domenica 30 luglio 2023

I cani vanno custoditi e liberati dalle catene

      Palermo – A soffrire per il forte caldo, non sono solo gli esseri umani, ma anche gli animali. Ad esempio i cani che, a guardia di proprietà private o nei casolari di campagna, sono spesso incatenati sotto il sole cocente, magari per ore e ore, non sempre con cibo e acqua sufficienti. Ai cani che si trovano nelle campagne con un cappio al collo, può anche capitare di morire per un incendio improvviso da cui non possono scappare.
    “Liberi dalle catene” è il nome della campagna che tre associazioni animaliste – Green Impact, Fondazione Cave canem e Animal Law Italia – portano avanti già dal 2021 per l’introduzione del divieto di detenzione di cani a catena in tutto il territorio italiano.
     In questo settore, la competenza normativa ricade sulle Regioni. 
Le tre associazioni chiedono infatti a tutte le Regioni italiane che, entro il 2026, vietino la detenzione dei cani a catena. 
Già nel 2021 il sito Freedom for dogs.org ha pubblicato un esauriente rapporto che rendeva nota la situazione legislativa relativa ai cani nelle venti regioni italiane. 
    Tale rapporto, ripubblicato con gli opportuni aggiornamenti nell’aprile 2022, evidenzia la presenza di una normativa adeguata solo nelle Marche, in Umbria, Lazio e Campania,  dove la detenzione dei cani alla catena è vietata in assoluto; Puglia, Abruzzo, Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, provincia autonoma di Trento, vietano anch’esse la detenzione dei cani a catena, ma prevedono eccezioni per motivi urgenti e temporanei; la regione Toscana, come già fatto nel 2022, ha adottato anche quest’anno un’Ordinanza regionale straordinaria che vieta di tenere i cani incatenati nella stagione estiva, fino al 30 settembre. Non hanno invece alcuna normativa vigente in materia Piemonte, provincia autonoma dell’Alto Adige, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Molise, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia.
   In Sicilia, il 3 agosto 2022 è stata approvata dall’Assemblea Regionale la legge n.15, che stabilisce ‘Norme per la tutela degli animali e la prevenzione del randagismo’, e prevede sulla carta anche il divieto dell’uso delle catene per i cani. A tutt’oggi però, sebbene ci sia una Commissione deputata a tale scopo, mancano i decreti attuativi che rendano effettiva tale legge.
   Intervistata da Salvatore Fazio, giornalista della testata del TG della Regione Sicilia, Elena La Porta, Presidente della sezione di Palermo della Lega per la difesa del cane, ha auspicato che la Regione siciliana adotti al più presto la legge contro la detenzione dei cani a catena, come ineludibile “gesto di civiltà”.
    E ha anche lanciato un appello contro il fenomeno dell’abbandono degli animali domestici: “Il fenomeno dell’abbandono si ripropone ogni estate: cani gatti e altri animali domestici vengono abbandonati dalle famiglie per motivi che si potrebbero risolvere con la buona volontà e con l’amore. Non fate questa vigliaccata, questo gesto crudele verso gli animali che hanno solo voi come custodi e dipendono dal vostro senso di responsabilità e dalla vostra serietà umana”.

Maria D'Asaro, 30.7.23, il Punto Quotidiano

sabato 29 luglio 2023

La vecchiaia come esplorazione: l'avventura delle idee...

       “La patologia principale della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo. Sono la nostra giovinezza e una cultura che deriva le sue idee dalla giovinezza che possono renderci morbosa la vecchiaia. Arrivati ai cinquanta o sessant’anni, è ora di incominciare un altro tipo di terapia: la terapia delle idee. (…)
     T.S.Eliot ha scritto: «I vecchi dovrebbero essere esploratori»; per me questo significa: segui la curiosità, indaga idee importanti, rischia la trasgressione. 
      Secondo l’acuto filosofo spagnolo Josè Ortega y Gasset, l’idea di ‘indagine’ è l’equivalente più vicino a ciò che i greci intendevano con alètheia, l’attività della mente che ha dato il via a tutta la filosofia occidentale: «il tentativo… di porci in contatto con la nuda realtà…nascosta dietro il manto della falsità». Spesso la falsità indossa il manto di verità comunemente accettate (…). Una terapia delle idee potrebbe liberarci dalle convenzioni che impediscono alla nostra mente di compiere interessanti trasgressioni.
      Per vedere la forza del carattere a distanza ravvicinata, dobbiamo lasciarci coinvolgere senza riserve negli eventi dell’invecchiare. E questo richiede, oltre che curiosità, anche coraggio. Per ‘coraggio’ intendo la forza di abbandonare le idee vecchie per abbandonarsi alle idee strane, attuando uno slittamento del significato e dell’importanza degli eventi che temiamo.
     Intendo il coraggio di essere curiosi. La curiosità è una delle grandi pulsioni del genere umano e forse della vita animale in genere (…).
     Per noi esseri umani, l’avventura ha luogo sempre più dentro la mente. Questo coraggio della mente, il grande filosofo Alfred North Whitehead lo ha chiamato ‘l’avventura delle idee’.  «Il pensiero – scrive Whitehead – è una straordinaria modalità di eccitamento».

James Hillman, La forza del carattere (traduz. di Adriana Bottini), Adelphi, MI, 2018, pp.20-22

giovedì 27 luglio 2023

Quando il poeta è il vicino di blog...


 
“Poesie che vorrebbero sfuggire a ogni categoria, perché le liriche questo rappresentano, un ricamo di vita stratificata. Scrivere come riparo, fuga, scontro e comunione (…)” – quarta di copertina della raccolta di poesie In risposta al cosa manca, Aletti ed., Roma, 2023. 
        
Autore è Franco Battaglia, stimato vicino di… blog: Postodibloggo

Ecco due liriche, come antipasto poetico:



E star bene

Mi chiedo cosa manchi
Al non dover chiedere più nulla.

Un reale stato di quiete?
Un’assenza di preoccupazioni?
Polsi da baciare
E alito da mischiare?
Il desiderio esaudito,
o l’educazione, dei propri desideri?

O forse l’accontentarsi 
di scrivere due righe
in risposta al cosa manca.

E star bene
In loro compagnia.

Uno solo che legga

Di silenzio ne abbiamo?
A rimpolpare l’aria, renderla densa,
quasi ostica.

Di parole ne conosciamo?
A infilzarla poi, quell’aria,
a bucarne il vuoto interiore,
tirarne via gli umori.

E di qualcuno che ascolti, c’è segnale?
Che abbia un minimo interesse,
vaga curiosità,
attitudine ai suoni,
o alle sfumature sbilenche.

E infine anche uno solo che legga,
dopo che la notte ha salutato
mentre scaldo l’alba sul gas.


                                  Franco Battaglia In risposta al cosa manca, Aletti ed., Roma, 2023, pp. 12, 14

martedì 25 luglio 2023

La Grecia, le capre, la bellezza... grazie, Lucia

(A scanso di equivoci: la giornalista Lucia Goracci ha ripostato questo suo scritto come omaggio dolente ai roghi di Rodi e lo rilancio in tal senso, consapevole del dolore per le vittime del nubifragio in Lombardia e assai preoccupata per le temperature infernali al Sud Italia, con fiamme intorno a Palermo e l'aeroporto chiuso...). 
 "Indulgenza. Credo sia questo il sentimento che anima in me la Grecia. E’ con indulgenza che qui faccio cose – fotografare capre al pascolo, ordinare al ristorante polpo alla brace – che non farei nel mio Paese. La ragione di questo è che io amo la Grecia. Sconfinatamente. Quando vado, è un ritorno. Perché sento che da qui siamo partiti. Perché se è vero che veniamo dal mare e andremo al cielo, in Grecia il mare è più mare e il cielo più cielo. E il riposo più riposante, le cicale più intense, l’origano più pungente.     
    Amo la Grecia come si ama la casa dove si è cresciuti. Viverci non potresti, ma ci devi tornare.
    La amo perché fu qui il mio primo grande amore, per l’Hermes di Prassitele. Folgorata dalla cura adulta con cui tiene in braccio il piccolo Dioniso e insieme la posa fanciullesca con cui esibisce il suo corpo. 
     Sono grata a mio padre e mia madre di averci trascinato, riottose, me e mia sorella, in questa culla di umanità. In un’età in cui gli altri ragazzini restavano in spiaggia, la canottiera indosso.   Grata di aver sofferto ad una ad una le pietre bollenti di Micene, di essermi messa sulle punte dei sandali al centro del teatro di Epidauro. Di esser stata trascinata come una profuga, perennemente ricoperta di salsedine, in una terra che è la mia infanzia. Di non essermi sentita dire mai, mai: è ora che tu esca dall’acqua.
    In Grecia guardavo quelle statue chiedendomi , bambina, come i greci un tempo semidei fossero potuti finire così in basso: piccoli, scuri, normali infine, come noi. Davo la colpa al passaggio dei turchi. Oggi i turchi – giovani coppie eleganti e bellissime – hanno preso il posto lasciato vuoto dalla classe media greca, assente dalle sue isole. 
       Sono grata a questi luoghi: all’oro dei tramonti, ai riti intramontabili. Ai tavolini dove le posate te le portano ancora nel cestino del pane. Al bouzouki che mi ricorda quel capodanno in cui i miei nonni suonarono uno il mandolino, l’altro la fisarmonica. Se c’è un luogo dove ho la sfrontatezza di sentirmi civiltà è questa terra, che chiamò oi barbaroi, i barbari, quelli che non le appartenevano. 
    Sì, in Grecia ha senso fotografare le capre. Che poi fu una di loro, Amaltea, a salvare la vita a Zeus, il primo degli dei. 
    Tanti dei, perché un dio solo non bastò - a chi la vide per primo - a spiegare tanta bellezza."

Lucia Goracci, Giornalista RAI, dalla sua pagina FB 

domenica 23 luglio 2023

Riapre l'antico tempio di Segesta

      Palermo – Inaccessibile da vent’anni a causa di un incendio le cui conseguenze minacciavano la sicurezza dei visitatori, il 7 luglio scorso è stato finalmente riaperto al pubblico il tempio di Segesta, fiore all’occhiello del vasto Parco archeologico situato in provincia di Trapani, nel territorio del comune di Calatafimi Segesta, nella Sicilia nord-occidentale.
      Il tempio in stile dorico, detto anche ‘Tempio Grande’, posto sulla cima di una collina, è stato costruito tra il 430 e il 420 a.C. a ovest delle mura dell’antica città di Segesta fondata dagli Elimi, popolo misterioso secondo alcuni studiosi proveniente dalla penisola italica (forse dalla Liguria); ma viene contemplata anche una sua origine più lontana e quasi mitica, addirittura dall’Asia minore, dagli esuli troiani Elimo ed Egesto, amici di Enea.
     Il maestoso tempio di Segesta, dedicato pare a Afrodite Eurania secondo quanto si legge in un’iscrizione, è un periptero esastilo completo di trabeazione, con sei colonne sul lato più corto e quattordici sul lato più lungo: in totale trentasei colonne, alte dieci metri, che hanno alla base un diametro di quasi due metri. Le colonne non scanalate, i blocchi dei gradini non scalpellati e i coronamenti dei capitelli incompleti evidenzierebbero il non totale completamento della struttura al tempo della sua edificazione. 
   L'attuale buono stato di conservazione dell’edificio sacro, che mantiene integralmente l'intero colonnato, è probabilmente dovuto al fatto che il tempio non ha mai avuto un tetto, elemento questo responsabile in genere del decadimento dei monumenti, visto che era quasi sempre in legno, materiale deperibile se non correttamente mantenuto. 
    L'area archeologica di Segesta, divenuta solo nel 2013 Parco archeologico, è stata assai rivalutata grazie a numerose scoperte che hanno riguardato le rovine dell'antica città, che comprende il tempio dorico, un teatro di età ellenistica in parte scavato nella roccia della collina, un santuario e, di epoca greco-romana, l’agorà e la casa del navarca (termine di origine greca con cui veniva designato il capo della flotta militare). Ci sono poi anche i resti di un borgo medievale, con mura di cinta, castello annesso al teatro, due chiese di epoca normanna, il quartiere medievale e la moschea.
    Gli scavi nell'area sono ripresi nel febbraio 2022 e hanno permesso di riportare alla luce zone dell'agorà ancora sconosciute, tra cui la necropoli ellenistica ‘extra moenia’ di Segesta, un’area cimiteriale di grande estensione, e un altare rinvenuto vicino alla casa del navarca.
     Il sito archeologico, nonostante le numerose trasformazioni subite, è tra i meglio conservati di tutta la Sicilia ed è uno dei luoghi d'interesse culturale più suggestivi dell’isola grazie alla felice posizione sul monte Barbaro che consente di godere di uno splendido panorama. Attualmente è una delle maggiori mete del turismo culturale e paesaggistico della provincia di Trapani.
     Alla riapertura del tempio è stato affiancato un percorso di installazioni e di arte sonora, che si snoda dall’interno del Parco sino al colonnato del tempio stesso. Le installazioni artistiche sono opera di Gandolfo Gabriele David che, ai microfoni del TG regionale della Sicilia, le spiega così: “Sono lance che hanno perso la forza bellica e sono un omaggio alla leggenda del popolo degli Elimi, giunti qui a fondare la città di Segesta. Quindi le lance si trasformano quasi in elementi vegetali, il cui colore rimanda al grano, elemento che torna nell’installazione all’interno del tempio. Questo percorso che parte da valle e raggiunge il tempio, segna un nuovo auspicabile rapporto tra l’uomo e la natura. Il concetto chiave è ‘riconnessione’: riconnessione col sacro che è in ognuno di noi.”
    Il tempio, già meta di numerosi turisti, si può ammirare di giorno e di notte. Con la possibilità delle visite in notturna, l’intero Parco restituisce ai visitatori la sua peculiare atmosfera spirituale. 

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 23.7.23

venerdì 21 luglio 2023

Una sedia nell'aldilà: pareri nell'aldiquà...

           A nostra signora provocava imbarazzo promuovere cose sue. Un suo libro poi… le pareva eccessivo, quasi una sorta di ‘hybris’, di tracotanza insolente verso gli scrittori veri.
Però era capitato che due donne magnifiche, una docente ligure e una palermitana, scrivessero recensioni bellissime su “Una sedia nell’aldilà”. E a nostra signora non pareva giusto non condividerle. Intanto per gratitudine verso le autrici, Rossana Rolando e Adriana Saieva.
    E poi per tributo e rispetto verso i destinatari delle dodici lettere nell’aldilà, che avevano il diritto – con le loro esistenze intense, significative e affascinanti – di suscitare attenzione e interesse.

Rossana Rolando
    
        Ecco la recensione di Rossana Rolando: 
"Una sedia nell’aldilà, il libro appena uscito di Maria D’Asaro, è una raccolta di lettere immaginarie scritte a persone che non ci sono più (anche un animale), ma che, nello stesso tempo, ci sono ancora, perché sono entrate a far parte dell’orizzonte mentale e affettivo dell’autrice: alcune conosciute direttamente, altre, più spesso, incontrate in modo indiretto, attraverso scritti e testimonianze. In ambedue i casi, si ricordano, lungo le pagine, le occasioni, i momenti, le concomitanze per cui certi volti sono emersi dallo sfondo opaco della storia anonima o pubblica, per entrare nello spazio intimo della vita privata, come interlocutori segretamente eletti. Così, per esempio, si apre la prima lettera al conterraneo Peppino Impastato: “Quando ti hanno ammazzato avevo vent’anni. Ero tutta casa, chiesa e università”.
💥 Ecco quindi la prima notazione: leggendo si rimane convinti del fatto che il mondo delle relazioni può infrangere la cortina della morte e allargarsi al regno dell’oltre, in un colloquio che non conosce confini spaziali e temporali. (continua qui

Adriana Saieva
     E quella di Adriana Saieva: "Immagina qualcuno, di cui ti fidi ciecamente e di cui apprezzi la sensibilità e la delicatezza, che ti inviti a far visita a delle persone sconosciute.
Immagina che in queste visite ti si svelino personalità inedite, anime pure, donne e uomini dalla sensibilità superiore che hanno avuto a cuore, principalmente, la cura degli altri.
Oppure immagina di trovarti in un luogo comodo, uno di quei posti dell’anima dove ci si sofferma per ore ad ascoltare storie, forse una tavola con i resti di un banchetto, forse due poltrone con un camino acceso.
E immagina che l’interlocutrice sensibile e gentile sia Maria D’Asaro che, senza fretta e distorsioni di sottofondo, ti racconti di vite “nutrienti” al punto che alla fine anche tu te ne senta appagato.
La modalità con cui ti avvicini alla sua narrazione è intima: (continua qui)


mercoledì 19 luglio 2023

Nino Lo Bello: l'ingegnere che faceva 'le cose giuste'...

 
Caro Ninuzzo,
                             con la diaspora della nostra comunità di san Saverio, non sapevo neppure che fossi ammalato. Così, a primo acchito, non ho capito perché, qualche giorno fa, mi sia trovata inserita in una chat chiamata Gruppo Lo Bello: “Cosa è questa novità?...” – mi sono chiesta, infastidita e  distratta. Al terzo sms, capisco: Anna aveva trovato un modo per comunicare in modo rapido alle tantissime persone che ti hanno stimato e voluto un gran bene la tua dipartita.
       Che mi/ci ha lasciato basiti, assai tristi. Senti cosa scrive un altro Nino, in una chat: “Carissimi, sto male, molto male ad apprendere che un altro amico fraterno, compagno per decenni di lotte ed iniziative per costruire un mondo migliore ci lascia. Prima Emanuele Villa adesso Nino. Una generazione a cui apparteniamo che non si limitava ad avere idee ma anche ad agire per realizzare il sogno di un cambiamento possibile. Persone care che avrebbero potuto dare ancora tanto per la realizzazione di questo sogno. Purtroppo la vita, la morte non l'hanno permesso....”
     Enzo S. tenta di consolarlo così: “Caro Nino, capisco il tuo dispiacere che è anche il mio. Con te, Nino Lo Bello, Emanuele ed altri, siamo stati protagonisti di quel movimento, Palermo Anno Uno, che seppe interpretare la svolta di evoluzione civile della nostra città negli anni seguenti alle stragi di mafia. Cerchiamo di sentire queste persone compresenti, anche se in forme diverse, nel cerchio che tutti ci unisce e ci fa incamminare, ancora oggi, verso il bene”.
     Il fatto è che in una Palermo grigia e collusa, colpita al cuore nel 1992 con le terribili stragi di Capaci e di via D’Amelio, una Palermo impermeabile da percorsi di trasformazione in senso civico, l'ingegnere Nino Lo Bello è stata un’anomalia felice.
   Ci siamo conosciuti più di 40 anni fa, all’inizio degli anni ’80, quando la Nato minacciava l’installazione dei missili Cruise a Comiso, in risposta agli SS20 del Patto di Varsavia. Facevamo parte entrambi di quell’arcipelago trasversale, pacifista e nonviolento, che studiava, faceva formazione, oltre che le marce e le manifestazioni con slogan quali “Al Patto di Varsavia e alla Nato non più un soldo né un soldato”.
    E siamo diventati amici: tu e Vittoria, la meravigliosa consorte con cui hai magnificamente condiviso tutto prima che fosse portata via dallo stesso tuo male impietoso, siete stati alle mie nozze, con Filippo di pochi mesi. Abbiamo trepidato per qualche problema di salute dei nostri bambini e voi, più grandi e più saggi, mi dicevate che era normale essere disperati per il pianto infinito dei pargoli. Ed era normale la voglia di strozzarli. “Ma - aggiungevi – solo la voglia… poi ci si contiene!”
Abbiamo condiviso giochi a carte a Natale e scampagnate fuori porta. E mille progetti per migliorare – noi stessi, Palermo e la Sicilia – in senso ecologista, nonviolento, antimafioso.
Mi ricordo che una volta ti sei un po' dispiaciuto perché a una riunione ti avevo invitato a essere più sintetico… Ma tu eri un fiume in piena: non ti si poteva fermare…
Potrei scrivere un libro su di noi. Ma preferisco dare parola agli amici di COMUNE-Info che ti hanno dedicato qui parole bellissime.
Palermo sarà più povera e più triste senza di te.
      Mi rendo conto che ti sto ricordando proprio in occasione di una data tragicamente importante: il giorno dell’eccidio di via D’Amelio, quando furono trucidati il giudice Paolo Borsellino, mentre, come ogni domenica, andava a trovare sua madre, assieme agli agenti di polizia Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Traina.
    A volte penso con tristezza che Palermo sia condannata a una sorta di perenne Venerdì Santo, senza la speranza di alcuna laica resurrezione.
    Ma so che tu, Emanuele Villa e Paolo Borsellino non sareste d’accordo. 
Ed è nel vostro ricordo, e per onorare le vostre magnifiche vite impegnate per il bene comune, che tutte le amiche e gli amici di buona volontà raccogliamo il testimone.

Maria

domenica 16 luglio 2023

Wislawa Szymborska, poetessa dell'umano

       Palermo – La poetessa polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel per la Letteratura nel 1996, avrebbe compiuto 100 anni il 2 luglio scorso, se Atropo, appellata in una sua straordinaria poesia/intervista “delle tre figlie della Necessità quella con la fama peggiore”, non avesse tagliato il filo della sua vita il 1° febbraio 2012.
      Quasi sconosciuta prima del Nobel, Wislawa Szymborska è ora apprezzata in tutto il mondo. Definita nel 1996 da Fruttero e Lucentini, forse con una punta di misoginia, “solo una signora candida e squisita”, anche in Italia la poetessa polacca ha toccato il cuore di un pubblico vasto e composito ed è assai nota e amata, grazie anche all’accurata traduzione di Pietro Marchesani che ha raccolto tutte le sue poesie nel volume La gioia di scrivere (Adelphi, Milano, 2009). 
      In un’intervista di qualche anno fa alla trasmissione radiofonica ‘Fahrenheit’, la professoressa Giovanna Tomassucci, docente di Letteratura polacca all’Università di Pisa, ha evidenziato come la Szymborska abbia sempre coltivato la chiarezza e la limpidezza espressiva, per una sorta di sommo rispetto verso i suoi lettori. Nel corso della trasmissione, la docente ha anche reso noto un testo inedito in prosa, dove la poetessa ribadiva che “le essenze umane devono essere un bene comune e unire tutti, indipendentemente dalle qualifiche professionali…”
    Infatti, le poesie della Szymborska sono prive di qualsiasi oscurità, offrono un punto di vista spesso spiazzante, potente e originale e presentano domande esistenziali e interrogativi universali. Il critico tedesco Marcel Reich-Ranicki ha affermato che Wislawa: «È la poetessa più rappresentativa della sua nazione, la cui poesia lirica, ironica e profonda, tende verso la poesia lirica filosofica».
   Un esempio della sua ‘ispirazione filosofica’ ce lo mostrano, ad esempio, con i pochi versi citati, le liriche Elenco: “Ho fatto un elenco di domande/a cui ormai non otterrò risposta,/poiché o sono premature/o non farò in tempo a comprenderle./L’elenco delle domande è lungo,/tocca questioni più e meno importanti,/e poiché non voglio annoiarvi,/ne rivelerò solo alcune:/Cos’era reale/e cosa sembrava esserlo appena/in questa platea/stellare e substellare,/dove oltre al biglietto d’ingresso/bisogna avere quello d’uscita;/Che ne sarà di tutto il mondo vivo,/che non farò in tempo/a paragonare con un altro mondo vivo;/Di cosa scriveranno/l’indomani i giornali;/Quando cesseranno le guerre e cosa le sostituirà”…; e Platone, ossia perché: Per motivi non chiari,/in circostanze ignote/l’Essere Ideale smise di bastarsi./Dopotutto poteva durare e durare all’infinito,/sgrossato dall’oscurità, forgiato dalla chiarezza,/nei suoi giardini di sogno sopra il mondo./Perché, diamine, si mise a cercare impressioni/in cattiva compagnia della materia?”…
Nella poesia Qualche parola sull’anima la poetessa si serve del suo sguardo ironico e paradossale per parlare di una grande questione: l’esistenza o meno dell’anima: “L’anima la si ha ogni tanto./Nessuno la ha di continuo/e per sempre./Giorno dopo giorno,/anno dopo anno,/possono passare senza di lei./A volte nidifica un po’ più a lungo/solo in estasi e paura dell’infanzia./A volte solo nello stupore/dell’essere vecchi./Di rado ci dà una mano/in occupazioni faticose,/come spostare mobili,/portare valigie/o percorrere le strade con scarpe strette./Quando si compilano moduli/e si trita la carne/di regola ha il suo giorno libero(…)”
  Nel 1996 il Nobel per la Letteratura le fu assegnato con questa motivazione: “Per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”. 
   Su Wikipedia si legge: “Benché molte delle sue poesie non superino la lunghezza di una pagina, esse toccano spesso argomenti di respiro etico che riflettono sulla condizione delle persone, sia come individui che come membri della società umana. Lo stile della Szymborska si caratterizza per l'introspezione intellettuale, l'arguzia e la succinta ed elegante scelta delle parole. Non mancano, d'altra parte, aperte denunce di carattere universale sullo stato delle cose.”   
Ai lettori e le lettrici ancora ignari di tanta potenza creativa, non resta che il contatto diretto con i suoi versi, il cui tratto più significativo, secondo il già citato traduttore italiano, sarebbe proprio l’incanto. La poetessa stessa, a conclusione del discorso per l’attribuzione del Nobel, ha ribadito che “il mondo, qualunque cosa ne pensiamo, è stupefacente”.
Vermeer: La lattaia
    
E salutiamo la piccola, grande signora della poesia con alcuni versi de La gioia di scrivere: Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto? /Ad abbeverarsi ad un'acqua scritta/ che riflette il suo musetto come carta carbone?/ Perché alza la testa, sente forse qualcosa?/Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,/da sotto le mie dita rizza le orecchie./ (…)Non una cosa avverrà qui se non voglio./senza il mio assenso non cadrà foglia,/né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo./C'è dunque un mondo/di cui reggo le sorti indipendenti?/Un tempo che lego con catene di segni/Un esistere a mio comando incessante?/La gioia di scrivere/Il potere di perpetuare./La vendetta d'una mano mortale; e con la poesia Vermeer, magnifica folgorazione poetica che invita alla cura e alla speranza: Finché quella donna del Rijksmuseum/nel silenzio dipinto e in raccoglimento/giorno dopo giorno versa/il latte dalla brocca nella scodella,/il Mondo non merita/la fine del mondo.”

Maria D'Asaro, 16.7.23, il Punto Quotidiano

giovedì 13 luglio 2023

Ci sono armi buone e armi cattive? (grazie, Franco)

       A volte sono considerata  un'aliena perchè sostengo che la guerra è uno strumento di risoluzione dei conflitti barbaro e anti-umano. Che va eliminato dalla Storia. 
      Quando un blogger amico, Franco Battaglia, afferma la stessa cosa, mi sento un tantino rincuorata. E mi rincuorano anche i commenti dei blogger che leggono il blog di Franco.
 
"Avevo già parlato di questo fenomeno aberrante quando addirittura Papa Ratzinger aveva pensato di dover intervenire, ma non contro le armi in genere, l'odio, l'assurdità di uccidere e di scatenare conflitti ma semplicemente contro le "bombe a grappolo:  - GENOVA, lunedì, 19 maggio 2008 (ZENIT.org).- Al termine dell'Angelus di questa domenica, Benedetto XVI ha auspicato la messa al bando definitiva delle munizioni a grappolo (o “cluster bombs”) al fine di evitare terribili sofferenze per le popolazioni.  (continua qui)

 Franco Battaglia, questo il suo blog
Ecco di seguito alcuni commenti, con le risposte di Franco:

Franco Battaglia (autore del blog)
E' un paradosso che fa comunque male all'anima. Tollerare la guerra ma impuntarsi perché si uccida in maniera meno cruenta, rinunciare a fermare la disgrazia ma impegnarsi nel renderla meno sanguinolenta. Una sorta di terapia del dolore applicata al malato terminale. L'unica cosa assurda è che al malato terminale potremmo salvare l'intera vita. Franco.

Gus:
Non è possibile stilare un codice etico sulle guerre. La guerra va condannata in tutte le sue articolazioni.
Filippo: In guerra tutto è lecito. È la guerra che dovrebbe essere proibita.

Posso ucciderti, ma senza farti soffrire. Questo il messaggio sponsorizzato e sdoganato dal cosiddetto mondo civile, dalla Chiesa addirittura.                                       Franco

Antonio
Bombe a grappolo.
Armi intelligenti.
Guerra chirurgica.
Ma quando riusciremo ad inventare una bella semina di grano per il pane, di basilico per il pesto, di aranceti per le spremute... A grappolo..!!?

Carlos Portillo:
Il messaggio, invece, dovrebbe esser BASTA BOMBE.

Vero Carlos? Sembra così assurdo questo semplice messaggio in stampatello maiuscolo? Ma fa paura evidentemente, fa paura a chi con le armi mette insieme pranzo, yatch e cena. Franco Battaglia

Daniele Verzetti
Sai non è solo cinismo, purtroppo temo sia drammatica rassegnazione; molti, tanti, sono rassegnati al fatto che scoppino guerre, cosa già assurda di per sé, che scoppino guerre assurde per futili motivi (frase che io non condivido perchè non esiste mai una ragione valida e giusta per fare la guerra, ma con quel termine intendo dire che per l'opinione pubblica ci sono spesso delle motivazioni che trova ancora più illogiche rispetto a tutte le altre) e che non si possa fare nulla: nè impedirle nè fermarle. Ecco quindi che nel momento in cui si alza l'asticella di questo orrore, la gente reagisce, e si indigna perchè già si rassegna velatamente alla guerra, giù digerisce male il non poter fare nulla per poterla fermare, ecco che però non accetta l'escalation e pertanto si indigna non sulla guerra in atto ma sul possibile degenerare della stessa. È un comportamento sbagliato, bisognerebbe continuare ad insistere sull'assurdità di ogni guerra, e quindi, a maggior ragione, alzare ancor di più la voce quando si leggono notizie che fanno intendere un forte rischio di aggravamento del conflitto, ma è questa la realtà. Forse, questa rassegnazione nasce anche perchè paradossalmente, si protesta contro il soggetto sbagliato. Vero, sono gli USA che per conto proprio e tramite la NATO forniscono armi all'Ucraina, ma se ogni popolo europeo facesse la sua parte e manifestasse massicciamente contro il proprio governo spingendolo a non aiutare militarmente in alcun modo, l'Ucraina, e se questa protesta globale funzionasse, avremmo gli USA soli e da soli nel fornire armi all'Ucraina. A questo punto forse l'opinione pubblica americana inizierebbe a domandarsi se ha davvero senso l'essere gli unici che insistono a far continuare questa guerra. Non so, forse è utopia, ma se ciascun governo dell'UE spinto dal proprio popolo, dicesse "BASTA" ad ogni forma attiva o passiva di sostegno militare all'Ucraina, e spingesse con tutti gli altri per un accordo di pace, forse qualcosa cambierebbe e da quel momento i popoli, italiano incluso, si renderebbero conto che manifestare in tanti, insieme e verso il "nemico" giusto, può cambiare la Storia.

Caterina
Diciamo che tutto gira intorno ai soldi, ecco perché non sentiamo quasi mai un appello chiaro contro le armi. Però c’è da dire che più di una volta Papa Francesco ha parlato contro le armi, o meglio contro il loro commercio. Ma non è semplicemente parlandone che quelli si convincono a non produrne più. C’è un profitto enorme.

Infine, uno scambio tra Franco e la sottoscritta:

Grazie sempre Maria.. io rimango solo basito da certa naturalezza cinica. Come se la guerra fosse ormai e comunque irrinunciabile. Come se fabbricare armi sia fondamentale. Stupisco dinanzi ad una mentalità preistorica spacciata per unica via. Non mi riconosco con questo mondo assurdo.

Scusa se intervengo ancora: le tue parole mi rincuorano assai. Un mio amico, a cui dico le stesse cose, mi dice che non conosco la Storia, che sono una donna visionaria e una utopista... Sono contenta che una persona perbene e colta come te la pensi così. E mi pare siano d'accordo tanti tuoi sensibili lettori e lettrici... Il prossimo passo è far diventare questa rivolta etica proposta fattuale e politica. Grazie ancora.

martedì 11 luglio 2023

Il gioco della mosca

      Il gioco della mosca lo si praticava da maggio a settembre, quando il sole asciugava la spiaggia inumidita dalle piogge d’autunno. Ci si distendeva, sei o dieci ragazzi, in cerchio a pancia sotto sulla sabbia e e ognuno metteva al centro, all’altezza della propria testa, un monetina da venti centesimi. Sulla propria monetina ogni giocatore abbondantemente sputava.
      Poi si restava immobili, magari per ore, in attesa che una mosca andasse a posarsi su un ventino. Il proprietario del ventino prescelto dalla mosca vinceva i soldi puntati da tutti gli altri.
     Si dava il caso che, durante tutta una mattinata o un pomeriggio, nessuna mosca si facesse viva: in tale circostanza, il gioco veniva ripetuto paro paro il giorno seguente.
Era ammesso il condimento della saliva, prima dello sputo, con odori e sapori gradevoli alle mosche quali miele, succo d’uva, zucchero. Bertino Zappulla per qualche giorno ebbe una fortuna strepitosa, poi scoprimmo che condiva lo sputo con la sua stessa merda. Venne squalificato.
   Severamente proibita, durante il gioco, la lettura: il fruscio delle pagine voltate avrebbe potuto indurre la mosca alla fuga o a un cambiamento di rotta. Parimenti proibito parlare.
    Sono fermamente persuaso che nel corso di questo gioco, durato anni, si sono decisi i nostri destini individuali: troppo tempo impegnavamo nella pura meditazione su noi stessi e il mondo. 
     E così qualcuno divenne gangster, un altro ammiraglio, un terzo uomo politico. Per parte mia, a forza di raccontarmi storie vere o inventate in attesa della mosca, diventai regista e scrittore.

Andrea Camilleri, Il gioco della mosca, Sellerio, Palermo, 1999, pagg 84,85

domenica 9 luglio 2023

Tutela della Natura e rispristino degli habitat: l'UE ci prova

      Palermo – I media ne parlano poco: pochi sanno infatti che il 12 luglio prossimo il Parlamento europeo sarà chiamato ad esprimersi sulla Nature Restoration Law, l’iniziativa legislativa su un parziale ripristino degli habitat naturali nei paesi dell’Unione.
Approvata sul filo di lana lo scorso 22 giugno in Commissione, la proposta legislativa ha lo scopo ambizioso di ripristinare entro il 2030 almeno il 20% delle superfici terrestri e acquatiche degli Stati dell’Unione, con estensione della tutela, entro il 2050, a tutti gli ecosistemi bisognosi di recupero, con obiettivi giuridicamente vincolanti. La tutela ambientale riguarderà non solo le aree protette, ma tutti gli  ecosistemi, compresi i terreni agricoli e le aree urbane.
       Trentuno anni dopo la direttiva Habitat del 1992, la proposta di legge fa parte della Strategia per la Biodiversità che l’Europa intende portare avanti da qui al 2030.  Se sarà approvata, si tratterà di 'una pietra miliare' nella storia della legislazione europea su ecosistemi e biodiversità e porrà le basi affinché l’Unione Europea svolga un ruolo significativo ai negoziati sul “Global Biodiversity Framework post-2020” che si terrà alla COP 15 (Convenzione sulla biodiversità), in programma a Montréal il prossimo dicembre. 
        La proposta contiene obiettivi a medio e a lungo termine per diversi habitat (foreste, ecosistemi agricoli, aree urbane, fiumi, mari), che danno priorità agli ecosistemi con il maggior potenziale di rimozione e stoccaggio del carbonio e permettono la prevenzione e/o la riduzione dell'impatto di eventi estremi.
    Si segnalano, in particolare, quattro obiettivi specifici: garantire entro il 2030, da parte di tutti gli Stati, che non vi sia alcuna perdita netta di spazio verde urbano e incrementarne successivamente la superficie totale nazionale (del 3% entro il 2040 e del 5% entro il 2050) perché ogni città o paese possa godere di almeno il 10% di copertura arborea; entro il 2030 raggiungere l'obiettivo di 25mila chilometri di fiumi a libero scorrimento, rimuovendo ostacoli come dighe e barriere di vario tipo; progettare un aumento complessivo della biodiversità in foreste ed ecosistemi agricoli con particolare riferimento a farfalle e volatili selvatici; invertire entro il 2030 il calo delle popolazioni di insetti impollinatori (api, bombi), per tornare a farle crescere negli anni successivi.
    “Per la gente, il clima e il pianeta”, questo lo slogan della presentazione della proposta di legge. La Commissione ritiene infatti che la legge favorirà il conseguimento degli obiettivi climatici europei.
Ripristinare gli ecosistemi naturali è una misura necessaria anche per il raggiungimento dei target climatici mondiali, europei e nazionali: gli ultimi report del’IPCC, principale organismo scientifico internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, (Intergovernmental Panel on Climate Change, Gruppo intergovernativo sul Cambiamento climatico) mostrano infatti che, senza provvedimenti e azioni di ripristino naturale su larga scala, l’Europa sarà sempre più spesso soggetta ad eventi catastrofici, come quelli accaduti recentemente in Italia, in Emilia-Romagna e nelle Marche. 
   Inoltre, recuperare l’ecosistema migliorerebbe anche la sicurezza alimentare, con un incremento della produttività agricola e conseguente maggiore indipendenza strategica. Si avranno infine impatti positivi sulla salute e sul benessere dei cittadini. 
E il rapporto costi/benefici sarà a medio termine assai favorevole: si stima che ogni euro speso in ripristino del territorio porterà un ritorno economico da 8 a 38 euro. 
“I cittadini europei sono stati chiari: vogliono che l’Unione Europea si impegni concretamente in favore della natura e la riporti nelle loro vite. Gli scienziati sono stati altrettanto chiari: non c'è tempo da perdere, la finestra d'azione si sta chiudendo. Ed è chiaro anche il risvolto economico: per ogni euro speso per il ripristino, ne guadagneremo almeno otto” – ha dichiarato Virginijus Sinkevicius, Commissario europeo per l’ambiente, gli oceani e la pesca. Per sostenere il pacchetto, saranno stanziati ingenti finanziamenti, circa 100 miliardi di euro.  
     Inoltre, il provvedimento proposto è un regolamento e quindi, a differenza di una direttiva, se adottato dagli Organi comunitari, entrerà subito in vigore negli Stati membri. In secondo luogo, il raggiungimento degli obiettivi fissati in questa normativa, sarà giuridicamente vincolante per gli Stati membri. Entro due anni dal completamento dell’iter legislativo, gli Stati avranno l’obbligo di adottare dei Piani nazionali di Ripristino, da sottoporre al controllo della Commissione, inviando rapporti annuali sui progressi e l’attuazione delle misure previste. In caso di mancato rispetto degli obiettivi prefissati, gli Stati potrebbero essere esposti ad azione legale.
   Comunque, agli Stati membri viene lasciato un ampio margine di manovra per decidere le migliori misure interne per il raggiungimento dei target, da esplicitare nei Piani Nazionali. Ogni area geografica presenta infatti caratteristiche diverse e sarebbe impossibile, da parte di Bruxelles, fornire indicazioni valide per tutte le nazioni.
   Con tali premesse, l’approvazione della legge dovrebbe essere immediata e largamente condivisa. Purtroppo, non è così. Nonostante più di 3300 scienziati europei e persino alcune grandi imprese la sostengano con convinzione, gli europarlamentari sono divisi. 
    Ci sono infatti pareri non favorevoli e musi lunghi da parte di alcuni governi nazionali e da organizzazioni ambientaliste: “Riteniamo che bisogna essere più ambiziosi - ha spiegato Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente - Consideriamo il testo approvato dal Consiglio insufficiente perché, nella ricerca di stabilire un equilibrio politico e contrastare la disinformazione diffusa dei partiti di destra e dalla lobby dell’agricoltura e della pesca, garantisce troppa flessibilità per gli Stati membri nell’attuazione del regolamento”. Al contrario, il  Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha giustificato così la contrarietà del Governo italiano: “La proposta di regolamento per il ripristino della natura non assicura un adeguato bilanciamento tra obiettivi, fattibilità e rischi: non possiamo permetterci che non sia applicabile, efficace e sostenibile da tutte le categorie interessate, tra cui agricoltura e pesca”.
    Tali opposti dinieghi dimostrano forse che si è sulla strada giusta: alle associazioni si può obiettare che l’ottimo è nemico del bene; ai governi si rammenta che la politica non deve barattare il piatto di lenticchie del consenso immediato con l’obiettivo irrinunciabile di un futuro vivibile per figli, nipoti e pronipoti…

Maria D'Asaro, 9.7.23, il Punto Quotidiano

giovedì 6 luglio 2023

Invecchiare: una forma d'arte?

Cappella dell'Incoronata - Palermo
      Invecchiare non è un accidente. É una necessità della condizione umana; ed è l’anima a volerlo. L’invecchiamento è inscritto nella nostra fisiologia; eppure, il fatto che la vita umana duri a lungo dopo l’età feconda (…) ci rende perplessi. 
     Per questo motivo si sente il bisogno di idee immaginative capaci di aggraziare il diventare vecchi e di parlare alla vecchiaia con l’intelligenza che essa si merita. Nel presente libro troverete appunto questo tipo di visione. Esso offre la promessa di dare refrigerio alla mente del lettore con una pioggia di intuizioni che mirano a influire profondamente sulla transizione degli anni più tardi della vita.
    Insomma, perché viviamo tanto a lungo? Gli altri mammiferi si danno per vinti, mentre noi andiamo avanti per 40, 50, talvolta addirittura 60 anni dopo la menopausa. (…)
Io non mi sento di aderire alla teoria secondo la quale la longevità umana è il risultato artificiale della civiltà, della sua scienza e dei suoi servizi sociali, che sfornerebbero questa schiera di mummie viventi, paradossi sospesi in una zona crepuscolare. (…)
    Proviamo invece a carezzare l’idea che il carattere ha bisogno di quegli anni in più e che la lunga durata della vita non ci è imposta né dai geni né dalla medicina conservazionistica né da un accordo collusivo con la società. Gli ultimi anni della vita confermano e portano a compimento il carattere. (…)  
     Per spiegare la vecchiaia ci rivolgiamo di solito alla biologia, alla genetica e alla fisiologia geriatrica, ma per comprendere la vecchiaia abbiamo bisogno di qualcosa di più: dell’idea di carattere.
La nostra realtà di esseri viventi e pensanti precede le nostre spiegazioni su come viviamo e pensiamo. Un approccio psicologico alla vecchiaia deve attenersi a questa priorità. (…) Ciò significa che dobbiamo psicologizzare la vecchiaia, scoprire l’anima che ha dentro.
     Nel normale corso della vita, la vecchiaia termina nella morte, e il normale modo di pensare la vecchiaia salta alla medesima conclusione. Se l’invecchiare finisce sempre nel morire, questo significa forse che il fine dell’invecchiare è quello del morire? La biologia considera l’invecchiamento un processo che porta all’inutilità. Ma proviamo a considerare la vecchiaia una struttura, invece che un processo, una struttura che possiede una sua natura essenziale.
     Proviamo a domandarci perché gli anni della vecchiaia assumono una certa forma e mostrano certe caratteristiche. Forse la ‘inutilità’ va considerata esteticamente. Che l’anima, prima di andarsene, debba essere invecchiata al punto giusto?
       In tal caso, possiamo immaginarci l’invecchiamento come una trasformazione nella bellezza non meno che nella biologia. I vecchi sono come immagini in bella mostra che traspongono la vita biologica nell’immaginazione, nell’arte. I vecchi diventano qualcosa che colpisce la memoria, rappresentazioni ancestrali, personaggi della commedia della civiltà, ciascuno una figura unica, insostituibile, preziosa.
Invecchiare: una forma d’arte?

James Hillman, La forza del carattere (traduz. di Adriana Bottini), Adelphi, MI, 2018





lunedì 3 luglio 2023

Biorestauro: batteri al servizio dell'Arte

      Palermo - Forse non tutti sanno che il nostro Paese detiene il primato assoluto di numero di siti iscritti nella Lista del patrimonio mondiale UNESCO: ben 58, infatti, i siti italiani riconosciuti “patrimonio dell'umanità”. Seconda nazione è la Cina con 56, terza la Germania con 51.
   Monumenti, palazzi storici, siti archeologici, come e più degli esseri umani, subiscono però le ingiurie del tempo e dell’inquinamento ambientale.
    I ricercatori dell’ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile – alla ricerca di solventi meno tossici per restituire alle opere d’arte la loro originaria bellezza, hanno pensato di chiedere aiuto ai batteri. È nato così il biorestauro: gli studiosi sono riusciti infatti a selezionare un gran numero di microorganismi non patogeni e li hanno allenati ad ‘ingoiare’ la patina di smog, idrocarburi e di altre sostanze che sporcano e invecchiano i beni artistici.
Il Centro Ricerche ENEA di Casaccia, 25 km a nord-ovest di Roma, inserito nel Microbial Resource Research Infrastructure - rete di centri europei per la salvaguardia della biodiversità microbica a fini di sostenibilità ambientale, sviluppo biotecnologico e crescita della bioeconomia – possiede oggi un considerevole archivio di microrganismi, con circa 1.500 tra batteri, funghi, alghe e virus. 
La raccolta si distingue per lo spettro di biodiversità dei contenuti e per le loro molteplici potenzialità applicative: dalla degradazione di contaminanti ambientali ai nuovi prodotti per il restauro sostenibile del patrimonio artistico, dalla salute delle piante all’agricoltura sostenibile in suoli aridi, dalla produzione di biomolecole per usi industriali, energetici e alimentari.
      Ecco le notizie fornite dalla giornalista Alessia Mari, in un servizio del Tg scientifico Leonardo: “I batteri vengono selezionati in natura, proprio negli ambienti ricchi degli inquinanti che si vogliono eliminare. Ad esempio, contro le patine di idrocarburi, i ricercatori hanno estratto dai terreni dell’ex polo siderurgico di Bagnoli batteri già abituati a nutrirsi di idrocarburi. Trasferiti in colture di laboratorio e inseriti in un gel che spinge il loro metabolismo a produrre più enzimi, i batteri vengono ‘affamati’ per almeno 24 ore, tenuti cioè a digiuno, e infine spalmati sull’opera da ripulire.
“Abbiamo in collezione almeno 900 ceppi diversi - ha affermato la dottoressa Chiara Alisi, microbiologa, ricercatrice del Laboratorio di Osservazioni e Misure per l’ambiente e il clima dell’ENEA, intervistata ai microfoni di Leonardo – Abbiamo lavorato, tra l’altro, per la rimozione di ossidi di ferro e di rame e per la rimozione di grassi di varia natura e idrocarburi.”
    Grazie ai preziosi batteri pulitori, tra le varie opere d’arte ripulite, hanno recuperato l’antico splendore le statue delle Cappelle medicee e gli affreschi delle logge della Casina Farnese a Roma.
“I dipinti murali delle logge della Casina Farnese erano coperte da uno strato molto spesso di caseina e gesso – ha aggiunto la dottoressa Alisi – Abbiamo quindi selezionato in laboratorio dei batteri per degradare la caseina. Ed è sempre un’emozione vedere questi batteri lavorare così bene: levi il gel che hai applicato e, dopo aver passato solo una spugna, trovi la superficie perfettamente pulita. Sembra davvero un miracolo…”
   Sì, quando la scienza è al servizio del bene e del bello, fa davvero miracoli…
Maria D'Asaro, 2 luglio 2023, il Punto Quotidiano

sabato 1 luglio 2023

Parlare ai morti perchè ascoltino i vivi...

Giuliana Saladino
        "Il combinato disposto – diciamo, più semplicemente, la somma – d’ignoranza linguistica e  d’ignoranza storica (delle quali gli italiani soffriamo meno di altre popolazioni industrializzate, comunque in misura spaventosa) sta producendo effetti che sono sotto gli occhi di chiunque: viviamo tragedie eclatanti (dalle stragi dei migranti alla guerra fra Russia e Ucraina) e crisi striscianti (lo smantellamento, mattoncino per mattoncino, di quel tanto di Repubblica democratica e di “stato sociale” che – non senza lacune e inadempienze – eravamo riusciti faticosamente a costruire dal Secondo dopoguerra agli inizi degli anni Ottanta del XX secolo) come zombi oscillanti fra la veglia della vita e il sonno della morte.

Se questo quadro è sostanzialmente realistico, vedrei due scenari principali per il futuro: o ci si chiederà come l’umanità del terzo millennio abbia potuto attraversare questa fase di cecità autolesionistica oppure il degrado intellettuale e morale avrà raggiunto il livello zero (ammesso che esisterà, nonostante il suicidio ecologico e bellico, ancora una specie sapiens sapiens).

Per scongiurare tali possibili scenari, è evidente che si debbano moltiplicare – qui e adesso – gli sforzi per alfabetizzare le maggioranze dopate e per evocare squarci significativi del nostro passato. 

Due terapie sinergiche 

            Per quanto riguarda il primo obiettivo (l’alfabetizzazione linguistica) non si tratta di moltiplicare la quantità dei testi da leggere – infatti non è vero, come si sente ripetere, che la gente non legge più – bensì la qualità. La gente legge oggi come mai nella storia dell’umanità: ma legge manifesti pubblicitari, post su facebook, giornali e riviste on line, e-mail e whatsapp; dunque legge di tutto senza possedere criteri di giudizio su ciò che legge. Gli studenti preparano una “tesina” con pezzi trovati in rete, ma senza preoccuparsi di specificarne la fonte: così la citazione dalla conferenza di un premio Nobel per la medicina finisce, intrecciata con l’opinione sul cancro del bottegaio all’angolo, in «una notte grigia in cui tutte le vacche sono grigie» (per parafrasare Hegel in polemica con Schelling).   
       Dunque, dovremmo invitare (un po’ controcorrente) i giovani a leggere di meno: a una sorta di digiuno, o almeno di dieta, letteraria. Ma di concentrarsi su testi significativi, possibilmente belli, suggeriti da qualche persona adulta di loro fiducia. Poi, quando si saranno disintossicati dalla spazzatura – o anche da ciò che, pur non essendo dannoso, è superfluo – potranno navigare da soli nell’oceano dei testi scritti. E diventare, a loro volta, garanti (provvisori) delle generazioni successive.
Non minore attenzione esige il perseguimento del secondo obiettivo (la memoria di ciò che del passato merita di essere ricordato o perché terribile o perché esemplare). Ci sono, pur tra prodotti poco interessanti, film e documentari che riescono efficacemente a ricostruire epoche storiche, vicende, personaggi. Ma è importante – a mio sommesso avviso – che il recupero della memoria storica avvenga anche attraverso pagine scritte, più adatte del linguaggio visivo a cogliere dettagli analitici e a suscitare pause di riflessione e valutazioni critiche.
      Pagine di questo genere dovrebbero, comunque, possedere una certa attrattiva estetica, in difetto della quale producono la noia e la disaffezione che ben conosciamo noi fruitori di manuali scolastici e di monografie accademiche. Per fortuna il Novecento (come il secolo in cui ci troviamo) ci ha regalato volumi seri e gradevoli al tempo stesso, come – per non aprire un elenco lunghissimo – Il secolo breve di Erich Hobsbawm: volumi che non ci raccontano tutti gli avvenimenti degni di memoria, ma ci accendono il desiderio di conoscerli. 

Lettere dall’aldiquà 

Di sintesi potenti e attraenti come i volumi di un Hobsbawm non tutti siamo capaci. Ma possiamo dare una mano all’intento, inscindibilmente didattico e politico, di colmare – almeno in parte – le amnesie collettive sperimentando altri generi letterari. È il caso di Maria D’Asaro che, da molti anni, ha avvertito l’esigenza interiore di scrivere “lettere” a protagonisti della vita civile nazionale (e non solo) che, in questi giorni, ha deciso di raccogliere in un unico volume: Una sedia nell’aldilà (Diogene Multimedia, Bologna 2023).

 A siciliani (più o meno… illustri) 

Lascio alla curiosità del lettore le ragioni dell’insolito titolo e passo direttamente a qualche assaggio delle dodici “lettere” (alcune delle quali già edite in riviste o in volumi curati da altri). Nel ripercorrerle, seguo l’andamento centrifugo: parto dalla provincia di Palermo – la città dell’autrice – per allargare lo sguardo sulla Sicilia, poi sull’Italia e infine, anche oltre. La missiva che apre il volume è indirizzata a un giovane adulto che è vissuto, ed è morto assassinato, a poche decine di chilometri dal capoluogo regionale: (continua su Dialoghi mediterranei



Augusto Cavadi (Dialoghi mediterranei)