lunedì 31 ottobre 2016

Angeli del pianeta


Marc Chagall: La baia degli Angeli, 1962
            Le casalinghe palermitane sono più solerti di altre? Forse sì, considerati i loro standard: una si vanta di pulire a giorni alterni i lampadari con l’aceto; un’altra dichiara di spolverare i mobili ogni giorno, una terza lava ogni settimana lo zerbino. Inferiori, forse, gli standard di pulizia delle donne lavoratrici; sia perché, prese da tante incombenze, hanno meno tempo da dedicare alla lotta quotidiana contro la polvere, sia perché l’igiene casalinga viene talvolta delegata a colf più sbrigative. Che bello invece se le donne, palermitane e non solo, non limitassero la voglia di pulito solo all’interno delle proprie pareti domestiche, puntino invisibile nell’universo, ma facessero un salto di qualità impegnandosi anche a lottare per la pulizia di giardini, marciapiedi, strade, spiagge … In una sana dialettica tra dentro e fuori, tra privato e pubblico, anziché esagerate igieniste del focolare privato, che grazia se le donne diverranno angeli custodi dell’intero pianeta!



                                                                          Maria D’Asaro, “100nove” n.40 del 27.10.2016

sabato 29 ottobre 2016

Benvenuta a Palermo, Sharbat

       La Galleria d’Arte Moderna di Palermo ospita sino al 19 febbraio 2017 una splendida mostra fotografica di Steve McCurry. Sua la foto della ragazza afgana dagli occhi verdi, profuga a Pashawar, in Pakistan, celeberrima copertina del National Geographic nel giugno 1985. La donna, ritrovata nel 2002, si chiama Sharbat Gula. Qualche giorno fa, purtroppo Sharbat è stata arrestata in Pakistan per aver falsificato il suo documento d’identità. L’ambasciatore afgano in Pakistan e McCurry stanno tentando di aiutarla.

 "McCurry si concentra sulle conseguenze umane della guerra, mostrando non solo quello che la guerra imprime al paesaggio ma, piuttosto, sul volto umano. Egli è guidato da una curiosità innata e dal senso di meraviglia circa il mondo e tutti coloro che lo abitano, ed ha una straordinaria capacità di attraversare i confini della lingua e della cultura per catturare storie di esperienza umana. "La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l'anima più genuina, in cui l'esperienza s'imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell'essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità". (fonte: wikipedia)
     Ecco alcune fotografie esposte alla GAM e, dalla voce di Steve McCurry (spiegazione audio disponibile visitando la mostra) qualche sua notazione:


Monaco buddista, entrato in monastero a 7 anni e rimastovi per 75 … Mi sono chiesto come si veda il mondo da quella prospettiva: chissà, forse i solchi delle sue rughe sono pari alla sua "ampiezza interiore" e alla profondità della sua visione dell’universo.

I monsoni avevano invaso il suo negozietto di sarto, portandogli via tutto, tranne la vecchia macchina da cucire, che aveva trascinato fuori sulle spalle. La PFAFF, vista la foto, gli fece arrivare una nuova macchina da cucire.

Cosa fotografare con l’ultima pellicola prodotta dalla Kodak Kodachrome, nel 2009? Ecco la foto di Robert De Niro, "volto" degli Stati Uniti d'America.

Il sisma del 2011 in Giappone, che ha raggiunto il 9° della scala Richter, è stato uno dei più catastrofici di tutti i tempi. Questo volto riflesso su un pezzo di vetro scheggiato mi è parso l'emblema della terribile distruzione.
Il volto stanco di un minatore. Qual è la prima cosa che fa, dopo aver sudato per dodici ore in miniera, tra il fetore e la sporcizia? Si accende una sigaretta.


Questa minuscola donna indiana, dopo averla fotografata, mi raccontò la sua storia: si era sposata a tredici anni ed era rimasta vedova a quattordici. Di lei mi colpì la serenità, l’allegria: mi offri del thè nel suo tugurio non smettendo mai di sorridere …


Quest'uomo, appena operato di cataratta, utilizzava il suo turbante per proteggere l'occhio ...

Mi trovavo in un paesino dell’Afghanistan, distrutto dai bombardamenti sovietici. Una famigliola era tornata, nel buio della sera, e aveva acceso un fuoco in quello che rimaneva della loro casa. La luce del loro focolare mi apparve nel buio di quelle macerie come il simbolo di una nuova speranza di vita.


Pioveva a dirotto. Ero dentro un taxi, in India. Dietro il finestrino una donna con la sua bimba chiedeva qualche spicciolo. La fotografai in fretta: mi resi conto che quel finestrino alzato era la barriera insormontabile tra due mondi, tra  ricchezza e  povertà ...


(Se passate da Palermo, andate a vedere la mostra. Ne vale la pena. Ringrazio mio figlio Riccardo per il suo invito. Le foto - tranne quella del minatore, quella del sarto con la macchina da cucire e quella del pakistano con la barba tinta - sono mie. E si vede, direte!)

martedì 25 ottobre 2016

Via la guerra dalle parole!

Mostra su satira in Europa durante I guerra mondiale (1914/18),
Torino, 3.10 - 3.12.2016
                      Nei servizi del TG regionale siciliano, ad esempio a commento di azioni di protesta nel mondo del lavoro, sono spesso adoperate frasi del tipo: “Gli agricoltori sono sul piede di guerra”,Gli insegnanti precari sono sulle barricate contro i recenti provvedimenti”. Purtroppo queste e simili metafore belliche, quali: “All’assemblea della Confindustria torna all’attacco il …”; “Il segretario del partito è sceso in campo” e ancora: “Il Presidente del Consiglio rende l’onore delle armi a …” sono utilizzate ogni giorno da importanti testate e Tg nazionali. Qualche decennio fa, lo scrittore Carlo Levi titolava un suo scritto “Le parole sono pietre”: è il caso di chiedersi se l’abuso di tale linguaggio guerresco, al quale gli utenti si stanno purtroppo abituando, non contribuisca a considerare normali sia i conflitti armati veri e propri che le “guerre” nelle relazioni sociali. Ai giornalisti allora un pacifico invito: non ci “bombardate” con una terminologia guerrafondaia!
                                                                           Maria D’Asaro,100nove” n.39 del 20.10.2016

sabato 22 ottobre 2016

Dimmi che Etica pratichi e ti dirò chi sei

          Se, parafrasando il celebre film di Woody Allen, cerchiamo … qualche altra cosa che avremmo voluto sapere sull’etica e non abbiamo mai osato chiedere, ecco in soccorso Augusto Cavadi con Etica, (Aracne editrice, Ariccia, 2016, €7), libretto che, malgrado la veste umile e “ristretta”, ci offre significativi bagliori di luce nel sentiero impervio, e spesso confuso, delle scelte morali. Come illustrato nella pagina iniziale di presentazione, la finalità della collana di cui il saggio fa parte è quella di fornire ai lettori un contributo semplice e chiaro alla comprensione di parole/chiave della convivenza sociale, poiché, evitando pregiudizi e fraintendimenti, una loro condivisa “risemantizzazione” è condizione necessaria per la costruzione di una solida casa comune.
         Non a caso l’autore ci fa innanzitutto riflettere sull’ambivalenza semantica della parola “etica”, da alcuni intesa come un insieme di comportamenti pratici, da altri come insieme di idee-guida che orientano i comportamenti; di conseguenza “Non c’è mai chi può vantarsi di avere un’etica rimproverando all’altro di non averne nessuna.” Cavadi evidenzia poi come ogni etica sia “relativa”: a un punto di vista, a un luogo, a un tempo, a un contesto storico; ma ci invita a non confondere tale inevitabile relatività con l’indifferentismo: “Le etiche sono di fatto molte, ma ciò non significa che, dal punto di vista del giudizio (…) siano della stessa qualità”. Ma cosa fa sì che l’individuo scelga un’etica piuttosto che un’altra? “Tutto dipende – argomenta Cavadi – da ciò che uno pensa dell’essere umano e dell’universo; (…) il cerchio grande (la nostra filosofia generale) condiziona il cerchio piccolo interno (la nostra etica personale) e viceversa”. Dunque “Dimmi come concepisci l’uomo e ti dirò qual è la tua etica”.
       Ecco allora la domanda/chiave: quale etica concorre maggiormente alla nostra realizzazione? Non quella impostaci da una presunta divinità o da una morale razionalista, o basata sull’utile o sulla sensazione del momento. A questo punto, viene chiamato in causa Aristotele, il filosofo che, già nel quarto secolo avanti Cristo, suggeriva la prospettiva di un’etica “eudaimonistica”, in grado cioè di dare felicità. E Cavadi, d’accordo con Aristotele, intende l’etica come l’arte di avvicinarsi il più possibile alla felicità, cioè al compimento delle molteplici e irrinunziabili potenzialità della persona umana, legate alla realizzazione delle sue dimensioni costitutive, cioè la corporeità, la capacità di pensare e di amare: “Se l’essere umano è questo fascio di possibilità, il senso del suo esistere nel cosmo è per certi versi da scoprire e per altri da inventare”.
        Di conseguenza: “Vivere eticamente può significare dunque (…) orientare le proprie energie verso la pienezza della propria umanità: ciò che mi arricchisce davvero è morale; ciò che mi arricchisce apparentemente è immorale”. L’autore ci invita poi a riflettere sui comportamenti idonei a favorire il nostro sviluppo armonico e a operare di conseguenza scelte etiche “felicitose” in ambiti decisivi per la nostra vita quali il lavoro, l’affettività, la conoscenza, la politica, la pratica religiosa e l’economia.
           Riguardo al rapporto tra etica e conoscenza, Cavadi, con Gramsci, afferma che «Tutti gli uomini sono intellettuali, anche se non tutti svolgono nella società le funzioni dell’intellettuale»: bisogna allora leggere, esplorare e conoscere, perchè senza una buona base di consapevolezza di sé, della natura e della storia “procederemo come naufraghi su una zattera senza bussola”; riguardo all’etica del lavoro ci ricorda che “Nessuna società potrà considerarsi equa sino a quando ogni cittadino sarà davanti a un bivio: o la miseria del disoccupato o la sopravvivenza economica grazie a un lavoro qualsiasi”; l’autore, ribadendo poi lo stretto legame tra etica ed economia (“l’economia è la cartina di tornasole di ogni etica”), afferma che l’etica ha il dovere di denunziare i vizi capitali dell’economia moderna; e, con Luca Grecchi, sottolinea la negatività morale dell’attuale sistema capitalistico, che ritiene necessario «tenere un numero enorme di persone … in una condizione di precarietà di lavoro e di vita (…) e promuovere un modello di sviluppo in cui i più ricchi diventano sempre più ricchi, senza curarsi delle condizioni di vita dei più poveri». 
           Trattando il rapporto tra etica e politica, il testo ci ricorda che un gesto “acquista i connotati di un’azione politica … quando decidiamo di aiutare gli altri non uno ad uno ma come categoria sociale; (…) secondo un progetto di ampio respiro; mirando (…) ad effetti duraturi anche al di là della nostra partecipazione”; e riesce persino a commuoverci quando ci esorta a trasferire nell’azione politica le caratteristiche dell’amore/dono: “l’amore che non cerca altra ricompensa che vedere rifiorire la vita altrui, segnata dalle ferite della natura e della storia”.  
       
                                                           Maria D’Asaro:100nove” n.39 del 20.10.2016 pag.35

giovedì 20 ottobre 2016

A ogni giorno la sua tisana


    Da sua sorella, dottoressa speciale e maestra di cura, Maruzza aveva imparato a fare gli impacchi di argilla, a capire il valore del cibo, a conoscere le qualità delle erbe medicinali.
     Così, brindava ogni giorno alla  vita con una tisana:

Semi di Finocchioper digerire giornate pesanti
Anice stellato e Arancioper digerire e … regalarsi un po’ di dolcezza
Carciofo e Boldoper dare al fegato una marcia in più
Tarassaco e Cardo marianoper smaltire tossine e … dare una sferzata all’organismo
Equiseto e Mentaper aiutare i reni a filtrare ... il meglio della vita
Orticaper non perdere capelli ed energia
Tiglio e MelissaPer rilassarsi, la sera

E poi la tazza tiepida si colmava anche di affetti invisibili. E le scaldava la pancia, le mani e il cuore.
(Non sono affatto un’esperta. Bruno Vergani, stimato esperto di erbe medicinali, se mi leggerai, ti prego di correggere eventuali inesattezze ...)



lunedì 17 ottobre 2016

Cosa ci salva? Dire grazie.

Gesù guarisce un lebbroso (Cattedrale di Monreale)
        In questo villaggio in cui Gesù entra sono tutti lebbrosi o, meglio, siamo tutti lebbrosi, perché separiamo i lebbrosi dai non lebbrosi. E quindi alcuni diventano “disgrazia di Dio” e altri invece presumono di essere “grazia di Dio”. 
Dov’è il vero miracolo di Gesù? Nell’ultima battuta, quando dice: La tua fede ti ha salvato … sei stato capace di ringraziare. E Gesù usa il termine eucaristein: sei stato capace di fare eucarestia, di rendere lode al Signore. Ma di che cosa? Del fatto che puoi vivere accanto agli altri normalmente, senza che ci siano queste separazioni tra lebbrosi e non lebbrosi, senza che noi perpetriamo questa condizione nella quale vogliamo separarci tra di noi.(...).
Ebbene, o scopriamo che ognuno è grazia per l’altro, e ci mettiamo in ginocchio, gli uni dinanzi agli altri, a riconoscere la grazia di Dio che è in ognuno … anche se offuscata da tante miserie, anche se compromessa da tante vicende disorientanti, o siamo capaci di fare eucarestia, gli uni in ginocchio agli altri, o altrimenti questa pagina del Vangelo riguarda altri e “altro” da noi.
E quindi l’eucarestia che noi celebriamo la domenica, e  che qualifica il senso festivo di questo giorno (...) che è anche giorno della comunità che si ritrova, del Signore che ci fa ritrovare insieme come comunità e ci fa riconoscere gli uni “meraviglia degli altri” e viceversa, quindi l’eucarestia che noi celebriamo, care sorelle e fratelli, o è capace di infrangere tutte le altre collocazioni che noi ci diamo (...) o sgombriamo il terreno da villaggio, dove tutti si è contaminati, ma si continua invece a fare la separazione tra buoni e cattivi, o cominciamo “ex novo” dalla novità del Vangelo, o altrimenti non cambia niente, continuiamo a vivere in questo modo, a catalogarci, a mettere etichette, a fare tipologie.
La tua fede ti ha salvato – dice Gesù alla fine – perché hai scoperto che è bello dire grazie. Dire grazie ci salva, a partire dai nostri rapporti quotidiani. (...)”.
E l’Eucarestia allora diventa l’alternativa agli altri nostri rapporti che non sono all’insegna della gratuità e del grazie, o del saperci fare dono gli uni per gli altri, ognuno con i propri limiti, con le proprie miserie, con le proprie fragilità. Ma dire “grazie” è la nostra salvezza e ci guarisce dalla nostra malattia, anche dalle nostre lebbre, brutte e contagiose.
E allora chiediamo al Signore che ci insegni a fare Eucarestia, intanto nella vita quotidiana e poi in maniera solenne, ricapitolativa e comunitaria nel giorno del Signore, che è anche il giorno del nostro costruire la comunità, all’insegna della gratuità, del dono e del rendimento di grazie reciproco.

(Sintesi dell'omelia pronunciata nella chiesa di san Francesco Saverio a Palermo il 2.10.2016; il testo non è stato rivisto dall’autore, don Cosimo Scordato: eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)

venerdì 14 ottobre 2016

Lo “ius soli” di casa nostra …


               Il termine “ius soli”, come è noto,  indica l'acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza dell’esserci nati, a prescindere dalla cittadinanza dei genitori. A Palermo tale espressione si potrebbe ironicamente utilizzare per indicare la pretesa illegale e arrogante di chi, posteggiatore o fruttivendolo abusivi, si considera padrone di un pezzetto di territorio. Recentemente, sulle pagine di “Repubblica/Palermo”,  Francesco Palazzo e Augusto Cavadi hanno discusso della questione. Palazzo ha sottolineato che la richiesta di obolo da parte dei posteggiatori “ha le caratteristiche dell’estorsione classica nei confronti di esercizi commerciali e imprese. (…) Se esiste l’arresto per chi compie l’estorsione classica, non si capisce perché debba essere trattato diversamente questo tipo di approccio estorsivo.” Augusto Cavadi, contrario all’arresto, sanzione estrema ed eccessiva, ha comunque ribadito: “Palermo ha un disperato bisogno di legalità democratica” (…) “una stagione di legalità equa e trasparente innalzerebbe la qualità della vita nella nostra splendida città”.
                                                                         Maria D’Asaro:  “100nove” n.38 del 13.10.2016

mercoledì 12 ottobre 2016

Papà, i Padri costituenti e il referendum

Luciano D'Asaro
Caro papà,
                  mi manchi sempre tantissimo. Anche se non sono più una ragazzina, mi manca lo status di figlia, a cui non ho più diritto visto che tu e mamma siete volati via. Continuo a sentire la mancanza della tua saggezza, del tuo sguardo affettuoso, del tuo sorriso. E poi come era bello discutere con te! Una goduria parlare insieme di politica. 
Con chi discuto ora serenamente del prossimo referendum? Non so se da Lassù segui ancora quello che succede in Italia: sono state apportate modifiche importanti alla Costituzione italiana, modifiche che – poiché non sono state approvate dalle Camere con maggioranza qualificata – saranno sottoposte a referendum popolare confermativo il 4 dicembre prossimo. Sono dispiaciutissima che si sia arrivati al referendum. A mio parere, se ci sono cambiamenti da fare nella carta d’identità dello Stato, ci si deve confrontare con serenità fino a che non si trova una soluzione condivisa. Le fondamenta di una casa comune devono necessariamente essere sostenute da tutti i suoi abitanti. Persino i padri costituenti (Togliatti, De Gasperi, Einaudi), che avevano differenze ideologiche enormi, si sono messi d’accordo e hanno varato insieme la Costituzione. Ora c’è una gazzarra indecente … E poi il popolo ne capirà davvero abbastanza? Tra l’altro, come ben sai, a differenza del referendum abrogativo, nel referendum confermativo si prescinde dal quorum. Quindi si darà a quei quattro o più  gatti che andranno a votare un potere enorme …
Caro papà, sinceramente non so che fare. Mi seccherebbe votare “sì” in funzione pro-Renzi e viceversa. Perché a quest’assurdo siamo arrivati: a scambiare una consultazione sul cambiamento della Costituzione in un plebiscito a favore o contro l’attuale Governo … Che pena. Un giurista che stimo parecchio – Gustavo Zagrebelsky, già presidente della Corte Costituzionale – si è apertamente schierato per il "no". Il suo giudizio conta molto per me. Anche perché in materie così specifiche e delicate mi fido del parere autorevole degli esperti nella materia. Ma ancora non sono del tutto convinta. Sono tentata di non andare a votare … Illuminami da Lassù.
Ti voglio bene
Maruzza

Qui un link sulla Costituzione: prima e dopo l'eventuale riforma
Qui una lettera a papà di alcuni anni fa

domenica 9 ottobre 2016

Pace: l'utopia per cui mettersi in marcia

Alcuni amici palermitani in partenza per la marcia
     Oggi sono idealmente a fianco di Anna, Erminia,  Francesco,  Gandolfo, Vito e le altre amiche e amici siciliani che stanno marciando per la pace da Perugia ad Assisi, assieme a migliaia di altri italiani.
Qualcuno dirà che la loro marcia è inutile. E in parte, per certi aspetti, purtroppo è così. Che fare allora? Non ci si può comunque rassegnare all’inevitabilità delle guerre; oggi più che mai, in una società fragile, vulnerabile e globalizzata, è necessario reagire alla rassegnazione o, peggio, all’indifferenza, verso i conflitti. La pace è la cornice necessaria perché i popoli possano dispiegare la loro esistenza in modo degno e umano. Cosa fare per fermare le guerre? Intanto non permettere che le armi siano il motore dell’economia. C’è una legge in Italia – la 185/1990 – che disciplina il commercio delle armi, imponendo alcuni significativi divieti. Bisognerebbe finalmente applicarla. Ma forse bisognerebbe iniziare ad avere il coraggio di smantellare tutta l’industria bellica … E' necessario poi che la politica s'impegni per eliminare alla radice le cause delle guerre: le varie nazioni dovrebbero ripartire in modo equo le risorse del nostro pianeta.
Allora, la pace è un’utopia? Forse. Ma è la prima, fondamentale utopia per cui spendersi. Solo così potremo permetterci di guardare i nostri figli negli occhi e giustificare il fatto che li abbiamo gettati nel mondo.

(La Marcia per la pace Perugia - Assisi è una manifestazione del movimento pacifista italiano. Si svolge solitamente tra fine settembre e inizio ottobre, approssimativamente ogni due/tre anni, e si snoda per un percorso di circa 24 chilometri, da Perugia fino ad Assisi. La prima marcia si svolse domenica 24 settembre 1961 su iniziativa di Aldo Capitini e voleva essere un corteo nonviolento che testimoniasse a favore della pace e della solidarietà dei popoli. Capitini prese spunto dai pacifisti anglosassoni che nel 1958, guidati dal filosofo Bertrand Russell, si radunarono ad Aldermaston per una protesta antinucleare. Ad Assisi sfilarono circa 20 000 persone tra cui Arturo Carlo Jemolo, Guido Piovene, Renato Guttuso ed Ernesto Rossi. In prima fila accanto a Capitini, Giovanni Arpino e Italo Calvino. Nel libro Opposizione e liberazione Capitini descrisse l'esperienza della marcia:« Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della Marcia »In questa occasione venne per la prima volta utilizzata la Bandiera della pace, simbolo dell'opposizione nonviolenta a tutte le guerre. All'indomani della prima Marcia, Aldo Capitini fondò il Movimento Nonviolento. (da Wikipedia, qui)

venerdì 7 ottobre 2016

La maestra che sorride


                A Palermo, anni fa, una madre iscrisse il figlio di tre anni in un asilo infantile. Niente da fare: sebbene fossero sperimentate molte scuole del quartiere, in tutte il bimbetto piangeva disperato, rifiutava il cibo e si calmava solo quando la mamma lo riportava a casa. Finalmente, dopo alcuni mesi, in una scuola avvenne il miracolo: la madre trovò il figlio tranquillo, persino col pancino pieno, perché aveva anche mangiato a merenda la “treccina”. Quale la ricetta dell’insperato inserimento? Fu il bambino a svelarlo alla mamma: - Mamma, quando sono entrato in classe la maestra ha detto ai bimbi di farmi un applauso: tutti ridevano e battevano le mani! Poi la maestra ha detto che sono bravo e mi ha fatto i “complomenti” (questa la parola usata dall’infante!) perché so contare sino a dieci. E la maestra ride sempre! –  Studiate tutta la pedagogia del mondo, ma, soprattutto, sorridete maestre, sorridete!

            Maria D’Asaro:  “100nove” n.37 del 6.10.2016

mercoledì 5 ottobre 2016

Allora, Roberto: Palermo è irredimibile?

Roberto Alajmo, con l’intervento di Enrico Deaglio, ha presentato questo pomeriggio a Palermo il suo romanzo “Carne Mia” (Sellerio, Palermo, 2016, €16,00).
A caldo, qualche battuta:




Enrico Deaglio:     Allora, Roberto, Palermo è davvero irredimibile?
Roberto Alajmo:       Forse non tutti ricordano che dobbiamo a Sciascia tale aggettivo. Che comunque, nell’intervista durante la quale utilizzò il fortunato aggettivo, aggiunse che sì Palermo, a suo avviso, era irredimibile, ma bisognava comportarsi come se non lo fosse. E io sono d’accordo con lui.
Deaglio:                  Perché il tuo romanzo inizia proprio a Borgo Vecchio?
Alajmo:                     Perché Borgo Vecchio è un’enclave totalmente incongrua nella zona residenziale di Palermo: negli anni ’90, a soli 100 metri di distanza, c’era il negozio di scarpe più in della città: “Napoleon” … Ancora oggi c’è un abisso tra i prezzi delle case della Palermo bene e le catapecchie del Borgo.
Deaglio:                 Ma anche se ambientata in un luogo specifico - Borgo Vecchio per l'appunto - e in un tempo determinato, narri un storia rarefatta, che poteva accadere anche 2000 anni fa, con una morale difficile da definire. Racconti forse una tragedia?!
Alajmo:                         E’ vero, la morale nel racconto è sospesa, come nelle tragedie greche. A mio avviso, deve essere il lettore a sciogliere i nodi. I miei non sono libri polizieschi, perché alla fine le cose non si mettono a posto. Con “Carne mia” in qualche modo concludo una trilogia noir, iniziata con “Cuore di madre” e con “E’ stato il figlio
Deaglio:               Ma non c’è nessuno dei tuoi personaggi che incarni la giustizia? E poi: tu vuoi bene ai tuoi personaggi?
Alajmo:                     Nessuno dei miei personaggi incarna pienamente il bene; hanno tutti un lato oscuro. Dei due fratelli protagonisti del romanzo, quello che sembra buono poi è capace di uccidere … No, sicuramente non voglio bene ai miei personaggi. Anzi mi tengo a una sorta di distanza prudenziale da ognuno di loro.
Deaglio:                Roberto Alajmo vorrebbe essere considerato scrittore palermitano o italiano?
Alajmo:                      Vorrei essere considerato uno scrittore italiano, nato a Palermo; ma Palermo, anche se la vuoi tenere sullo sfondo, cerca sempre di entrare nell’inquadratura. Palermo tende sempre al cannibalismo …

 (E poi si è parlato del comitato dei lenzuoli, della mafia, dello stile del libro – un libro scritto come una sceneggiatura - della politica, del sindaco Orlando e persino dei tenerumi! Ma queste cose le tengo per me. Ne scriverò dopo aver letto il libro …)      Maria D’Asaro 



martedì 4 ottobre 2016

Uno spazzino speciale

Joan Mirò
   
     Chi, specie nelle prime ore del mattino, si trova a passare per le stradine che costeggiano via Oreto nuova, può notare un trabiccolo particolare: un carrettino per raccogliere l’immondizia abbellito da una dozzina di vecchi pupazzetti di peluche, di vario genere e misura. A trainare il carrettino e a pulire con cura e solerzia le strade nelle immediate vicinanze, c’è lo spazzino che lo ha in dotazione. Non si può fare a meno di dare all’uomo e al suo giocoso raccogli-immondizia uno sguardo, insieme incuriosito e discreto. E non si può non pensare che prendere i pupazzetti dismessi, magari gettati nei cassonetti, e dare loro di nuovo la vita come ornamento di un carretto di immondizia, dica qualcosa dell’anima del netturbino, forse creativa e gentile come il suo gesto di riciclaggio. Che dona al suo duro lavoro, e alle strade che spazza, un garbo e un tocco di colore speciali.  


                                                                            Maria D’Asaro:  “100nove” n.36 del 29.9.2016

lunedì 3 ottobre 2016

Mare nostro che non sei nei cieli



       Il 3 ottobre 2013  368 eritrei sono annegati vicino Lampedusa.
        Ecco, in memoria di queste e di tutte le vittime del mare, la preghiera laica di Erri De Luca.

(Ringrazio Lucia Comparato e Claudia Costanzo che hanno diffuso in FB lo scritto)





Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell'isola
e del mondo, sia benedetto il tuo sale,
sia benedetto il tuo fondale,
accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde
i pescatori usciti nella notte,
le loro reti tra le tue creature,
che tornano al mattino con la pesca
dei naufraghi salvati.

Mare nostro che non sei nei cieli,
all'alba sei colore del frumento
al tramonto dell'uva e di vendemmia.
ti abbiamo seminato di annegati più di
qualunque età delle tempeste.

Mare nostro che non sei nei cieli,
tu sei più giusto della terraferma
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto.
Custodisci le vite, le visite cadute
come foglie sul viale,
fai da autunno per loro,
da carezza, abbraccio, bacio in fronte,
madre, padre prima di partire.
                                                                Erri De Luca  

sabato 1 ottobre 2016

I figli di Peter Pan


     «Adultescenti», così sono definiti nella Treccani i Peter Pan di oggi: «persone adulte che si comportano con modi giovanili, compiacendosi di mostrare interessi e stili di vita da adolescenti». 
     La loro identità sociale, pur essendo molto propensi alla socialità specialmente tra i pari, è tutta da definire. Amano i cantieri in costruzione, i lavori in corso, le zone esistenziali senza troppa struttura, le nebbie e le foschie, le transizioni con viaggio di ritorno, le terre di mezzo e le zone franche. Sono avversi ai legami troppo definiti e definitivi, ma soffrono molto le separazioni, sia quelle della propria famiglia di origine, sia quelle dei legami affettivi tra pari (…). Alla deriva nel mondo, adulti all’anagrafe ma adolescenti nell’animo, amano le situazioni esistenziali sospese e indefinite, e perciò si muovono bene, pur senza rotta e senza mappa, nella società contemporanea.
Talvolta si perdono, e scivolano giù, oltrepassando margini da cui sarà poi difficile rientrare. Disillusi, e forse per difesa anche cinici, ma anche facili alle nuove illusioni, sognatori senza troppa solidità, sembrano ben attrezzati a stare in equilibrio tra due o più mondi, anche se a volte annegano nelle contraddizioni e nei tentativi di evitamento, prendendo lunghe strade traverse per non incrociare scelte definitive e per lasciare aperte vie di fuga … (Pagliarani, 1992)

Dalla prefazione di Rosella De Leonibus, questo il “lead” intrigante de La vera storia di Peter Pan -Cittadella Editrice Assisi, 2016, €9,50 - a cura di Giovanni Salonia: saggio da leggere, meditare e … recensire!