giovedì 30 gennaio 2020

A cena con pizza, invidia e filosofia

         Le prime cenette filosofiche del 2020 (se volete sapere di che si tratta leggete qui e qui) hanno avuto come tema portante le riflessioni suscitate dalla lettura dell’intrigante saggio a 4 mani: I come invidia, frutto della collaborazione tra lo psicoterapeuta Giovanni Salonia e le docenti Valentina Chinnici, Dada Iacono e Ghery Maltese.

Di seguito, solo  un ... assaggino delle ricche e articolate riflessioni dei 'cenacolanti':

Ecco cosa scrive Augusto Cavadi  qui, nel suo blog.

E poi le interessanti considerazioni di Armando Caccamo,  che ha sottolineato il valore positivo di quella che Giovanni Salonia definisce ‘invidia sana’ e Jung addirittura ‘sano desiderio”:
"Perché paradossalmente l’unico “vizio“ che non dà piacere: l’invidia (intesa come desiderio di avere qualcosa di materiale o di immateriale che qualcun altro ha) è stata uno dei motori della storia dell’uomo? Il rifiuto di accettare le disuguaglianze fra popoli e/o individui ha contribuito alle conquiste umane e sociali di ogni tempo. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio e può accadere che questo moto dell’anima, anziché spronare l’uomo a migliorarsi, l’ha indotto a cercare di sminuire e avversare chi è migliore. Questo succede quando l’insicurezza, l’incapacità di valutare se stessi trasforma la differenza in ingiustizia (se non a me perché a te?) 
Il risultato? Che si vive male e si fa male agli altri! "

Qui appunto il pensiero di Jung sul desiderio, cosa ben diversa dall’invidia: 
«Non è poco confessare a se stessi il proprio vivo desiderio. Molti hanno bisogno di un particolare sforzo d’onestà. Troppi non vogliono sapere a che cosa anelano, perché ciò pare loro impossibile o troppo doloroso. Il desiderio è però la via della vita. Se non ammetti di fronte a te stesso il tuo desiderio, allora non seguirai te stesso ma strade estranee che altri hanno tracciato per te. Così non vivi la tua vita, ma una vita estranea.[...] solo un’imitazione scimmiesca.» 
C.G. Jung, Libro Rosso, p.250. 

Qui la mia recensione del testo, che riprendo:

Il saggio i come invidia (Cittadella Editrice, Assisi, 2015, € 11,00), frutto della collaborazione tra lo psicoterapeuta Giovanni Salonia e le docenti Valentina Chinnici, Dada Iacono e Ghery Maltese, è una sinfonia di ‘note’ e riflessioni feconde con le quali, in felice sinergia - ciascuno/a secondo il proprio ‘vertice’ teorico - l’autore e le co-autrici scrutano il più sterile e nocivo dei sette vizi capitali: la prof. Chinnici sintetizza egregiamente la concezione dell’invidia, “virus tossico” che infetta anima e corpo, presso il mondo greco e latino; il prof. Salonia fornisce un’esauriente disamina di quest’emozione infelice spaziando, da par suo, dall’ambito psicologico al versante etico-religioso a quello sociologico-politico; le docenti Iacono e Maltese offrono una suggestiva analisi dell’invidia nel vissuto dei bambini e nelle fiabe. Nell’affollata presentazione del 9 settembre 2015, a Palermo presso la libreria “Modus Vivendi”, il moderatore prof. Muraglia ha sottolineato che le cento pagine del libretto possiedono una grande efficacia formativa  e “un’alta densità speculativa”: in effetti, la formula vincente di questo saggio è forse la capacità degli autori di analizzare la passione triste per eccellenza “battendo” con grande perizia i più svariati sentieri della mente e del cuore. Così, la sua meditata lettura può avere persino un benefico, terapeutico effetto collaterale per il lettore: farlo uscire dal cerchio nefasto degli invidiosi!
Ma che cosa è davvero l’invidia? Nella prefazione, il prof. Sichera ci ricorda che “Quando si parla dell’invidia (…) ci si misura con una passione radicale, un evento dello spirito che affonda le proprie radici nell’humus delle origini, nella consistenza mitica del nostro esserci. (…) Viene alla luce quella deviazione del fluire del godimento e dell’incontro che avvelena le sorgenti del cuore.  (…) Come se l’in-videre fosse impresso nella carne e nel cuore degli uomini, alla stregua di uno stigma indelebile, di una passione “genetica”. Le caratteristiche dell’invidia, sentimento tanto radicato e pervasivo quanto occulto e negato, sono poi magistralmente delineate da Giovanni Salonia: l’invidia è un ‘vizio senza piacere’, che fa star male senza alcun vantaggio, come ha ben intuito Nietzsche, è una sorta di “cupio dissolvi”, un desiderio fuori bersaglio che percorre strade sbagliate, un tradimento della finalità ultima del desiderio, che è invece quello di essere felici: “la verità racchiusa nell’invidia è la ricerca della felicità e dei suoi dintorni”, ricorda Salonia. Che poi afferma: “l’invidia è un modo sbagliato di affrontare due elementi costitutivi della condizione umana: l’essere limitati e l’essere in relazione” e nasce “da un vedere che non contempla, non accoglie, non incontra l’altro”.
   L’autore ripercorre i fondamenti mitico-religiosi di quest’emozione, considerata peccato di origine alla base dell’infelicità umana; peccato che si è manifestato prima nell’ostilità dello sguardo dell’angelo/diavolo ribelle e poi in quello dei nostri progenitori, sguardo che si è incupito nella vana ricerca dei doni non ricevuti anziché illuminarsi per la gratitudine di quelli presenti. Citando poi Marx, Rousseau e Amartya Sen, Salonia traccia alcune linee di demarcazione tra l’invidia e il legittimo desiderio di giustizia, suggerendo che la strada da seguire non è quella di rincorrere l’illusione di una società di eguali, ma quella di ricercare una società meno ingiusta che permetta ad ognuno la sua crescita evolutiva. Se non accogliamo l’analisi pessimistica di Freud e Melanie Klein, che ritenevano l’invidia ferita inguaribile, scopriamo allora la perla di speranza che ci consegna il libretto: tutti possiamo guarire dall’invidia,  purchè rientriamo in contatto con noi stessi: “questa fedeltà a noi stessi … ci consente di ritirare le nostre proiezioni sull’altro” e di operare una sana centratura su di noi, nonostante i nostri limiti.
 Perché  “se il limite è connaturato alla creaturalità … la creatura si realizza accettandolo”; “la sola strada che placa il cuore e dà pienezza è la soddisfazione nel trafficare i talenti, pochi o molti che se ne abbiano”.      
Dunque, come scrivono a chiusura del libro Dada Iacono e Gheri Maltese: “seguendo la sapienza delle fiabe, l’unica strada possibile è quella del ritorno a se stessi, dell’avere cura di ciò che si è, desiderando il proprio desiderio e non più quello altrui, lavorando sodo come Cenerentola o la guardiana per riappropriarsene, consapevoli di essere piccoli ma irripetibili, nonostante le proprie ferite o i propri limiti. (…) La fedeltà a se stessi … può diventare il più efficace antidoto all’invidia trasformando lo sguardo maligno in uno sguardo libero e aperto all’incontro.” Perché, come ha concluso nella presentazione il prof. Salonia,  in realtà “a farci soffrire, è la pienezza della nostra anima che non abbiamo ancora raggiunto”.   


martedì 28 gennaio 2020

Le quattro del mattino

Paul Klee: L'avventura di una ragazza (1921)
Ora dalla notte al giorno.
Ora da un fianco all’altro.
Ora per i trentenni.

Ora rassettata per il canto dei galli.

Ora in cui la terra ci rinnega.
Ora in cui il vento soffia dalle stelle spente.
Ora del chissà-se- resterà-qualcosa-di-noi.

Ora vuota.

Sorda, vana.
Fondo di ogni altra ora.

Nessuno sta bene alle quattro del mattino.
Se le formiche stanno bene alle quattro del mattino
- le nostre congratulazioni. E che arrivino le cinque,
se dobbiamo vivere ancora.



Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009), 
a cura di Pietro Marchesani, pag. 187, Adelphi, Milano 

domenica 26 gennaio 2020

Pietre d'inciampo: tributo della memoria

            Palermo – L’idea si deve all’artista tedesco Gunter Demnig, che nel 1992 ha collocato le prime pietre nelle strade di Colonia, davanti alle case dove avevano abitato alcune vittime della Shoah. 
          Dalla città di Colonia l’iniziativa si è estesa poi in quasi tutte le nazioni occupate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Oggi si contano circa 75.000 “stolpersteine”, diffuse in centinaia di città europee. 
Ma cosa sono le “stolpersteine”, in italiano ‘pietre d’inciampo’? (continua su il Punto Quotidiano)


Maria D'Asaro, 26.01.2020, il Punto Quotidiano


venerdì 24 gennaio 2020

Alla ricerca del tempo vissuto

Renè Magritte: La condizione umana
       Nomen/omen: nel nome di una persona è racchiuso in qualche modo il suo destino, si affermava nel mondo latino. E’ intrigante che due grandi personalità con lo stesso cognome - Eugéne Minkowski ed Herman Minkowski, entrambi di origine lituana, ma poi naturalizzati l'uno francese, l’altro tedesco - abbiano fornito importanti contributi sulla percezione del tempo, nella nostra mente e nell’universo.

      Eugéne Minkowski (1885 –1972), originario da un ambiente di ebrei ortodossi lituani,  nasce a San Pietroburgo, dove vive fino all'età di 7 anni, quando la sua famiglia si trasferisce a Varsavia. Lì iniziò i suoi studi medici. Durante la I guerra mondiale si rifugiò in Svizzera e poi si trasferì definitivamente in Francia.
        Eugéne Minkowski è stato  uno dei più importanti esponenti francesi della psichiatria fenomenologica del Novecento, che ha contribuito a rimettere al centro dell'interesse medico la persona nella sua interezza, in un’ottica di superamento della psichiatria positivista e organicista, secondo cui la malattia psichica era solo una disfunzionalità dell'organo cerebrale. 
            Quindi, nella prospettiva fenomenologica, la psichiatria “ha come oggetto [non] il cervello ma [...] un soggetto, una persona, analizzata e descritta nelle sue emozioni, nei suoi pensieri, nelle sue fantasie, nelle sue immaginazioni: nei suoi modi di essere che non si identificano nel comportamento ma nei significati che si esprimono in ogni singolo comportamento”.
In particolare, ecco l'auspicio di E. Minkowski: “Se finora la psicologia si è svolta in prima persona o in terza persona, è tempo che essa diventi una psicologia in seconda persona, perché il tu ci mette in presenza dell'umanamente comune”.
Eugène Minkowski. 
       E’ stato Eugéne Minkowski a introdurre i concetti di "contatto vitale con la realtà" e di "tempo vissuto", e ad affermare che anche i comportamenti psicopatologici possono essere spiegati e compresi se viene tenuto conto della personale esperienza del tempo. Lo studioso rimase molto colpito dalla lettura del Saggio sulla durata immediata della coscienza di Henri Bergson, dove Bergson contesta il concetto di "tempo" omogeneo misurabile, a cui contrappone una durata interiore che è accrescimento qualitativo continuo, dunque refrattario ad ogni forma di misurazione, durata interiore che ha come tratto essenziale il vissuto affettivo che la caratterizza.
        Tra gli scritti di Minkowski  ricordiamo “La schizofrenia” (1927), "Verso una cosmologia" (1936) e nel 1966 il "Trattato di psicopatologia" e soprattutto “Il tempo vissuto” opera miliare del 1933.
Qui  una breve presentazione del testo:
"Il problema del tempo e dello spazio, generatore di conflitti profondi nella nostra esistenza, è al centro della psicologia e della filosofia di Eugène Minkowski. Spesso avvertiamo una stanchezza e un sentimento di spossessamento che ci lasciano annichiliti, come se il ritmo della nostra civiltà tecnologica ci violentasse. È opportuno però proteggersi dalla nostalgia del buon tempo antico e fare come il fenomenologo il quale sa sempre riprendere contatto con la vita e con ciò che essa ha di naturale. Basandosi sul pensiero filosofico di Henri Bergson e di Edmund Husserl (…), Minkowski ci introduce con questo libro nei misteri del futuro, del passato, del tempo caratterizzato qualitativamente, dello slancio personale, della struttura dei diversi disturbi mentali. Prolunga quindi in forma critica il campo psicopatologico in quello normale della vita psichica. La sua analisi della temporalità vissuta consente di porre in rilievo gli aspetti formali e strutturali dello psichismo consapevole (…)."

           Qui, a cura della dott.ssa Elena Pagni, altre suggestive riflessioni sul pensiero di Eugéne Minkowski :

“Se è nel tempo e attraverso il movimento che partecipiamo alla vita, la morte ci nega per sempre questa possibilità. Nei sistemi viventi il tempo funge da organizzatore della situazione vitale dell’organismo. Il metabolismo e le funzioni vitali si compiono infatti attraverso lo scandire preciso e incalzante di ritmi biologici (tempo delle reazioni molecolari, il battito cardiaco, la respirazione). Con la morte si verifica il disgregamento della nozione di tempo. Non si tratta più del tempo della vita che unisce, che coordina, che costruisce, che organizza. Il tempo della morte è un tempo che distrugge, che disgrega, che disorienta, che sfilaccia l’unità della nostra esistenza nei frammenti non più ricomponibili di un puzzle. Ma la morte non è un fatto solo individuale, osserva lo psichiatra Eugène Minkowski in Le temps vécu (1933). La morte, infatti, pone anche fine a tutte le relazioni di affetto, parentela e amicizia che ci hanno accompagnato durante la vita. Nell’articolo mostro come, a partire dalla riflessione di Minkowski, si possa parlare della morte da una duplice prospettiva di tempo vissuto: la morte come evento che impone una riflessione sulla finitudine umana, e come esperienza del vissuto individuale (morte nel tempo vissuto), oppure della morte patologica, la quale implica la morte del vissuto, ossia del contatto vitale costitutivo dell`esistenza umana.”

         Ed ecco l’altro insigne studioso del tempo:  Hermann Minkowski (Aleksotas, Lituania, 1864 – Gottinga, 1909), un matematico lituano naturalizzato tedesco.
Hermann Minkowski frequentò in Germania l'Università di Berlino e l'Università di Königsberg, dove nel 1883 fu insignito del Premio della Matematica dell'Académie des Sciences francese per la sua teoria delle forme quadratiche. Insegnò poi presso le Università di Bonn, Gottinga, Königsberg e Zurigo, dove fu uno degli insegnanti di Albert Einstein.
         Minkowski approfondì lo studio dell'aritmetica delle forme quadratiche, in particolare quelle in n variabili, e la sua ricerca in quel campo lo indusse a considerare alcune proprietà geometriche in uno spazio ad n dimensioni. Nel 1896 presentò la sua geometria dei numeri, un metodo geometrico che risolveva problemi nell'ambito della teoria dei numeri.
       Nel 1907 Minkowski giunse al convincimento che la teoria della relatività speciale (conosciuta anche come relatività ristretta), introdotta da Einstein nel 1905 e basata su precedenti lavori di Lorentz e di Poincaré, potesse essere compresa nell'ambito di uno spazio non euclideo, da allora noto come spazio di Minkowski, in cui il tempo e lo spazio non sono entità separate ma connesse fra loro in uno spazio-tempo quadridimensionale, e nel quale la geometria di Lorentz della relatività ristretta può essere opportunamente rappresentata. 
Renè Magritte: Le passeggiate di Euclide

          Tale rappresentazione risultò utile e  aiutò le indagini di Einstein in merito alla relatività generale. La parte iniziale del suo discorso pronunciato in occasione dell'ottantesima Assemblea degli Scienziati della Natura e dei Medici Tedeschi (21 settembre, 1908) è divenuta famosa:
«I concetti di spazio e di tempo che desidero esporvi traggono origine dal terreno della fisica sperimentale, e in ciò risiede la loro forza. Sono radicali. D'ora in avanti lo spazio singolarmente inteso, ed il tempo singolarmente inteso, sono destinati a svanire in nient'altro che ombre, e solo una connessione dei due potrà preservare una realtà indipendente.»

         Purtroppo, a soli 44 anni, Minkowski morì improvvisamente per appendicite, il 12 gennaio del 1909. Un asteroide, il n.12493, fu battezzato in suo onore asteroide Minkowski.

(Grazie a Wikipedia, da cui ho attinto, qui e qui).


martedì 21 gennaio 2020

Alla scoperta di ... virtù perdute: Prudenza e Temperanza

Prudenza : Giovanni Balduccio
(Arca di san Pietro, Cappella Portinari - Milano
          Conosciamo tutti i nomi del poker delle quattro  virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.
         Che senso ha ripensarle oggi? 

Mercoledì 22 gennaio, dalle ore 18 alle 19.15, nella Casa dell'Equità e della Bellezza, a Palermo, in via Garzilli, n.43/A, abbiamo avuto l'opportunità di riflettere insieme su Prudenza e Temperanza, virtù oggi poco conosciute, spesso fraintese e, magari per questo, "snobbate".




Con l’ausilio del testo:
Bodei, Giorello, Marzano, Veca Le virtù cardinali ((Laterza, Bari, 2017, €9)

Chi di noi non conosce il poker delle quattro cosiddette virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza?

“Nel linguaggio comune la prudenza tende oggi a essere confusa con la cautela o la moderazione, ossia con una virtù modesta e quasi senile, carica di paure o incertezze.
Per millenni essa è stata invece considerata come la forma più alta di saggezza pratica, quale capacità di prendere le migliori decisioni in situazioni concrete, applicando criteri generali a casi particolari”

La prudenza (in latino prudentia) dispone la ragione pratica a discernere, in ogni circostanza, il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per attuarlo. Di origine latina appunto, la parola sembra connessa al verbo vedere, mentre il prefisso pru (contrazione da pro) indica ciò che è posto davanti nello spazio o prima nel tempo. Essere prudenti significa potenziare le proprie capacità visive per progettare e pianificare una scelta, cogliendone prima tutte le implicazioni future. Significa soppesare i pro e i contro, valutare rischi e implicazioni.

Si tratta dunque della virtù deliberativa per eccellenza, che pone chi la pratica in condizione non solo di discernere il bene dal male, ma anche di prepararsi per il futuro a partire da un presente che ha fatto tesoro degli insegnamenti del passato. Essa è quindi un potente antidoto alla precipitazione nell’agire, al fanatismo e all’odio”

     La prudenza, a causa dello slittamento semantico subìto, è adesso comunemente connessa in modo riduttivo con l’idea di cautela e circospezione ed è spesso collegata con una valutazione dei rischi in termini di salute e/o di egoistico tornaconto personale. In realtà la prudenza potrebbe essere identificata con la saggezza, la perspicacia nel giudicare la migliore soluzione e la scelta più adatta.

Concretamente la prudenza consiste nel discernimento, cioè nella capacità di distinguere il vero dal falso e il bene dal male, smascherando - attraverso questa stessa virtù - le false verità (a volte difficilmente identificabili) approfondendo ciò che si vede. L'uomo prudente allora non è tanto l'indeciso, il cauto, il titubante, ma al contrario è uno che sa decidere con sano realismo, non si fa trascinare dai facili entusiasmi, non tentenna e non ha paura di osare.
Allora – e non è un paradosso – il profeta è sommamente prudente: vede avanti, vede l’intero e indica la strada migliore.
Per Platone e Aristotele la prudenza (in greco Phronesis) è il pieno possesso della facoltà di pensiero, della saggezza e del senso della misura. Questa virtù è il requisito necessario di chi vuole fare politica e governare la polis, la città. Anche per Aristotele la prudenza, virtù di confine tra le virtù intellettuali e quelle etiche, ha come orizzonte il bene comune e si assume la responsabilità delle proprie azioni.

Con Tommaso d’Aquino, la Prudenza è nota come Auriga virtutum, in quanto guida, dirige e connette le altre virtù cardinali secondo equilibrio, misura e scopo. La prudenza ha il potere di deliberare in condizioni drammatiche. Certo non possiede la battagliera bellezza della Fortitudo, ma assomiglia piuttosto alla ponderazione equanime della Giustizia e ricorda la Temperanza."


La temperanza (in greco σωφροσύνη, in lat. temperantia) è la virtù della pratica della moderazione. Nel mondo ellenico era intesa con il termine mediocritas che stava a indicare il giusto mezzo, senso che è andato perso, ha cambiato di significato assumendo una connotazione negativa nel termine italiano ‘mediocrità’. Per Aristotele è il giusto mezzo tra intemperanza e insensibilità e viene elencata assieme a coraggio, liberalità, magnanimità, mansuetudine e giustizia.
Per il Buddhismo la temperanza è uno dei cinque precetti dettati dallo stesso Buddha, ma non ha la funzione di mortificazione, quanto quella di addestramento alla disciplina e quella di favorire l'apertura mentale con lo scartare tutto il superfluo. Nel mondo cristiano essa fu indicata per la prima volta come virtù cardinale assieme a prudenza, giustizia e fortezza da Tommaso d'Aquino (da Wikipedia).

Oggi la parola “temperanza” è quasi estranea dal vocabolario quotidiano: è fuori moda e sicuramente controcorrente, forse perché allude a una forma di riduzione e di controllo, cioè ad un’etica del limite. La temperanza è inoltre strettamente legata al “dominio di sé”, all’autocontrollo, alla padronanza dei desideri e al senso della misura: è la virtù del nostro divenire armonici e della capacità di modulare le nostre passioni. Secondo san Tommaso, è indispensabile per fronteggiare le necessità del presente e per potersi concedere, talvolta, persino l’eccesso, senza però rimanervi soggiogati. La temperanza comunque ha poco a che fare con l’inibizione, al contrario è forza, è misura che rende armonica la vita; è attuazione dell’ordine, dell’equilibrio all’interno dell’uomo.
Infatti, elemento distintivo della temperanza, rispetto alle altre virtù cardinali, è il suo rapporto esclusivo col soggetto stesso: infatti mentre la prudenza guarda alla realtà concreta di tutti gli esseri e giustizia e fortezza regolano i rapporti con gli altri, la temperanza riguarda l’individuo stesso che la pratica. Inoltre la virtù della temperanza, nella sua funzione più profonda, è quella di essere il nodo d’oro che tiene insieme sesso-eros-amore, impedendo che la trilogia s’infranga, lasciando spazio a una sessualità incontrollata oppure, al contrario, a una puritana spiritualità disincarnata.

“La temperanza allora è da intendersi non tanto come continenza, autocontrollo della volontà sulle passioni e i desideri, quanto come accordo dell’anima con se stessa. In tale armonizzazione si raggiunge l’equilibrio degli opposti: il significato di temperanza è, infatti, legato a quello di temperatura, di tempo atmosferico, quale compenetrazione di secco e di umido, di caldo e di freddo o, per analogia, all’idea di Bach di “clavicembalo ben temperato”, che nella tastiera identifica il diesis di una nota con il bemolle della successiva”
La temperanza, che ci serve per arginare il flusso incontrollato degli istinti e delle passioni, assume oggi una valenza e un significato particolare in campo economico: ci invita alla sobrietà come stile di vita. Ecco cosa scrive Serge Latouche, teorico della decrescita felice: “Bisogna operare una decolonizzazione dell’immaginario (…) all’interno della biosfera, in cui il principio termodinamico dell’entropia ci mostra come le trasformazioni dell’energia non sono totalmente reversibili, si va verso un depauperamento inesorabile delle risorse. La società dei consumi  (…) si regge su pubblicità (…) e obsolescenza programmata delle merci. Siamo ormai tossidipendenti della crescita.”
Ecco che Latouche, in Sopravvivere allo sviluppo, ci invita a costruire una società più sobria, adottando 8 R: 
Rivalutare (prendere a fondamento valori quali: altruismo su egoismo, collaborazione su competizione, tempo libero su ossessione al consumo), Ristrutturare, Ridistribuire, Ridurre, Riutilizzare, Rilocalizzare, Riparare, Riciclare
(tratto da Educare alla temperanza in tempo di crisi, Rivista “Cem/Mondialità”, 02/2013)

“La prudenza
È non dimenticare mai
Di essere una creatura,
che non possiede la verità
ma deve cercarla.
La prudenza è sapere
Che ogni apparenza
Può essere specchio
Per le allodole.
E’ la capacità
Di guardare dentro,
al di là, oltre il look.
La prudenza
È non lasciarsi condurre,
come il cavallo o il mulo,
dal bastone o dalla carota,
ma dall’intelligenza.”              
                                                           (Don Tonino Lasconi)

Maria D’Asaro

domenica 19 gennaio 2020

Chi dorme di più va meglio a scuola

              Palermo – Chi non ha sperimentato, almeno una volta nella vita, che una buona dormita aiuta a dipanare pensieri ingarbugliati, a trovare la soluzione a un problema, a imparare un capitolo di storia o un complesso teorema geometrico? 
           Da semplice e diffusa intuizione popolare, questa è ormai una convalidata ipotesi scientifica. (continua su: il Punto Quotidiano)


Maria D’Asaro, 19.1.2020, il Punto Quotidiano

giovedì 16 gennaio 2020

Roberto ed Elvira, eroi del quotidiano


Roberto Morgantini con sua moglie Elvira Segreto
            Commoventi. Edificanti. Quasi eroiche.
Le scelte di vita di Roberto Morgantini e di suor Elvira Tutolo - lui a Bologna sindacalista della CGIL in pensione, lei suora missionaria della Carità nella Repubblica Centrafricana - sono straordinarie nella loro semplicità. Ma eroiche per la testimonianza e i frutti che ne sono scaturiti.
            Avete tre giorni di tempo per conoscerle, collegandovi a Rai Play e rivedendo le puntate di lunedì 13 e martedì 14 gennaio del programma su RAI 3 “Nuovi eroi”, trasmesse alle 20.20, circa 20 minuti a puntata: rivedendo la puntata di lunedì conoscerete Roberto e le sue cucine popolari, in quella di martedì vedrete invece suor Elvira e i suoi ragazzi di strada.
             Ne vale davvero la pena, ve lo assicuro.
“Il contrario della paura è l’amore, non il coraggio”- ci ricorda suor Elvira.



                                                                Suor Elvira Tutolo

martedì 14 gennaio 2020

La gioia di scrivere

foto © mari da solcare, 2020

Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?
Ad abbeverarsi a un’acqua scritta
che riflette il suo musetto come carta carbone?
Perché alza la testa, sente forse qualcosa?
Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,
da sotto le mie dita rizza le orecchie.
Silenzio – anche questa parola fruscia sulla carta
e scosta
i rami generati dalla parola «bosco».
Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi
che non lasceranno scampo.
In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta
di cacciatori con l’occhio al mirino,
pronti a correr giù per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.
Dimenticano che la vita non è qui.
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Un batter d’occhio durerà quanto dico io,
si lascerà dividere in piccole eternità
piene di pallottole fermate in volo.
Non una cosa avverrà qui se non voglio.
Senza il mio assenso non cadrà foglia,
né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.
C’è dunque un mondo
di cui reggo le sorti indipendenti?
Un tempo che lego con catene di segni?
Un esistere a mio comando incessante?
La gioia di scrivere.
Il potere di perpetuare.
La vendetta d’una mano mortale.


Wislawa Szymborska 

(Traduzione di Pietro Marchesani), da “Uno spasso” (1967), Libri Scheiwiller, 2009; (da qui)


domenica 12 gennaio 2020

Piersanti Mattarella, il riscatto siciliano

    Palermo – Chi non è proprio ragazzino ricorda ancora quel sei gennaio 1980, così orribile soprattutto per i siciliani, colpiti al cuore dalla notizia agghiacciante data a pranzo dal TG nazionale: l’assassinio, in viale della Libertà, nel pieno centro di Palermo, del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella,  ucciso mentre si recava alla messa dell’Epifania con la moglie Irma, la suocera, i figli Bernardo e Maria.
Chi scrive ricorda ancora lo strazio di suo padre, compagno di partito e sincero estimatore del Presidente, e prima ancora amico del papà di Piersanti, il ministro Bernardo. Il pranzo, quel sei gennaio di quarant’anni fa, fu consumato in fretta e con grande mestizia: non era possibile distogliere il pensiero dall’immagine della Fiat 132 crivellata di colpi e dal corpo martoriato del Presidente… Papà, nel pomeriggio, uscì per incontrare alcuni amici del partito e recarsi poi alla camera ardente. Lo sapevano tutti allora a Palermo che l’operazione di riforma, di pulizia, di trasparenza che Mattarella stava portando avanti in Regione, con l’appoggio esterno anche dei comunisti, era davvero difficile da attuare. E non era gradita neppure a quella parte della Democrazia Cristiana così brava a mediare con Cosa Nostra.
           Lo ha scritto chiaramente d’altronde la Corte di Assise, con la sentenza del 12 aprile 1995 n. 9/95, che ha giudicato gli imputati per l'assassinio di Piersanti Mattarella: «L'istruttoria e il dibattimento hanno dimostrato che l'azione di Piersanti Mattarella voleva bloccare proprio quel perverso circuito (tra mafia e pubblica amministrazione) incidendo così pesantemente proprio su questi illeciti interessi».
Purtroppo l’assassinio del Presidente della Regione Siciliana fu seguito da tanti, troppi altri delitti eccellenti: appena due anni dopo, il 3 settembre 1982, avremmo rivisto le facce smarrite di tanti palermitani onesti, esterrefatti per l’assassinio del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo. Nel corso degli anni ’80 sarebbero stati trucidati giornalisti, magistrati, imprenditori, commissari di polizia, medici, funzionari regionali … Una lunghissima scia di sangue culminata nel 1992 con le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
           Oggi, a quarant’anni di distanza dal suo sacrificio, le ripetiamo il nostro grazie, caro onorevole Piersanti. Se, in qualche modo, la Sicilia ha rialzato la testa e ha trovato la forza e l’orgoglio per combattere il dominio violento e nefasto della mafia, lo dobbiamo anche a lei. Che, dalla plaga inaccessibile di un probabile paradiso, speriamo possa gioire per suo fratello Sergio, ormai da qualche anno, con la stima di tutti, Presidente della nostra amata Repubblica Italiana.

Maria D'Asaro, 12.1.2020, il Punto Quotidiano

venerdì 10 gennaio 2020

Se il Dirigente dice “La Scuola sono io” ...#dove va la Scuola italiana#

             Nel lontano 2012, recensendo il testo Presidi da bocciare, scrivevo: “Si può ragionare su un ruolo così delicato e nevralgico come quello del Dirigente scolastico senza scadere nelle generalizzazioni e nella faziosità? Non è cosa facile. Tant’è che, quando Augusto Cavadi mi mise al corrente della sua idea di mettere nero su bianco alcune riflessioni sui presidi, gli consigliai di lasciar perdere. Nella scuola italiana già in alto mare per i pesanti tagli materiali e di risorse umane, per le confuse prospettive pedagogiche di lungo periodo, per l’incerta transizione didattica tra la lavagna di ardesia e quella interattiva, a mio avviso, l’ultima cosa di cui c’è bisogno è una sterile guerra di posizione “intra moenia”, all’interno della scuola stessa, tra dirigenti e docenti (…).”
          E confesso poi che la prudenza sul tema era anche legata alla mia personale esperienza positiva, avendo lavorato per decenni con Dirigenti scolastici della statura del prof. Giuseppe Casarrubea (ne ho scritto qui), della prof.ssa Maria Di Naro (qui il suo saluto alla scuola), con la guida affettuosa della Preside Antonella Mancia e, qualche decennio prima, della preside Pia Blandano. E avendo conosciuto, come coordinatore dell’Osservatorio "Maredolce" un Dirigente competente e appassionato come il prof. Vito Pecoraro.

Da qualche anno, il combinato disposto del Decreto Leg.150 del 27.10.09 – che in attuazione dell’art. 7 della L. delega del 15/02/2009, rel. alla materia disciplinare, consegna nelle mani dei Dirigenti maggiori poteri, per quanto riguarda sanzioni e licenziamenti del personale – e della Legge 107 del 2015,  ha modificato il ruolo e le attribuzioni dei Dirigenti Scolastici. 

Infatti con il D.L. 150/2009 “Si modifica la materia contrattuale relativa alle sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici. L’obiettivo è stato di:
semplificazione dei procedimenti;
estensione dei poteri del dirigente della struttura in cui il dipendente lavora;
riduzione dei termini temporali del procedimento;
riforma del rapporto fra procedimento disciplinare e procedimento penale;
definizione ed elencazione di una serie di infrazioni particolarmente gravi assoggettate alla sanzione del licenziamento (elenco eventualmente ampliabile, ma non riducibile dalla contrattazione collettiva);
previsione di nuove e specifiche ipotesi di responsabilità per condotte del dipendente pubblico che arrecano danno alla P.A.
I Dirigenti hanno più poteri in particolare per quanto riguarda il personale Ata per i casi di false attestazioni di presenze al lavoro o falsi certificati medici. Potranno infliggere multe che fino ad ora erano di competenza degli uffici regionali. Potranno usare anche la sospensiva dal servizio e la decurtazione di ore lavorative dagli stipendi.
Vengono introdotte sanzioni anche di carattere penale sia nei confronti del dipendente che del medico, nel caso di falsi certificati medici. (…)                                               (da qui)

E, dopo l’approvazione delle Legge 107/2015:

Alla luce della nostra analisi, possiamo affermare che funzioni e compiti degli organi collegiali non hanno subito cambiamenti tali da rafforzarne il ruolo, al contrario il Consiglio d’Istituto ha subito una riduzione del suo potere di indirizzo a tutto vantaggio del DS.
Il Comitato per la valutazione dei docenti si è visto attribuire il compito di definire i criteri per la valutazione del merito dei docenti (la cui valutazione spetta al DS) ed è stato modificato nella sua composizione.
Nessuna sostanziale modificato ha riguardato le competenze proprie del Collegio dei docenti.
La figura del DS, invece, ha visto ampliate le proprie competenze con l’attribuzione di nuovi compiti e funzioni quali: definizione gli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione; attribuzione incarichi triennali ai docenti di ruolo dell’ambito territoriale di rifornimento; valutazione dei docenti in periodo di formazione e prova; attribuzione del bonus ai docenti meritevoli, sulla base dei criteri individuati dal comitato di valutazione." (da qui)

Tali riforme hanno migliorato la qualità complessiva della Scuola italiana? Non ci sono ancora indicatori oggettivi per affermarlo o negarlo.
Quello che purtroppo è certo che l’aumento delle loro prerogative e poteri decisionali, in quei Dirigenti carenti di competenze relazionali e sprovvisti di un buon equilibrio psicologico,  ha causato deliri di onnipotenza e abusi di potere. Col risultato di gettare nel caos intere istituzioni scolastiche. 

Ecco cosa leggiamo a proposito qui:
"Non posso fare a meno di segnalare, a costo di essere considerato eretico, una realtà che è sotto gli occhi di tutti i commentatori onesti di informazione scolastica…Il nostro sistema scolastico vede i docenti vittime degli umori, non sempre stabili e coerenti, dei dirigenti scolastici…Troviamo docenti zerbini che si annullano completamente per obbedire al capo, collegi totalmente sottomessi alle decisioni dirigenziali, RSU che firmano l’opposto di quanto proposto dalle piattaforme dei sindacati di riferimento, troviamo addirittura docenti che si iscrivono all’Associazione professionale del proprio dirigente scolastico, docenti disposti a fare tutto per entrare nelle grazie del capo…  I pochi con la schiena dritta vengono a trovarsi isolati e, in alcuni casi, discriminati…Abbiamo creato un sistema scolastico Dirigento-centrico, in cui i docenti fanno la figura dei servi sciocchi, pronti a baciare la pantofola del “RE”…Questo fenomeno sociale e antropologico si traduce in un rinnovo del contratto dei capi di Istituto di 800 euro lorde, mentre i docenti restano ancora una volta in vacanza contrattuale con stipendi miseri e vergognosi…la categoria docente si trova anche sotto il ricatto di una legislazione delle sanzioni disciplinari sbilanciata tutta dalla parte del sanzionatore…La legge Madia, anche se non ancora applicabile al personale docente, è indicativa del fatto che il capo non solo comanda, ma sanziona anche il suo sottoposto…
       Per me questa non è autonomia scolastica, ma una barbarie di totale inciviltà, dove si toccano i principi costituzionali della libertà di insegnamento e la democrazia collegiale.Uno Stato che non rispetta i suoi docenti,  per logiche neo-liberiste, è uno Stato destinato all’autodistruzione.  Sono 20 anni che l’autonomia scolastica ha messo in totale sottomissione la democrazia collegiale e il risultato del nostro sistema scolastico è evidentemente peggiorato notevolmente…ci vuole molto a capire che stiamo andando nel verso sbagliato?”

In alcune scuole purtroppo, qualche Dirigente, forte delle sue nuove prerogative, ha giocato in modo pesante con l’antica strategia del “divide et impera” evidenziando un’assoluta mancanza di rispetto per tutte le componenti della comunità scolastica. In questi casi, solo il ricorso ai Sindacati o addirittura in qualche caso alla Magistratura ha finalmente ridato respiro ai diritti di alunni, genitori e Docenti. Ma se per dirimere contenziosi tra componenti della Comunità scolastica è necessario rivolgersi alla Magistratura, è la Scuola nella sua interezza a essere perdente.
E’allora inutile promuovere Open Day, sciorinare dati brillanti per il Bilancio Sociale, vantare traguardi raggiunti col RAV … La Scuola ha bisogna di sostanza, prima che di forme e di cifre. E la sostanza, nella Scuola, è un serio e valido orizzonte formativo e pedagogico condiviso e un buon clima relazionale tra tutti gli attori istituzionali.

Si auspica che le procedure concorsuali promuovano al delicato ruolo Dirigenziale persone capaci di gestire un’amministrazione complessa, di tessere relazioni efficaci e soprattutto di volare alto.

E di affermare non “La Scuola è mia, la Scuola sono io”, ma “La Scuola siamo noi”. 

Maria D'Asaro


(Oggi un ricordo speciale per il prof. Pippo Papa, che ci la lasciati prematuramente, e un abbraccio immenso alla sua amata Mirella)


domenica 5 gennaio 2020

Özpetek, giro di valzer con la Dea Fortuna


         Palermo – “La Dea Fortuna”, il film di Ferzan Özpetek uscito da qualche giorno nelle sale italiane, lascia in quasi tutti gli spettatori una sorta di gradevole retrogusto positivo. 
           Proviamo a capirne il perché. Convince e appassiona innanzitutto la buona recitazione degli attori: Stefano Accorsi che impersona Arturo, Edoardo Leo nel ruolo di Alessandro, Jasmine Trinca, che è Anna Maria; bravi anche i bambini, nel film Sandro e Martina, e così gli altri attori. Assai gradevole la colonna sonora, che si avvale anche del timbro magico di Mina; sapiente la scelta delle inquadrature; avvincente il ritmo narrativo.
              Narrata con garbo poi tutta la storia, che ruota sul ménage di una coppia omosessuale, quella di Arturo e Alessandro, che, in un momento di crisi, viene sconvolta dall’affidamento temporaneo di due bambini. L’imprevisto imprime un’accelerazione significativa alla vita dei protagonisti: ecco quindi in azione “la dea Fortuna”, col richiamo alla lingua latina dove il termine fortuna aveva appunto il significato neutro di accadimento fortuito, di Fato, buono o cattivo che fosse.
            A volere essere però poco indulgenti, si può dire che il film non è perfetto: perché il regista ripropone temi già trattati, a volte indugia troppo su qualche cliché, perché qualche scena risulta forzata, in una storia che cerca un non facile equilibrio tra la commedia e il dramma …  Nonostante ciò, “La Dea Fortuna” risulta comunque uno dei film più riusciti di Özpetek. E forse la ricetta del suo successo è nell’essere magari un tantino buonista, in un periodo dell’anno – quello natalizio – in cui abbiamo ancora maggiore bisogno di sentirci più buoni, qualora non riusciamo ad esserlo per davvero.
         Grazie allora a Özpetek che, in modo semplice e forse per qualcuno sin troppo scontato, è riuscito a ricordarci che quello che ci fa stare bene - al di là delle tanto vagheggiate tre ‘esse’ di soldi, sesso e successo - sono le relazioni umane autentiche, pur se travagliate e sofferte. E che il senso vero della vita si trova nell’avere un obiettivo esistenziale, ad esempio qualcuno o qualcosa di cui avere cura. Ancora meglio se il progetto di vita è condiviso dal nostro compagno/a che ci conosce davvero, ci compatisce e ci vuole un po' bene.

Maria D'Asaro, 5.01.2020, il Punto Quotidiano

venerdì 3 gennaio 2020

Benvenuti a bordo …

   “Benvenuti a bordo del nuovo treno che collega l’area metropolitana della città di Palermo all’aeroporto Falcone/Borsellino" … E così Maruzza era diventata una habituè della metro, con il suo abbonamento annuale, ipoteca e speranza di vita per i prossimi 365 giorni. Utilizzare la metro per gli spostamenti in città, era per lei una sorta di gioco, di sogno a occhi aperti: immaginava di sentirsi a Londra, Vienna, Milano, Berlino … Certo, a Palermo il treno passava ogni mezz’ora, non ogni 3 minuti come nelle altre città europee.
      Ma lei era ormai signora del tempo: con un libro in mano, poteva permettersi il lusso dell’attesa. E poi era felice che i suoi spostamenti non inquinassero ulteriormente il martoriato pianeta. In più, sul treno, i controllori erano tutti giovani, belli e gentili. E tutti i passeggeri avevano con sé il biglietto di viaggio. Rispetto al caos là fuori, quasi un microcosmo felice.

Maria D’Asaro



mercoledì 1 gennaio 2020

Un anno pieno di benedizioni

Santuario Madonna della Rocca - Taormina
        “Dio ci benedica con la luce del suo volto. Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto … "
         “Dio sorgente e principio di ogni benedizione, effonda su di voi la Sua grazia e vi doni per tutto l'anno vita e salute. Vi custodisca integri nella fede, pazienti nella speranza, perseveranti nella carità. Dio disponga opere e giorni nella Sua pace, ascolti ora e sempre le vostre preghiere e vi conduca alla felicità eterna."
(Inizio del Salmo e Benedizione finale della messa di oggi)


“Che tu possa sempre ricordare di stare dalla parte dell’anima, se è acume e forza che desideri;
… e di stare dalla parte dello spirito, se di energia e determinazione hai bisogno per agire per tuo conto, e per il mondo;
… e se è la saggezza che vuoi, che tu possa sempre sposare anima e spirito, ovvero sposare azione e passione, sposare audacia e saggezza, energia e profondità (…);
…  Che tu sia dunque intrisa di anima e di spirito, figlia cara.
… Che tu possa dunque scegliere ciò che rende il tuo cuore, la tua mente e la tua vita più grande e non più piccola;
… Che tu possa accogliere ciò che rende il tuo cuore, la tua mente e la tua vita più profonda e non più sterile;
… Che tu possa scegliere ciò che ti incita a danzare e non più a trascinarti, o a oziare davanti al tempo che passa.
Anima e spirito hanno un ottimo istinto. Usalo.
Anima e spirito hanno grandi doni del cuore: mettili in luce.
Anima e spirito hanno la capacità di vedere lontano.
Isola Bella - Taormina

“Ricevere la benedizione per vivere autenticamente … talvolta passiamo tutta la vita in attesa della benedizione, quella che apre i cancelli: «Sì, vai sii la forza che dovevi essere… Sì, vai, vivi pienamente il tuo essere fino in fondo».
Una benedizione non ti fa guadagnare qualcosa, ma ti fa usare qualcosa – qualcosa che già possiedi – il genio nato con te il giorno che venisti alla luce. Una benedizione è tale da renderti ben presente a te stesso e farti mettere a frutto la grandezza insita nel tuo prezioso e selvaggio sé.”

Dal testo:  La danza delle grandi madri di Clarissa Pinkola Estés