lunedì 28 dicembre 2009

Un mondo migliore

       Se non fosse per il biondo che nasconde pietosamente i ciuffi bianchi e per i jeans sbarazzini, chi guarda penserebbe forse che sono solo un’anziana signora un po’ “andata”. In effetti i miei figli ripetono spesso: “Sembri una povera pazza svanita quando prendi le cartacce da terra: noi non ti conosciamo…”           Ripudiata anche dagli affetti più cari, se mi trovo nei pressi di un contenitore dei rifiuti, mi ostino a raccattare da terra bottiglie di plastica e di vetro, pacchetti vuoti di sigarette e simili scarti e li deposito pietosamente negli appositi recipienti. 
     Lo so: certo non intendeva esattamente questo il nonviolento Aldo Capitini quando ci invitava a lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato, apportando quella che lui chiamava la buona “giunta”. 
     Caro Aldo, la mia povera opera di miglioramento del mondo comincia con la sottrazione dei rifiuti dalle strade di questa desolata periferia palermitana. 

Maria D’Asaro (“Centonove”: 25.12.09)

domenica 20 dicembre 2009

METHODI



Prima era uno dei tanti insistenti questuanti che ti fissano con lunghi supplici sguardi quando sei ferma al semaforo. Poi mio figlio ha deciso di saltare il muro: “Come ti chiami? Da dove vieni? Perché non lavori, anziché chiedere l’elemosina?” Lui non si è sottratto alla provocazione: “Per chiedere soldi ci vuole più coraggio che tu pensare… Chi dà lavoro a me senza permesso di soggiorno?”
Così sappiamo che è bulgaro, che ha moglie e una figlia, che si chiama Methodi. Lui sa della mia famiglia, sa che sono la madre di R.. Un giorno mi ha chiesto una cosa. Un vecchio televisore, per favore. Per imparare meglio l’italiano, chissà. Perché solo la lingua fa uguali, ricordava don Milani. O forse perché la moglie possa guardare una fiction e la figlia i cartoni…
Ormai, al semaforo rosso, non mi chiede più niente. E’ lui a donarmi qualcosa. Un ampio sorriso.
Maria D’Asaro
(“Centonove”: 18.12.09)

giovedì 17 dicembre 2009

Alla sera



(Dedicata all'anonimo zeppo di consonanti - mio caro amico e collega - che ha gradevolmente commentato i petit onze alla calza spaiata)

Forse perché della fatal quiete
Tu sei l’imago, a me sì cara vieni,
o sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all’universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cuor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier sull’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure, onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

Ugo Foscolo

lunedì 14 dicembre 2009

PETIT ONZE AL CALZINO SPAIATO


(Chiedo scusa ai miei sette lettori: mi sto cimentando in un complesso dialogo con Primo Levi e...ieri ho lavato 29 paia di calzini. Trovate voi il nesso tra le due cose e la sciocchezza che ho scritto!)
Chissà
Cosa prova
Un calzino spaiato:
solitudine struggente, ansia angosciosa?
Chissà:
Forse teme,
Triste morte solitaria
Nella cesta buia, smarrito.
Ma:
Felicità piena
o giogo funesto,
Avvolgere insieme piedi irriverenti?
Forse
Può schiudere,
Il gemello mancante,
D’esistenza, imprevisti scenari.
Chissà:
Nuova vita,
Effervescente di sorprese,
La novella vedovanza prepara.
Quando,
Così trasformata,
La calza spaiata,
Grembo di doni diviene.
Magari,
Appena domani
Di dolcezze ripiena,
Sorrisi al mondo regala.



Questa canzone sui calzini spaiati è una vera chicca! Ringrazio Jan per avermela segnalata.

domenica 13 dicembre 2009

Amaca e dintorni





Ogni imputato davanti a una corte suscita pena, specie se una pena lo aspetta. Non fa eccezione il povero Fabrizio Corona, la cui mise da tribunale, con camicia bianca aperta sui tatuaggi, è così pateticamente trucida da costringerci a sommare, alla normale compassione per chi si è messo nei guai, una sorta di compassione generale per lo stato delle cose. Una di quelle immagini che ti fanno pensare che l´umanità intera stia per sprofondare - meritatamente - agli inferi.
Certo non era scontato, né desiderabile, che alla scomparsa dell´etica, della quale Corona è un interprete tra i più notevoli, si accompagnasse una catastrofe estetica di questa portata. Un inguaribile ottimista potrebbe presumere che Corona, esponendo il petto inerme alla raffica della legge, abbia voluto rendere omaggio alla "Fucilazione" di Francisco Goya. Ma "Goya", da quelle parti, può essere al massimo il nome di una discoteca, e più verosimilmente Corona si è presentato in tribunale come se andasse al localino sotto casa, perché non c´è istituzione, o rito, o momento solenne che meriti la dismissione del proprio narcisismo. Corona, del resto, è colui che filmò con una telecamera nascosta le lacrime della moglie alla propria causa di separazione, per rivendere le immagini a Mediaset (complimenti vivissimi a chi le acquistò). È come se oramai mancassero (non solo al povero Corona) le occasioni per chinare il capo, rispettare qualcuno o qualcosa (anche se stessi), imparare da qualcuno o da qualcosa.
In questo senso le immagini di Corona in tribunale con le tette al vento sono un´istantanea folgorante della malattia italiana. Malattia, non altro. Corona, dopo la sentenza, ha detto di vergognarsi di essere italiano. Ma qui non è questione di vergognarsi: è una perdita di tempo da moralisti. Qui sarebbe questione di guarire, o almeno di provarci.

(La Repubblica, 11.12.09)

C’E UN TEMPO PER …



C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare…” così recita poeticamente la Bibbia, in uno dei suoi libri dal sapore moderno ed esistenziale. Educata alla sapienza biblica e alla diversità suggerita dalla danza dei mesi, per me ottobre e novembre sono castagne, scuola, autunno e ricordo dei morti. Invece no: a Palermo l’aria natalizia viene imposta subito dopo le zucche di Halloween, con sfarzose decorazioni luminose in ogni angolo della città. Mi dispiace, ma così non c’è prio. Anche tacendo dell’ulteriore indigestione di CO2 causata alla nostra terra dall’abbondanza luminosa, temo che le luminarie precoci non ci facciano gustare il Natale. Che ricorre a Dicembre, e non due mesi prima. Perché, ci ricorda l’Ecclesiaste, c’è un tempo per ogni cosa. C’è bisogno del buio e di un tempo feriale e ordinario, per poter gustare le luci e la festa.
Maria D’Asaro
("Centonove": 11.12.09)

martedì 1 dicembre 2009

L'AMACA


Nella sua pur dotta difesa del veto svizzero ai minareti, lo studioso cattolico Vittorio Messori ci concede (senza volerlo) un attimo di schietto buonumore. Accade quando Messori, evocando la storia svizzera nonché europea, rammenta che «la convivenza non è sempre stata idilliaca e ancora a metà dell´Ottocento papisti, calvinisti, zwingliani, luterani si affrontarono duramente in armi. Cose gravi ma comunque tra cristiani che pregano lo stesso Dio e leggono la stessa Bibbia: una guerra, ma in famiglia». Effettivamente, tra cristiani ci si è scannati per secoli con sistematico entusiasmo. Ma, spiega Messori, pregando lo stesso Dio. Vuoi mettere la differenza? Vuoi mettere quanto è sgradevole il colpo di scimitarra del saracino appena sbarcato dal suo naviglio, e quanto è confortante e "familiare" farsi sgozzare - in quanto eretico, o di confessione non conforme - da uno della valle accanto, che si fa il segno della croce proprio come te? Oppure ardere sul rogo per mano di presuli a noi prossimi, piuttosto che farsi impalare dai turchi? Il fatto che ci si massacri nel nome dello stesso Dio e dello stesso Libro a me pareva, tutto sommato, un´aggravante (i "futili motivi"?). Ma non avevo ancora letto Messori.

(La Repubblica - 1/12/09)