Tramonto della luna: archivio di Rudolf Steiner |
Io Sergio lo conoscevo da decenni. Perché a Palermo le persone che gravitano nell’area della nonviolenza e dei “non allineati” si conoscono tutte … Ho partecipato a non so quante iniziative con lui.
Sergio Di Vita se ne è andato all’improvviso, qualche giorno fa.
Non aggiungo altre parole a quelle autentiche, appassionate e commosse scritte dai carissimi Augusto Cavadi e Adriana Saieva.
Eccole:
"Quando si sfogliano i quotidiani si resta impressionati dalla marea di cattiverie, di crudeltà, di ingiustizie, di imbrogli, di tradimenti, di falsità, di corruzione, di stupidità, di violenza, di volgarità che ci assedia da ogni lato. Non so a voi, ma a me ogni tanto ritorna una domanda: com’è che ancora reggiamo? Com’è che Palermo, la Sicilia, l’Italia…non sono state ancora sommerse da questo fango tracimante, dilagante, asfissiante? A forza di parassiti che ne succhiano la linfa, l’albero non dovrebbe essere ormai essiccato e abbattuto?
Poi un giorno, così, all’improvviso, ti muore un amico. Per esempio Sergio Di Vita. E allora hai come un’intuizione: come racconta il mito di Colapesce, qualcuno – sommerso sotto la superficie delle onde schiumose – regge una delle colonne su cui galleggia l’isola. In silenzio, quasi nell’anonimato, del tutto ignorato dai riflettori dei media, questo qualcuno c’è. Al risveglio, la mattina, dedica qualche ora alla lettura di Gandhi o di Martin Luther King. Oppure all’ascolto di Bach o di Mozart. Ma non è un orso solitario. Un giorno accoglie un’amica che cerca ascolto attento, paziente. Un altro giorno un amico che soffre di dolori reumatici e vuole provare un po’ di shiatsu praticato con competenza. Una volta a settimana guida un gruppo di amici che vogliono approfondire insieme a lui l’antroposofia di Rudolf Steiner.
E, quando necessario, esce anche da casa. Perché – siamo negli anni Ottanta – ogni giovedì sera ci si riunisce al Palazzo del Comune come Co.c.i.pa (Coordinamento cittadino informazione e partecipazione) per studiare i bilanci preventivi e discuterli con gli assessori dei vari settori. Perché – siamo negli anni Novanta – c’è da affiancare i diseredati concittadini del movimento dei “senza-casa” che chiedono l’assegnazione degli appartamenti sequestrati ai mafiosi. Perché – siamo all’alba del Terzo millennio – c’è da sostenere il gruppo delle donne di Benin City, desiderose di riscatto sociale e di inserimento lavorativo nella nuova patria. Già: gli africani. Prima gli italiani o prima gli stranieri? Prima chi soffre di più. Come far udire, da Palermo a Bruxelles, la voce di chi non ha voce? Sergio fonda e gestisce, gratuitamente e quasi da solo, “Congosol”, un’agenzia d’informazione di prima mano sul Congo.
Tanto impegno sociale non era frutto tanto di emotività, di coinvolgimento sentimentale, ma si basava ancor più su una formazione solida e continua: amava documentarsi incessantemente, leggendo e facendo conoscere - con i suoi seminari, i suoi laboratori e i suoi scritti - autori di ogni parte del mondo. Accademico di nessuna accademia, riteneva che nessuna tematica gli dovesse restare del tutto estranea. Ha attivato e diretto, sino alle ultime ore di vita, presso la “Casa dell’equità e della bellezza”, il “Gruppo di formazione al Teatro degli oppressi (secondo l’insegnamento di Augusto Boal) e alla nonviolenza attiva”, a cui hanno preso parte – in tempi e modi differenti – centinaia di persone. Soprattutto negli ultimi anni evitava di lasciarsi coinvolgere in altre organizzazioni e in altri progetti: “Preferisco fare poche cose, ma con la maggiore serietà di cui sono capace”.
Con lui se ne va uno dei tanti “militi ignoti” della militanza civica di cui non parleranno i libri di storia, a cui forse verrà intestata una stradina di periferia, ma senza i quali sarebbe inspiegabile come mai una città regga al logorio continuo dei furbi, degli approfittatori, degli egoisti perbene. Se ne va uno dei cittadini che, per rievocare la celebre frase di Kennedy, non si chiedono soltanto cosa la società possa fare per loro, ma anche cosa essi possano fare per la società."
Augusto Cavadi, “La Repubblica”, 28.02.2020, dal suo blog
Caro Sergio,
ho incontrato
molte resistenze a rivedere il filmato in cui tu ci parli del Teatro dell'Oppresso e
quando il suono della tua voce ha inondato la stanza, ho capito anche il
perché.
Non sopporto l’idea di non poter ascoltare più le tue lucide e pacate
argomentazioni, imperlate di saperi che spaziavano dalla musica al cinema,
dalla letteratura alla sociologia. Non sopporto l’idea che una persona così
bella e ricca di valori di giustizia non possa più contribuire alla crescita di
questa città. Non sopporto l’idea che non potremo più arricchirci con i tanti
stimoli che arrivavano dal tuo impegno civile e culturale. Non sopporto l’idea
di non incontrarti più alla Casa dell’equità, col tuo sorriso vagamente
malinconico e i modi sempre garbati. E mi sembra impossibile che tutto questo
sia effettivamente così. Non potrò ascoltarti più.
Carissimo
Sergio, in questo momento non mi rassegno a dirti addio, deve sedimentare
dentro di me il pensiero di questo furto improvviso. La Casa dell’equità e
della bellezza resterà sempre la tua casa, lo spazio del TdO.
Ciao Sergio e
grazie per le belle energie di cui ci hai fatto dono.
Adriana, dal blog della Casa dell'equità e della bellezza
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