domenica 30 agosto 2020

Vacanze in Abruzzo, tra filosofia e natura

      Palermo – L’intuizione si deve al professore Augusto Cavadi che, all’inizio degli anni Ottanta, ha proposto a un gruppo di studenti liceali e universitari una vacanza ‘speciale’: trascorrere alcuni giorni insieme per confrontarsi su importanti temi filosofici ed esistenziali. 
      Anni dopo, l’idea è stata ‘sposata’ anche da uno studioso di filosofia antica, il professore Elio Rindone, che, insieme a Cavadi, nel 1998 l’ha riproposta. Sono nate così le ‘Vacanze filosofiche per… non filosofi’, iniziativa che quest’anno è giunta alla sua ventitreesima edizione. 
            Le vacanze filosofiche per non filosofi sono caratterizzate ... (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 30.08.2020, il Punto Quotidiano

sabato 29 agosto 2020

Diversamente liberi

      Ebru Timtik era un'avvocata turca di 42 anni. Si batteva perché nel su Paese ci fossero processi equi. L'avvocata aveva difeso in particolare la famiglia di Berkin Elvan, un adolescente morto nel 2014 per le ferite riportate durante le proteste antigovernative a Gezi nel 2013.
    Condannata a 13 anni di carcere, a febbraio ha iniziato uno sciopero della fame e ieri è morta, dopo 238 giorni di digiuno. 
    Il mese scorso, un tribunale di Istanbul aveva rifiutato di rilasciare Ebru Timtik, nonostante un referto medico indicasse che il suo stato di salute non le permetteva più di restare in carcere. 
     È stata arrestata 18 mesi fa con l'accusa di legami con il Fronte Rivoluzionario della liberazione popolare (Dhkp), un gruppo considerato terroristico da Ankara. (fonte: “La Repubblica”)

Libero Grassi (1924 – Palermo, 29 agosto 1991) è stato un imprenditore italiano, ucciso da Cosa Nostra dopo essersi opposto a una richiesta di pizzo.

giovedì 27 agosto 2020

Ritratto di un amico

[…] La nostra città, del resto, è malinconica per sua natura. 
[…]La nostra città rassomiglia, noi adesso ce ne accorgiamo, all'amico che abbiamo perduto e che l'aveva cara; è, come era lui, laboriosa, aggrondata in una sua operosità febbrile e testarda; ed è nello stesso tempo svogliata e disposta a oziare e a sognare. Nella città che gli rassomiglia, noi sentiamo rivivere il nostro amico dovunque andiamo; in ogni angolo e ad ogni svolta ci sembra che possa a un tratto apparire la sua alta figura dal cappotto scuro a martingala, la faccia nascosta nel bavero, il cappello calato sugli occhi. 
         L'amico misurava la città col suo lungo passo, testardo e solitario; si rintanava nei caffè più appartati e fumosi, si liberava svelto del cappotto e del cappello, ma teneva buttata attorno al collo la sua brutta sciarpetta chiara; si attorcigliava intorno alle dita le lunghe ciocche dei suoi capelli castani, e poi si spettinava all'improvviso con mossa fulminea. 
[…]
      Il nostro amico viveva nella città come un adolescente: e fino all'ultimo visse così. Le sue giornate erano, come quelle degli adolescenti, lunghissime, e piene di tempo: sapeva trovare spazio per studiare e per scrivere, per guadagnarsi la vita e per oziare sulle strade che amava: e noi che annaspavamo combattuti fra pigrizia e operosità, perdevamo le ore nell'incertezza di decidere se eravamo pigri o operosi. Non volle, per molti anni, sottomettersi a un orario d'ufficio, accettare una professione definita; ma quando acconsentì a sedere a un tavolo d'ufficio, divenne un impiegato meticoloso e un lavoratore infaticabile: pur serbandosi un ampio margine d'ozio; consumava i suoi pasti velocissimo, mangiava poco e non dormiva mai.
    Era, qualche volta, molto triste: ma noi pensammo, per lungo tempo, che sarebbe guarito di quella tristezza, quando si fosse deciso a diventare adulto: perché ci pareva, la sua, una tristezza come di ragazzo, la malinconia voluttuosa e svagata del ragazzo che ancora non ha toccato la terra e si muove nel mondo arido e solitario dei sogni. Qualche volta, la sera, ci veniva a trovare; sedeva pallido, con la sua sciarpetta al collo, e si attorcigliava i capelli o sgualciva un foglio di carta; non pronunciava, in tutta la sera, una sola parola; non rispondeva a nessuna delle nostre domande. Infine, di scatto, agguantava il cappotto e se ne andava. Umiliati, noi ci chiedevamo se la nostra compagnia l'aveva deluso, se aveva cercato accanto a noi di rasserenarsi e non c'era riuscito; o se invece si era proposto, semplicemente, di passare una serata in silenzio sotto una lampada che non fosse la sua.  […]
     Ci trattava, noi suoi amici, con maniere ruvide, e non ci perdonava nessuno dei nostri difetti; ma se eravamo sofferenti o malati, si mostrava ad un tratto sollecito come una madre. […]
     Si era creato, con gli anni, un sistema di pensieri e di principi così aggrovigliato e inesorabile, da vietargli l'attuazione della realtà più semplice: e quanto più proibita e impossibile si faceva quella semplice realtà, tanto più profondo in lui diventava il desiderio di conquistarla, aggrovigliandosi e ramificando come una vegetazione tortuosa e soffocante. Era, qualche volta, così triste, e noi avremmo pur voluto venirgli in aiuto: ma non ci permise mai una parola pietosa, un cenno di consolazione: e accadde anzi che noi, imitando i suoi modi, respingessimo nell'ora del nostro sconforto la sua misericordia.
     Non fu, per noi, un maestro, pur avendoci insegnato tante cose: perché vedevamo bene le assurde e tortuose complicazioni di pensiero, nelle quali imprigionava la sua semplice anima; e avremmo anche noi voluto insegnargli qualcosa, insegnargli a vivere in un modo più elementare e respirabile: ma non ci riuscì mai d'insegnargli nulla, perché quando tentavamo di esporgli le nostre ragioni, alzava una mano e diceva che lui sapeva già tutto. Aveva, negli ultimi anni, un viso solcato e scavato, devastato da travagliati pensieri: ma conservò fino all'ultimo, nella figura, la gentilezza d'un adolescente. 
   Diventò, negli ultimi anni, uno scrittore famoso; ma questo non mutò in nulla le sue abitudini schive, né la modestia della sua attitudine, né l'umiltà, coscienziosa fino allo scrupolo, del suo lavoro d'ogni giorno. Quando gli chiedevamo se gli piaceva d'essere famoso, rispondeva, con un ghigno superbo, che se l'era sempre aspettato: aveva, a volte, un ghigno astuto e superbo, fanciullesco e malevolo, che lampeggiava e spariva.  […]
     Diceva di conoscere ormai la sua arte così a fondo, che essa non gli offriva più nessun segreto: e non offrendogli più segreti, non lo interessava più. Noi stessi suoi amici, lui ci diceva, non avevamo più segreti per lui e lo annoiavamo infinitamente; e noi, mortificati d'annoiarlo, non riuscivamo a dirgli che vedevamo bene dove sbagliava: nel non volersi piegare ad amare il corso quotidiano dell'esistenza, che procede uniforme, e apparentemente senza segreti. Gli restava dunque, da conquistare, la realtà quotidiana; ma questa era proibita e imprendibile per lui che ne aveva, insieme, sete e ribrezzo; e così non poteva che guardarla come da sconfinate lontananze.
     È morto d'estate. La nostra città, d'estate, è deserta e sembra molto grande, chiara e sonora come una piazza; il cielo è limpido ma non luminoso, di un pallore latteo; il fiume scorre piatto come una strada, senza spirare umidità, né frescura. [...] All'aperto, sotto gli ombrelloni a frange, i tavolini dei caffè sono abbandonati e roventi. Non c'era nessuno di noi. Scelse, per morire, un giorno qualunque di quel torrido agosto; e scelse la stanza d'un albergo nei pressi della stazione: volendo morire, nella città che gli apparteneva, come un forestiero.
Aveva immaginato la sua morte in una poesia antica, di molti e molti anni prima: 

Non sarà necessario lasciare il letto.
Solo l'alba entrerà nella stanza vuota.
Basterà la finestra a vestire ogni cosa
D'un chiarore tranquillo, quasi una luce.
Poserà un'ombra scarna sul volto supino.
I ricordi saranno dei grumi d'ombra
Appiattati così come vecchia brace
Nel camino. Il ricordo sarà la vampa
Che ancor ieri mordeva negli occhi spenti.
[…]

(Il 27 agosto 1950, in una stanza d’albergo di Torino, Cesare Pavese si è tolto la vita. Questo uno stralcio del ricordo di Natalia Ginzburg, sua cara amica, in “Le piccole virtù”)

domenica 23 agosto 2020

Sicilia, non si vive di solo mare...

       Palermo – Uno dei problemi del Mezzogiorno italiano è la disoccupazione, di gran lunga maggiore che nel centro-nord del Paese. In Sicilia poi la pandemia da Covid-19 ha ulteriormente aumentato la già pesante cifra degli inoccupati, diminuendo le prospettive di lavoro persino nei settori abitualmente trainanti come il turismo e la ristorazione.
      Ma c’è un ambito, poco valorizzato, che potrebbe fornire all’isola sviluppo ed occupazione: l’agricoltura. A questo proposito, il cinque agosto scorso la Regione Siciliana ha reso disponibili 430 ettari di terreni agricoli, con l’approvazione (continua su: il Punto Quotidiano).

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 23.08.2020

giovedì 20 agosto 2020

L'umanesimo buddista: apertura, compassione, nonviolenza

      «Se la vostra mente è vuota, è sempre pronta per qualsiasi cosa; è aperta a tutto. Nella mente di un principiante ci sono molte possibilità; in quella di un esperto, poche (Mente Zen. Mente di principiante)» - ci ricorda il maestro giapponese Shunryu Suzuki (1904-1971). […] 
       Ecco, possiamo dire, in estrema sintesi, che l’essenza del messaggio buddista sia proprio in questo invito a guardare se stessi e il mondo con occhi sempre nuovi, scientificamente oggettivi e compassionevoli allo stesso tempo, traducendo in pratiche di vita tale atteggiamento filosofico di fondo, in modo che esso penetri sin nel midollo del proprio essere.
E’ la stessa ‘volatilità’ del tempo ed imprevedibilità dei casi della vita a renderlo urgente. La vita è adesso, solo qui ed ora.
Nell’illusione di un “prima” o di un “poi” la sofferenza è in agguato. Per questo il Sandokai, poema buddhista dell’VIII secolo d.C., si chiude con quest’appello: «Voi che ricercate la Via, vi prego, non lasciate che i giorni e le notti passino invano».  […] 
      Il Buddismo – o, per meglio dire, le varie scuole e movimenti che si riconoscono nell’insegnamento del Buddha – non si configura come ‘religione etnica’, né prevede atti di fede e adesioni dogmatiche.
Pur potendo contare su una vastissima tradizione di scritture di genere filosofico e spirituale […] 
Non ne sacralizza e immobilizza il contenuto come ‘parola divina’, ma lo sottopone al libero esame del praticante, affinché possa essergli di giovamento.
        Infine […]  le confraternite buddiste si interessano di politica nel senso più nobile del termine e lo fanno su scala planetaria: si occupano di economia sostenibile, ecologia, promozione del dialogo interreligioso e interculturale, ma difficilmente le si troverà compromesse con coloro che detengono il potere per il potere. Alla visione del mondo buddhista fa capo la cultura della nonviolenza e un pacifismo impegnato, rigoroso e non discriminante.
Per tutti questi motivi, esso può essere considerato una forma di ‘umanismo’ di portata tendenzialmente universale.

(Francesco Dipalo, Introduzione al pensiero buddista, Diogene Multimedia, Bologna, 2015, €10: pag.8 – pag.14)

martedì 18 agosto 2020

I giusti che salvano il mondo

Marc Chagall: Solitudine (1933)
      Lo spazzino che, alle 8 del mattino, raccoglie con solerte attenzione le cartacce in una stradina della città, desolata e deserta; il pollivendolo che sorveglia la cottura dei polli allo spiedo, con mascherina e un asciugamano al collo, per assorbire i rigagnoli di sudore; il ragazzo che, con voce gentile, consegna casse d’acqua a una vecchietta; la volontaria che, in una chiesa, assegna con paziente dolcezza i posti a sedere a due fedeli piuttosto indisciplinati, il ragazzo con la pelle scura che, alle nove di sera, pulisce con cura i locali di un panificio.
      Li ho incontrati, a Palermo, in una torrida giornata agostana. Forse uno di loro è un Lamed-Vav, uno dei 36 giusti che, secondo il Talmud, vivono nascosti tra noi in ogni tempo per giustificare la vita del genere umano agli occhi di Dio: se anche uno solo di essi mancasse, il mondo sarebbe votato alla fine.

Maria D’Asaro

domenica 16 agosto 2020

Emanuele, morire di nonnismo a Ferragosto

         Palermo – Ci sono volute le lacrime inconsolabili di sua madre, c’è voluta la tenacia di una commissione d’inchiesta parlamentare, c’è voluto un comitato cittadino che ha chiesto senza sosta la verità sulla sua tragica morte. Solo così, dopo quasi 21 anni, è stata resa giustizia a Emanuele Scieri, parà di leva siracusano trovato morto il 16 agosto 1999 a Pisa all’interno della caserma ‘Gamerra’, sede del C.A.PAR., Centro Addestramento Paracadutisti. Il 12 maggio 2020 la Procura Militare di Roma ha infatti chiuso le indagini sulla vicenda contestando a tre persone il reato di "Violenza ad inferiore mediante omicidio pluriaggravato, in concorso".
        Le conclusioni giudiziarie a cui è pervenuta la Procura Militare di Roma hanno confermato il lavoro prezioso e decisivo della commissione parlamentare di inchiesta, guidata fra il 2016 e il 2017 da Sofia Amoddio, grazie alla quale il ‘caso Scieri’ è stato riaperto già nel 2018 dalla Procura di Pisa e poi, nel maggio scorso, da quella militare di Roma. (continua su: il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 16.08.2020, il Punto Quotidiano

giovedì 13 agosto 2020

Mai devi domandarmi...

E.Munch: Starry night, 1924
     […]
     Non avevo conosciuto tristezze, nell'infanzia: avevo conosciuto soltanto la paura. Enumeravo ora in me le cose che nell'infanzia mi avevano molto spaventato: un film dove c'era un uomo che stava seduto con un coltello e si chiamava Cian; il coltello gli serviva per tagliare il pane, però poi ammazzava qualcuno; e siccome mio padre nominava spesso il rettore dell'Università che si chiamava Cian, e che lui non poteva soffrire perché era fascista, ogni volta che diceva «Cian» io vedevo il pane e il coltello e sentivo un brivido. Poi avevo paura dei fascisti: delle loro camicie nere, delle bende verdi che avevano alle gambe, dei loro camion; e della canzone «Giovinezza giovinezza»; e della Camera del Lavoro, che era bruciata; e di un cappello da uomo insanguinato e polveroso che avevo visto una volta, accanto a una bicicletta storpiata, sul ciglio d'una strada; e di una donna che correva in lagrime e di un uomo che la inseguiva. 
      Queste cose, nell'infanzia, m'avevano fatto sospettare che ci fosse, nel chiarore dell'universo, qualcosa di oscuro: erano però solo paura, e sparivano con niente: bastava, a farle sparire, la voce di mia madre che ordinava la spesa, o la promessa d'un divertimento, o l'arrivo d'un invitato, o la comparsa in tavola di una pietanza nuova e buona, o la vista dei bauli, che mi ricordavano l'estate e la partenza per la campagna. 
      Ma adesso, dietro la paura s'era aperta la malinconia. Non avevo più solo il sospetto, avevo ora la costante certezza che l'universo non era chiaro e semplice ma invece buio, contorto e segreto, che ovunque si annidavano segreti, che le strade e la gente coprivano dolore e male; e la malinconia non spariva mai: non c'era forza che riuscisse a vincerla. Potevano arrivare invitati, pietanze buone in tavola, potevo avere un vestito nuovo, un libro nuovo, potevo vedere bauli, pensare ai treni, alla campagna, all'estate: la malinconia m'avrebbe seguito dovunque. Essa era sempre là, immobile, sconfinata, incomprensibile, inesplicabile, come un cielo altissimo, nero, incombente e deserto. 

 Natalia Ginbzurg: Mai devi domandarmi, I baffi bianchi,  pagg. 152, 153 (Einaudi, Torino) 

lunedì 10 agosto 2020

Paolo Giaccone, eroe civile che non si piegò alla mafia

     Palermo – Se si chiedesse di associare l’anno 1982 a un delitto di mafia ‘eccellente’ avvenuto a Palermo, sarebbe sicuramente citato l’assassinio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, trucidato con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo, proprio in quell’anno, la sera del 3 settembre. 
     In pochi ricorderebbero che qualche settimana prima, l’11 agosto 1982, fu assassinato con cinque colpi di pistola, tra i viali del Policlinico di Palermo, anche un noto medico palermitano: il dottor Paolo Giaccone.
       Chi era Giaccone? Era un medico e uno stimato docente universitario: ordinario di Medicina legale alla Facoltà di Medicina dell'Università di Palermo, insegnava anche Antropologia criminale alla Facoltà di Giurisprudenza. Il professore divideva il suo impegno tra l'Istituto di medicina legale del Policlinico, che dirigeva, e le consulenze per il Palazzo di Giustizia. 
Nella vita privata era felicemente sposato, con quattro figli – Camilla, Antonino, Amalia e Paola – e aveva tanti interessi: amava dipingere e praticava la scherma; si interessava di filatelia e di ornitologia. Era inoltre un appassionato di musica, che studiò per cinque anni al Conservatorio Bellini. 
      Perché i mafiosi lo uccisero? Bisogna andare indietro di qualche mese, al dicembre del 1981, quando tra le vie di Bagheria - un grosso centro a pochi chilometri da Palermo - c’era stata una sparatoria con quattro morti. Il professore Giaccone aveva ricevuto l'incarico di esaminare un'impronta digitale lasciata da uno dei killer. Secondo la sua perizia, l'impronta apparteneva ad un esponente della cosca mafiosa di Corso dei Mille: questa era la prova che poteva incastrare gli assassini. Il medico ricevette delle pressioni perché ‘aggiustasse’ le conclusioni della perizia dattiloscopica. Giaccone non cedette a pressioni e a minacce – che pare gli furono rivolte anche da un avvocato – e il killer fu condannato.
La mafia si vendicò uccidendo il medico in una calda mattinata d’agosto. In seguito il pentito Vincenzo Sinagra rivelò i dettagli del delitto, addossandone la responsabilità a Salvatore Rotolo, che venne condannato all'ergastolo nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra.
           Ecco cosa aggiunge a questa tristissima storia Augusto Cavadi nel suo testo ‘101 Storie di mafia che non ti hanno mai raccontato’: «Chi ha ucciso il dottor Giaccone? La risposta giudiziaria è corretta, preziosa, ineliminabile. […] Tuttavia, per quanto esatta, sarebbe una risposta incompleta. Quando l’esponente di una categoria professionale viene ucciso, sarebbe da ciechi non vedere la grave responsabilità oggettiva di tutti quegli altri membri della stessa categoria che con il loro comportamento abituale hanno reso possibile […] quella uccisione. Infatti: perché il mafioso si aspetta la connivenza del medico (o dell’avvocato, del direttore di banca, del poliziotto penitenziario…) e, se non la ottiene, non può permettersi il lusso di tollerare la disubbidienza? 
        Perché abitualmente la borghesia professionale ha accettato – per interesse o per paura – le richieste illegali manifestate da personaggi di ‘rispetto’. […] Ecco perché ad assassinare Giaccone non sono stati soltanto uno o due killer, ma anche quei medici che […] si sono prestati ad assecondare le richieste dei mafiosi. Proprio come tutti i commercianti che pagano il pizzo precostituiscono le condizioni oggettive dell’esecuzione esemplare di un Libero Grassi…».
        Sono passati trentotto anni dall’assassinio del professore Giaccone e circa trenta da quello dell’imprenditore Libero Grassi. Si spera che a Palermo sia cresciuta la consapevolezza etica e civile, tanto da rendere meno praticabili pressioni e ricatti della mafia a professionisti e commercianti.
      Ai palermitani che si trovano a varcare il Policlinico universitario, ormai intitolato al dottore Paolo Giaccone, rimane comunque nel cuore un sentimento di grande mestizia, unito a una profonda, perenne riconoscenza morale.


Maria D’Asaro, 09.08.2020, il Punto Quotidiano

sabato 8 agosto 2020

Pensieri che mi assalgono nelle vie animate

Pierre August Renoir: Ballo al Moulin de la Galette (1876)

Volti.
Miliardi di volti sulla faccia della terra.
Ciascuno diverso, sembra,
da quelli che furono e saranno.
Ma la Natura – e chi mai la conosce –
forse stanca per l’incessante lavoro
ripete le sue trovate precedenti
e ci mette volti
già adoperati un tempo.




Forse ti viene incontro
Archimede in jeans,
Caterina II con uno straccetto dei saldi,
un faraone con cartella e occhiali.

La vedova d’un calzolaio con le scarpe rotte
di una Varsavia ancora piccina,
il maestro della grotta d’Altamira
che porta i nipoti allo ZOO,
un vandalo irsuto diretto al museo
per estasiarsi un po’.

Caduti di duecento secoli fa,
di cinque secoli fa
e di mezzo secolo fa.

Qualcuno trasportato di qua in un cocchio d’oro,
qualcuno in un vagone dei campi di sterminio.

Montezuma, Confucio, Nabucodonosor,
le loro tate, le loro lavandaie e Semiramide
che conversa soltanto in inglese.

Miliardi di volti sulla faccia della terra.
Il tuo volto, il mio, di chi –
non lo saprai mai.

La Natura, forse, deve ingannare,
e per riuscirci, e per provvedere,
comincia a pescare ciò che è affondato
nello specchio dell’oblio.


 Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945 – 2009)
traduzione di Pietro Marchesani - Adelphi Editore

giovedì 6 agosto 2020

Ladra di... ombra

Eduard Manet: Berthe Morisot con ventaglio
        In una mattinata agostana, arrivi davanti alla tua libreria preferita dieci minuti prima dell’orario di apertura. Mentre aspetti, ti posizioni di fronte all’ingresso, dove c’è un’edicola con tanti libri su Palermo: tra i volumi, la storica guida cittadina del professore Giuseppe Bellafiore, un saggio del compianto archeologo Sebastiano Tusa, gli immarcescibili “Beati Paoli” e “Coriolano della Foresta” di Luigi Natoli. 
        Però, dopo qualche minuto, il proprietario dell’edicola interrompe una sua animata conversazione telefonica per redarguirti con asprezza: “Per l’ombra ci sono gli alberi… non la prenda dalla mia edicola”. Stai per far presente che non c’è anima viva e quindi non rubi quell’ombra e quel posto a nessuno e, tra l’altro, sei interessata ai testi esposti. Ma il signore continua a parlare al telefono, sordo a una tua eventuale educatissima replica. 
       Nel frattempo, la libreria apre i battenti. Entri, triste e sgomenta di essere considerata una ladra … di ombra.

Maria D’Asaro

martedì 4 agosto 2020

Shemà...

J.Sorolla: La nipotina (1908)



La bevitrice d'assenzio - Picasso - 1901


           E.Munch: Madonna (1894)








Ascolta

la verità

del tuo corpo.

E donale parole adeguate.

Pace.                   

domenica 2 agosto 2020

I "luoghi del cuore" da ricordare e salvare

     Palermo – “Che cosa sono i Luoghi del Cuore? E’ come se infinite piccole fiammelle venissero accese nelle città, nei paesi aggrappati alle colline, lungo le frastagliate coste, attraverso le pianure, in mezzo agli alberi dei boschi, lungo i fiumi… sono quei luoghi che gli uomini hanno amato, vissuto, intravisto, sognato, con nostalgia ricordato.” – Giulia Maria Crespi, co-fondatrice e presidente onoraria del FAI (Fondo Ambiente Italiano), scomparsa il 19 luglio scorso, definiva così uno dei più importanti progetti italiani di sensibilizzazione del nostro patrimonio paesaggistico e artistico. 
       “I luoghi del cuore” è un progetto che permette ai cittadini ... (continua su: il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 02.08.2020, il Punto Quotidiano