domenica 29 luglio 2012

L'asilo e gli universali


Quello che mi serve per vivere l’ho imparato all’asilo.
Ecco cosa ho imparato: dividi tutto, non barare; non picchiare; alla fine rimetti sempre le cose al loro posto; pulisci quello che sporchi; non prendere le cose che non sono tue; chiedi subito scusa se ti capita di fare male a qualcuno; lavati le mani prima di mangiare; i biscotti caldi e il latte fanno bene; ogni giorno fa’ un po’ di tutto: impara qualcosa, pensa un po’; disegna e dipingi qualcosa; canta almeno una canzone; danza, gioca e lavora anche un po’.
Quando vai per strada stai bene attento; tieni sempre la mano a qualcuno a cui vuoi bene e state vicini. 
Vivi con gioia il meraviglioso.

(liberamente tratto da: Racconti per il cambiamento, di Margaret Parkin

giovedì 26 luglio 2012

Vivi nascosto



      Barak Obama – che un nome se lo è conquistato, eccome – non ha voluto pronunciare il nome del miserabile assassino di Denver. La condanna all’anonimato come punizione massima per chi è disposto a qualunque nefandezza pur di uscirne. 
Giusto. Così giusto che fa riflettere, per esteso, sull’equivoco esiziale che guasta i sogni della società massificata: la totale confusione tra fama e valore. Si ritiene che se non si è famosi non si esiste, non si vale, ma è un falso spaventoso, è il padre di tutti i falsi. Ci sono evidenti casi di famosi farabutti e di famosi imbecilli; e di persone il cui valore, anche grande, è conosciuto da pochi, e tra quei pochi loro stessi.
     Ho sentito Benigni, in Santa Croce a Firenze, a commento del canto Undicesimo, dire che il lavoro umano prosegue il lavoro di Dio. Ho pensato al “lavoro ben fatto” di Primo Levi, ai tanti (e sempre più rari) esempi di persone felici del loro fabbricare, creare, mettere ordine, disporre in giustezza le cose. Il loro valore è inestimabile, e non importa quanti lo sanno (lo sa Dio, direbbe il poeta).
      Se si riuscisse a fare capire questo – che il valore è più della fama – ai miliardi di anonimi e ai milioni di frustrati, ci sarebbe qualche pazzo infelice di meno, e qualche traccia in più della potenza umana.
(Michele Serra, L'Amaca su Repubblica del 24.7.2012)

Sapete che condivido  il Serra pensiero. Penso che l'ansia di essere famosi non risparmi nessuno, nei nostri giorni convulsi. Vorrei ricordare, oltre all'opportuna citazione di Dante, anche l'invito del filosofo Epicuro: Ladè biontas (in lingua greca) che letteralmente si traduce: Nasconditi vivendo o, meglio, Vivi nascosto.

martedì 24 luglio 2012

Nostra Signora e il Figlio laureato



 Eppure Nostra Signora continuava a pensarlo bambino, quando chiamava la mamma di notte perché gli doleva un pochino il ginocchio. Invece era ormai un giovane uomo che ragionava con scioltezza speciale sulla “convezione transitoria di Rayleigh-Bènard mediante cristalli liquidi termocromici”, guadagnando una laurea in Ingegneria con 110, lode e menzione di merito.
Mentre friggeva le zucchine, Nostra Signora aveva imparato da lui tante cose. Ad esempio, tempi e modi dei guasti degli oggetti. I tre ordini di motivi per cui gli oggetti si guastano: la prima, in ordine cronologico, la cosiddetta regione dei guasti infantili si verifica in genere entro il primo anno di costruzione dell’oggetto ed è dovuta al fatto che, in una progettazione industriale, è probabile che circa il 30% degli oggetti risenta di un vizio di lavorazione all’origine, una sorta di peccato originale nella sua costruzione. La seconda è la regione dei guasti causali. La terza è la regione dei guasti per usura. Mentre tendeva l’orecchio rischiando di bruciare le zucchine, il figlio chiariva che: - C’è un sigma di rottura che sottende alla tensione massima per cui l’oggetto si rompe e che, nei software, non esiste la regione dei guasti per usura. -
E poi, mentre lei ascoltava Battiato, aggiungeva: - Mamma, lo sai che le onde sonore, alla fine, sono dei numeri: caratterizzate da un seno e un coseno oppure da un modulo per un esponenziale elevato a un numero complesso? –  Un altro giorno, il Figlio speciale le spiegava la formula del Rischio non lineare di uso mondiale: R=PxCk. Nostra Signora giura di averla capita, la combinazione che sottende alle conseguenze, ad esempio, di un incidente nucleare. Ma non le si chieda, per favore, di spiegarla in modo analitico.
Però una sera il Figlio rifletteva sul fatto che, alla fine: - Siamo prigionieri di un corpo che invecchia. E se fossimo noi invece a decidere quando smettere di giocare? Alla materia importa solo perpetuare se stessa. Ho 22 anni, eccello in molte cose, ma non c’è niente che dia un senso vero  all’insieme … - E poi, in un altro momento: - Mamma, vedi i gabbiani? Hanno la portanza della forza di gravità: così, sono capaci di volare. Peccato che a noi umani questo non succeda. –
Allora, per la sua laurea, lei questa cosa a suo Figlio vorrebbe donare: la capacità di fuggire dalla gabbia dei tristi pensieri. Un paio di ali, per volare nel cielo azzurro di una serenità conquistata.

venerdì 13 luglio 2012

Fratelli d’Italia



I campionati europei hanno visto l’Italia arrivare in finale, persa poi purtroppo 4 a 0 con la Spagna.  Sono stati scritti fiumi d’inchiostro sulla valenza simbolica del gioco del calcio e sulla marcata identificazione tra gli italiani e la nazionale. Da Udine a Palermo, c’è stata una primordiale esultanza, dopo i goal della nostra squadra. Goal che, spesso, hanno avuto la firma di Mario Balotelli. Il nero Balotelli nasce a Palermo da genitori ghanesi. Abbandonato dalla famiglia d’origine, è stato poi preso in affidamento da una famiglia bresciana, con tre figli naturali: fratelli e sorella hanno aiutato i genitori a prendersi cura del ragazzino. Qualcuno mi ha fatto notare che fa un certo effetto vedere un nero giocare nella nostra nazionale di calcio. In effetti, Super Mario è l’emblema tangibile della globalizzazione che ci attraversa. E ci regala anche un campione del pallone: grazie all’affetto nutriente di una famiglia adottiva.
Maria D’Asaro  (“Centonove” del 6.07.2012)

martedì 10 luglio 2012

Santiago

Loreena McKennitt con   Santiago .

Che la danza della vita sia bella per tutti i miei followers.







sabato 7 luglio 2012

Ogni vita merita un romanzo


Ogni vita merita un romanzo  (Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1988, € 14),  scritto dallo psichiatra americano Erving Polster, vuole essere intanto un saggio/studio per  psicoterapeuti. In realtà, come dice bene Margherita Spagnuolo Lobb nell’introduzione, il testo è molto di più e può essere gustato da qualsiasi lettore perché spalanca orizzonti sul “fascino che è proprio della vita di ogni persona e su come la scoperta, la percezione di tale qualità sia di per sé terapeutica”. Infatti “Ognuno di noi reagisce in modo significativo quando l’esperienza attuale risponde al bisogno di ritrovare l’interesse per la propria vita”.
Lo psicoterapeuta, come un bravo scrittore, deve aiutare chi va in terapia a trovare nella storia della sua vita quegli elementi di opportunità, novità, significatività, coinvolgimento emotivo che rendano vivibile e bella la sua esistenza. Il terapeuta stesso si configura come un cercatore di storie: come il redattore di una casa editrice, egli cerca nel racconto della persona che ha di fronte tre elementi importanti perché la storia abbia successo e abbia luogo il cambiamento sperato: 1) la coerenza 2) la direzione 3) la tollerabilità. 
Relativamente alla coerenza infatti, il terapeuta deve aiutare la persona a sentirsi intera, a ricomporre le contraddizioni laceranti dentro di sé: “Deve guidare il paziente a identificare le sue parti, a lasciare che esprimano le proprie esigenze. E infine a trovare un posto per ciascuna di esse nella comunità del sé. Sentirsi intero nonostante questa diversificazione interiore è una delle sfide più importanti nella vita di ciascuno.” In secondo luogo, entrambi hanno bisogno di una direzione, devono essere provvisti della capacità di cogliere “il prodigioso intrattenimento della vista”, di conferire direzionalità e capacità di emozionare a ciò che prima restava nell’ombra: come lo scrittore e il lettore non sopportano di tirare avanti a lungo senza che accada qualcosa di significativo e di nuovo, così terapeuta e paziente hanno bisogno di avvertire che procedono verso una trama direzionale provvista di senso esistenziale. Per quanto concerne poi la tollerabilità, sia in un romanzo che nella vita quotidiana, bisogna mantenere un equilibrio accettabile tra la sofferenza e le altre dimensioni della vita: “Sia il romanziere che il terapeuta debbono ridurre la sofferenza a un livello accettabile, così che il lettore o il paziente possano sentirsi a proprio agio”. Anche perché Polster ci ricorda che chi rimane imprigionato nella sofferenza non riesce a provare senso dell’umorismo, ironia, diversità di interessi, senso dell’avventura, mistero, amore: ingredienti fondamentali per un approccio positivo all’esistenza.         
Il testo è cosparso di analogie tra il terapeuta e il narratore di storie: sia l’uno che l’altro devono condire vite e racconti con la giusta dose di suspense, sanno che una buona narrazione, come la vita, è condizionata dal bisogno di completare le situazioni lasciate in sospeso e sono come degli artisti che, attingendo alla loro creatività interiore, danno nuova veste e nuovo slancio vitale ai singoli pezzi di una composizione. Infine, entrambi riconoscono la centralità della fascinazione, che ha sulla persona oggetto di terapia e sul lettore di romanzi un effetto coinvolgente e corroborante: il fascino infatti “incanala l’attenzione, stimola l’inventiva, riconosce i fatti e organizza le tattiche”. Polster  ci regala persino una citazione dall’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, che intende la follia come ciò che ci permette di andare oltre un sapere immobile per cogliere il fascino insito nell’esperienza del vivere. 
Questi elementi contribuiscono allora al cambiamento di prospettiva con cui vivere la nostra vita: ci aiutano a trovare una nuova “gestalt”, una nuova forma organizzatrice delle nostre esperienze, che renda più funzionali le immagini guida alle quali ognuno di noi si ispira  e che, grazie a una ritrovata comunicazione tra le nostre diverse parti, faciliti il ritorno all’armonia interiore.   (Maria D'Asaro)

mercoledì 4 luglio 2012

Metti l’etica nello spread




Lorenzo Caselli, professore di etica e responsabilità sociale delle imprese all’Università di Genova, in un’intervista su “Cem/Mondialità” (Gennaio 2012), ci ricorda che: “L’economia ha bisogno di umanizzazione e trascendimento etico per divenire civile. I mondi vitali si collocano tra le persone e il mercato, tra le persone e i sistemi di welfare, tra le persone e la politica. (…) Valorizzare le persone, promuovere i diritti civili e sociali, la partecipazione, l’esercizio della solidarietà configura un universo di valori decisivi per lo stesso successo economico. (…) La condivisione  solidale e creativa serve anche a moltiplicare le risorse”. Il professore cita infine un’affermazione dell’economista Federico Caffè, scomparso misteriosamente nel 1987: “I numeri hanno finito per prendere il posto degli uomini, specie dei più deboli e bisognosi di welfare. Alla compassione nei loro confronti abbiamo sostituito l’alibi del riequilibrio dei conti pubblici”. Che l’etica, prima che le considerazioni sullo spread, sia con noi.
Maria D’Asaro  (“Centonove”: 29 giugno 2012)

martedì 3 luglio 2012

21 ragioni contro 1 stagione


Ci sono almeno 21 ragioni per cui non amo l’estate.
Eccole, in ordine alfabetico:


1)     Afa
2)    Blatte
3)    Condizionatori
4)    Dieta
5)    Eritemi
6)    Folla
7)    Grigliate di carne
8)    Hot dog
9)    Immondizia
10)  Lontananza
11)   Marmitte
12)  Notti bianche
13)  Olio abbronzante
14)  Prurito
15)  Quisquilie e qui pro quo
16)  Rumore
17)  Sudore
18)  Treni
19)  Umidità
20) Vuoto
21)  Zanzare