venerdì 30 luglio 2021

La mollettina smarrita

      Tra le stranezze di nostra signora c’è quella di raccogliere per strada bottiglie di vetro o di plastica, cartoni abbandonati e rifiuti simili per depositarli nel cassonetto più vicino. Qualcuno si chiederà: ma anche adesso che c’è il Covid? Sì, anche adesso. Sicuramente con qualche attenzione in più. Nostra signora si rende conto di quanto sia inutile, velleitaria e persino patetica la sua opera di pulizia del piccolo spazio sotto casa.
       Ma lei ha una sorta di dipendenza dal desiderio di pulizia e dal senso della bellezza. Tanto più non ci sono ormai occhi di figli a rimproverarla.
    E poi le capita a volte di tornarsene a casa addirittura con un lauto bottino: un paio di mollette da bucato, che nessuno avrebbe mai degnato di attenzione, raccattate sotto il balconcino di un ammezzato. 
Le povere mollettine smarrite ora, sui fili del suo balcone, le sorridono grate per essere state resuscitate.

martedì 27 luglio 2021

Luglio 1978

    "Col senno di poi, credo che il dialogo con Elena seduta sul marciapiede deve avere avuto diverse battute di sostanza, ma non le ricordo. Qualcosa tipo: - Come stai? Stai studiando? Quando sono gli esami? Ti senti pronto?
     Tutte domande sue, perché io sono ben certo di non aver detto quasi nulla. Sono le domande standard di ogni genitore arrivato al tempo in cui il figlio gli scappa di mano, e vorrebbe trattenerlo, e lo sa che non deve, ma qualcosa gli impedisce di lasciarlo andare del tutto. Ogni padre o madre sa che è sbagliato, che non bisogna contrastare l’ordine del tempo che passa, ma ugualmente non resiste alla tentazione di chiedere una spanna dell’affetto che gli spettava fino a pochi anni prima. Affetto che era abbondante e incontestabile, pareva eterno. (…)
     Quando è toccato a me, di essere padre e vedermi sgusciare via un figlio, ho cercato di fare il disinvolto. Una volta, lasciandolo a scuola e vedendolo ritrarsi al mio tentativo di bacio di fronte ai compagni, gli ho detto: - I tuoi amici cosa credono, che a scuola ti accompagni uno dei servizi sociali?
   Questo sarcasmo mi ha fatto guadagnare qualche mese di affetto esplicito. L’assurdo di baciare sempre chiunque, tranne i propri genitori, deve essere balenato ad Arturo in tutto il suo paradosso. Da allora il bacio di commiato l’ho sempre ottenuto senza difficoltà. Solo quello, però. Per il resto è come se fossimo rimasti su due lastre di ghiaccio della calotta artica separate da un innalzamento della temperatura, trascinate dalla corrente in direzioni diverse."

Roberto Alajmo, L’estate del ’78 (Sellerio, Palermo, 2018, €15), pag.37,38

(Domenica prossima la recensione…)

domenica 25 luglio 2021

Polizzi Generosa: se la filosofia va in montagna...

    Palermo – L’aggettivo ‘Generosa’ il comune di Polizzi (in provincia di Palermo a 920 metri di altezza, all’interno della suggestiva cornice del Parco delle Madonie) lo ebbe nel 1234 da Federico II, favorevolmente colpito dall’ottima accoglienza ricevuta dai polizzani e dalla ricchezza del territorio.
   Col Regio Decreto del 1863, il titolo è divenuto ufficialmente parte integrante e distintiva del nome della cittadina. Tra le tante bellezze di questo suggestivo borgo madonita, in una valle a 1600 metri di altezza, c’è il più raro “albero di Natale” del mondo: l’Abies nebrodensis, conifera endemica delle Madonie, di cui si conservano pochi esemplari. L’abete delle Madonie, per le sue particolarità, è stato dichiarato dalla Società Botanica Italiana ‘pianta simbolo’ dell’isola.
   Polizzi Generosa, paese d’origine del celebre stilista Domenico Dolce, ha dato i natali a Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952): giornalista, scrittore, docente universitario e critico letterario, persino candidato al Nobel per la Pace per le sue concezioni artistiche e politiche illuminate e cosmopolite. 
     Proprio la Fondazione "G.A. Borgese" – istituita nel 2002 per promuovere e valorizzare l’opera artistica, letteraria, giornalistica e politica dell’illustre concittadino – il 16, 17 e 18 luglio scorso ha patrocinato la seconda edizione de “Una montagna di… filosofia”. 
    L’evento culturale, con la sapiente regia del professore Augusto Cavadi, filosofo ‘pratico’ e tanto altro ancora, ha visto una quarantina di persone confrontarsi sui temi della salvaguardia dell’ambiente, sulle linee essenziali del Taoismo, sulla cosiddetta ideologia ‘gender’, sull’attualità della Divina Commedia, a 700 anni dalla morte di Dante.
     A detta dei partecipanti, l’iniziativa culturale, ricca di momenti particolarmente toccanti, è stata anche quest’anno intensa e coinvolgente. Eccone una rapida sintesi:
     Il venerdì pomeriggio gli incontri sono iniziati con una passeggiata filosofica condotta da Augusto Cavadi, dal tema "La montagna come metafora della filosofia", momento che ha suscitato varie, suggestive risonanze individuali. Alla passeggiata filosofica è seguito il contributo di Maurizio Pallante sui temi della cosiddetta "decrescita felice": lo studioso ha sconfessato sia l’equazione aumento del PIL uguale crescita del benessere, che l’identificazione tra merci e beni, suggerendo di non farsi irretire dalle sirene del cosiddetto ‘sviluppo sostenibile’. La riflessione sui limiti del paradigma economico della crescita è continuata poi sabato mattina nel corso di una delle tre "colazioni al bar", condotta ancora da Pallante. 
    Le altre due ‘colazioni con i filosofi’, sono state introdotte rispettivamente da Giorgio Gagliano, che ha illustrato con passione e competenza le linee essenziali del Taoismo, evidenziandone la valenza universale e i punti di contatto con altre tradizioni sapienziali, e da Augusto Cavadi, che ha dibattuto sulle questioni legate alla distinzione fra il 'sesso' (biologico) e il 'genere' (sia percepito soggettivamente che agito socialmente). 
    Sabato pomeriggio il professore Maurizio Muraglia ha affascinato il gruppo con una relazione sulla profonda umanità dell’Alighieri che, con l’autenticità delle sue passioni di uomo del Trecento, le sue travagliate vicende personali e soprattutto col suo metaforico viaggio ultraterreno dall’Inferno del male al Paradiso del bene, riesce ancora ad interessarci e ad avvincerci, prospettando percorsi di riflessione e di saggezza.
     La sera del sabato, convegnisti e polizzani hanno poi fruito delle magistrali esecuzioni musicali di Giorgio Gagliano: Giorgio, filosofo e anche appassionato ed esperto maestro di violino e pianoforte, ha letteralmente incantato l’uditorio con brani di Bach e Paganini.
     Il convegno filosofico si è concluso nella mattina di domenica con spunti di riflessioni proposti dalla sottoscritta sulla base del testo di Jonathan Safran Foer ‘Possiamo salvare il mondo prima di cena’. Senza fanatismi ideologici sono state messe sul piatto della discussione comunitaria alcune proposte ecologiche operative, alimentari e non, per diminuire in modo significativo l’impatto inquinante patito dal nostro martoriato pianeta.
   Si conferma ancora una volta davvero ‘generosa’ la nostra Polizzi, grazie alla cui ospitalità accogliente, la filosofia è andata a braccetto con la voglia di pensare, di mettersi in gioco, di fare scelte lungimiranti e consapevoli. E ha fatto rima con acribia, compagnia e persino con allegria…

Maria D'Asaro, 25.7.21, il Punto Quotidiano
















giovedì 22 luglio 2021

Dialogo tra un venditore di braccioli e una passeggera...

       Nostra signora sta andando al mare da figlia e nipotini. Mentre si accinge a partire, arriva la telefonata della figlia: emergenza, al piccolino si è bucato un bracciolo! Urge acquistarne un paio. Il negozio più vicino è quello che vende alberi di Natale a dicembre e ombrelloni d’estate. – Ci sono braccioli? – Certamente – risponde ossequioso il venditore – Maschietto o femminuccia? – continua con un largo sorriso – Maschietto -
       La signora paga e… chiede lo scontrino. Il venditore cambia sguardo, contegno e umore: - Ma ‘un nu sapi che la lotteria finì? – Nostra signora obietta che avere lo scontrino è legale, non c’entra la ‘lotteria’. Il venditore ribatte allora che il registratore di cassa è guasto: - Se vuole torna lunedì. –  Se in ballo non ci fosse trattato il nipotino, nostra signora avrebbe ricusato la transazione. Ma il dovere di nonna prevale sul suo sacrosanto diritto di cittadina. 
Che si allontana, assai sconsolata… 
Maria D’Asaro, 22.7.21

lunedì 19 luglio 2021

Ciao giudice Paolo, ciao Emanuela, Agostino, Walter, Claudio e Vincenzo.

(Non avrei saputo dirlo con parole migliori di quelle espresse dalla cara amica Adriana Saieva, oggi su FB)

"Ricordo perfettamente dov'ero 29 anni fa. Ricordo il gelo dentro di me, lo sgomento, l'infinita tristezza. Ti rinnovo la promessa: non mi arrenderò mai,  non mi abituerò mai alle scene di quotidiana illegalità, mai alle logiche di potere; mai all'arroganza e alla sopraffazione. E , insieme a tante e tanti altr*, farò in modo che le nuove generazioni imparino ad amare la giustizia, l'onestà, il bene comune, il pensare con la propria testa. Ciao Giudice Paolo; ciao Emanuela, Agostino, Walter, Claudio e Vincenzo."


domenica 18 luglio 2021

mercoledì 14 luglio 2021

Scusi, ma lei è...

     Nostra signora prende la metro, ora che i contagi sono sotto la soglia di guardia. Sperando che l’esultanza per la vittoria degli azzurri e il ‘liberi tutti’ non portino nuove chiusure. 
    Una sera, in metro, una ragazza la guarda e le chiede: - Scusi, ma lei è un’insegnante? - Nostra signora risponde di sì. – E per caso insegna o insegnava alla…? – Si. – Ecco, lo sapevo! Io frequentavo il corso A. Lei non era nella mia classe, ma me la ricordo bene. L’ho riconosciuta, subito. Era sempre in giro, lei. - Mi occupavo di ragazzi che frequentavano poco. – Vero! Che bella scuola! E ho un bel ricordo di lei. - Intanto la metro si ferma ed entrambe scendiamo. 
    Le auguro buon tutto. Lei ricambia il sorriso e se ne va. Nostra signora è assai contenta di essere riconosciuta per strada, anche se non è Madonna, ma solo una sua stonata coetanea...

domenica 11 luglio 2021

Edgar Morin, 100 anni di "umanità gioiosa"

                                                           
Palermo – «Mantenere in sé la curiosità dell’infanzia, le aspirazioni dell’adolescenza, le responsabilità dell’adulto, e nell’invecchiare cercare di trarre l’esperienza delle età precedenti. E saperci stupire e interrogare su ciò che sembra normale ed evidente, per disintossicare la nostra mente e sviluppare uno spirito critico». Nell’intervista a Mauro Ceruti, sul Corriere, ecco la ricetta per invecchiare bene del filosofo e sociologo Edgar Morin, 100 anni compiuti l’8 luglio.
    ‘L’umanista gioioso’, chiamato così per il perenne luminoso sorriso, non ha bisogno di molte presentazioni. Ma forse non tutti sanno che Morin, appartenente a una famiglia ebrea originaria di Livorno e nato a Parigi l’8 luglio 1921, si chiama in realtà Edgar Nahoum. Al suo vero cognome preferì poi il nome di battaglia ‘Morin’, scelto per partecipare alla Resistenza francese contro gli invasori tedeschi. 
    Non è facile sintetizzare i suoi tanti importanti contribuiti teorici, che spaziano dall’antropologia sociale all’etnologia, dal cinema alla teoria dell’informazione, dalla sociologia alla filosofia. Sicuramente occupa un posto centrale nelle sue riflessioni il ‘pensiero della complessità’: l’urgenza di una riforma radicale del modo di pensare, oggi incapace di superare la separazione tra cultura umanistica, cultura scientifica, analisi sociologiche e saperi della tecnologia. Tale rigida divisione impedisce la percezione globale e unitaria dei problemi, rallenta la formazione di una solidarietà planetaria e non accresce il senso di responsabilità dei cittadini e dei gruppi sociali. 
    Il sociologo denuncia poi il pericolo dell’accumulo di saperi senza direzione e senza scopo, citando la frase di Michel de Montaigne: "È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena", intendendo per ‘testa piena’ quella che immagazzina saperi e non dispone di un principio di selezione e di organizzazione; mentre la "testa ben fatta", è quella capace di collegare i problemi e porre principi di organizzazione  e di senso. 
    In un suo libro del 2000 - I sette saperi necessari all’educazione del futuro – Morin espone la sua profetica proposta formativa, proponendo sette principi basilari per riorganizzare la conoscenza in tutti gli ambiti culturali e sociali: 
1) consapevolezza delle ‘cecità della conoscenza’: la riflessione spietata sui meccanismi conoscitivi, le sue criticità e le sue propensioni all’errore e all’illusione; 
2) promozione di una conoscenza ‘pertinente’, capace di cogliere i problemi globali per inscrivere in essi le conoscenze parziali e locali.  La conoscenza ‘pertinente’ deve sviluppare l’attitudine della mente umana a situare tutte le informazioni in un contesto e in un insieme;
3) insegnare la condizione umana: l’essere umano è nel contempo fisico, biologico, psichico, culturale, sociale, storico. Questa unità complessa della natura umana è spesso completamente disintegrata nel suo essere insegnata, in modo talvolta settoriale e dispersivo, attraverso le varie discipline;
4) insegnare l’identità terrestre: il destino ormai planetario del genere umano è un’altra realtà fondamentale ignorata dall’insegnamento: la globalizzazione della conoscenza e il riconoscimento dell’identità terrestre deve diventare uno dei principali oggetti dell’insegnamento;
5) affrontare le incertezze: la scienza ha fatto acquisire molte certezze, ma nel corso del XX secolo ci ha anche rivelato innumerevoli dubbi. Bisogna allora imparare a navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezza, come ci suggeriscono le parole del greco Euripide: “L’atteso non si compie, all’inatteso un dio apre la via”, cercando di acquisire metodi e strategie in grado di affrontare i rischi, l’inatteso e l’incerto;
6) insegnare la comprensione, fine della comunicazione umana; invece oggi l’educazione alla comprensione, alla comunicazione e al dialogo è assente dai nostri insegnamenti. In particolare, la reciproca comprensione tra individui, prossimi o lontani, è vitale perché le relazioni umane escano dal loro barbaro stato di incomprensione, e si costruiscano solide basi per una convivenza di pace;
7) costruire una “antropo-etica”, cioè un’etica del genere umano, capace di riconoscere il carattere ternario della condizione umana, che consiste nell’essere contemporaneamente individui, parte di una specie e della società. Quest’etica dovrebbe contribuire a una presa di coscienza della comune Terra-Patria e realizzare una cittadinanza terrestre universale.
    Per il suo centesimo compleanno, Edgar Morin ha ricevuto gli auguri sentiti e commossi da personalità di tutto il mondo; tra essi quelli di papa Francesco che, nell’incontro avuto con Morin il 27 giugno del 2019, ha sottolineato l’intensa opera svolta dal filosofo per la “cooperazione tra popoli”, per la “costruzione di una società più giusta e più umana”, per il “rinnovamento della democrazia”.
   Nella già citata intervista a Mauro Ceruti, Morin ribadisce che i suoi cento anni di vita gli hanno insegnato «a non credere nella perennità del presente, nella prevedibilità del futuro. Dobbiamo attenderci l’inatteso, anche se non possiamo prevederlo». E confessa un suo sogno: «Quello di poter fare il prossimo autunno un soggiorno in Italia, nelle nostre oasi di fraternità, con i nostri amici, e tornare in Toscana, a Torino, Roma, Napoli, Ravello, Messina...». 
   Infine, ricorda commosso che «Se c’è una verità nella mia vita, è la verità della poesia. Non solo quella dei poeti, ma quella della vita, che ci dilata e ci incanta. E la poesia suprema è quella dell’amore. E c’è anche la poesia della storia, che si rivela in momenti di libertà, di fraternità, di creatività. Ah, quel 26 agosto 1944, la liberazione di Parigi, tutte quelle campane delle chiese che si misero a suonare... E quel violoncello di Rostropovich, che il 9 novembre 1989 suonò Bach ai piedi del Muro pacificato...».
   Un grazie infinito allora a quest’uomo straordinario che, già nel 1994, nel testo Terra-Patria, riportava la toccante riflessione di Alberto Cohen “Che questa spaventosa avventura degli esseri umani, che arrivano, ridono, si muovono e poi all’improvviso non si muovono più, che questa catastrofe che ci attende non ci renda teneri e pietosi gli uni con gli altri, questo è incredibile”. Suggellata dalla saggezza acuta e dolente delle sue parole: «Siamo perduti, ma abbiamo un tetto, una casa, una patria; il piccolo pianeta in cui la vita si è creata il proprio giardino, in cui gli esseri umani hanno formato il loro focolare, in cui ormai l’umanità deve riconoscere la propria casa comune (…). Dobbiamo essere fratelli, non perché saremo salvati, ma perché siamo perduti. Dobbiamo essere fratelli per vivere autenticamente la nostra comunità di destino di vita e di morte terreni. Dobbiamo essere fratelli perché siamo solidali gli uni con gli altri nell’avventura ignota».
 
Maria D'Asaro, 11.7.21, il Punto Quotidiano

giovedì 8 luglio 2021

Si chiamava G.

E.Munch: Davanti al letto di morte (1915)
     Avrebbe gioito per la vittoria degli Azzurri contro la Spagna. Se non fosse morto, a 31 anni, per l’ennesimo incidente stradale notturno, tra il suo ciclomotore e un’auto, in una strada di periferia di Palermo, poche settimane fa, in una tragica notte di giugno. Nella foto su un quotidiano, aveva lo stesso sorriso, lo stesso viso paffuto, quasi da bambino, dei suoi 11 anni. Quando frequentava la scuola media dove nostra signora si occupava di dispersione scolastica. le dava filo da torcere, perché era presente un giorno sì e tre no. A poco servivano colloqui e telefonate con sua madre. Pare che, quando era assente, vendesse fiori vicino al cimitero di sant’Orsola. Poi, più grandino, portava del ferro in un magazzino. G. lascia la moglie e tre bambini. Oggi nostra signora si chiede cosa fare perchè il futuro di quelle creature non sia segnato. Almeno questo, a G, glielo dobbiamo.

lunedì 5 luglio 2021

Città future: bollenti e poco azzurre...

   Palermo – Quando nel 1968 Adriano Celentano cantava “Azzurro”, d’estate le città italiane avevano un clima più gradevole: il protagonista della canzone, sebbene triste per la mancanza della sua amata, si beava di un cielo terso, ‘azzurro’ appunto, ammirava rose che fiorivano ancora, curate e annaffiate, e andava alla ricerca di un pezzetto di Africa ‘tra l’oleandro e il baobab’. 
   Ora l’Africa non dobbiamo andare a cercarla. Purtroppo ondate dell’anticiclone africano si susseguono senza sosta, una dietro l’altra: già nello scorso mese di giugno, in molte città del nostro Paese, le temperature hanno superato i livelli già elevati fatti registrare nel 2003 nello stesso periodo.
   I climatologi ci dicono che negli ultimi 60 anni – quasi quanti ne sono passati da “Azzurro” - la temperatura di alcune città italiane è salita di più di 3 gradi.
   Purtroppo le previsioni per il futuro non sono rosee né azzurre... Lo ha esplicitato con chiarezza, in una recente intervista al Tg scientifico “Leonardo”, il professore Filippo Giorgi, membro del team italiano dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Chang, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici): «Ci aspettiamo che tra qualche decade ci saranno perenni ondate di calore, che aumenteranno ancora le temperature attuali. Ciò si percepirà soprattutto nelle città che, per la loro struttura e conformazione, si trasformano in ‘isole di calore’. 
Le città sono superfici impermeabili, dove l’acqua non traspira, perché c’è tanto cemento, ci sono i tetti… In una metropoli non c’è alcuna evaporazione: questo vuol dire che il calore si accumula e poi viene rilasciato in atmosfera.
   Con il rialzo delle temperature, aumenta di conseguenza anche il livello di inquinamento perché le reazioni chimiche - che, ad esempio, formano l’ozono, assai nocivo - sono più veloci. In più in estate, se ci sono ondate di calore, ovviamente non piove; così purtroppo le quantità di particolato aumentano sensibilmente. E noi sappiamo che il particolato e l’ozono sono dei killer per la nostra salute. 
    Quindi le grandi aree urbane sono tra i principali motori del riscaldamento globale e, allo stesso tempo, i luoghi che ne pagano il prezzo più alto in termini di salute».
Il professore Giorgi avanza una previsione assai poco confortante per le nostre città: «Con proiezioni fatte nel nostro laboratorio, abbiamo provato a ipotizzare, alla fine di questo secolo, come saranno i climi di alcune città italiane: abbiamo visto che probabilmente a Milano e a Torino ci sarà il clima di Tunisi e Algeri…»
   Possiamo fare qualcosa per arrestare questo futuro da girone infernale? No, se ci limiteremo a lamentarci e ad accendere i condizionatori all’interno di abitazioni e negozi, per un refrigerio privato che causa un ulteriore aumento della già cocente calura esterna. Con ‘il treno dei desideri’ (dell’inversione di tendenza climatica) che viaggerà ‘all'incontrario’ delle nostre azioni scriteriate.
Si dovrebbe invece modificare l’assetto delle città: piantare alberi, diminuire drasticamente il numero delle automobili, consumare meno energia, creare corsi d’acqua artificiali e isole verdi. 
Quaranta città del pianeta, tra cui le italiane Venezia, Roma e Milano, ci stanno provando, ci dice il professore Giorgi. Il gruppo delle 40 metropoli mondiali proverà innanzitutto a progettare come ridurre le cause del riscaldamento globale e cercherà comunque di pianificare azioni cittadine per affrontare le inevitabili ondate di calore. 
   Non possiamo che tifare per loro. Cercando però di fare anche la nostra piccola parte, ad esempio camminando di più a piedi o con la metro ed evitando di tenere sempre accesi i condizionatori.
Magari non salveremo il pianeta, ma potremo guardare in faccia i nostri nipoti. E dire loro che almeno ci abbiamo provato.

Maria D'Asaro, 4.7.21, il Punto Quotidiano


venerdì 2 luglio 2021

Pallanuoto: l’ennesimo trionfo rosa dell’Orizzonte Catania

    Palermo – Ennesimo vittorioso traguardo della squadra di pallanuoto femminile Ekipe Orizzonte Catania, campione d’Italia per la ventunesima volta nella sua storia. Per il team etneo, si tratta della seconda affermazione nazionale della stagione: lo scudetto vinto il 9 giugno scorso, che segue quello conquistato nel 2019, è stato infatti preceduto dalla conquista della Coppa Italia.
     Le atlete dell’Ekipe Orizzonte Catania hanno vinto il massimo campionato nazionale battendo a Padova per 14 a 11 la squadra di casa della Plebiscito, dopo una partita assai sofferta finita ai rigori. La gara, ricca di emozioni e di colpi scena, ha visto le due squadre lottare strenuamente sino alla fine per aggiudicarsi la vittoria. La sfida ai tempi regolamentari si era chiusa 10-10, con un pareggio per l’Ekipe messo a segno da Rosaria Aiello negli ultimi due minuti di gara.  Il risultato finale è stato deciso dai quattro segnati per l’Ekipe dalle atlete Barzon, Marletta, Vukovic ed Emmolo, mentre per la Plebiscito Padova ci sono stati due pali colpiti dalle atlete Centanni e Meggiato, con la Queirolo autrice dell’unica rete. 
    Rosaria Aiello, centroboa della squadra catanese che ha portato la sfida ai rigori segnando il pareggio del 10-10, ha sottolineato: “È stata una serie difficilissima, tirata e combattuta fino all’ultimo. Uno spot per la pallanuoto e lo sport in generale. È stata la mia ultima partita e esco da campionessa. Ancora non so che farò nel futuro, ma per ora esco con il sorriso e la gioia di un terzo titolo personale”.
La squadra di pallanuoto femminile, che milita nel campionato A-1 dal 1986, è una presenza sportiva prestigiosa per Catania e non solo: si tratta infatti della più titolata società d'Europa nella disciplina, vantando 21 vittorie nei campionati nazionali, otto trionfi nelle Coppe dei Campioni e, nel 2019, anche il conseguimento della Coppa LEN (Il LEN Trophy, noto in Italia come Coppa LEN, è una prestigiosa competizione pallanuotistica europea femminile, seconda solo alla LEN Euro League Women). 
    Risultati così prestigiosi sono stati possibili grazie all’armonico lavoro di squadra di atlete e società. Al successo hanno contribuito Nello Russo, oggi Presidente onorario, i vari dirigenti, i tecnici che si sono avvicendati con professionalità e continuità di intenti. Ma le artefici delle vittorie sono state soprattutto le atlete: Tania Di Mario, Francesca Cristiana Conti, Manuela Zanchi, Milena Virzì, Silvia Bosurgi, Maddalena Musumeci, Cinzia Ragusa, Chiara Brancati, Monica Vaillant, Cristina Consoli, Cristiana Pinciroli, Giusi Malato, Martina Miceli, Antonella Di Giacinto, Melania Grego, Stefania Lariucci, Giulia Gorlero, Arianna Garibotti, Roberta Bianconi, Rosaria Aiello, Valeria Palmieri… Campionesse che, negli anni, hanno portato la squadra a mietere i meritati successi..
     Una società tutta rosa oggi quella dell’Ekipe, allenata da Martina Miceli e presieduta da Tania Di Mario, entrambe ex giocatrici. Tania Di Mario, anche direttore sportivo della società, ha dichiarato che, trascinata dalla tensione agonistica delle ‘sue’ atlete, le è persino tornato il desiderio di giocare, lei che ha smesso di farlo sette volte, prima del saluto definitivo allo sport attivo. A questo proposito, alle atlete Rosaria Aiello, Giulia Gorlero e Arianna Garibotti che dopo la conquista dello scudetto hanno dichiarato di voler lasciare la pallanuoto, fa sapere che, se avranno ripensamenti, la porta della società rimane aperta. 
   Riguardo poi all’allenatrice Martina Miceli, ha dichiarato: «Quando ho smesso di giocare è stato naturale continuare ad aiutarla, l’allenatore credo sia la parte più importante di una squadra. Lo credevo prima e lo credo ancora di più adesso che faccio il presidente. Tutti noi abbiamo il compito di sostenerla, ma il lavoro più grande lo fa lei. Mi piace pensare che quello che abbiamo fatto insieme lo abbiamo fatto con un metodo diverso. Da donne, con pregi e difetti, ma il metodo ha portato risultati importanti e di questo vado fiera. Vuol dire che le donne che hanno fatto pallanuoto possono dirigerla».  
   Alla fine dell’intervista ecco il suo auspicio: che in futuro il Commissario tecnico della squadra italiana di pallanuoto possa essere una donna. Magari proprio Martina Miceli…

Maria D'Asaro, 27.5.21, il Punto Quotidiano