Si può
ragionare su un ruolo così delicato e nevralgico come quello del Dirigente
scolastico senza scadere nelle generalizzazioni e nella faziosità? Non è cosa
facile. Tant’è che, quando Augusto Cavadi mi mise al corrente della sua idea di
mettere nero su bianco alcune riflessioni
sui presidi, gli consigliai di lasciar perdere. Nella scuola italiana già in
alto mare per i pesanti tagli materiali e di risorse umane, per le confuse prospettive
pedagogiche di lungo periodo, per l’incerta transizione didattica tra la
lavagna di ardesia e quella interattiva, a mio avviso, l’ultima cosa di cui c’è
bisogno è una sterile guerra di posizione “intra moenia”, all’interno della
scuola stessa, tra dirigenti e docenti.
La
lettura di Presidi da bocciare? (Di
Girolamo, Trapani 2012, € 12.50), in parte, mi ha fatto recedere dal
pregiudizio che “questo libro non s’avesse da fare”. Si tratta infatti di un
testo polifonico, che si sforza di mediare tesi e antitesi, ragioni dell’accusa
e della difesa, esposte queste ultime dalla viva voce di due dirigenti
scolastici, Giorgio Cavadi e Domenico Di Fatta, cui segue il contributo opposto
di due docenti: Alberto Biuso e Dario Generali.
La
voce narrante di Augusto Cavadi occupa solo un terzo del libro: in questa prima
sezione, l’autore ci offre pagine dai
toni brillanti, che raccontano con spirito caustico una ricca e colorita
aneddotica che comprende presidi don abbondio e presidi don rodrigo, dirigenti
georgici e don Giovanni, presidi protettrici e indaffarate e persino presidi
velisti e anti-facebook.
Alla
sua voce, segue quella del preside Giorgio Cavadi che punta a farci riflettere
sulla debolezza intrinseca della “figura di un dirigente scolastico all’interno
di un sistema imperniato su di un plebeismo pseudo-democratico, che
tendenzialmente rifiuta una qualunque gerarchia anche solamente di tipo
organizzativo”, “figura debole schiacciata fra il martello del ginepraio (…) di
norme e codicilli e l’incudine di una pletora di ‘utenti’ di cui difficilmente
da fuori si ha consapevolezza”. Più avanti, lo stesso preside sgombra il campo dall’equivoco di una
managerialità onnicomprensiva che una certa tendenza di costume avrebbe voluto
imporre anche nella scuola: “Quello che il preside fa è (…) cercare di dare un
senso a una comunità particolare: una comunità di apprendimento, nella quale i
legami si stabiliscono su finalità e valori piuttosto che sul perseguimento di
indici di produzione e di profitto. E qui la bravura del dirigente scolastico
sta nello spingere le persone a lavorare sulla scia di un impegno condiviso,
piuttosto che di un contratto (…) nel sostenere una comunità morale, piuttosto
che essere un mero esecutore di norme”.
Le
pagine di Giorgio Cavadi riescono a divertirci col racconto tragicomico della
giornata-tipo di un dirigente scolastico, che comprende anche incontri con
installatori di macchinette per bibite, caffè e merendine, con titolari delle
agenzie di viaggio e con genitori che minacciano di chiamare i carabinieri a
ogni piè sospinto. Carabinieri e fil di ferro nella serratura del catenaccio del
cancello della scuola sono poi il pane quotidiano del preside Domenico Di
Fatta, che ci accompagna lungo il sentiero impervio della responsabilità di
dirigere allo Zen un Istituto comprensivo che si sforza di essere presidio
formativo e di legalità in uno dei quartieri più degradati di Palermo.
Di ben
altro tenore gli interventi dei professori Alberto Biuso e Dario Generali, che,
a mio sommesso avviso, hanno il torto di essere troppo lunghi e di peccare di
una certa autoreferenzialità. Spezzano inoltre il tono da “allegretto con brio”
, che aveva gradevolmente impregnato di sé le altre pagine del libro e lasciano
al lettore un retrogusto di delusa amarezza. Tanto da far dire alla dottoressa
Maria Luisa Altomonte, Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale della
Sicilia, che titoli più adeguati per il saggio sarebbero potuto essere: “I
dolori dei giovani teachers” o addirittura “Dr. Jekyll e Mr.Hyde”, con
allusione alle trasformazioni quasi demoniache a cui andrebbero incontro i
futuri presidi. In effetti, prima di
darlo alle stampe, i vari autori avrebbero dovuto - per continuare a citare le
metafore manzoniane così sapientemente usate nel testo - sciacquare gli
articoli in un comune Arno espressivo, magari provvisto di acqua nonviolenta
Alla
fine, comunque, il libro un grosso merito ce l’ha: quello di essere animato da
una passione autentica per la scuola. E di accendere i riflettori su
un’istituzione la cui salute complessiva dovrebbe stare a cuore a tutti coloro,
addetti ai lavori o no, che vogliono continuare a costruire il futuro del nostro
paese.
Maria
D’Asaro (“Centonove”: 15 giugno 2012)
Beh,l'argomento è stuzzicante...
RispondiEliminaSe trovo il libro, lo compro e lo leggo.
C'è da dire che la copertina è graficamente accattivante. Per il resto mi accontento delle tue riflessioni finali (che condivido), perchè prima ho una montagna di "arretrati" da smaltire. Maruzza for Preside! Semprechè le convenga, visto il marasma... Buon weekend.
RispondiElimina@Costantino: il libro/saggio va giù bene. I due interventi finali sono un pò "stonati". Grazie per la visita e l'apprezzamento. A presto.
RispondiElimina@DOC: Grazie per la visita e l'auspicio! L'importante è lavorare per la scuola. E già mi va bene farlo da docente e psicopedagogista. Un abbraccio.