemico esterno o per rilanciare l’economia della città”. Niente di nuovo sotto il sole, quindi: l’ideologia della purezza autoctona, allora come ora, era solo la sovrastruttura di un bisogno sociale: “Il rifiuto della cittadinanza agli stranieri non dipendeva dalle intrinseche differenze naturali attribuite loro: (…) il rifiuto aveva a che fare con la scelta di una difesa dei privilegi dei cittadini e la concessione con il tornaconto”.
Che all’origine della cittadinanza non ci fosse una condizione naturale, ma una scelta, lo avevano chiaro nel passato personalità del calibro di Luciano e Aristotele: quest’ultimo “mostra l’insensatezza di una giustificazione del diritto di cittadinanza attraverso il passato, e colloca la pretesa dello jus sanguinis sul piano … della decisione politica”. Scopriamo infatti che ad Atene, tra il V e il II secolo, la concessione della cittadinanza a stranieri veniva concessa come ricompensa per benefici ricevuti dalla città.  Pericle stesso, che in origine aveva ristretto il diritto di cittadinanza solo a coloro che avevano entrambi i genitori cittadini, chiese poi che la legge fosse abrogata per far registrare come cittadino ateniese un suo figlio illegittimo e consentì che, a seguito dell’elevato numero di morti per la peste, la legge venisse sospesa o almeno applicata in modo meno rigoroso. A questo proposito, Andrea Cozzo ribadisce che gli imbrogli per la cittadinanza erano ad Atene un fenomeno diffuso: nel 445 a.C, in occasione di una distribuzione gratuita di grano, quasi cinquemila individui si erano spacciati per cittadini ateniesi!
Nell’ultimo capitolo, Gli altri e Noi, l’autore ci ricorda una verità semplice, ma a volte dimenticata: “Gli Altri hanno un loro vissuto emotivo che Noi possiamo conoscere meglio quando … diventiamo Altri a nostra volta”; e ci offre infine una retrospettiva pregna di squarci di speranza: cita Isocrate e Demostene che, nel IV secolo a.C., avevano già chiaro il nesso tra povertà, guerre e profughi; e documenta come, nel IV secolo d.C., molti cristiani - Gregorio di Nissa, Basilio di Cesarea (che creò un vero e proprio centro di accoglienza) Gregorio di Nazianzio -  si prodigassero ormai in modo convinto e ‘strutturale’ a favore di stranieri e bisognosi.


Maria D’Asaro (“Centonove”, n.13 del 2.4.2015) 

lunedì 6 aprile 2015

Mi fido di te?

Irene Focardi
Maria Paola Tripi
Si fidava di suo marito, Maria Paola Trippi. Gli dormiva accanto da quasi trent’anni, nella villetta sulle colline di Arezzo. Ma qualcosa si deve essere inceppato, nella mente e nel cuore del compagno, che l’ha uccisa mentre dormiva.
Continuava a fidarsi del suo compagno Irene Focardi, scomparsa a Firenze il 3 febbraio, il cui cadavere è stato ritrovato qualche giorno fa in un sacco della spazzatura. Si teme che ad ucciderla sia stato proprio l’ex compagno, già condannato per percosse e maltrattamenti.
        Mentre  nel campus universitario di Garissa (nord-est del Kenya) l’alba del 2 aprile tingeva di rosa le pareti del grande edificio, non pensavano davvero di essere uccisi i 150 studenti cristiani, massacrati invece poco dopo dai carnefici di Al Shabaab - il gruppo fondamentalista somalo affiliato ad Al Qaida - perchè non conoscevano i versetti del Corano.
     Si fidavano dei piloti, i passeggeri del volo Germanwings 9525 Barcellona-Dusseldorf. Non immaginavano davvero che il copilota 27enne Andreas Lubitz soffrisse di depressione e decidesse di far schiantare l'aereo contro le Alpi francesi, provocando la morte di tutti.

     Eppure, dobbiamo continuare a fidarci gli uni degli altri. Del nostro medico, del nostro compagno, dell’educatore scout di nostro figlio, di chi guida il tram. Possiamo solo tentare di essere meno ingenui, più accorti e consapevoli, di operare qualche controllo. Niente di più.



E per alleggerire il tutto un cartone animato che amo: Inki and the Minah Bird (1943).
A mio avviso, questo cartone evoca, pur nelle situazioni surreali, qualcosa che ha a che fare con la fiducia e con la (im)possibilità di conoscere veramente la realtà.


venerdì 3 aprile 2015

Cui prodest?

Museo del Bardo - Tunisi 
     Gli spettatori del TG della scienza “Leonardo”, in onda alle 14.50 circa su RAI 3 dal lunedì al venerdì, si sono accorti che il 23 marzo “Leonardo” ha ceduto il posto al TG regionale del Piemonte, che ha trasmesso i funerali delle tre vittime piemontesi dell’attentato terroristico al museo del Bardo di Tunisi. Non è in discussione la partecipazione commossa al lutto dei familiari di Francesco Caldara, Orazio Conte, Antonella Sesino e Giuseppina Bellia, quarta vittima residente in Liguria. Ci chiediamo però quale sia stata la ricaduta sui telespettatori della scelta della Rai dei funerali in diretta: il funerale mediatico aveva lo scopo di incrementare la partecipazione emotiva e l’elaborazione del lutto da parte degli italiani? O si ricercava un aumento dell’audience? Per tragedie come queste, che feriscono la gente incrementando a dismisura odio, incertezza e paura, la migliore risposta non sarebbe forse meno fragore mediatico e un raccolto silenzio?
                                                                     Maria D’Asaro , “Centonove” n. 13 del 2.4.2015

mercoledì 1 aprile 2015

Com-Passione

Frida Kahlo: Henry Ford Hospital, 1932
Il testo della Passione di Gesù è uno dei più antichi che sono stati composti dalla comunità proprio per ricordare tutti i momenti di questo incontro/scontro tra la figura di Gesù e tutti gli aspetti della vita umana che sono rappresentati dal tradimento, ai soldi per cui viene venduta questa persona, all’indifferenza, all’atteggiamento violento, aggressivo: intorno a Gesù viene disegnata questa nostra umanità con tutti i suoi aspetti così inquietanti … 
Eppure Gesù resta lì dinanzi a noi, come a dirci che la sua passione, il suo amore non fa un passo indietro rispetto a noi. Ed è con questo suo amore che egli vuole conquistarci. Non dispone di altra risorsa Dio se non il suo amore. Dio non si imporrà mai a nessuno, busserà sempre alla porta del nostro cuore e ci chiederà di potere ospitare la sua presenza di vita e di misericordia.
Ed è bella la conclusione di san Marco: a differenza degli altri evangelisti, Marco e Matteo chiudono la storia di Gesù in maniera ingloriosa; proprio per farci toccare con mano che Gesù è uno di noi, che è dalla nostra parte, non è la controparte. E in lui Dio non è l’altro da noi che ci guarda con distacco e con distanza. Come chiude, come fa concludere san Marco la vita di Gesù? Le ultime parole quali sono? Sono le nostre parole: Eloì eloì lemà sabàctani?
 Quante volte le abbiamo pronunciate dentro il nostro cuore, anche fuori di noi: Mi sento abbandonato da Dio … tutto va contro di me … cosa è successo? Che ne è della mia vita? Tutto sembra esposto al nulla, alla casualità, all’indifferenza, allo scacco … Tutto. E Gesù si fa interprete di questa nostra situazione umana e citando un salmo (...) ci dice che è con noi, nel nostro dolore, nelle nostre sofferenze … Ma non per un atteggiamento di condivisione della sofferenza perché gli piace la sofferenza, no: perché gli piacciamo noi. Perché non può fare a meno di sentirsi in sintonia con noi. Parchè vuole farci sentire la compassione, la passione di Dio con ciascuno di noi.
E Gesù pronuncia queste parole, il verbo greco dice esattamente, non ‘gridare’, ma ‘gracchiare’, non aveva neppure la forza di dirle, di gridarle, perché era sospeso nella croce; però vuole che le sentiamo. Vuole che sentiamo che è con noi, non è in un altro luogo. E’ dentro la nostra sofferenza, sulla nostra croce – quando ci dovrà capitare di doverla abbracciare perché non potremo farne a meno – e anche dentro il nostro sepolcro, quando saremo deposti nel silenzio della morte, per dirci che anche lì lui è con noi. Ma appunto perché è con noi, allora chi sarà contro di noi? Nessuno potrà strapparci da quest’abbraccio d’amore che accompagna Dio fin nell’oscurità più profonda della nostra vita, fin negli enigmi più difficili che noi ci portiamo appresso.
Ed è questo quello che siamo cominciando a celebrare in questa settimana santa,(...), che è santificata dalla memoria del Cristo che è il vivente in mezzo a noi. La sua Risurrezione non è un atto di forza, è soltanto l’altra faccia della medaglia che è il suo amore imbattibile, invincibile: non c’è niente che possa tenere lontano Dio da noi. Gesù Cristo è quest’alleanza, questo legame che è ormai istaurato per tutta l’eternità, tra lui e noi e tra di noi.
Ed è questo che vorremmo potere tornare a celebrare continuamente, questo legame di vita, queste relazioni di vita, in qualsiasi situazioni ci possiamo trovare, pronti a sostenerci, a rialzarci,ad andare oltre i tradimenti, i soldi, le connivenze, le miserie … andare oltre tutto. Allora contempliamo il Signore non col senso di vittimismo, o con senso di disfatta, ma con la percezione che (...)  da questa condivisione viene a noi la risurrezione e la vita, allora tutto questo ci rimette in piedi, ci fa continuare a camminare insieme, nonostante tutto.

(Omelia pronunciata a Palermo il 29.3.2015 da d.Cosimo Scordato: il testo non è stato rivisto dall'autore, pertanto errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)