domenica 28 luglio 2019

Maestro Camilleri, grazie per sempre

Palermo – Egregio maestro, considerata la sua bella età, purtroppo la sua dipartita era da mettere in conto ne “Il corso delle cose”, volendo parafrasare il titolo del suo primo romanzo. Ma avrei ardentemente voluto che ... 

(Altri articoli su Andrea Camilleri: qui e qui)

venerdì 26 luglio 2019

101 storie di ragazzi sperduti: What time is it?

      E così era finito anche quest’anno scolastico. 
Forse l’ultimo, per nostra signora. Un anno bellissimo, perché  i suoi meravigliosi alunni erano stati tutti e 24 meritatamente promossi, ed erano cresciuti nel vasto mare della conoscenza e della maturazione personale. 
       Ma, nello stesso tempo, un anno difficile, in una scuola dove si faticava a trovare un senso condiviso nello stile relazionale e nei progetti didattici, una scuola piena soprattutto di circolari burocratiche, di grafici e cifre altisonanti da inserire nel RAV e nel PTOF. 
      Anche quest’anno, come referente alla dispersione scolastica, nostra signora si era comunque occupata di ragazzi sperduti. Tra i tanti, uno era M., un ragazzo già bocciato in terza elementare – Non era venuto a scuola perché la famiglia viveva in un container, avevano detto candidamente le colleghe della primaria – e poi bloccato per tre anni in prima media, perché, ad avviso di alcuni docenti, non aveva bisogni educativi speciali. M., ormai quasi sedici anni, sembrava confinato a vita nel limbo dell’insuccesso scolastico.
                  A novembre, la madre di M., mani rosse e spellate per la troppa candeggina utilizzata a pulire le case degli altri, con le lacrime agli occhi aveva chiesto aiuto per quel povero figlio, il maggiore di tre maschi: “Professoressa, lo aiuti a prendere la licenza media. Poi andrà a fare il muratore con suo padre …” Così fu trovata un’associazione di volontariato che accolse il ragazzo, fu concessa l’istruzione familiare e l’alunno a giugno conseguì da candidato esterno la licenza media.
              E poi c’era S., un tredicenne di una seconda media un po’ turbolenta dove, come referente alla dispersione, nostra signora supportava una collega nella gestione della classe. S. – lui sì, per fortuna - già dall’anno scorso era considerato alunno con BES (bisogni educativi speciali); addirittura – secondo qualche docente – ci sarebbe stato anche un lieve ritardo mentale non riconosciuto dall’ASP. 
          La referente alla dispersione, con gentile pazienza, in classe si sedeva accanto al tredicenne, un omone di un metro e ottanta, per guidarlo nella comprensione di alcuni esercizi. Aveva così scoperto che S. giocava a calcio, già da piccolino. Ed era bravissimo a parare, con quelle mani grandi grandi. E che quindi, tre volte a settimana, si allenava a calcetto. “Da che ora a che ora?”. Lo sguardo smarrito del ragazzo diceva che era capace di leggere solo un orologio digitale.
          “Hai voglia di imparare a leggere l’ora anche in un orologio con le lancette?” “Sì, se non è troppo difficile …” “Non c’è niente di troppo difficile: ci sono solo cose che ancora non si sono capite.”
E così, d’accordo con l’insegnante della classe, ci si reca in una stanzetta vicina e, con l’ausilio di un orologio a muro, S. impara a leggere l’ora: quadrante, lancetta lunga, lancetta corta, ore, minuti …  E lo impara anche in inglese. I suoi occhi hanno un guizzo di gioia. 
               What time is it? It’s time you believe in yourself …

Maria D’Asaro




martedì 23 luglio 2019

Il mezzo è ... il passeggero

        Sebbene Palermo non sia la città italiana con i migliori servizi di trasporto pubblici, cerco di prendere l’auto il meno possibile e camminare a piedi per brevi distanze, utilizzando per percorsi più lunghi autobus e metropolitana. Non sono ancora mai salita sul tram perché  le fermate di tale mezzo sono distanti da casa mia.              Conosco benissimo invece autobus e treni metropolitani: tra i due mezzi c’è un abisso di qualità. Gli autobus non hanno orari, sono spesso affollati, con passeggeri non paganti, oltre che indisciplinati; i treni metropolitani viaggiano in perfetto orario, hanno l’aria condizionata, sono assai puliti e, come appurato dal servizio di controllo costantemente presente sul mezzo, i passeggeri, silenziosi e cortesi, sono provvisti di biglietto. 
               Mi chiedo allora: sono forse due diverse categorie di esseri umani quelle che si servono di metro e di autobus? O è la qualità del servizio a influenzare il comportamento del passeggero?!
Maria D’Asaro

domenica 21 luglio 2019

Qui Luna, 20 luglio 1969: la lunga attesa davanti alla TV

      Palermo – “Allunarono, Mariù?” – “Non ancora, nonno. Mancano circa due ore, dice Tito Stagno”. Domenica 20 luglio 1969 nonno Salvatore e io, insieme a tantissimi italiani, eravamo incollati davanti alla TV, il grande apparecchio in bianco e nero piazzato in soggiorno, per seguire col fiato sospeso un evento eccezionale: il primo viaggio dell’uomo sulla Luna. Dopo le varie missioni Apollo degli anni precedenti, finalmente la navicella Apollo 11, con i tre astronauti statunitensi Neil Armstrong, Michael Collins, Buzz Aldrin, partita il 16 luglio da Cape Canaveral, stava per compiere la sua storica missione: l’atterraggio sulla luna.
                    Ormai non si contavano più le ore della diretta TV: il nonno e io ci chiedevamo quando Tito Stagno mangiasse o andasse in bagno … Finalmente, alle 22 e 17 circa, ora italiana, il giornalista fa l’annuncio epocale: «Ha toccato! Ha toccato il suolo lunare!», seguito però dalla secca smentita di Ruggero Orlando, mitico corrispondente dagli USA  - Qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando – che allora stava seguendo l’allunaggio da Houston. Ci fu un battibecco in diretta tra i due sul momento esatto dell’allunaggio della navicella. La comparazione successiva di dati ci dirà che entrambi commisero un lievissimo errore: Stagno annunciò l'allunaggio con 56 secondi di anticipo e  Orlando con circa 10 secondi di ritardo.
                 Ma il nonno e io, e gli italiani con noi, sorridemmo della lieve discrepanza tra l’orologio del TG1 e quello di Houston. Esultammo in piedi per l’allunaggio del LEM, il mitico modulo della navicella spaziale che aveva portato sulla Luna Armstrong e Aldrin, mentre Collins aspettava paziente su Columbia, la navicella di comando. Sulla Terra intanto almeno 600 milioni di spettatori erano in attesa del secondo grande momento: la discesa materiale del primo uomo nel luogo prescelto della superficie lunare: il Mare della Tranquillità. Passavano le ore, ma Neil Armstrong, capitano della missione, designato a solcare per primo il suolo lunare, tardava a uscire dal LEM. Confesso, con somma vergogna, che ”bucai” la visione del primo passo di Armstrong sulla luna: non vidi in diretta, in quella fatidica alba del 21 luglio (4 e 46 circa ora italiana) il piede sinistro di Armstrong poggiarsi sul suolo lunare … Né il nonno né papà e mamma ebbero cuore di svegliare la bambina che dormiva sul divano.
             Ma, come contrappasso della diretta mancata, che comunque la TV mandò in differita centinaia di volte, mi documentai per benino su quello che avveniva lassù: il modulo di comando fu chiamato Columbia, da Columbiad, il gigantesco cannone che, nel romanzo di Jules Verne “Dalla Terra alla Luna”, catapultava la navicella verso la Luna; il LEM fu invece chiamato Eagle (Aquila), come l'uccello simbolo degli Stati Uniti, rappresentato anche sull'emblema della missione: un’aquila con un ramoscello d’ulivo negli artigli, simbolo di pace. I passi di Armstrong sembravano dei saltelli perché la gravità lunare è circa un sesto di quella terrestre. Insieme ad Aldrin, che affiancò Armstrong nell’esplorazione lunare, i due astronauti raccolsero circa ventidue chili di materiale lunare, in prevalenza rocce come breccia e basalto; furono poi scoperti tre nuovi minerali, tranquillityite, pyroxferroite e armalcolite: quest’ultimo nome fu dato al materiale unendo le iniziali di Armstrong, Aldrin e Collins.
             Prima di rientrare nel LEM,  Aldrin e Armstrong piantarono sul suolo lunare la bandiera degli Stati Uniti d’America e lasciarono una targhetta su cui erano incisi due disegni della Terra (gli emisferi occidentale e orientale), un'iscrizione - «Qui uomini dal pianeta Terra fecero il primo passo sulla Luna, Luglio 1969 d.C. Siamo venuti in pace per tutta l'umanità» -  le firme degli astronauti e di Richard Nixon, l’allora Presidente degli USA che si congratulò con Armstrong e Aldrin con una storica telefonata in diretta Terra-Luna. Dopo circa 22 ore dall'allunaggio, i due astronauti si riunirono nel modulo di comando e Collins pilotò la navicella spaziale nella traiettoria di ritorno sulla Terra. La missione terminò il 24 luglio, con l'ammaraggio nell'Oceano Pacifico, tra l’entusiasmo generale. 
            Apollo 11 concluse la corsa allo spazio intrapresa dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica nello scenario della guerra fredda, realizzando il sogno suggestivo che, nel 1960 e nel 1961, l’allora Presidente degli Stati Uniti John Kennedy aveva indicato in due discorsi, alla Convenzione democratica di Los Angeles prima e davanti al Congresso degli Stati Uniti poi:  «Siamo sul bordo di una Nuova Frontiera, la frontiera delle speranze incompiute e dei sogni. Al di là di questa frontiera ci sono le zone inesplorate della scienza e dello spazio». «Prima che finisca questo decennio, abbiamo l’obiettivo di far atterrare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra.»                    Kennedy, assassinato il 22 novembre 1963, non riuscì a vedere il suo sogno. Ma regalò a me, al nonno Salvatore e al mondo intero un’emozione indescrivibile: essere stati spettatori - per dirlo con le parole di Neil Armstrong - di «Un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l'umanità.»

Maria D’Asaro, 21 luglio 2019, il Punto Quotidiano

il Punto Quotidiano del 21-07-19 è stato interamente dedicato al grande viaggio dell'umanità sulla Luna. Qui i link di altri articoli (se avete tempo visitate la testata, tutti gli articoli sono intriganti):




venerdì 19 luglio 2019

19 luglio, 27 anni dopo

Agnese col marito Paolo, che ha in braccio Fiammetta, e con Manfredi e Lucia
        Tutti i palermitani ricordano dov’erano, quella domenica pomeriggio del 19 luglio 1992. Io ero in vacanza a Ustica, con Irene, sei anni, che imparava a nuotare, e Riccardino, di appena due anni, che saltellava e imparava a contare dicendo “tette, otto: Uttica!” Il 19 luglio 1992 mia sorella mi chiamò al telefono,  dicendomi che Paolo Borsellino era stato ammazzato con un’autobomba e che da casa di nostra madre, non proprio vicina a via D’Amelio, si era sentito il botto. Non ci eravamo ancora ripresi dalla strage di Capaci, avvenuta neppure due mesi prima, ed ecco, eravamo di nuovo a lutto. Bisogna essere palermitani per capire lo strazio, il dolore, la paura, lo schifo. Da allora niente è stato più come prima. Avevamo la nostra Isis e non è stato facile conviverci e combatterla. (da qui)
                  Il giudice Falcone lo avevo conosciuto, a fine anni ’80, a un convegno per docenti nel quale si sottolineava l’importanza di una didattica antimafia per scardinare il codice culturale mafioso; il giudice Paolo Borsellino lo avevo vicinissimo quando, affranto, aveva pronunciato parole pesanti, il 25 giugno 1992 alla Biblioteca comunale di Palermo, a una manifestazione promossa da MicroMega.
                Senza Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci siamo sentiti tutti tremendamente più soli. Abbiamo tentato di reagire. Non so con quali reali risultati ... Sicuramente comunque – grazie al loro sacrificio – a livello culturale e civile molto è cambiato. E siamo fieri che l’aeroporto palermitano sia stato intitolato a Falcone e a Borsellino. 
                Grazie Giovanni, grazie Paolo. E grazie Rita, che te ne sei andata l’anno scorso. Un grazie grandissimo ovviamente anche a Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. 
                  Purtroppo – come denunciano i figli del giudice Borsellino, in particolare Fiammetta – sulla strage di via D’Amelio e sugli sconcertanti depistaggi che ne seguirono, ancora un insopportabile silenzio.  



(oggi a Palermo, nella chiesa di san Francesco Saverio, una messa di commemorazione celebrata da don Cosimo Scordato e don Luigi Ciotti: ringrazio Massimo Messina per le foto condivise su FB)


giovedì 18 luglio 2019

Donne che corrono coi lupi

Picasso: La stanza blu (1901) - Washington
        Una parte di ogni donna e di ogni uomo oppone resistenza al sapere che in tutte le relazioni amorose la Morte deve avere la sua parte. Fingiamo di potere amare senza che muoiano le nostre illusioni sul’amore, fingiamo di potere andare avanti senza che muoiano le nostre aspettative superficiali, fingiamo di poter fare progressi e che le nostre ebbrezze e i nostri impeti preferiti non moriranno mai. Ma in amore, psichicamente, tutto, proprio tutto viene accantonato. L’Io non lo vuole, ma così deve essere, e la persona dalla natura profonda e selvaggia è irrefutabilmente attirata dal compito.
        Cosa muore? Muore l’illusione, muoiono le aspettative, la bramosia di avere tutto, il desiderio di prendere solo il bello, tutto questo muore. Siccome l’amore porta sempre a una discesa nella natura Morte, comprendiamo bene come siano necessari grande potere su di sé e sentimento. Impegnandosi nell’amore, ci si impegna anche nella rivivificazione dell’essenza della Donna Scheletro e di tutti i suoi insegnamenti. […]
          Tre cose differenziano il vivere con l’anima di contro al vivere solamente con l’Io: la capacità di sentire e apprendere modi nuovi, la tenacia per percorrere una strada impervia, la pazienza di apprendere nel tempo l’amore profondo. […]
           La persona che ha sbrogliato la Donna Scheletro conosce la pazienza, sa meglio come aspettare. Non è traumatizzata né spaventata dall’aspetto scheletrico, e neanche sopraffatta dal godimento. […]
          E’ bene dedicarsi all’esercizio quotidiano e meditativo di sciogliere i lacci della natura Vita/Morte/Vita. Il pescatore continua a canticchiare una canzone di un solo verso per aiutarsi a slegare. E’ una canzone per aiutare la consapevolezza, per aiutare a sbrogliare la natura Donna Scheletro. Non sappiamo cosa canta e possiamo solo immaginarlo.
           E mentre sbrogliamo questa natura, faremmo bene a cantare qualcosa del genere: a cosa devo dare più morte oggi, per generare più vita? Che cosa so che dovrebbe morire, ma esito a permetterlo? Che cosa deve morire in me perché possa amare? Quale non-bellezza temo? A che mi serve il potere del non-bello oggi?  Che cosa dovrebbe morire oggi? Che cosa dovrebbe vivere? A quale vita temo di dar la nascita? 
           E se non ora, quando?

                                         (Clarissa Pinkola Estès: Donne che ballano coi lupi, pagg. 132, 143, 144)






martedì 16 luglio 2019

In cammino verso gli altri

Caravaggio: Cena in Emmaus (1606) - Brera
          Care sorelle e cari fratelli, semplifichiamo questa pagina del Vangelo perché possiamo andare subito all’essenziale, che è ciò di cui abbiamo bisogno. Gesù invia 72 persone; aveva già inviato i 12, ma a quanto pare era rimasto un po’ deluso … 
         Invia i 72 per dire che invia tutti, che tutti siamo inviati. 72 è il numero simbolico dei popoli della terra allora conosciuti. E 72 persone vengono inviate, a due a due. Perché?  Perché dove sono due o tre riuniti nel nome del Signore, quella è una piccola Chiesa. E perché inviati? Perché la Chiesa, come ha purtroppo frainteso nella storia, non è un’istituzione bloccata, ferma, strutturata in maniera da essere quasi intoccabile.
              La Chiesa è questo cammino verso gli altri. Per portare che cosa? La pace. Per annunziare un gesto di pace e per, non tanto guarire – perché non sempre ci riusciamo, il verbo greco dice “terapeuein”, curare, o meglio ancora prendersi cura – Così, come dice una bella canzone, capiamo di che cosa vogliamo parlare. O se vogliamo fare una citazione ancora più dotta di ‘care’, di cura, citiamo Heidegger …
          La cura e la pace. Prendersi cura e portare pace. In che modo? A partire da noi stessi. Se siamo riconciliati dentro di noi, allora potremo offrire qualcosa agli altri: una parola, un ascolto, un atto di vicinanza, un atto di perdono, un atto di cavalleria …
Se ci accolgono, mangiamo insieme. Che cosa? Quello che ci viene offerto. Tanto quello che conta è stare insieme, convivialmente. Non restare prigionieri di ciò che è puro e di ciò che è impuro, questo si può mangiare e questo no … No, l’importante è che stiamo insieme e godiamo il momento di convivialità. E se c’è da prenderci cura a vicenda, scambiamoci la cura, l’attenzione, perché ne abbiamo tutti bisogno.
                         E poi, andare avanti. Non costruire grandi strutture, non bloccare l’ecclesialità in una costruzione, ma essere in cammino, inviati gli uni agli altri. 
E se gli altri ci vengono incontro, benvenuti! Dovremmo dire: Scusami, dovevamo venire prima noi da te. Un tempo c’era la missione intesa come un nostro andare, in Africa ad esempio, e questo nostro andare ci sembrava un gesto grandioso. Bello, andare incontro agli altri. 
           Ora sono loro a venire incontro a noi. Dovremmo chiedere loro scusa perché non siamo andati noi da loro a dare una mano di aiuto: - Ora che siete qua, siate benvenuti, meno male che siete venuti … che vi siete ricordati di noi, che abbiamo qualcosa da potervi offrire. –
E il Vangelo ci semplifica tutto, care sorelle e fratelli. E la Chiesa o si ricomprende a due a due, riconoscendosi come persone, contatti e relazioni interpersonali, movimento cammino … o altrimenti restiamo prigionieri delle nostre strutture intoccabili, che spesso nascondono imbrogli, che spesso possono diventare anche prigioni dorate.
                  E basta così, care sorelle e fratelli. Dopo di che il demonio non c’è, basta,  è finito. Gesù ce lo dice “E’ caduto dal cielo”. Cosa può fare? Niente. Il male ce lo facciamo noi. Assumiamocene la responsabilità. Ricordo che mia madre diceva: “Il macigno, si è messo in mezzo il macigno … “ Il macigno, l’impedimento. 
Invece siamo noi a metterci a volte di traverso gli uni gli altri, non possiamo deresponsabilizzarci. Gesù dice: “Vedo Satana cadere come una folgore”. Basta. Tempo scaduto per il male, non ha nessun diritto di esistenza. E non possiamo neppure trovare scuse in questo. Assumiamoci le responsabilità della Storia alla quale dobbiamo dare un’impronta di gioia, di pace, di cura.
E adesso professiamo la nostra fede nella presenza di Dio. In quello ci crediamo. E attingiamo continuamente. Il resto non ci interessa.

(l'omelia, pronunciata il 7 luglio 2019 da don Cosimo Scordato a Palermo nella chiesa di san Francesco Saverio, non è stata rivista dall'autore: eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)

domenica 14 luglio 2019

Ferdinandea, l’isola che non c’è

                 Palermo -  L’isola di Stromboli, che fa parte dell’arcipelago delle Eolie, a nord est della costa siciliana, è balzata alla ribalta mercoledì 3 luglio per un’improvvisa e rovinosa eruzione dell’omonimo vulcano, che, oltre a incendi e frane, ha purtroppo causato la morte di un escursionista, Massimo Imbesi. Ora i parametri sismici sono rientrati, ma l’isoletta rimane in stato di allerta. L’eruzione dello Stromboli ricorda che la Sicilia, terra baciata dal sole e ricca di strepitose bellezze storico-naturali, è anche terra assai ballerina. Dove persino le isole compaiono e scompaiono, sotto la spinta di possenti movimenti tellurici.
                      Alla fine di giugno del lontano 1831, nel tratto di mare tra Sciacca e Pantelleria ci furono alcune scosse sismiche di fortissima intensità, avvertite fino a Palermo. Navi di passaggio nella zona videro colonne di fumo uscire dalle acque, assieme a violenti zampilli di lava. I pescatori del luogo segnalarono una sorta di ‘ribollimento’ del mare e morìe di pesci. Il 7 luglio, il capitano della nave ‘Gustavo’ avvistò un isolotto alto circa 8 metri che sputava cenere e lapilli. La completa emersione avvenne però nella notte fra il 10 e l'11 luglio 1831, quando si formò una piccola isola di circa quattro chilometri di circonferenza e sessanta metri d'altezza.
                        L’isola - che emerse alle coordinate geografiche 37° 10′ di latitudine Nord e  12° 43′ di longitudine Est, a soli 30 km dalla costa di Sciacca e a 55 km dall'isola di Pantelleria - mostrava una forma tronco-conica per via della sua attività vulcanica e ospitava due laghetti sulfurei in ebollizione.
Formata prevalentemente da tefrite, materiale roccioso eruttivo facilmente erodibile dall'azione delle onde, il pezzo di terra emerso non ebbe vita lunga. Infatti, nei mesi successivi, se ne verificò un rapido smantellamento erosivo, con la definitiva scomparsa  nel gennaio del 1832. 
               L’isoletta suscitò subito l'interesse di alcune potenze straniere europee, che nel mar Mediterraneo cercavano approdi delle loro flotte: il suo possesso e il suo “battesimo” diedero origine a un’accesa disputa soprattutto tra Gran Bretagna, Francia, Germania e Regno borbonico delle due Sicilie, disputa narrata anche da Andrea Camilleri nel romanzo “Un filo di fumo”.
               L'Inghilterra il 24 agosto giunse sul posto con il capitano Jenhouse, che vi piantò la bandiera britannica, chiamando l'isola "Graham". Questa presa di posizione suscitò la protesta del governo borbonico, che rivendicò l'isola come territorio del Regno delle Due Sicilie e propose di chiamare nominare l'isola "Corrao", dal nome del capitano che l’aveva avvistata. 
              Intanto il 26 settembre la Francia, per contrastare l'azione inglese, inviava il brigantino La Fleche, con una missione diretta dal geologo Constant Prévost insieme al pittore Edmond Joinville, al quale si devono i disegni del fenomeno eccezionale dell’emersione. I francesi fecero ricognizioni accurate fino al 29 settembre, e il materiale raccolto venne inviato alla Société géologique de France. Il contenuto di queste relazioni stabiliva che l'isola, sotto l'azione delle onde, aveva subito diverse frane, che a loro volta avevano provocato grandi erosioni sui fianchi. Pertanto l'isola, non avendo una base consistente, si poteva inabissare bruscamente. 
                    Come gli inglesi, anche i francesi approdarono sull'isola senza chiedere permesso  al  re Ferdinando II di Borbone, nonostante l'isola fosse sorta entro acque prossime alle coste siciliane. Anzi i francesi la ribattezzarono "Iulia" , perchè comparsa nel mese di luglio. Ferdinando II, constatando l'interesse internazionale che l'isoletta aveva suscitato, inviò sul posto la corvetta bombardiera Etna al comando del capitano Corrao il quale, sceso sull'isola, piantò la bandiera borbonica, battezzando l'isola "Ferdinandea", in onore del sovrano. 
Ma sul posto giunse anche il capitano Jenhouse con una potente fregata inglese; così il capitano Corrao  rimandò la questione ai rispettivi governi. L'isola avrebbe goduto, all'epoca, dello stato di Insula in mari nata, cioè, in quanto emersa dal mare, la prima nazione o persona a mettervi piede avrebbe potuto rivendicarla legittimamente (in questo caso gli Inglesi). 
             Ma,  a fine ottobre del 1831 il governo borbonico prese posizione ufficiale e inviò ai governi di Gran Bretagna e Francia una memoria con la quale ricordava che, a norma del diritto internazionale, la nuova terra apparteneva alla Sicilia. 
             Ci pensò “Ferdinandea” a dirimere a suo modo le scottanti questioni territoriali: tra fine dicembre 1831 e inizio gennaio scomparve completamente, a eccezione di un vasto banco di roccia lavica. Recenti ricerche oceanografiche hanno evidenziato che l'attuale banco costituisce – con i vicini banchi "Terribile" e "Nerita" – uno dei coni accessori del vulcano sottomarino Empedocle, un edificio vulcanico paragonabile all'Etna per larghezza della base. Ricordiamo infine i tanti nomi attribuiti all’isola: Giulia, Nerita, Corrao, Hotham, Graham, Sciacca, Ferdinandea. Davvero troppi, per un’isola che non c’è.


Maria D’Asaro, il Punto Quotidiano, 14.7.2019

(Aggiungo questo video tragicomico; ringrazio mio figlio Riccardo che lo ha segnalato)


giovedì 11 luglio 2019

Egregio sig. Sindaco

           Depongo nel cassonetto un sacchettino di immondizia una volta a settimana; faccio in modo scrupoloso la raccolta differenziata; differenzio i rifiuti organici portandoli nell’isola ecologica più vicina a casa - isola che poi tanto vicina non è – visto che nel mio quartiere di periferia non è mai partita la differenziata.      Telefono alla RAP  per il ritiro di rifiuti elettrici o ingombranti. Pago regolarmente la TARI. Ho ottenuto una compostiera nella scuola dove ho lavorato, per educare gli alunni alla differenziazione dei rifiuti. 
            Egregio Sindaco Orlando, non tollero le montagne di rifiuti che deturpano la mia città, dissonanti in modo stridente con i miei comportamenti privati che, comunque,  sono condivisi da almeno un quarto dei palermitani. Le chiedo quindi di impegnarsi, assieme al Presidente della Rap, per porre fine a quest’incivile e incomprensibile sfacelo. Voglio essere io, assieme ai tanti concittadini virtuosi, e non l’immondizia, il volto pulito di questa città.
Maria D’Asaro

martedì 9 luglio 2019

La Loba

           C’è una vecchia che vive in un luogo nascosto dell’anima che tutti conoscono ma pochi hanno visto. Come nelle favole dell’Europa orientale, pare in attesa di chi si è perduto, di vagabondi e cercatori. […] 
          L’unica occupazione de La Loba, Donna-Lupa, è la raccolta delle ossa. Notoriamente raccoglie e conserva in particolare quelle che corrono il pericolo di andare perdute per il mondo. La sua caverna è piena di ossa delle più varie creature del deserto: il cervo, il crotalo, il corvo. Ma si dice che la sua specialità siano i lupi.
           Striscia e setaccia le montagne  e i letti prosciugati dei fiumi alla ricerca di ossa di lupo, e quando ha riunito un intero scheletro, quando l’ultimo osso è al suo posto e la bella scultura bianca della creatura sta davanti a lei, allora siede accanto al fuoco e pensa a quale canzone cantare.
           E quando è sicura si leva sulla creatura, solleva su di lei le braccia, e inizia a cantare. Allora le costole e le ossa delle gambe cominciano a ricoprirsi di carne e la creatura si ricopre di pelo. La Loba canta ancora e altre parti della creatura tornano in vita; la coda, ispida e forte, si rizza.
        E ancora La Loba canta e il lupo comincia a respirare. E ancora La Loba canta così profondamente che il fondo del deserto si scuote, e mentre lei canta il lupo apre gli occhi, balza in piedi e corre lontano giù per il canyon.
         In un momento della corsa, per la velocità della corsa medesima, o perché finisce in un fiume, o perché un raggio di sole o di luna lo colpisce al fianco, il lupo è d’un tratto trasformato in una donna che ride e corre libera verso l’orizzonte.
        Dunque ricordate – se vagate nel deserto ed è quasi l’ora del tramonto e vi siete un po’ perdute e siete stanche – che siete fortunate, perché forse La Loba può prendervi in simpatia e mostrarvi qualcosa, qualcosa dell’anima.
(Clarissa Pinkola Estès: Donne che ballano coi lupi, pagg. 3,4)

Ringrazio Patrizia A. che mi ha ricordato l’esistenza di questo splendido libro.






domenica 7 luglio 2019

Greta e papa Francesco, salviamo il futuro

Palermo –  Sino a qualche anno fa si pensava che il riscaldamento globale comportasse solo un aumento di temperatura e lo scioglimento dei ghiacci, con conseguente innalzamento del livello di mari e oceani.
           Oggi si sa che la questione è più complessa e rischiosa: i segni del clima che cambia si possono già misurare e sono descritti da studi pubblicati sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, e riassunti ogni sei anni nei volumi del Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico, foro scientifico creato dall’ONU nel 1988. 
            Si è ormai consapevoli del fatto che il pianeta si sta riscaldando e continuerà a riscaldarsi nei prossimi decenni; che le attività umane – in particolare la combustione di carbone, gas e petrolio – ne sono la causa principale; e che alluvioni, siccità, ondate di calore, cioè quelli che gli esperti chiamano eventi estremi, si stanno intensificando in diverse parti del mondo,  provocando vittime e danni economici a interi sistemi produttivi.
              Il 20 agosto 2018 la sedicenne Greta Thunberg, studentessa svedese allora sconosciuta, ha iniziato a disertare la scuola in segno di protesta, per chiedere al suo governo la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, come previsto dagli accordi di Parigi sul cambiamento climatico.
              La giovane attivista ha poi continuato a manifestare ogni venerdì, lanciando così il movimento studentesco internazionale Fridays for Future che si è esteso in molte nazioni, tra cui i Paesi Bassi, l'Italia, la Germania, la Finlandia, la Danimarca e l'Australia. Ecco le sue parole, il 4 dicembre 2018, a Katowice, in Polonia, al vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici: «Ciò che speriamo di ottenere da questa conferenza è di comprendere che siamo di fronte a una minaccia esistenziale. Questa è la crisi più grave che l'umanità abbia mai subito. Noi dobbiamo anzitutto prenderne coscienza e fare qualcosa il più in fretta possibile per fermare le emissioni e cercare di salvare quello che possiamo.» 
E ha concluso così: «Voi parlate soltanto di un'eterna crescita dell'economia verde poiché avete troppa paura di essere impopolari. [...] Non siete abbastanza maturi da dire le cose come stanno. Lasciate persino questo fardello a noi bambini. La biosfera è sacrificata perché alcuni possano vivere in maniera lussuosa. La sofferenza di molte persone paga il lusso di pochi. Se è impossibile trovare soluzioni all'interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema. [...] L'anno 2078 celebrerò i miei 75 anni; se avrò figli, forse passeranno quella giornata con me. Forse mi chiederanno di voi, forse mi chiederanno perché voi non abbiate fatto nulla, mentre c'era ancora il tempo per agire. Voi dite di amare i vostri figli sopra qualsiasi altra cosa, eppure state rubando il loro futuro proprio davanti ai loro stessi occhi [...]».
Anche papa Francesco, con la pubblicazione nel 2015 dell’Enciclica ‘Laudato si’, ha voluto lanciare un appello a tutti gli uomini di buona volontà sulla necessità di curare la Terra, la casa comune. Ecco alcune frasi iniziali dell’Enciclica: «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia […]  Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. […] Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. 
Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale.»
       Lo scrittore Erri De Luca ha lanciato tempo fa una provocazione: l’istituzione di un nuovo ministero, il Ministero degli Affari Posteri, che prenda decisioni efficaci, creative e illuminate, indossando con urgente lungimiranza gli occhiali del futuro.


Maria D’Asaro, il Punto Quotidiano, 07.07.2019

venerdì 5 luglio 2019

Silenzio

 
                               
Fiorita

di nuovo

la cara plumeria.

Perché tanto dorato splendore?

Silenzio.        


                    





giovedì 4 luglio 2019

Bonus o Malus? #dove va la scuola italiana#

        Anche quest’anno, non chiederò il  bonus premiale previsto dalla legge 107/2015.
          Ecco, in questo post, le riflessioni in tal senso già espresse il 21 luglio 2016.
         Le sottoscrivo anche oggi: con qualche consapevolezza in più:  a mio sommesso avviso, rifiutare il bonus significa rifiutare la logica aziendalista e mercificante sottesa a tale pratica;  vuol  dire - da parte dei docenti - tentare di  non divenire come i “capponi di Renzo” di manzoniana memoria, che si beccavano tra loro ignari del fatto che sarebbero tutti finiti allo spiedo; vuol dire non rassegnarsi a una scuola che, con il decreto Brunetta prima (L.150/2009) e  con la legge 107/2015 poi, si è allontanata dall’essere una comunità educante. 

martedì 2 luglio 2019

Miracolo




Ballare

In coppia:

Magia da iniziati,

Fragile sogno di bimba.

Miracolo.