venerdì 28 febbraio 2020

Sergio Di Vita, milite ignoto dell'impegno civile

Tramonto della luna: archivio di Rudolf Steiner 
         Io Sergio lo conoscevo da decenni. Perché a Palermo le persone che gravitano nell’area della nonviolenza e dei “non allineati” si conoscono tutte … Ho partecipato a non so quante iniziative con lui.
         Sergio Di Vita se ne è andato all’improvviso, qualche giorno fa.

Non aggiungo altre parole a quelle autentiche, appassionate e commosse scritte dai carissimi Augusto Cavadi e Adriana Saieva. 

Eccole: 


"Quando si sfogliano i quotidiani si resta impressionati dalla marea di cattiverie, di crudeltà, di ingiustizie, di imbrogli, di tradimenti, di falsità, di corruzione, di stupidità, di violenza, di volgarità che ci assedia da ogni lato. Non so a voi, ma a me ogni tanto ritorna una domanda: com’è che ancora reggiamo? Com’è che Palermo, la Sicilia, l’Italia…non sono state ancora sommerse da questo fango tracimante, dilagante, asfissiante? A forza di parassiti che ne succhiano la linfa, l’albero non dovrebbe essere ormai essiccato e abbattuto?
Poi un giorno, così, all’improvviso, ti muore un amico. Per esempio Sergio Di Vita. E allora hai come un’intuizione: come racconta il mito di Colapesce, qualcuno – sommerso sotto la superficie delle onde schiumose – regge una delle colonne su cui galleggia l’isola. In silenzio, quasi nell’anonimato, del tutto ignorato dai riflettori dei media, questo qualcuno c’è. Al risveglio, la mattina, dedica qualche ora alla lettura di Gandhi o di Martin Luther King. Oppure all’ascolto di Bach o di Mozart. Ma non è un orso solitario. Un giorno accoglie un’amica che cerca ascolto attento, paziente. Un altro giorno un amico che soffre di dolori reumatici e vuole provare un po’ di shiatsu praticato con competenza. Una volta a settimana guida un gruppo di amici che vogliono approfondire insieme a lui l’antroposofia di Rudolf Steiner. 
E, quando necessario, esce anche da casa. Perché – siamo negli anni Ottanta – ogni giovedì sera ci si riunisce al Palazzo del Comune come Co.c.i.pa (Coordinamento cittadino informazione e partecipazione) per studiare i bilanci preventivi e discuterli con gli assessori dei vari settori. Perché – siamo negli anni Novanta – c’è da affiancare i diseredati concittadini del movimento dei “senza-casa” che chiedono l’assegnazione degli appartamenti sequestrati ai mafiosi.   Perché – siamo all’alba del Terzo millennio – c’è da sostenere il gruppo delle donne di  Benin City, desiderose di riscatto sociale e di inserimento lavorativo nella nuova patria. Già: gli africani. Prima gli italiani o prima gli stranieri? Prima chi soffre di più. Come far udire, da Palermo a Bruxelles, la voce di chi non ha voce? Sergio fonda e gestisce, gratuitamente e quasi da solo,  “Congosol”, un’agenzia d’informazione di prima mano sul Congo.
      Tanto impegno sociale non era frutto tanto di emotività, di coinvolgimento sentimentale, ma si basava ancor più su una formazione solida e continua: amava documentarsi incessantemente, leggendo e facendo conoscere - con i suoi seminari, i suoi laboratori e i suoi scritti - autori di ogni parte del mondo. Accademico di nessuna accademia, riteneva che nessuna tematica gli dovesse restare del tutto estranea. Ha attivato e diretto, sino alle ultime ore di vita, presso la “Casa dell’equità e della bellezza”, il “Gruppo di formazione al Teatro degli oppressi (secondo l’insegnamento di Augusto Boal) e alla nonviolenza attiva”, a cui hanno preso parte – in tempi e modi differenti – centinaia di persone. Soprattutto negli ultimi anni evitava di lasciarsi coinvolgere in altre organizzazioni e in altri progetti: “Preferisco fare poche cose, ma con la maggiore serietà di cui sono capace”.  
      Con lui se ne va uno dei tanti “militi ignoti” della militanza civica di cui non parleranno i libri di storia, a cui forse verrà intestata una stradina di periferia, ma senza i quali sarebbe inspiegabile come mai una città regga al logorio continuo dei furbi, degli approfittatori, degli egoisti perbene. Se ne va uno dei cittadini che, per rievocare la celebre frase di Kennedy, non si chiedono soltanto cosa la società possa fare per loro, ma anche cosa essi possano fare per la società."

      Augusto Cavadi, “La Repubblica”, 28.02.2020, dal suo blog

Caro Sergio,
                    ho incontrato molte resistenze a rivedere il filmato in cui tu ci parli del Teatro dell'Oppresso  e quando il suono della tua voce ha inondato la stanza, ho capito anche il perché. 
          Non sopporto l’idea di non poter ascoltare più le tue lucide e pacate argomentazioni, imperlate di saperi che spaziavano dalla musica al cinema, dalla letteratura alla sociologia. Non sopporto l’idea che una persona così bella e ricca di valori di giustizia non possa più contribuire alla crescita di questa città. Non sopporto l’idea che non potremo più arricchirci con i tanti stimoli che arrivavano dal tuo impegno civile e culturale. Non sopporto l’idea di non incontrarti più alla Casa dell’equità, col tuo sorriso vagamente malinconico e i modi sempre garbati. E mi sembra impossibile che tutto questo sia effettivamente così. Non potrò ascoltarti più.
                Carissimo Sergio, in questo momento non mi rassegno a dirti addio, deve sedimentare dentro di me il pensiero di questo furto improvviso. La Casa dell’equità e della bellezza resterà sempre la tua casa, lo spazio del TdO.
                   Ciao Sergio e grazie per le belle energie di cui ci hai fatto dono.



mercoledì 26 febbraio 2020

Buon compleanno, sorellina




La dolcezza
di invecchiare insieme
ci è stata negata.

Ma tu
vivi per sempre
nel mio cuore.

Buon compleanno, sorellina.

sabato 22 febbraio 2020

La madre, ai tempi del contagio

Picasso: Maternidad (1903)
Fa le cose di sempre:
raccomanda ai ragazzi di lavare le mani,
li esorta a non accettare
caramelle dagli sconosciuti,
è in pena per la figlia che vive lontana,
è felice per il figlio che ha comprato casa;
spera che evitino la febbre in discoteca.

Teme per il figlio infermiere,
E per la grande, che è dottoressa.

La madre, ai tempi del contagio,
trepida per i suoi figli:
il virus non corroda lo sguardo
forte e sereno,
sul vasto mondo.
E non comprometta
Il loro meritato luminoso futuro.



Maria D'Asaro

giovedì 20 febbraio 2020

Margherite gialle

Umili

margherite gialle

colorano d'oro

il nostro pallido, locale

squallore.

martedì 18 febbraio 2020

'A buttana di Sciacca

                 Si era al tempo che il mio paese non si chiamava ancora Porto Empedocle, ma Molo di Girgenti. In una gelida giornata di febbraio, pervenne una comunicazione al comando delle guardie locali secondo la quale alle ore venti, col postale proveniente da Sciacca, sarebbe arrivata una prostituta munita di foglio di via per il suo paese d’origine, all’interno della Sicilia.
Si trattava dunque di prelevare la donna al momento dello sbarco, trattenerla in camera di sicurezza e il giorno dopo metterla su di un treno. Della faccenda venne incaricato Agatino, guardia scelta.
Il postale, per il cattivo tempo, arrivò verso la mezzanotte.
Siccome non era stata fornita nessuna descrizione della prostituta, Agatino pensò bene di accostarsi ad ogni donna che sbarcava, sollevare la lanterna all’altezza del suo viso e domandare candidamente:
«Siete voi la buttana di Sciacca?».
E venne duramente malmenato da mariti, padri, fratelli, cugini o semplici conoscenti delle donne così interpellate. Gli andò anche bene, perché dato il ritardo e il freddo nessuno si accanì a pestarlo. 
Intontito e sanguinante, si avvicinò all’ultima donna che stava sbarcando e le rivolse, con un filo di voce, la domanda.
«Sì» rispose la puttana.
Grato, mancò poco che Agatino le buttasse le braccia al collo. Poi la portò in camera di sicurezza, ma provò pena per quell’essere intirizzito: per non metterla accanto agli altri passeggeri e per non creare tentazioni fra gli uomini dell’equipaggio, il comandante l’aveva fatta viaggiare sul ponte, allo scoperto.
Accese un braciere, ma non bastava.
Non ebbe cuore di lasciarla sola e se la portò a casa, tanto non aveva nessuno cui rendere conto.
Parlarono tutta la notte.
La donna non partì il giorno dopo col treno, come avrebbe dovuto, rimase invece a casa di Agatino.
Tre mesi dopo si sposarono, la guardia si dimise e principiò a fare il muratore.
Ebbero figli chiari, che crebbero puliti di cuore e di mente, da fare invidia alle migliori famiglie “civili”.
Ed è per questo che il cognome di Agatino non l’ho voluto scrivere.

Andrea Camilleri Il gioco della mosca, Sellerio Editore, Palermo, 1999 (pagg.14,15,16)

domenica 16 febbraio 2020

A Terrasini le panchine letterarie

Terrasini: panchina dedicata ad A.Camilleri (autore Antonino Lentini)
           Palermo – A Londra ci sono dal 2014, quando, grazie ad un’iniziativa della National Literary Trust, in città sono state collocate una cinquantina di eleganti panchine letterarie a forma di libro, dislocate in vari quartieri londinesi: Greenwich, Bloomsbury, Riverside, la City.            Ogni panchina è una vera e propria opera d’arte e raffigura con colorata creatività un best-seller di un autore o di una autrice assai noti e celebrati nel mondo letterario: da Lewis Carroll a Virginia Woolf, da Jane Austen a George Orwell, da James Matthew Barrie a Jules Verne. 
        L’idea delle panchine letterarie è arrivata anche a Terrasini, (continua a leggere su: il Punto Quotidiano)


Maria D'Asaro, 16.02.2020, il Punto Quotidiano


giovedì 13 febbraio 2020

Nella moltitudine

Telemaco Signorini: Sulle colline di Settignano

Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile
come ogni caso.

In fondo avrei potuto avere
altri antenati,
e così avrei preso il volo
da un altro nido,
così da sotto un altro tronco
sarei strisciata fuori in squame.

Nel guardaroba della natura
c’è un mucchio di costumi:
di ragno, gabbiano, topo campagnolo.
Ognuno calza subito a pennello
e docilmente è indossato
finché non si consuma.

Anch’io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno
molto meno a parte.
Qualcuno d’un formicaio, acquario, sciame ronzante,
una scheggia di paesaggio battuta dal vento.

Qualcuno molto meno fortunato,
allevato per farne una pelliccia,
per il pranzo della festa,
qualcosa che nuota sotto un vetrino.

Un albero conficcato nella terra,
a cui si avvicina un incendio.

Un filo d’erba calpestato
dal corso di incomprensibili eventi.

Uno nato sotto una cattiva stella,
buona per altri.

E se nella gente destassi spavento,
o solo avversione,
o solo pietà?

Se al mondo fossi venuta
nella tribù sbagliata
e avessi tutte le strade precluse?

La sorte, finora,
mi è stata benigna.

Poteva non essermi dato
il ricordo dei momenti lieti.

Poteva essermi tolta
l’inclinazione a confrontare.

Potevo essere me stessa – ma senza stupore –
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.

Wislawa Szymborska     (trad. di Pietro Marchesani)

(Nostra signora sente così sua questa magnifica poesia che la titolerebbe "12 febbraio")

martedì 11 febbraio 2020

Scatole vuote


De Chirico: Piazza d'Italia (1948)




Conservi
Scatole vuote.
Un posto ci vuole,
Per custodire con cura
Il Nulla.




    
                                






domenica 9 febbraio 2020

Lady Florence Trevelyan, una vita da romanzo

        Palermo – “Ogni vita merita un romanzo” affermava, qualche decennio fa, lo psicoterapeuta americano Erving Polster. Ci sarebbe davvero da scrivere un romanzo su lady Florence Trevelyan, nata nel 1852 a Newcastle, nel nord est del Regno Unito. Cosa ebbe di così speciale la sua vita? (continua su: il Punto Quotidiano)



Maria D'Asaro, 09.02.2020, il Punto Quotidiano





Giardino comunale di Taormina (foto Mari@dasolcare)

venerdì 7 febbraio 2020

Accendi una candela, se c'è buio


V. Kandinskij: Studio di colore
(…) La festa della Candelora – purtroppo domenica scorsa non vi ho ricordato di portare una candela, per accenderla – ci esorta quando siamo al buio di accendere una candela. Nel buio potremmo gridare, deprimerci … ma se riusciamo ad accendere una candela, il buio non c’è più. Nei momenti più difficili della vita, dobbiamo essere pronti ad accendere una candela, che equivale a dire Riconosco che Dio è la mia luce, è la luce dei miei occhi e mi fa guardare dentro e oltre ogni oscurità. E’ la luce della mia vita.
E Gesù Cristo ce lo incarna. E san Giovani lo dirà e farà dire a Gesù – anche se non è certo che queste parole le abbia dette proprio lui, ma certamente è verissimo – Io sono la luce del mondo. Tutti i Pantocrator hanno questa scritta: ἐγὼ εἰμί to fos tou kosmos" .
E noi? Fotismos! Tutti Siamo stati illuminati al fonte battesimale da questa luce. E Dio ci vuole rendere partecipi di queste sua luminosità. Diventare noi illuminati, portatori di splendore. Fotismos veniva definito il battezzato, che partecipava alla luce di Dio … A San Saverio questo vale ancora di più, perché come avete letto nel marmo sul frontone della chiesa Dedi te in lucem gentiun/Ti ho dato come luce di tutti i popoli …
Come è giovane Simeone … E’ giovanissimo nello spirito. Non sta dicendo: Ecco il messia di Israele. No: E’ nato in Israele la luce di tutti i popoli. Quindi Gesù Cristo non appartiene a Israele, e neppure alla Chiesa. Gesù Cristo appartiene a tutta l’umanità, è luce di tutti i popoli e non di uno in particolare. E non si deve assorbire per trattenerlo o per imprigionarlo, ma per accoglierlo e farlo diffondere ulteriormente. Perché è della luce essere diffusiva. La luce non può essere bloccata. Una volta che entra si fa strada, in silenzio, senza violenza, come se non ci fosse … ma intanto c’è e cambia tutto.
E allora, care sorelle e fratelli, tante volte ci imbattiamo in discussioni, a volte abbiamo un modo di procedere e di confrontarci con gli altri piuttosto pesante […] invece dopo aver ripetuto una cosa, fermiamoci, è inutile ripetere. Bisogna cambiare forse argomento e punto di vista … Siamo ossessionati dalla voglia di dimostrare la verità della nostra idea, vogliamo argomentare e rendere buia l’idea dell’altro, perché noi siamo la luce. Ma questo è un procedimento fallace, che ci fa male, perché la luce non si dimostra, si può mostrare … Possiamo dire solo con stupore: Guarda quanta luce ci avvolge, e che ci fa vedere, ci fa splendere.
Impariamola quest’arte di essere luminosi Non è facile, ma cerchiamo di dirle al positivo le cose che vogliamo proporre. Facciamo uno sforzo difficilissimo, proponiamo e non imponiamo. Siamo propositivi e non impositivi. Non si tratta di avere ragione su un altro, ma si tratta di condividere con l’altro qualcosa di luminoso che ci può aiutare a vivere meglio.
E ricarichiamo continuamente le batterie interiori alla Parola di Dio, a Gesù Cristo che è luce della nostra vita. Gesù Cristo non si impone mai, ma bussa sempre alla nostra porta, secondo l’espressione dell’Apocalisse: Ecco, io busso, se qualcuno mi apre, entrerò e faremo festa …

 (parte finale dell’omelia pronunciata da don Cosimo Scordato domenica 2 febbraio 2020 nella chiesa di san Francesco Saverio a Palermo: eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)




mercoledì 5 febbraio 2020

Non uno di meno

Picasso: Madre e figlio (Parigi, 1907)
        In classe, non riusciva a stare fermo e a imparare. Il perché lo si è capito molti anni dopo, quando suo padre è venuto a scuola, con un’altra famiglia. Bocciato in prima media, V. fu promosso a stento l’anno dopo e poi di nuovo bocciato in seconda.
           Al suo quarto anno di scuola media, fu inserito in un progetto di recupero ideato da colleghe valorose di Italiano, Inglese, Tecnologia e dalla psicopedagogista, progetto che si proponeva, per un paio di ore, due volte a settimana, di facilitare l’apprendimento di V. -  e di una dozzina di alunni come lui  a rischio di dispersione scolastica - con lavori di gruppo e metodologie didattiche quali cooperative learning, learning by doing, project work, peer to peer ... 
        Una delle attività preferite dagli alunni era la costruzione di robottini con materiale di riciclo: i ragazzi lavoravano e spiegavano, anche in inglese, quello che stavano costruendo. E poi c’era l’approfondimento dei temi ambientali: si leggeva il protocollo di Kyoto, si incrementavano buone pratiche eco-sostenibili, dopo aver testato con un questionario i comportamenti ambientali di alcune classi.
          Correva l’anno scolastico 2005/06 e, sebbene non ci fosse ancora Greta a suonare il campanello d’allarme per l’ambiente e malgrado non esistesse ancora l’animatore digitale a magnificare il potere salvifico della flipped classroom, nella scuola di V. l’educazione ambientale e l’innovazione didattica erano già al primo posto dell’agenda formativa. 
       La costruzione dei robot appassionò i ragazzi ‘sperduti’, che allestirono robot magnifici e spiegarono, in italiano e in inglese, cosa fosse e perché non bisognasse disattendere il protocollo di Kyoto, illustrando le best practices effettuate. Fu così che i ragazzi furono premiati nell’ambito di un’importante manifestazione cittadina. E furono quasi tutti promossi.
          Tranne V. , che riuscì a inanellare tante insufficienze, assenze e note disciplinari da essere di nuovo bocciato, innescando infiniti sensi di colpa nella psicopedagogista ... che si chiese per tanto tempo cosa si sarebbe potuto fare di più e di meglio per lui. L’anno dopo, V. lasciò a metà l’anno per iscriversi, ormai sedicenne, in una scuola vicina, a un corso di istruzione per adulti.
                Adesso quando l’ex psicopedagogista passa in macchina lungo un crocevia trafficato di periferia, ogni tanto lo vede: un uomo ormai adulto, con lo sguardo deciso, triste e spavaldo insieme, i lineamenti appena induriti. Vende pesce per strada. Attraverso il finestrino, lo sguardo della prof. e quello di V. si incrociano spesso.
                          E V. le regala sempre un luminoso, straordinario sorriso.

domenica 2 febbraio 2020

Il lavoro nobilita l’uomo? Non sempre …

                 Palermo – “Il lavoro nobilita l’uomo”, affermava un antico detto. Ken Loach, l’ottantatreenne regista britannico vincitore di due Palme d’oro a Cannes e a Venezia di un Leone d’oro alla carriera, non la pensa così.
         Il regista infatti, che con la sua produzione cinematografica ha sempre denunciato il disagio delle fasce sociali più deboli, nel suo ultimo film “Sorry we missed you” ... (continua su: il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 02.02.2020, il Punto Quotidiano