mercoledì 30 novembre 2022

30 novembre 2008/2022: sono 14...

Oggi il blog, nato il 30 novembre 2008, compie 14 anni: è quasi grande…

Grazie di cuore alle/ai gentili lettrici/lettori che lo onorano con la loro attenzione.

Dacia Maraini afferma - e sono d'accordo con lei - che “Scrivere è come correre da un innamorato…”




E continua, in Amata Scrittura:

«Scrivo per non perdere il vizio
di dire le cose.
Scrivo nel tentativo di lasciare
una traccia.
Scrivo per paura che i pensieri
mi passino di mente.
Passeggio con la penna su questo
foglio bianco e lo lordo di idee.
Ci gioco, lo uso, mi faccio sedurre,
usare, tentare.
Con la penna dico tutto, non mento,
non ho pudore.
Dove la lingua esita e si ferma,
la mano scorre fluida e leggera.
Scrivo per guardarmi dentro.
Scrivo per fermare il tempo.
Scrivo per suscitare sentimenti e per
esprimere i miei.
Scrivo per dare un senso al silenzio.
Il cielo blu
il mare blu
l'inchiostro blu.»                                                                                 
                                                                                                                
      Ma per scrivere con continuità, sottolinea saggiamente Haruki Murakami  ne Il mestiere dello scrittore, “occorre preservare la qualità stessa della vita”. Perché “l’energia fisica e quella spirituale sono le due ruote di una macchina”.
“Penso che il caos alloggi nell’animo di chiunque. Nel mio come nel vostro. Non è qualcosa che si debba mostrare concretamente volta per volta, nella vita quotidiana, in una forma visibile. (…)
Se vogliamo incontrare il caos dentro di noi, basta che (…) scendiamo in fondo alla nostra coscienza.    Perché si nasconde lì, il caos che dobbiamo valutare, quello che vale la pena affrontare. Per trasformare in parole questo caos, in maniera onesta e fedele, ciò di cui avete bisogno è una tenace capacità di concentrazione e una perseveranza incrollabile”.

    Auguro a me stessa ancora tanta concentrazione, tanta perseveranza e … tanto amore appassionato.
Per scrivere benino e… per vivere bene!

martedì 29 novembre 2022

Il reddito minimo, secondo Erich Fromm

    “Molti dei mali delle attuali società capitaliste e comuniste scompariranno con l’introduzione di un reddito minimo annuo garantito. Il nocciolo di quest’idea e che tutte le persone, che lavorino o meno, devono godere dell’incondizionato diritto a non morire di fame e ad avere un ricovero.
Non dovranno ricevere più di quanto sia indispensabile per mantenersi, ma non dovranno neppure ricevere di meno. È un diritto che risponde ad una concezione nuova oggi, benché si tratti di una antichissima norma di cui si è fatto paladino il cristianesimo, e che era messa in pratica in molte tribù ‘primitive’, quello secondo cui gli esseri umani hanno un incondizionato diritto a vivere, indipendentemente dal fatto che compiano o meno il loro ‘dovere verso la società’ … È un diritto che concediamo ai nostri animali domestici, non però ai nostri simili
Una prescrizione del genere avrà per effetto di dilatare enormemente l’ambito della libertà personale; nessuno che sia economicamente dipendente da altri (da un genitore, da un marito, da un capo) sarebbe più sottoposto al ricatto di venir lasciato morire di fame; individui dotati, che vogliono cominciare una nuova vita, potrebbero farlo a patto che siano disposti a sobbarcarsi al sacrificio di vivere, per un certo periodo, in relativa povertà. (…) 
… Il reddito annuo minimo garantito assicurerebbe reale libertà e indipendenza; per tale motivo esso è inaccettabile per ogni sistema basato sullo sfruttamento e il controllo, soprattutto per le varie forme di dittatura. (…) ”.
Erich Fromm: Avere o essere? (Mondadori, 1981, I ed. 1977 Milano, pagg.246,247)

E ancora:
“Un reddito minimo garantito, che diviene possibile nell’era dell’abbondanza economica, permetterebbe finalmente di liberare l’uomo dalla minaccia della morte per fame, rendendolo così davvero libero e indipendente dal ricatto economico.
Il reddito minimo garantito, non soltanto farebbe della libertà una realtà anziché un mero slogan, ma costituirebbe l’attuazione di un principio profondamente radicato nella tradizione religiosa e umanistica dell’Occidente, che suona: l’uomo ha comunque il diritto di vivere! Tale diritto di vivere, di disporre di cibo, ricovero, assistenza sanitaria, istruzione, eccetera, è intrinseco all’essere umano e non può venire limitato per nessun motivo, neppure la pretesa che l’uomo debba essere socialmente “utile”. La transizione da una psicologia della scarsità a quella dell’abbondanza rappresenta uno dei passi di maggior momento nello sviluppo dell’uomo. Una psicologia della scarsità produce ansia, invidia, egoismo (e lo si costata, con la massima evidenza, nelle culture agricole di ogni parte del mondo). Una psicologia dell’abbondanza produce iniziativa, fede nell’esistenza, solidarietà. Il fatto è che la maggior parte degli esseri umani sono ancora psicologicamente orientati secondo realtà economiche proprie alla scarsità, e ciò mentre il mondo industriale è sul punto di entrare nell’era dell’abbondanza economica.
Ma proprio a causa di questo “ritardo” psicologico avviene che molti non riescano neppure a capire nuove idee come quelle implicite nel concetto del reddito minimo garantito, e ciò perché le idee tradizionali sono di norma promosse da sentimenti che hanno origine in precedenti forme di esistenza sociale.
Per l’individuo avido esiste sempre scarsità, dal momento che egli non ha mai abbastanza, quali che siano i beni di cui dispone, e oltretutto è invidioso e competitivo nei confronti di chiunque altro, e pertanto è sostanzialmente isolato e spaventato. Non è in grado di godere davvero dell’arte o di altri stimoli culturali, perché permane fondamentalmente vorace, e ciò significa che coloro i quali vivessero al livello del reddito minimo garantito si sentirebbero frustrati e privi di valore, mentre coloro che guadagnassero di più resterebbero prigionieri delle circostanze perché sarebbero preda del timore di perdere la possibilità di un massimo di consumo.
 Per tali motivi, ritengo che il reddito minimo garantito che non si accompagni a un distacco dal principio del consumo massimo potrebbe costituire la risposta soltanto a certi problemi economici e sociali, senza però avere l’effetto radicale che si dovrebbe aspettarsene."

E. Fromm, Le implicazioni psicologiche del reddito minimo garantito
in La disobbedienza e altri saggi (Milano 1982)

Il secondo testo è stato preso da qui, dove si leggono anche queste considerazioni: 
"La posizione di Fromm non esclude, ma anzi implica la formazione e la riconversione dei disoccupati verso nuove professioni, per permettere loro di trovare non solo un’occupazione ma anche un lavoro migliore, sia dal punto di vista reddituale che da quello, non meno importante, di riuscire a soddisfare le capacità e le aspettative di ciascuno; superando nel contempo l’idea che la scuola debba ad un certo punto avere un termine ed introducendo al contrario una visione in cui ciascun individuo non finisca mai di studiare e di formarsi.
A distanza di parecchi anni dalla sua pubblicazione il presente saggio è decisamente attuale per la sua visione psicologica e sociale, propria di un grande umanista come Erich Fromm, soprattutto nell’idea che un forma di reddito minimo può ampliare in modo enorme la libertà dell’essere umano: l’autore si situa tra quei pensatori che sostengono quanto sia importante una libertà sostanziale, quindi non una libertà meramente formale, che si fondi sulla possibilità materiale per ognuno di costruirsi un proprio progetto di esistenza."


domenica 27 novembre 2022

Mimmo Cuticchio, puparo con laurea

     Palermo – La facoltà di Lettere dell’Università degli Studi RomaTre ha conferito il 16 novembre scorso la laurea honoris causa in “Teatro, Musica, Danza” al siciliano Mimmo Cuticchio, puparo e ‘cuntista’ (cantastorie) che, da oltre mezzo secolo, tiene vivo il teatro dell’Opera dei Pupi.
     Questa la motivazione del rettore Massimiliano Fiorucci: “Tutta la sua opera ha permesso di valorizzare la tradizione dei pupi siciliani con nuovi linguaggi calati nell’attualità. Ha traghettato nel terzo millennio la tradizione dei pupi siciliani di scuola palermitana e del ‘cunto’, innovando, sperimentando attraverso la costante ricerca di nuovi linguaggi, la contaminazione dei generi, il lavoro sul territorio e nelle periferie.”
     L’Opera dei Pupi - una particolare forma di teatro che ha per protagonisti i cosiddetti ‘pupi’, cioè delle marionette - è una delle espressioni artistiche più radicate nella memoria storica e nell’identità culturale siciliana. E’ nata all’inizio del 1800 sia a Palermo che a Catania, quando i pupari resero animati i ‘pupi’ per rappresentare a puntate le storie della letteratura epico-cavalleresca, riferite al ciclo carolingio e ai romanzi del ciclo di Artù,  rielaborati nella Storia dei Paladini di Francia di Giusto Lodico, testo che, pubblicato a partire dal 1858, ebbe il merito di riunire e rielaborare in prosa i poemi della letteratura colta, quali l'Orlando innamorato e l'Orlando Furioso.  I personaggi principali dell'Opera dei Pupi furono i paladini di Carlo Magno: il prode Orlando, Rinaldo, Ruggero, la principessa Angelica, alcuni saraceni, nemici dei paladini, e il traditore Gano. Si inseriranno poi nel repertorio tradizionale dei pupari anche narrazioni storico-romanzesche, storie di briganti, alcune opere di William Shakespeare, come Romeo e Giulietta e Macbeth, e brevi farse.
    L’Opera dei Pupi ottenne in Sicilia un successo strepitoso. Ecco cosa ha scritto a proposito lo studioso Antonio Pasqualino: «Nell’Ottocento, determina la nascita dell’Opera dei Pupi l’introduzione delle corazze metalliche che rendono splendenti e fragorosi i pupi, con una meccanica particolarmente adatta a rappresentare i combattimenti con le spade … Ciò avviene anche in conseguenza di geniali invenzioni tecniche che permettono di dare una straordinaria efficacia al combattimento, che diviene una danza esaltante, ritmata in crescendo dai colpi dello zoccolo calcato dal puparo, tale da sollecitare un’intensa partecipazione psicomotoria nel pubblico, e che rimanda alle danze armate diffuse in tutta Europa». 
Mimmo Cuticchio è figlio d’arte, e ha respirato da bambino l’atmosfera del teatrino dei Pupi. Nasce a Gela nel 1948, in provincia di Caltanissetta, in una famiglia di ‘pupari’,  era ‘puparo’ il nonno e il padre Giacomo. Mimmo, che viene alla luce nel retropalco del teatrino del padre, ne eredita mestiere, cultura e passione. 
      Poi da Gela si trasferisce a Palermo, dove nel 1973 apre il teatro dei Pupi “Santa Rosalia”; nel 1977 fonda l'associazione "Figli d'arte Cuticchio", che si prefigge di salvaguardare la tradizione dell'Opera dei Pupi, con opera di divulgazione nelle scuole, e in associazioni culturali, impedendo così che i Pupi ‘ammuffiscano’ in un museo…
Infatti, grazie alla sua passione e alla sua tenacia, la tradizione del teatro dei Pupi a Palermo e in Sicilia è rimasta viva, ritrovando persino nuova linfa e vitalità: nel 1997 Cuticchio ha fondato la prima scuola siciliana per pupari e cuntisti, formando una nuova generazione di allievi che si sono ispirati alla sua recitazione e al suo stile.
     “E’ un riconoscimento a uno straordinario percorso di lavoro popolare, che ha fatto conoscere in Italia e nel mondo questa tradizione antica innovandola continuamente. Racconta di noi, della vita e dei sentimenti, degli amori e dei tradimenti”, ha ribadito dopo la cerimonia il Rettore dell’Università di Roma, sottolineando che “le arti antiche come questa non vanno abbandonate, ma vanno rinnovate ed è questo il ruolo fondamentale di Mimmo Cuticchio. L’Università, anche attraverso queste iniziative, vuole dare visibilità ad esperienze che possono svolgere un ruolo di diffusione e conoscenza”.
    Nel 2001 l’UNESCO ha proclamato l’Opera dei Pupi siciliana patrimonio immateriale orale dell’umanità: prima opera in Italia ad ottenere questo importante riconoscimento. 
Se lo spettacolo è il momento espressivo cruciale del ‘cuntastorie’, come ha dimostrato Mimmo Cuticchio con il suo teatro, anche gli oggetti che compongono l’opera dei pupi (pupi, fondali e cartelli, etc.) costituiscono un patrimonio culturale prezioso. A Palermo magnifiche collezioni di pupi possono essere ammirate al Museo internazionale delle marionette ‘Antonio Pasqualino’, al Museo etnografico siciliano ‘Giuseppe Pitré’, mentre la collezione  del padre di Mimmo Cuticcho si trova a  Palazzo Branciforte.

Maria D'Asaro, 27.11.22, il Punto Quotidiano

venerdì 25 novembre 2022

Finale cambiato

Mi dispiace
che poi tu ti uccida…
Ma, se detesti la vita,
recidi almeno solo la tua:
lei vuole vivere.
Pensa poi a un’inedita possibilità:
tu qui, lei là…
ormai distanti, magari un po’ tristi:
ma entrambi saggiamente, meravigliosamente vivi.

giovedì 24 novembre 2022

L'umanità nuova, secondo Erich Fromm

Joan Mirò: Cifre  e costellazioni amorose (1959)
    A mio giudizio, il carattere umano può mutare a patto che sussistano le seguenti condizioni:
1.Che si sia consapevoli dello stato di sofferenza in cui versiamo
2.Che si riconosca l’origine del nostro malessere
3.Che si ammetta che esiste un modo per superare il malessere stesso.
4.Che si accetti l’idea che, per superare il nostro malessere, si devono far nostre certe norme di vita e mutare il modo di vivere attuale. (…)

La funzione della nuova società è di incoraggiare il sorgere di un uomo nuovo, la cui struttura caratteriale abbia le seguenti qualità:

-Disponibilità a rinunciare a tutte le forme di avere, per essere senza residui.
 -Sicurezza, sentimento di identità e fiducia fondate sulla fede in ciò che si è, nel proprio bisogno di rapporti, interessi, amore, solidarietà con il mondo circostante, anziché sul proprio desiderio di avere, di possedere, di controllare il mondo, divenendo cosí schiavo dei propri possessi.
 -Accettazione del fatto che nessuno e nulla al di fuori di noi può dare significato alla nostra vita, ma che questa indipendenza e distacco radicali dalle cose possono divenire la condizione della piena attività volta alla compartecipazione e all’interesse per gli altri.
 -Essere davvero presenti nel luogo in cui ci si trova.
-La gioia che proviene dal dare e condividere, non già dall'accumulare e sfruttare.
-Amore e rispetto per la vita in tutte le sue manifestazioni, con la consapevolezza che non le cose, il potere e tutto ciò che è morto, bensì la vita e tutto quanto pertiene alla sua crescita hanno carattere sacro.
-Tentare di ridurre, nel limite del possibile, brama di possesso, odio e illusioni.
-Vivere senza adorare idoli e senza illusioni, perché si è raggiunta una condizione tale da non richiedere illusioni
-Sviluppo della propria capacità di amare, oltre che della propria capacità di pensare in maniera critica senza abbandonarsi a sentimentalismi.
-Capacità di rinunciare al proprio narcisismo e di accettare le tragiche limitazioni implicite nell’esistenza umana.
-Fare della piena crescita di se stessi e dei propri simili lo scopo supremo dell’esistenza.
-Rendersi conto che, per raggiungere tale meta, sono indispensabili la disciplina e il riconoscimento della realtà di fatto.
-Rendersi inoltre conto che una crescita non è sana se non avviene nell’ambito di una determinata struttura, ma in pari tempo riconoscere le differenze tra la struttura intesa quale un attributo della vita e l’”ordine” inteso quale un attributo della non vita, di ciò che è morto.
-Sviluppare la propria fantasia, non come una fuga da circostanze intollerabili, bensì come anticipazione di possibilità concrete, come un mezzo per superare circostanze intollerabili.
-Non ingannare gli altri, ma non lasciarsene neppure ingannare; si può accettare di essere definiti innocenti, non ingenui.
-Conoscere se stessi, intendendo con questo non soltanto il sé di cui si ha nozione, ma anche il sé che si ignora, benché si abbia una vaga intuizione di ciò che non si conosce.
-Avvertire la propria unicità con ogni forma di vita, e quindi rinunciare al proposito di conquistare la natura, di sottometterla, sfruttarla, violentarla, distruggerla, tentando invece di capirla e di collaborare con essa.
-Far proprio una libertà che non sia arbitrarietà, ma equivalga alla possibilità di essere se stessi, intendendo con questo non già un coacervo di desideri e brame di possesso, bensì una struttura dal delicato equilibrio che a ogni istante si trova di fronte alla scelta tra crescita o declino, vita o morte.
-Rendersi conto che il male e la distruttività sono conseguenze necessarie del fallimento del proposito di crescere.
-Rendersi conto che solo pochi individui hanno raggiunto la perfezione per quanto attiene a tutte queste qualità, rinunciando d’altro canto all’ambizione di riuscire a propria volta a “raggiungere l’obbiettivo”, con la consapevolezza che un’ambizione del genere non è che un’altra forma di bramosia, un’altra versione dell’avere.
-Trovare la felicità nel processo di una continua, vivente crescita, quale che sia il punto massimo che il destino permette a ciascuno di raggiungere, dal momento che vivere nella maniera più piena possibile al singolo è fonte di tale soddisfazione, che la preoccupazione per ciò che si potrebbe o non si può raggiungere ha scarse possibilità di rendersi avvertita.

Erich Fromm: Avere o essere? (Mondadori, 1981, Milano, pagg.218-223)

martedì 22 novembre 2022

La religione distruttiva, secondo Erich Fromm

     "Celata dietro la facciata di agnosticismo o cristianesimo, sta una religione in tutto e per tutto pagana, benché gli individui non ne siano affatto consci. Non è facile fornire una descrizione di questa religione pagana, dal momento che si può dedurla soltanto da ciò che gli individui fanno o non fanno, non già dalle loro idee consapevoli sulla religione o sui dogmi di un’organizzazione religiosa.

       La cosa che più salta a prima vista agli occhi è che l’uomo ha fatto di se stesso un dio avendo acquisito la capacità tecnica di una “creazione seconda” del mondo, sostitutiva della prima creazione a opera del dio della religione tradizionale. O, per dirla altrimenti: abbiamo fatto della macchina un dio e ci siamo resi simili a dio servendo la macchina. 

     Ma poco importa la formulazione che scegliamo: ciò che conta è che gli esseri umani, nella condizione della loro massima impotenza effettiva, si immaginano onnipotenti col sostegno della scienza e della tecnica.

     Più siamo prigionieri del nostro isolismo, più siamo incapaci di risposte emozionali al mondo circostante, e in pari tempo quanto più inevitabile sembra essere una catastrofe finale, tanto più perfida diviene la nuova religione: noi cessiamo di essere i padroni della tecnica per diventarne invece gli schiavi, e a sua volta la tecnica, che un tempo era un fondamentale elemento creativo, rivela l’altra sua faccia, quella di dea della distruzione (come la Kalì degli indiani), alla quale uomini e donne sono pronti a sacrificare se stessi e i loro figli. Mentre a livello conscio continua ad aggrapparsi alla speranza di un futuro migliore, l’umanità cibernetica rimuove l’evidenza del fatto che è divenuta l’adoratrice della dea della distruzione. 

     E’ una tesi, questa, che ha dalla sua molte prove, le più convincenti delle quali sono tuttavia due; la prima è che le grandi potenze (e anche alcune minori) continuano a costruire armamenti nucleari di sempre maggiore capacità distruttiva, senza riuscire ad approdare all’unica soluzione sensata, vale a dire alla distruzione di tutti gli strumenti bellici del genere e delle centrali atomiche che forniscono il materiale per le testate nucleari, e la seconda è che praticamente nulla vien fatto per porre rimedio ai pericoli della catastrofe ecologica. In una parola, nessuna misura concreta viene intrapresa ai fini della sopravvivenza della specie umana.

Erich Fromm: Avere o essere?


sabato 19 novembre 2022

Luminarie natalizie: poche, sobrie e solo a Dicembre, per favore…

 19 ottobre 2022: a Palermo chi poteva farlo, andava ancora a prendere il sole e a concedersi magari un bagno a Mondello. Ma in città, già in tale data – se non addirittura ancora prima – molti negozi avevano già installato e acceso le luminarie natalizie.
      Quest’abitudine, già assai discutibile in tempi ‘normali’, risulta incomprensibile e davvero sconcertante nel 2022, anno in cui l’Italia si trova nel mezzo di una crisi energetica che sta mettendo in ginocchio famiglie e imprese, e nel corso di una gravissima crisi climatica che minaccia la vita di tutto il pianeta.
      Chiediamo allora al Commissario Straordinario della CCIAA di Palermo ed Enna e alla Presidente della ConfCommercio di Palermo di adoperarsi con tutte le azioni e le modalità loro disponibili perché i commercianti palermitani rimandino a dicembre l’eventuale accensione delle luminarie, riducendo al minimo i costi per le bollette e per l’ambiente.

       Inoltre, la campagna di riduzione delle luminarie potrebbe essere affiancata da una parallela opera di riduzione e/o abolizione delle luci notturne dei negozi, il cui costo in termini economici, energetici ed ambientali è stato recentemente calcolato nel corso del programma televisivo “le Iene” (Italia1, 25/10/2022),  dai giornalisti Matteo Viviani e Marco Fubin: secondo i dati riportati, le luci notturne dei circa 730.000 negozi italiani consumano 4 TWh,  pari al fabbisogno energetico annuale di un milione e mezzo di famiglie (circa a 4 milioni e mezzo di italiani). Se tali luci venissero spente, l’energia risparmiata equivarrebbe a quella prodotta da 13 centrali a turbo gas in un anno, con un significativo risparmio di emissione di anidride carbonica, ben 1 milione e 400 mila tonnellate annuali.

Vogliamo provare a dare da Palermo un segnale alla Sicilia e - perché no? - a tutto il nostro Paese? Vogliamo provare a fare di Palermo la capitale del risparmio energetico?

Gent.ma dottoressa Di Dio, nel suo profilo pubblico lei ha scritto una frase assai importante, che riportiamo “Ho sempre creduto di fare impresa non soltanto per conseguire risultati economici. Credo fermamente che un’impresa senza valori non ha valore. Pongo alla base del mio agire la correttezza e l’etica, ho un alto senso del dovere e della responsabilità civica.”

La invitiamo quindi – in questo difficile momento – a essere ‘faro’ luminoso e lungimirante che illumina le scelte dei commercianti palermitani, senza consumare energia, ma con la forza tranquilla di chi fa scelte sapienti per il futuro della società.

Sperando che tali proposte vengano ascoltate e, per quanto possibile, accolte, porgiamo cordiali saluti.

Palermo   08.11.2022

Parents for future – Palermo

Un gruppo di cittadine/i (madri, padri, nonne, nonne, zie/zii) che non vogliono lasciare soli e disperati i ragazzi che lottano per arginare il cambiamento climatico

Lettera inviata l'8.11.2022 a: 

                                                                       All’attenzione del dott. Alessandro Albanese

Commissario Straordinario della CCIAA di Palermo ed Enna

Palermo

segreteria.presidenza@paen.camcom.it 

 

All’attenzione della dottoressa Patrizia Di Dio

Presidente ConfCommercio – Palermo

info@confcommercio.pa.it    patriziadidio@lavieenrose.it

                       e, p.c.,                                

 Alla redazione del Giornale di Sicilia

redazioneweb@gds.it

 

Alla redazione “la Repubblica” – Palermo

repubblicawww@repubblica.it


Chi condivide la mail, può inviarla a sua volta agli indirizzi evidenziati.

giovedì 17 novembre 2022

Pozzi neri: Natalia e noi...

     "L’altro giorno m’è capitato fra le mani un articolo che avevo scritto subito dopo la liberazione e ci sono rimasta un po’ male. Era piuttosto stupido: quel mio articolo parlava delle donne in genere, e diceva delle cose che si sanno, diceva che le donne non sono poi tanto peggio degli uomini e possono fare anche loro qualcosa di buono se ci si mettono, se la società le aiuta, e così via. 
      Ma era stupido perché non mi curavo di vedere come le donne erano davvero: le donne di cui parlavo allora erano donne inventate, niente affatto simili a me o alle donne che m’è successo di incontrare nella mia vita; così come ne parlavo pareva facilissimo tirarle fuori dalla schiavitù e farne degli esseri liberi. E invece avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne.
     Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante. M’è successo di scoprire proprio nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che mi indiceva a commiserarle e che capivo molto bene perché ho anch’io la stessa sofferenza da tanti anni e soltanto da poco tempo ho capito che proviene dal fatto che sono una donna e che mi sarà difficile liberarmene mai.

       Ho conosciuto moltissime donne, donne tranquille e donne non tranquille, ma nel pozzo ci cascano anche le donne tranquille: tutte cascano nel pozzo ogni tanto. Ho conosciuto donne che si trovano molto brutte e donne che si trovano molto belle, donne che riescono a girare i paesi e donne che non ci riescono, donne che hanno mal di testa ogni tanto e donne che non hanno mai mal di testa, donne che hanno tanti bei fazzoletti e donne che non hanno mai fazzoletti o se li hanno li perdono, donne che hanno paura d’essere troppo grasse e donne che hanno paura d’essere troppo magre, (...) donne che s’annoiano a morte e frequentano corsi di storia delle religioni e donne che s’annoiano a morte e portano il cane a passeggio e donne che s’annoiano a morte e tormentano chi hanno sottomano, e donne che escono il mattino con le mani viola dal freddo e una sciarpetta intorno al collo e donne che escono al mattino muovendo il sedere e specchiandosi nelle vetrine e donne che hanno perso l’impiego e si siedono a mangiare un panino su una panchina del giardino della stazione e donne che sono state piantate da un uomo e si siedono su una panchina del giardino della stazione e s’incipriano un po’ la faccia.
     Ho conosciuto moltissime donne, e adesso sono certa di trovare in loro dopo un poco qualcosa che è degno di commiserazione, un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso: la tendenza a cascare nel pozzo e trovarci una possibilità di sofferenza sconfinata che gli uomini non conoscono forse perché sono più forti di salute o più in gamba a dimenticare se stessi e a identificarsi con lavoro che fanno, più sicuri di sé e più padroni del proprio corpo e della propria vita e più liberi. Le donne incominciano nell’adolescenza a soffrire e a piangere in segreto nelle loro stanze, piangono per via del loro naso o della loro bocca o di qualche parte del loro corpo che trovano che non va bene , o piangono perché pensano che nessuno le amerà mai o piangono perché hanno paura di essere stupide o perché hanno pochi vestiti; queste sono le ragioni che danno a loro stesse ma sono in fondo solo dei pretesti e in verità piangono perché sono cascate nel pozzo e capiscono che ci cascheranno spesso nella loro vita e questo renderà loro difficile combinare qualcosa di serio.
         Le donne pensano molto a loro stesse e ci pensano in modo doloroso e febbrile che è sconosciuto a un uomo. Le donne hanno dei figli, e quando hanno il primo bambino comincia in loro una specie di tristezza che è fatta di fatica e di paura e c’è sempre anche nelle donne più sane e tranquille. È la paura che il bambino si ammali o è la paura di non avere denaro abbastanza per comprare tutto quello che serve al bambino, o è la paura d’avere il latte troppo grasso o d’avere il latte troppo liquido, è il senso di non poter più girare tanto i paesi se prima si faceva o è il senso di non potersi più occupare di politica o è il senso di non poter più scrivere o di non poter più dipingere come prima o di non poter più fare delle ascensioni in montagna per via del bambino, è il senso di non poter disporre della propria vita, è l’affanno di doversi difendere dalla malattia e dalla morte perché la salute e la vita della donna è necessaria al suo bambino.
           Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiavitù sulle spalle e quello che devono fare è difendersi dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perché un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. Così devo imparare a fare anch’io per prima perché se no certo non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti bene finché sarà così popolato d’una schiera di esseri non liberi.”

Natalia Ginzburg, Un’assenza.Racconti, memorie, cronache
 (a cura di D. Scarpa), Einaudi, Torino, 2016

martedì 15 novembre 2022

Ritagli di universo

        Non sapeva esattamente quando lo aveva capito. Certo, alcuni frangenti l’avevano aiutata: anni fa, ad esempio, le era stata regalata una macchina fotografica e alcuni suggerimenti. A poco a poco, qualcosa andava germogliando e bussava con discrezione per nascere. Finché, un giorno, la folgorazione: fotografare era un po' come scrivere. Ritagliare un pezzo di mondo, conferirgli una forma e lasciare che, per un istante, diventasse ‘figura’ rispetto allo sfondo… 
      Se di parole però nostra signora capiva qualcosa, sapeva bene di essere una sprovveduta nella tecnica fotografica. E al momento utilizzava solo un modesto cellulare per scattare le foto. Ma per adesso le importava poco: ciò che più conta è il sacro fuoco che sente dentro, l’urgenza assoluta di immortalare attimi fuggenti nel vasto mare dell’essere.  Ora si sente ‘a casa’ in campi espressivi complementari e diversi. E sa che, negli spicchi di universo, ci si ritrova: in dissolvenza, panici, luminosi…

Maria D’Asaro

















foto mari@dasolcare

domenica 13 novembre 2022

Servillo, Ficarra, Picone: strani e vincenti

       Palermo – Grande successo di pubblico per “La Stranezza”, il film di Roberto Andò uscito nelle sale giovedì 27 ottobre. “Il film è nato dal desiderio di fare una commedia originale con un cast potente e inedito; un risultato così importante al botteghino in un periodo difficile è già un premio", ha dichiarato il regista. 
       A Palermo, nelle due domeniche successive all’uscita del film, gli spettatori interessati hanno trovato a stento un posto in cinema strapieni, nonostante la pellicola venisse proiettata in varie sale cinematografiche della città. Quali le ragioni di questo trionfo, che assegna al lavoro di Roberto Andò il primato di miglior debutto cinematografico dell’anno? 
Roberto Ando'
     A chi scrive, “La Stranezza” non è parso un capolavoro: la sostanza narrativa è piuttosto esile e le gag di Ficarra e Picone risultano talvolta eccessive e non ben amalgamate con la seconda parte del racconto. Il successo del film è comunque dovuto ad alcune buone ragioni. Intanto la gente ha una gran voglia di tornare al cinema, dopo i due anni di epidemia, e aspettava la pellicola giusta per farlo: “La Stranezza” – la cui uscita è stata preceduta da varie interviste in TV del regista e degli attori principali – possiede la leggerezza di un film in ogni caso gradevole, con una convincente scenografia e, soprattutto, con la presenza di due comici brillanti e affiatati come Salvo Ficarra e Valentino Picone e di un grande attore come Toni Servillo.
     Come ha anticipato Roberto Andò nell’intervista concessa al TG regionale siciliano, nel film si racconta “Il momento magico tra un grande autore, Luigi Pirandello, e un’ispirazione che ancora non ha messo a fuoco. Il maestro ha in testa qualcosa che rivoluzionerà il teatro mondiale. Questo ‘quid’ sarà partorito dopo il ritorno in Sicilia e l’incontro fortuito con una particolare realtà umana, con quel mondo popolare a cui ha sempre attinto in tutte le sue opere, il mondo che conosceva bene quando viveva a Girgenti”.
    La storia, infatti, inizia con il ritorno di Luigi Pirandello da Roma a Catania per onorare l’80° compleanno di Giovanni Verga (siamo dunque nel 1920). Ma, giunto in Sicilia, Pirandello apprende della morte della sua balia, a cui era assai affezionato. Vuole occuparsi personalmente del funerale: entra così in contatto con due becchini – impersonati da Ficarra e Picone – che sono anche teatranti amatoriali. E rimane affascinato dalla loro umanità.
    “A contatto con loro – continua Andò – spiando il loro teatro, capisce meglio cosa ha in mente, la sua nuova idea creativa… Ho voluto proporre un Pirandello non ‘monumentale’, che scende dal piedistallo… Il racconto è filtrato dall’ironia e dal divertimento. Pirandello stesso nel film è divertito, affascinato dal ritorno nella realtà siciliana che ha sempre amato. Toni Servillo ha dato di Pirandello un’interpretazione strepitosa”. 
     “Riguardo poi a Salvo Ficarra e Valentino Picone, credo che siano due dei più grandi comici che l’Italia abbia avuto in ogni tempo. E sono anche due grandi attori. La mia convinzione è stata quella di tirarli dentro un racconto dove potevano esprimersi interpretando vari registri: dal comico, alla commedia, agli accenti drammatici…”
Un plauso, quindi, a Roberto Andò che ha trovato una modalità originale per presentare al grande pubblico il genio letterario di Pirandello (premio Nobel per la letteratura nel 1934). E riportare il pubblico al cinema, con un cast di attori di tutto rispetto e un film “nazional/popolare”, godibile da tutti.

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 13.11.22

venerdì 11 novembre 2022

Sono siciliano, ma poteva andarmi peggio...

        Chi, come la scrivente, ha avuto la fortuna di leggere la poliedrica e nutriente produzione saggistica di Augusto Cavadi, sa che essa è composta da testi diversi per ‘peso’ e tipologia di approfondimento. 
       Se è consentito l’ardito confronto tra i vari libri dell’autore e le taglie dei vestiti, Cavadi potrebbe essere definito un saggista ‘sarto’, in grado di confezionare poderosi libri ‘large’ come Mosaici di saggezze, Il Dio dei mafiosi, In verità ci disse altro… saggi ‘medium’, come Il Dio dei leghisti, Presidi da bocciare, Quel maledetto 1992… libretti ‘small’ come Filosofare in carcere, La mafia spiegata ai turisti, Né Principi azzurri né Cenerentole
    I lettori/fruitori delle diverse ‘taglie’ letterarie hanno sperimentato e continuano a sperimentare che tutti i suoi prodotti sono comunque caratterizzati dal filo rosso della qualità e della fruibilità dei contenuti.
      Sono siciliano ma poteva andarmi peggio (Di Girolamo, Trapani 2022, euro 9,90) rientra nella categoria ‘small’: il libretto pocket (92 paginette) raccoglie....(continua su  Zero Zero News)

Maria D'Asaro, 11.11.22



martedì 8 novembre 2022

La gentilezza ci salverà...

   
     "La gentilezza ci consente di allentare le continue difficoltà della vita, di essere aperti agli stati d’animo e alla sensibilità degli altri, di interpretare le richieste di aiuto che giungano non tanto dalle parole quanto dagli sguardi e dai volti degli altri: familiari, o sconosciuti. 
     La gentilezza è un fare e un rifare leggera la vita, ferita continuamente dall'indifferenza e dalla noncuranza, dall’egoismo e dalla idolatria del successo, e salvata dalla gentilezza nella quale confluiscono, in fondo, timidezza e fragilità, tenerezza e generosità, mitezza e compassione, altruismo e sacrificio, carità e speranza. 
      Ma la gentilezza è un ponte anche perché ci fa uscire dai confini del nostro io, della nostra soggettività, e ci fa partecipare della interiorità, della soggettività, degli altri; creando invisibili alleanze, invisibili comunità di destino, che allentano la morsa della solitudine, e della disperazione, aprendo i cuori ad una diversa speranza, e così ad una diversa forma di vita."

Eugenio Borgna, La dignità ferita,  Feltrinelli, MIlano, 2013

(Qui un profilo del prof. Borgna)


domenica 6 novembre 2022

I cattivi comportamenti favoriti dal degrado

 
     Palermo – I volontari palermitani che da tempo si sono presi l’impegno di tenere pulite due grandi aiuole vicine a una fermata di autobus forse lo avranno già intuito: mantenere in ordine gli ambienti urbani, oltre a creare bellezza, contribuisce a istaurare un clima di civiltà.
     A teorizzare una correlazione tra cura ambientale, rispetto delle regole e situazione di legalità, con riduzione di atti criminali, sono stati i due studiosi statunitensi James Quinn Wilson e George L. Kelling che, nel marzo 1982, pubblicarono nel mensile The Atlantic un articolo dal titolo Broken Windows (Le finestre rotte). In tale studio, i due affermavano che il degrado urbano contribuisce a creare un clima di illegalità, inducendo le persone a commettere più reati.
James Wilson
     Le conclusioni degli studiosi trassero spunto da un esperimento di psicologia sociale compiuto nel 1969 dal professor Philip Zimbardo, dell'Università di Stanford. In tale esperimento furono abbandonate in strada due automobili identiche (stessa marca, modello e colore): una nel Bronx, zona povera e conflittuale di New York, l'altra a Palo Alto, città ricca e tranquilla della California. Un gruppo di specialisti in psicologia sociale fu incaricato di osservare il comportamento delle persone nei due luoghi.
      Accadde che l'automobile abbandonata nel Bronx cominciò ad essere smantellata in poche ore, perdendo ruote, motore, specchi, radio, e così via; tutti i materiali che potevano essere utilizzati vennero rubati e quelli non utilizzabili vennero distrutti. Al contrario, l'automobile abbandonata a Palo Alto rimase intatta. A primo acchito, sarebbe stato logico e immediato attribuire le cause del crimine alla povertà esistente nel Bronx.
Ma poi l'esperimento in questione fu proseguito: dopo la settimana durante la quale la vettura abbandonata nel Bronx era stata demolita, i ricercatori decisero di rompere un vetro della vettura a Palo Alto, auto che al momento era rimasta intatta. Fu così che, nel giro di qualche giorno, i ricercatori assistettero alla stessa dinamica di vandalismo che avevano registrato nel Bronx: furto e atti vandalici ridussero il veicolo lasciato a Palo Alto nelle stesse condizioni di quello abbandonato nel distretto malfamato di New York.
George Kelling
     Nel 2007 e nel 2008, questa tipologia di studio sociale fu ripresa da un gruppo di studiosi nell’Università olandese di Groninga, dove furono condotti una serie di esperimenti controllati per determinare se l'effetto del disordine ambientale esistente (come la presenza di rifiuti o l'imbrattamento dei muti) avesse come eventuale effetto correlato l’aumento dell'incidenza di criminalità aggiuntive come il furto o altri comportamenti antisociali.
       Gli scienziati scelsero diversi luoghi urbani trasformati in modo diverso in due tempi successivi. In una prima fase (la fase cosiddetta di ‘controllo’ dell’ipotesi sperimentale) il luogo fu mantenuto ordinato, libero da graffiti, finestre rotte, immondizia, ecc. Nella seconda fase (la fase dell’esperimento), il medesimo ambiente fu trasformato in modo che apparisse in preda all'incuria e privo di controllo: furono rotte alcune finestre degli edifici, le pareti furono imbrattate con graffiti e venne accumulata sporcizia. I ricercatori controllarono segretamente i vari luoghi urbani e osservarono che le persone si comportavano in modo meno ‘civile’, dopo che l'ambiente era stato appositamente reso disordinato. I risultati dello studio confermarono quindi la teoria iniziale.
       Quando però nel 1994 il sindaco di New York Rudolph Giuliani volle applicare la cosiddetta teoria delle ‘finestre rotte’ per combattere i crimini nella metropolitana cittadina, i risultati furono controversi. Oggi i dati a disposizione portano ad affermare che il degrado urbano è una concausa del rischio di aumento della microcriminalità, ma che la correlazione non è lineare.
      L’esperimento delle ‘finestre rotte’ lancia comunque un forte monito agli amministratori locali e consegna loro l’imperativo etico e politico di occuparsi seriamente dell’ordine, della pulizia e del decoro urbano di ogni porzione della città, periferie, comprese; è certo infatti che pulizia, ordine e bellezza, anche se non ‘salveranno le città’, contribuiranno senz’altro a renderle, se non più sicure, certamente, più umane.

Maria D'Asaro, 6.11.22 (il Punto Quotidiano)

sabato 5 novembre 2022

In marcia per la Pace...

     "Oggi è il giorno della manifestazione EUROPE FOR PEACE. 
    Movimento nonviolento e Azione nonviolenta saranno presenti. 
    Tra le testimonianze fondamentali sentiremo quella di Katya Cheshire del Movimento Pacifista Ucraino e di Alexander Belik del Movimento degli Obiettori di coscienza russi, entrambi partner del Movimento Nonviolento.
Noi siamo con gli Obiettori di coscienza, disertori, pacifisti, nonviolenti russi e ucraini, che già stanno costruendo ponti di pace fra i due popoli." 
Mao Valpiana, Presidente Movimento Nonviolento

Ed ecco la lettera del cardinale Matteo Zuppi a chi manifesta per la Pace: 

"Cara amica e caro amico,
     sono contento che ti metti in marcia per la pace. Qualunque sia la tua età e condizione, permettimi di darti del “tu”. Le guerre iniziano sempre perché non si riesce più a parlarsi in modo amichevole tra le persone, come accadde ai fratelli di Giuseppe che provavano invidia verso uno di loro, Giuseppe, invece di gustare la gioia di averlo come fratello. Così Caino vide nel fratello Abele solo un nemico.
      Ti do del “tu” perché da fratelli siamo spaventati da un mondo sempre più violento e guerriero. Per questo non possiamo rimanere fermi. Alcuni diranno che manifestare è inutile, che ci sono problemi più grandi e spiegheranno che c’è sempre qualcosa di più decisivo da fare. Desidero dirti, chiunque tu sia – perché la pace è di tutti e ha bisogno di tutti – che invece è importante che tutti vedano quanto è grande la nostra voglia di pace. Poi ognuno farà i conti con se stesso. Noi non vogliamo la violenza e la guerra. 
       E ricorda che manifesti anche per i tanti che non possono farlo. Pensa: ancora nel mondo ci sono posti in cui parlare di pace è reato e se si manifesta si viene arrestati! Grida la pace anche per loro!
      Quanti muoiono drammaticamente a causa della guerra. I morti non sono statistiche, ma persone. Non vogliamo abituarci alla guerra e a vedere immagini strazianti. E poi quanta violenza resta invisibile nelle tante guerre davvero dimenticate. Ecco, per questo chiediamo con tutta la forza di cui siamo capaci: “Aiuto! Stanno male! Stanno morendo! Facciamo qualcosa! Non c’è tempo da perdere perché il tempo significa altre morti!” Il dolore diventa un grido di pace.

La pace mette in movimento. È un cammino. « E, per giunta, cammino in salita», sottolineava don Tonino Bello, che aggiungeva: «Occorre una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno.

      Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo». Le strade della pace esistono davvero, perché il mondo non può vivere senza pace. Adesso sono nascoste, ma ci sono. Non aspettiamo una tragedia peggiore. Cerchiamo di percorrerle noi per primi, perché altri abbiamo il coraggio di farlo. Facciamo capire da che parte vogliamo stare e dove bisogna andare. E questo è importante perché nessuno dica che lo sapevamo, ma non abbiamo detto o fatto niente.

   Non sei un ingenuo. Non è realista chi scrolla le spalle e dice che tanto è tutto inutile. Noi vogliamo dire che la pace è possibile, indispensabile, perché è come l’aria per respirare. 
     E in questi mesi ne manca tanta. È proprio vero che uccidere un uomo significa uccidere un mondo intero. E allora quanti mondi dobbiamo vedere uccisi per fermarci?
«Quante volte devono volare le palle di cannone prima che siano bandite per sempre? ». «Quante orecchie deve avere un uomo prima che possa sentire la gente piangere?». «Quante morti ci vorranno finché non lo saprà che troppe persone sono morte? ». «Quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare? ». Io, te e tanti non vogliamo lutti peggiori, forse definitivi per il mondo, prima di fermare queste guerre, quella dell’Ucraina e tutti gli altri pezzi dell’unica guerra mondiale. Le morti sono già troppe per non capire! E se continua, non sarà sempre peggio? Chi lotta per la pace è realista, anzi è il vero realista perché sa che non c’è futuro se non insieme.
È la lezione che abbiamo imparato dalla pandemia. Non vogliamo dimenticarla. L’unica strada è quella di riscoprirci “Fratelli tutti”. Fai bene a non portare nessuna bandiera, solo te stesso: la pace raccoglie e accende tutti i colori. Chiedere pace non significa dimenticare che c’è un aggressore e un aggredito e quindi riconoscere una responsabilità precisa. Papa Francesco con tanta insistenza ha chiesto di fermare la guerra.
      Poco tempo fa ha detto: «Chiediamo al Presidente della Federazione Russa, di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte e chiediamo al Presidente dell’Ucraina perché sia aperto a serie proposte di pace ». Chiedi quindi la pace e con essa la giustizia. L’umanità ed il pianeta devono liberarsi dalla guerra. 
     Chiediamo al Segretario Generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza Internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati ad eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti che combattano le povertà.
    E chiediamo all’Italia di ratificare il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari non solo per impedire la logica del riarmo, ma perché siamo consapevoli che l’umanità può essere distrutta. Dio, il cui nome è sempre quello della pace, liberi i cuori dall’odio e ispiri scelte di pace, soprattutto in chi ha la responsabilità di quanto sta accadendo. Nulla è perduto con la pace. L’uomo di pace è sempre benedetto e diventa una benedizione per gli altri. Ti abbraccio fraternamente."

Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e Presidente CEI  (da "Avvenire"

venerdì 4 novembre 2022

4 novembre, non festa ma lutto

      Basterebbe vedere “Torneranno i prati” di Ermanno Olmi per percepire l’assurdità della prima guerra mondiale. Basterebbe guardare al presente e al futuro con occhi di bambino o di profeta per capire l’assurdità delle guerre come mezzo di risoluzione dei conflitti…

      Ecco cosa scrive il Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo, a cura di Peppe Sini (n.614 del 31.10.22):
 “4 novembre: non festa ma lutto
Proponiamo che il 4 novembre si svolgano commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, di ieri e di oggi.
Le commemorazioni devono essere un solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze: per ridurre drasticamente le spese militari, per abolire le testate nucleari, per fermare le fabbriche di armi.
Vogliamo prevenire le guerre di domani. Siamo contro le guerre di oggi. Non dimentichiamo le guerre di ieri.
Le guerre di oggi sono combattute con le armi costruite ieri. Le armi costruite oggi alimenteranno le guerre di domani.
Il disarmo, a partire da noi stessi (disarmo unilaterale), e' la strategia per costruire la pace.
Fare memoria delle guerre del passato e' doveroso per non ripetere gli stessi tragici errori.”

Ecco il comunicato del Movimento nonviolento italiano:

       "Sabato 5 novembre si terra' a Roma una grande manifestazione per la pace, promossa dal cartello "Europe for Peace", alla quale parteciperemo. Sara' una manifestazione popolare e di popolo che chiede: "Cessate il fuoco subito - Negoziato per la pace - Mettiamo al bando le armi nuclari - Solidarietà con le vittime di tutte le guerre".
      Il giorno precedente, 4 novembre, ricorre l'anniversario della fine della Prima guerra mondiale, una "inutile strage" come disse il Pontefice di allora.

Tante altre "inutili stragi" seguirono, fino alla odierna strage in Ucraina. E' la guerra nel cuore dell'Europa, che prosegue da allora.
     La data del 4 novembre viene celebrata con continuita' dal fascismo fino ad oggi, per richiamare l'unita' dell'Italia sotto il segno della guerra e dell'esercito. "Giornata dell'Unita' Nazionale e delle Forze Armate" nell'anniversario della fine di un tragico conflitto che costò al nostro paese un milione e duecentomila morti (600.000 civili e 600.000 militari): per la prima volta nella storia a morire a causa della guerra non furono solo i militari al fronte, ma in pari numero i civili vittime di bombardamenti o di stenti, malattie, epidemie causate dalla guerra stessa.
      Vogliamo ricordare e onorare quei morti rinnovando l'impegno contro ogni guerra e la sua preparazione, dunque contro le guerre di oggi, contro le armi costruite per le guerre di domani. Solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise.
Meno armi piu' difesa della vita, ridurre drasticamente le spese militari e devolvere i fondi per abolire la fame, la poverta', l'inquinamento del pianeta.
      Per questo chiediamo una drastica riduzione delle spese militari che gravano sul bilancio dello stato italiano.  Per questo sosteniamo la richiesta che l'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la messa al bando delle armi nucleari.
    Per questo sosteniamo la Campagna "Un'altra difesa e' possibile", che prevede l'istituzione di un Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta.
Pace, disarmo, smilitarizzazione. Tutela della vita degli umani e della Terra."