Cara zia Iole,
uno psicoterapeuta affermava:
“Ogni vita merita un romanzo”.
La tua di romanzi ne meriterebbe più di uno. Vita iniziata col parto faticoso di tua madre, che rischiò di morire quando, il 6 giugno 1922, tu nascevi un mese prima del previsto: “Mi raccontarono che l’ostetrica mi gettò nel letto, sta cusuzza nica nica, mentre tutti soccorrevano mia madre …”
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Zia Iole, da piccina |
Anche senza incubatrice e cure particolari, tu, cusuzza nica nica, nata dopo due sorelle e un fratello, sei sopravvissuta. E battezzata con i tre nomi di Iolanda, Mafalda, Letizia, come ti appellava affettuosamente Riccardino.
Poi ti è toccato crescere senza la mamma, portata letteralmente via da casa per la tubercolosi e trasferita, senza beneficio, da un sanatorio all’altro.
“Sai Mary, la mamma, quando andavamo a trovarla, non ci poteva abbracciare perché rischiavamo di essere contagiati; allora ci salutava mandandoci dei baci da lontano … E io non riuscivo a staccare gli occhi dalla sua mano che mi mandava ancora un bacio …”.
Tua madre morì, quando tu avevi appena nove anni.
Quando in seguito la vostra famigliola si andava riassestando anche con l’aiuto delle cinque zie, sorelle del mitico e bellissimo papà Ettore e con la presenza efficiente di Maria, una veneta di Ficarolo, in provincia di Rovigo, che è stata la seconda moglie, affettuosa e pragmatica, di tuo padre ...
Zia Pina, zia Iole, zia Giulia, zia Elda, e il marito zio Alfredo, Tanino, madre di zio Alfredo
Zia Elda, Maria, zia Iole, zia Pina. In basso papà Ettore e Tanino
... ecco un’altra mazzata: hai dovuto interrompere gli amatissimi studi magistrali perché operata d’urgenza a un rene, che ti è stato asportato. Con un medico che disse crudamente (e stupidamente) a tuo padre: “Questa ragazza non avrà più di vent’anni di vita”. Diagnosi sonoramente smentita, visto che sei arrivata sino a quasi 95 anni!
Nel frattempo era scoppiata la II guerra mondiale, che vide papà e tua sorella Pina più volte rischiare la vita perché, da Direttore e impiegata delle Poste centrali, in via Roma, a Palermo, andavano a lavorare anche durante i bombardamenti.
Nel luglio 1943 con i soldati americani arrivarono anche proposte di matrimonio, perché eri davvero una bellezza da schianto.
Proposte rispedite al mittente perché non volevi allontanarti da papà, dalla tua famiglia e dalla tua amata Sicilia. Con gli americani arrivò anche la penicillina che fece rimarginare - finalmente dopo sei anni! - la tua ferita ancora aperta dopo l’asportazione del rene.
Un anno dopo arrivò anche l’amore della tua vita: il tuo meraviglioso Filippo, tenente dei carabinieri in servizio a Partinico, che veniva dal
Molise. Ma il fidanzamento durò solo tre mesi: il bel Filippo, al quale sei rimasta sempre fedele, fu ucciso in un’imboscata, tra Montelepre e Partinico, il 17 settembre 1944: uno dei tanti, troppi italiani morti senza una ragione, per i quali non c'è stata verità e giustizia.
E le tragedie non finirono qui: il 13 dicembre 1948 morì con una subdola infezione di tetano anche la tua amatissima Elda, la sorella alla quale eri più legata.
Nonostante la durezza e i pesanti lutti che hanno intessuto la tua vita, sei stata una delle persone più solari, gioiose e allegre che io abbia sinora conosciuto.
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Jan, Ivynne, zia Iole, Maria, Franco |
Quando è morta Elda, che ha lasciato due orfani – Maria Grazia e Franco di soli 4 anni – hai cominciato anche a vestire l’abito di mamma/zia: Francuzzo, così lo chiamavate in famiglia, così hai continuato ad appellarlo sino a qualche giorno prima di morire, lo accoglieste in casa e tu e gli altri gli donaste l’affetto e il sostegno che gli mancava con la morte di sua madre.
Come, dal 1960 in poi, assieme a tuo padre, a Maria e a tua sorella Pina, faceste da tutoring, così si direbbe oggi, ai tre nipoti arrivati dal Sudafrica con tuo fratello Tanino che, partito per Londra a cercare fortuna, tornò alcuni anni dopo da Pretoria con tre figli e una moglie un po’ fuori le righe.
Intanto, nel 1950 sei stata assunta al Banco di Sicilia dove - come ha detto il dott. Saverio La Francesca nel giorno del tuo pensionamento, nel 1983 - ti sei distinta per impegno, serietà umana e professionale e ... grazia femminile.
Ti ho conosciuta nel giugno del 1979, in treno. Tornavamo entrambe da Agrigento: tu eri andata a trovare tuo nipote, mio collega al Banco di Sicilia, io tornavo a Palermo per dare un esame all’Università: Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea. Studiavo Pirandello. Il viaggio in treno durava circa tre ore e avevo programmato la lettura di una cinquantina di pagine. Non ne ho potuto leggere neppure una. Hai parlato di continuo per tre ore! E dire che eravamo due sconosciute … Ma tu attaccavi bottone con chiunque, con la tua parlantina frizzante e leggera!
Da allora non hai più smesso di parlarmi, anche perché poi, dopo il trasferimento a Palermo, sono stata tua collega al Banco di Sicilia, nel più prestigioso degli uffici, la Segreteria del Consiglio di Amministrazione, dove sfornavamo delibere che finanziavano le imprese catanesi dei Costanzo e di Graci, quelle che puntualmente mettevano in congedo il direttore centrale Salvo Lima e quella storica che sancì l’apertura dell’Ufficio di Rappresentanza ad Abu Dhabi ...
Lì mi hai insegnato a fare gli Estratti legali e, soprattutto, mi hai insegnato a sorridere. A prendere tutto con nonchalance e con fine ironia. Intanto ero diventata ufficialmente tua nipote, avendo sposato il figlio più piccolo di tuo fratello Tanino.
Sei stata contenta quando ho lasciato la Banca per la Scuola: dicevi che a Scuola sarei stata più utile alla società …
Per i magnifici cinque pronipoti che adoravi e i due pro-pronipotini che hai fatto in tempo ad abbracciare, sei stata una zia impareggiabile.
Per me non sei stata solo una zia: sei stata sorella maggiore, amica, confidente, allegra comare, madre putativa. La vice-madre affettuosa che ha compensato la mancanza di mamma, morta da tempo.
Poco tempo prima di morire, ripetevi ogni domenica a casa mia: “Che bello che è stare con voi … Non mi manca niente. Ho una famiglia. Che bello che è …” Ed eri già quasi cieca e parecchio malandata. Ma non ti lamentavi mai. Ti sei spenta in silenzio, dopo il calvario dell’ultimo mese di vita.
Qualche tempo prima di morire, mi chiedevi: “Ti mancherò Mary?”.
Mi manchi tantissimo. Mi manca la tua affettuosissima telefonata quotidiana. Mi manca la tua voce. Mi manca il tuo affetto senza se e senza ma. Mi manca il tuo sorriso. Mi manca la tua forza.
Ma, nello stesso tempo, so che ci sei. Vivi dentro di me. Mi hai insegnato a essere resiliente. Mi hai insegnato la leggerezza, mi hai insegnato a vivere con gioia. Mi hai insegnato a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Mi hai insegnato a canticchiare. Sono circondata dalle centinaia di cose belle che mi hai regalato, segni del tuo gusto raffinato, signorile, speciale.
Abbiamo condiviso i bagnetti dei bambini, le galline in campagna, le risate, le ansie per la mia assegnazione d’ufficio a Ustica, il gioco della sig.a Mingalli con Irenuccia. Se uno dei miei cuccioli stava male, ti precipitavi con la tua poderosa 850 e riuscivi a far sorridere Irene col mal di pancia e Riccardo con 39° di febbre. Fino a quando hai avuto salute e memoria, non c’era compleanno o onomastico senza fiori, regali, e la tua benedicente telefonata.
Un 12 settembre, tornando da scuola ho avvistato sul marciapiede uno splendido ficus semovente, dietro cui si nascondevano Luciano e Irene. Tuo l’ordine perentorio ai nipoti: “Comprate una pianta per mamma!”
Però hai cominciato un poco a morire nel 2006, quando ci è stato strappato Ettore, il fratello di Jan, uno dei tuoi “veri” cinque nipoti. Dicevi che Dio o il destino era ingiusto: “
Perché non sono morta io che sono vecchia e invece è morto Ettoruccio che lascia due figli e una moglie?”
Chissà se ora hai trovato risposta a questa e alle altre domande che in vita continuavi a farti, senza perdere comunque sorriso e speranza.
Sorridimi ancora da dove sei, zia Iole bella bella. Abbracciami, illuminami, col il tuo affetto infinito e speciale.
Ne ho davvero bisogno.
(Zia Iole è morta un mese fa, il 7 aprile. Ma è viva nel ricordo e nel cuore di noi nipoti per cui è teneramente vissuta).