Ogni vita merita
un romanzo (Astrolabio-Ubaldini
Editore, Roma, 1988, € 14), scritto dallo
psichiatra americano Erving Polster, vuole essere intanto un saggio/studio per psicoterapeuti. In realtà,
come dice bene Margherita Spagnuolo Lobb nell’introduzione, il testo è molto di
più e può essere gustato da qualsiasi lettore perché spalanca orizzonti sul “fascino
che è proprio della vita di ogni persona e su come la scoperta, la percezione
di tale qualità sia di per sé terapeutica”. Infatti “Ognuno di noi reagisce in modo significativo quando l’esperienza
attuale risponde al bisogno di ritrovare l’interesse per la propria vita”.
Lo
psicoterapeuta, come un bravo scrittore, deve aiutare chi va in terapia a
trovare nella storia della sua vita quegli elementi di opportunità, novità,
significatività, coinvolgimento emotivo che rendano vivibile e bella la sua
esistenza. Il terapeuta stesso si configura come un cercatore di storie: come il redattore di una casa editrice, egli cerca
nel racconto della persona che ha di fronte tre elementi importanti perché la
storia abbia successo e abbia luogo il cambiamento sperato: 1) la coerenza 2) la direzione 3) la tollerabilità.
Relativamente
alla coerenza infatti, il terapeuta deve aiutare la persona a sentirsi intera, a ricomporre le contraddizioni
laceranti dentro di sé: “Deve guidare il
paziente a identificare le sue parti, a lasciare che esprimano le proprie
esigenze. E infine a trovare un posto per ciascuna di esse nella comunità del sé.
Sentirsi intero nonostante questa diversificazione interiore è una delle sfide
più importanti nella vita di ciascuno.” In secondo luogo, entrambi hanno
bisogno di una direzione, devono
essere provvisti della capacità di cogliere “il prodigioso intrattenimento della vista”, di conferire
direzionalità e capacità di emozionare a ciò che prima restava nell’ombra: come
lo scrittore e il lettore non sopportano di tirare avanti a lungo senza che
accada qualcosa di significativo e di nuovo, così terapeuta e paziente hanno
bisogno di avvertire che procedono verso una trama direzionale provvista di
senso esistenziale. Per quanto concerne poi la tollerabilità, sia in un romanzo che nella vita quotidiana, bisogna
mantenere un equilibrio accettabile tra la sofferenza e le altre dimensioni
della vita: “Sia il romanziere che il
terapeuta debbono ridurre la sofferenza a un livello accettabile, così che il
lettore o il paziente possano sentirsi a proprio agio”. Anche perché
Polster ci ricorda che chi rimane imprigionato nella sofferenza non riesce a
provare senso dell’umorismo, ironia, diversità di interessi, senso dell’avventura,
mistero, amore: ingredienti fondamentali per un approccio positivo all’esistenza.
Il testo è cosparso di analogie tra il terapeuta e il narratore di storie: sia l’uno che l’altro devono condire vite e racconti con la giusta dose di suspense, sanno che una buona narrazione, come la vita, è condizionata dal bisogno di completare le situazioni lasciate in sospeso e sono come degli artisti che, attingendo alla loro creatività interiore, danno nuova veste e nuovo slancio vitale ai singoli pezzi di una composizione. Infine, entrambi riconoscono la centralità della fascinazione, che ha sulla persona oggetto di terapia e sul lettore di romanzi un effetto coinvolgente e corroborante: il fascino infatti “incanala l’attenzione, stimola l’inventiva, riconosce i fatti e organizza le tattiche”. Polster ci regala persino una citazione dall’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, che intende la follia come ciò che ci permette di andare oltre un sapere immobile per cogliere il fascino insito nell’esperienza del vivere.
Questi elementi contribuiscono allora al cambiamento di prospettiva con cui vivere la nostra vita: ci aiutano a trovare una nuova “gestalt”, una nuova forma organizzatrice delle nostre esperienze, che renda più funzionali le immagini guida alle quali ognuno di noi si ispira e che, grazie a una ritrovata comunicazione tra le nostre diverse parti, faciliti il ritorno all’armonia interiore. (Maria D'Asaro)
Mi fermo al titolo del libro, con piccola modifica: ogni vita "è" un romanzo. Molto oltre le valutazioni di un terapeuta o di uno scrittore. Se ciascuno riuscisse a raccontare la propria vita senza remore, con la passione del vissuto, avremmo milioni, miliardi, di romanzi, uno diverso dall'altro. Potrebbero esserci dei doppioni, ma mai così identici da sembrare cloni. L'interpretazione e la lettura della propria esistenza ne farebbero numeri unici, inimitabili.
RispondiEliminaUn (caldo, lo stai provando anche tu, o la brezza delle Dolomiti è arrivata fino lì?...) abbraccio.
io direi che ogni vita deve diventare un romanzo, facendo in modo che abbia un lieto fine: siamo artefici del nostro destino!!!
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RispondiEliminaBellissimo questo titolo, tra l'altro è una cosa che ho sempre pensato!! Infatti i miei romanzi preferiti sono quelli che danno importanza a tutti i personaggi, anche quelli ritenuti minori!
RispondiElimina«(...) la follia come ciò che ci permette di andare oltre un sapere immobile per cogliere il fascino insito nell’esperienza del vivere». In tale affermazione ci sguazzo, non sono forse l'uomo che vola pazzo? L'obiettivo di un buon romanziere è quello di stupire con trovate tanto sensate quanto originali, ed è con questo stile che ciascuno di noi dovrebbe scrivere la proria vita, cercando sempre un modo per renderla frizzante, intrigante, appassionante. Buon romanzo a te, Maruzza.
RispondiEliminaCiao, un'informazione:l'espressione "il prodigioso intrattenimento della vista" l'hai presa in prestito da Henry James? Dato che l'ho già sentita ma non riesco a risalire con esattenza all'autore chiedo a te. Grazie
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