giovedì 31 maggio 2018

Jacaranda







Rami
Carezze viola
Festa di abbracci
Tra terra e cielo:
Jacaranda.   













martedì 29 maggio 2018

Tutti in campo ... per non dimenticare

         Se vogliamo sconfiggere la mafia, dobbiamo combatterla tutti i giorni e non solo il 23 maggio e il 19 luglio, anniversari delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
         Qui il link di come la scuola media “G.A.Cesareo” di  Palermo - da decenni impegnata nella formazione di una cittadinanza attiva - ha onorato la ricorrenza del 23 maggio, rinnovando il proposito di educare alla legalità e all’impegno etico e civile.
       Qui  un mio articolo sul giornale “Il Punto Quotidiano” (con un ricordo personale del giudice Falcone).
           Infine un invito: giovedi  31 maggio, alle ore 18,30, presso la libreria Feltrinelli di Palermo (via Cavour, 133) Adriana Saieva, Melania Federico e Augusto Cavadi presenteranno due libretti su Peppino Impastato.
Il testo di Adriana e Melania “Tutti in campo” è dedicato ai ragazzi dai dieci ai 14 anni, quello di Augusto “Peppino Impastato, martire civile” a noi adulti. Ho già avuto modo di leggere e apprezzare  i due testi. La loro presentazione in città sarà, a mio avviso, un bel momento di condivisione.



domenica 27 maggio 2018

27 maggio: benvenuta, principessa





Eccoti
Angelo biondo
Tenera creatura vivace
Gioia allegra della famiglia
Irene.                                                 

venerdì 25 maggio 2018

3 P

padre Pino Puglisi




3 P
gesti fecondi
Coraggio che illumina
Vita donata per sempre.
Sorriso.                                           












martedì 22 maggio 2018

La upper class va in Paradiso

        In una corriera, ascolti due amici - lei psicologa, lui avvocato o magistrato - che discutono con nonchalance di una “certa stanchezza di ispirazione” nell’ultimo romanzo di Alajmo e degli spettacoli al Biondo di Palermo, e poi dell’Edipo a Colono e dell’Eracle, in programma quest’anno al teatro greco a Siracusa; altri li osservi, tonici e spigliati, andare in palestra nuotare in un’elegante struttura sportiva; altri ancora li ammiri entrare, sorridenti e sicuri, al teatro Massimo di Palermo per godere dei virtuosismi della tromba di Fabrizio Bosso, al concerto dell’Orchestra Jazz Siciliana. Li accomuna l’aspetto raffinato e la sicurezza data da tre S: Salute, una buona posizione Sociale e uno Stipendio sicuro a fine mese. A cui si aggiunge una C: quella di Cultura. Non sono i poveri o l’estinta classe operaia, ma è la upper class che oggi va in Paradiso. O, almeno, gode dei suoi surrogati, qui sulla terra.
 Maria D’Asaro


domenica 20 maggio 2018

Armonia

(Grazie a Paola Tabacco, violinista, e alla dott. Paola Argentino Trapani)



Bach,
Note festose,
Melodia di violini:
E’ qui il Paradiso?
Armonia.                               















sabato 19 maggio 2018

Vivo









Unico
Palpitante compagno
Nel buio, stasera,
il cuore che batte.
Vivo.                                                              

mercoledì 16 maggio 2018

Ermanno Olmi, sapienza antica con la macchina da presa

    Dopo la dipartita, nell’aprile scorso, di Vittorio Taviani, autore col fratello Paolo di capolavori cinematografici come “La notte di san Lorenzo” e “Kaos”, è morto ad Asiago il grande regista italiano Ermanno Olmi. Il suo primo lungometraggio, “Il tempo si è fermato”,  che risale al 1959 e racconta la storia dell'amicizia fra uno studente e il guardiano di una diga, contiene già temi e cifre stilistiche che saranno costanti nelle sue opere: l’accostarsi a personaggi di umile origine, il legame con la natura, l’attenzione al sentire autentico e semplice delle persone. Dopo varie pellicole - tra cui, nel 1965, “E venne un uomo”, avvincente biografia di papa Giovanni XXIII – con “L’albero degli zoccoli” Olmi vince la Palma d'oro al Festival di Cannes e il Premio César per il miglior film straniero; il film, un capolavoro di lirismo narrativo, ci offre una visione insieme realistica e poetica del mondo contadino italiano di inizio ‘900. Seguono “Lunga vita alla signora!”, nel 1987 Leone d’Argento al Festival di Venezia e, l’anno dopo, nel 1988, “La leggenda del santo bevitore”, con cui ottiene il meritato Leone d’oro.
Nel 1993 Paolo Villaggio sarà il protagonista de “Il segreto del bosco vecchio”, tratto da un romanzo di  Dino Buzzati. Nel 2001 il regista si cimenta con successo nel film storico “Il mestiere delle armi” che si aggiudica nove David di Donatello. Tra i film più recenti, citiamo “Cantando dietro i paraventi” e “Centochiodi”. Ma è opportuno ricordarlo infine per l’accorata denuncia dell’orrore e della stupidità di tutte le guerre contenuta nel suo ultimo film “Torneranno i prati”: realizzato in concomitanza con le celebrazioni del centenario della Prima guerra mondiale, nel 2014, e ambientato nelle trincee dell’Altopiano di Asiago. Il film si svolge durante una sola notte, e rievoca i sanguinosi scontri in trincea, nel 1917 durante la prima guerra mondiale, mentre sullo sfondo le montagne innevate guardano mute le vicende di alcuni soldati, vittime innocenti del conflitto. 
Credo che la celebrazione del centenario della Prima Guerra Mondiale non abbia alcun senso se non chiediamo scusa per il tradimento di cui siamo stati colpevoli nei confronti dei giovani e dei milioni di morti in quel conflitto”, dichiarò prima dell’uscita del film il regista – “Ho compreso che il tradimento perpetrato verso i ragazzi morti o feriti in guerra sta nel non aver mai spiegato il perché sono rimasti vittime. E con i defunti e i bambini non si può barare.”
Dove si sono sparsi migliaia di cadaveri, “Torneranno a pascolare le mucche, appunto torneranno i prati, e tutto sarà dimenticato”, dice sul finale del film uno dei soldati, che matura la consapevolezza del non-senso di tale esperienza, in cui tutto perde di significato, dai gradi militari ad ogni speranza per un possibile futuro. Bisogna essere grati ad Olmi che ha utilizzato con sapienza la macchina da presa per denunciare l’assurdità della Prima guerra mondiale e, con essa, quella di tutte le guerre che addolorano e insanguinano il mondo. 
Maria D'Asaro

lunedì 14 maggio 2018

domenica 13 maggio 2018

Son tutte belle le mamme del mondo

     Era il 1954 e Giorgio Consolini al festival di Sanremo cantava “Son tutte belle le mamme del mondo, quando un bambino si stringono al cuor …” Oggi, seconda domenica di maggio, in Italia viene celebrata la festa della mamma. Nel nostro paese, tale ricorrenza ha avuto origine a metà degli anni cinquanta, ed è legata sia a ragioni religiose che di promozione commerciale. Nel 1957 infatti Raul Zaccari, senatore della Repubblica e sindaco di Bordighera, insieme a Giacomo Pallanca, presidente dell’Ente Fiera del Fiore, promosse l’iniziativa di celebrare a Bordighera la Festa della mamma. Lo stesso senatore, il 18 dicembre 1958, presentò addirittura in Senato un controverso disegno di legge per ottenere l’istituzione della festa. Intanto il 12 maggio 1957, a Tordibetto di Assisi, il parroco don Otello Migliosi volle celebrare la maternità non tanto sotto l’aspetto biologico, ma nella sua forte valenza religiosa cristiana. Da allora, la parrocchia di Tordibetto celebra ufficialmente la Festa con importanti manifestazioni religiose e culturali. Inoltre, nel Comune è stato creato un "Parco della Mamma", con al centro una statua della maternità, dello scultore Enrico Manfrini. E’ proprio grazie all’intraprendenza di Zaccari e di don Migliosi se, dalla fine degli anni ’50 la Festa della Mamma si celebra in tutt’Italia. Tale ricorrenza viene festeggiata in molti paesi del mondo, quasi sempre a maggio o comunque in primavera.
Infine, sull’importanza del ruolo materno, queste le preziose riflessioni dello psicoterapeuta ragusano Giovanni Salonia: “Il ritmo dell’incontro madre-figlio si nutre essenzialmente di gesti, di baci, di carezze; e la voce della madre, prima di avere un significato, è un altro tipo di carezza: è accoglienza e sicurezza. Sono gesti iscritti nel registro arcaico della corporeità che, anche dopo l’avvento del linguaggio, continuano come humus relazionale buono, di sostegno e fiducia. Ma il sentire iniziale da solo non basta, se ad esso non seguono i gesti giusti di cura amorevole, dettati non dall’improvvisazione e dall’istinto, ma dalla consapevolezza della madre di essere tale.”

Maria D’Asaro (Il Punto Quotidiano)

venerdì 11 maggio 2018

Agli uomini e donne delle Brigate Rosse

        Ho imparato a conoscervi (e a temervi) attraverso il mio professore di Italiano, al liceo classico. Un ottimo professore, ma un “cattivo maestro”. A metà degli anni ’70 frequentavo il liceo e allora molti intellettuali siciliani erano marxisti e, dall’alto delle loro cattedre, predicavano la lotta di classe e il trionfo della rivoluzione proletaria.  E se tutto questo comportava bagni di sangue, pazienza. Era la necessità della Storia.
        Perciò, quando il 16 marzo 1978 avete rapito il presidente Aldo Moro, uccidendo senza pietà i cinque uomini della scorta Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino e Francesco Zizzi, ne fui terribilmente addolorata, ma non sorpresa.
        Ho però sperato sino alla fine che la vita di Moro, uomo mite, buono e intelligente, fosse salvata. Non è stato così. Lo avete assassinato, accecati dalla vostra folle ideologia e avete lasciato il suo corpo dentro la Renault rossa, in via Caetani, il 9 maggio 1978, lo stesso giorno in cui i mafiosi siciliani uccidevano seviziandolo Peppino Impastato.
        Non avete cambiato in meglio la società, nonostante i vostri proclami. In compenso, tra marzo e maggio del 1978, avete ammazzato sei persone. Non riesco a perdonarvi. Ho sempre avuto presente lo strazio della moglie di Moro, Eleonora, delle figlie Maria Fida, Anna e Agnese e del figlio Giovanni. Inoltre a Luca, l’amatissimo nipotino di due anni, è stato assurdamente e atrocemente strappato suo nonno.
A rifletterci, la vita è già dura di sua: siamo tutti soggetti a un destino di morte. I fortunati nel proprio letto a 90 anni e più; altri prematuramente per un incidente,  un terremoto, una malattia fulminante. Che al mistero insensato del fato si unisca l’azione criminale dell’uomo che uccide un altro uomo, non potrò mai e poi mai sopportarlo. Non c'è rivoluzione che tenga. Non si può ottenere un fine, magari ritenuto buono, con mezzi malvagi.
         Non so se qualcuno di voi lo abbia fatto, non so neanche se abbia più senso: ma a quel bambino di due anni, a Luca, bisognerebbe chiedere, tardivamente, perdono.
Maria D’Asaro


(Nel carcere di Latina scontano l’ergastolo cinque donne brigatiste irriducibili : Susanna Berardi, Maria Cappello, Barbara Fabrizi, Rossella Lupo e Vincenza Vaccaro)

mercoledì 9 maggio 2018

Ciao, Peppino


Ciao Peppino,



                                   ci manchi da quarant’anni.
Per me sei quasi un morto di famiglia: Ho conosciuto a Cinisi tuo fratello Giovanni, da cui facevo la spesa, e  sua moglie, tua cognata Felicetta, che è venuta qualche anno fa nella mia scuola a parlare di te e del tuo impegno.                          Abbiamo un amico in comune, il carissimo Pino Manzella, che ho avuto come collega a scuola, e che è un bravissimo pittore … 
       Sono amica di Umberto Santino e Anna Puglisi, fondatori del Centro di documentazione che a Palermo porta il tuo nome: protagonisti appassionati di  lotte decennali, in Tribunale e nella società civile, perché fosse fatta giustizia per la tua morte, e perché venisse riconosciuto il tuo impegno sociale e politico.
            Ti ho scritto una lettera, alcuni anni fa, per scusarmi con te e per dirti che ti voglio bene. Un caro amico, Augusto Cavadi, in uno libretto che ti ha dedicato  e che presenterà il 23 maggio a Palermo, ti ha definito “martire civile”. I cristiani affermano che il sangue dei martiri è seme di nuova vita e di speranza. Sono d’accordo: il tuo esempio e il tuo sacrificio alimenterà sempre i nostri sogni di libertà e di giustizia.
Maria D’Asaro


P.s. La madre di Peppino: Felicia Bartolotta Impastato - come si intuisce dal film "I cento passi" - era davvero una bella persona. E amava teneramente Peppino.
Qui un suo ricordo:



lunedì 7 maggio 2018

Donna in cammino




Viaggi in silenzio
In treni acefali
Senza la bussola
Di mete stabili.

Nel buio, le luci
Di case lontane,
In mano, la lama
Di mille parole

Polvere minuta
Dentro i tuoi occhi.
Terra di nessuno
La vita, sospesa.







sabato 5 maggio 2018

Manlio Sgalambro, professione: uomo che pensa

Un’avvertenza preliminare, per chi leggerà il saggio su Manlio Sgalambro, Breve invito all’opera (Lettere da QALAT, Caltagirone, 2017, €15): si tratta di un testo per adulti maturi, sconsigliato per chi, deposto il paracadute di visioni religiose o ideologie consolatorie, non abbia sufficiente coraggio per accostarsi alla lama tagliente del pensiero - lucido e impietosamente pessimista - di Sgalambro. Davide Miccione, curatore del testo, e gli altri tre studiosi co-autori del volume, Cosimo Cucinotta, Salvatore Ivan D’Agostino e Giovanni Miraglia, ci presentano il filosofo di Lentini attraverso scorci significativi della sua opera intrigante e poliedrica, che  mette in crisi tante nostre certezze, ma a cui non si può negare sapienza, acutezza e autenticità speculativa. 
Ai più conosciuto solo per il felice sodalizio col conterraneo Franco Battiato - per il quale ha scritto, tra gli altri, i testi de “L’ombrello e la macchina da cucire”, de “L’imboscata” e per cui ha curato il libretto dell’opera musicale in due atti “Il cavaliere dell’intelletto” (raccontata nella parte finale del saggio da Cosimo Cucinotta) - chi era davvero Manlio Sgalambro? “Qualcuno che poneva tra sé e il mondo (…) non la professione (non ne aveva), non la cattedra (…), non la laurea (mai conseguita). Solo la filosofia”: un vero filosofo dunque, testimonia Davide Miccione, che ha avuto il privilegio di essergli amico. Sgalambro, continua Miccione, è stato uno dei pochi filosofi italiani contemporanei non accademico: autodidatta, si è definito “chierico”, umile servo della verità filosofica, sforzandosi di eludere ogni legame con la sua dimensione biografica e localistica “per mantenersi in una sfera che gli assicurasse una genesi esclusivamente teoretica del suo pensiero”.
A cosa approda il pensiero di Sgalambro, che si esprime con una prosa scintillante e acuminata? A una visione dissacrante, anticonformistica e pessimistica della realtà, che ritiene fallaci le idee illuministiche di libertà, progresso, democrazia: “Tutte le cose su cui siamo abituati a fondare la convivenza tra uomini (…) dall’etica alla religione, dalla scuola alla democrazia, vengono da Sgalambro negate o radicalmente modificate o svuotate, fino a farle apparire meri involucri”. Di conseguenza: “l’idea di un’interazione forte e continua (…) con la società (…) sembra abbisognare di presupposti illuministi, democratici, progressisti che poco hanno a che vedere col suo pensiero.” Posizione chiaramente sintetizzata da Salvatore Ivan D’Agostino che, a proposito della filosofia di Sgalambro, parla di un “pessimismo misoteistico”, già delineato nella prima opera dell’autore “La morte del sole”: “Se conoscere vuol dire dare un nome alle cose, pensare pessimisticamente è pensare davvero”. C’è una sorta di verità empirica nel pessimismo; infatti: “Sgalambro punta tutto (o quasi) sul dato che la verità viene dall’esterno (…) tale verità non è un parere (…) bensì una conoscenza incontestabile”. “La conoscenza della fine termica del mondo (anche se fra cento miliardi di anni) … è il punto di vista privilegiato che la verità può consentire. (…) Non è che nulla abbia senso, bensì che il senso sia anche troppo e che sia negativo: tutto si distruggerà”. In conseguenza di tale oggettiva percezione del reale, la concezione del divino non può che essere ‘empia’ e negativa: “Il nome di Dio può essere usato solo per indicare i limiti del mondo, la morte e la distruzione”. L’estrema conseguenza di tale idea del divino è quindi il misoteismo, l’odio per Dio: “reazione emozionale alla sindrome di Stoccolma religiosa secondo la quale siamo costretti … ad amare l’essere (supposto) che ci tiene in miseria, ci fa soffrire ed alla fine immancabilmente ci uccide”. 
Chi sale e chi scende allora, tra i filosofi, nel ristretto Parnaso delineato da Sgalambro? Tranne Husserl, irrisi quasi tutti i pensatori del Novecento: Heidegger, Jonas, Gadamer, Habermas, Ernst Bloch, Hanna Arendt. Tra i filosofi meno recenti, stima imperitura per Spinoza e Schopenhauer.
Giovanni Miraglia, infine, tratteggia alcune costanti delle “stazioni impoetiche” del filosofo che, “come un uomo della Grecia arcaica”, non conosce steccati tra filosofia, scienza, musica e letteratura e fa dei suoi versi “un’acuminata arma di disvelamento intellettuale” per fustigare  imposture e marcescenze del pensiero, col “basso continuo” di una severa ironia che aspira a togliere alla poesia ogni funzione salvifica.
Coraggio, allora: approfittiamo di questo libretto prezioso per misurarci con l’umanissimo, intrigante pensiero di  Sgalambro che, se ci ricorda: “Si sa chi si è, da dove si viene e dove si va. Al postutto si è garantiti”, alla fine ci consola così: “Attraverso il dolore di vedere il mondo in un disordine mostruoso, si fa luce la gioia di sapere in ordine la propria mente.”     


Maria D’Asaro
Pubblicata il 4.5.18 su: SiciliaInformazioni.

giovedì 3 maggio 2018

Libri





Libri
Mani invisibili
Confine di contatto
Tra l’universo e me
Ponti                                 













mercoledì 2 maggio 2018

Onde



Soffi
Di vento
Colline di onde
In mari da solcare.
Viaggi