lunedì 28 marzo 2011

101 STORIE:QUANDO A SALVARLI SONO I NONNI (2): NONNA CORAGGIO

Un qualsiasi fine ottobre di qualche anno fa: primo ricevimento dei genitori degli alunni di prima.

Mi telefonano dalla portineria: - Professoressa, una signora desidera parlare con lei. -
Ricevo la signora. Una donna alta e robusta, tra i sessanta e i settanta. Con una bella faccia, larga e aperta, senza un filo di trucco, in cui brillano mobilissimi occhi nocciola, che già parlano in silenzio.
Un volto incorniciato da capelli lisci, dal taglio semplice, con una tintura approssimata che lascia intravedere la ricrescita bianco/grigia. La signora indossa un tailleur fuori moda: gonna e giacca nera. Sotto la giacca, una maglina beige senza pretese, su cui spicca un grosso cameo con una fotografia.
La signora si presenta: è la nonna di Federica, alunna in una delle dodici prime classi. Le chiedo, forse un po’ troppo precipitosamente, perché non sia venuta la madre della ragazzina.
Mi risponde che la madre è morta quando la più piccola dei tre figli aveva pochi mesi. Pausa. Poi continua: - Qualche mese dopo, è morto anche il papà di Federica. Mio figlio, professoressa. Era buono, mio figlio. Non lo dico perché era mio figlio, mi creda. Era veramente … un pezzo di pane, professoressa. Purtroppo un incidente automobilistico me l’ha portato via. -
Non era la prima volta che ascoltavo storie strazianti: nelle mie lunghe ore di ascolto, ho sentito di tutto. Confesso però che quella volta sono rimasta impietrita sulla mia sedia blu, diventata all’improvviso troppo scomoda.
Ma, prima di me, con grande compostezza, è la signora a commuoversi. Le si inumidiscono gli occhi. Mi dice che la morte di suo figlio, dopo quella della nuora: - E’ stata una fucilata al cuore … questi tre picciriddi ... senza padre né madre …. La più piccola aveva pochi mesi. Federica sei anni. Marco tre annuzzi… - .
La signora deve aver notato la mia faccia sconvolta.
Forse per questo ha ritenuto suo dovere continuare. Offrirmi delle dritte esistenziali. Esplicitarmi la sua filosofia di vita. Mi ha detto che lei ha trovato conforto nella fede. – Il Signore affligge, ma non abbandona … So che mi aiuterà a tirare avanti, a far crescere i miei tre nipoti. A Dio, io e mio marito, chiediamo solo la forza di andare avanti. E un po’ di salute.–
E, quando pronuncia queste parole, mi regala persino l’accenno di un sorriso.
Mi mostra poi il documento col quale i Servizi Sociali del Comune hanno affidato i tre ragazzini ai nonni paterni.
Mi dice che Federica è ormai abbastanza serena. Un po’ meno il fratellino.
Concordiamo che non è il caso che io abbia un colloquio con lei. La signora, comunque, sarà sempre a disposizione per ogni tipo di collaborazione richiesta dalla scuola.
Federica ha frequentato regolarmente. E’ stata promossa ogni anno.
Io non ricordo neppure la sua faccia.
Questo dice tanto di me. E della nonna coraggio.
Di me, che non ho avuto la necessità, ma forse neppure la forza, di parlare con un’orfana al quadrato.
 Della nonna, che è stata una madre putativa perfetta.
 Più presente, più in gamba, magari, di tante, più giovani e fragili, madri di carne.

venerdì 25 marzo 2011

Spring, summer, winter and fall

Aphrodite's Child: inizio anni '70,archeologia musicale.



E poi anche Rain and Tears, di Demis Roussos (già degli Aphrodite's Child)



E, infine, We shall dance, di un giovanissimo Demis Roussos, nel 1971:

GLI ANGELI, AL MUNICIPIO



Una mia conoscente, di origine marocchina, ha partorito, a poco, uno splendido figlio.

Giorni fa, accompagno la donna in municipio a “dichiarare” il bambino. Alla vicina delegazione municipale, dopo mezz’ora di attesa, ci dicono che l’impiegato non c’è. Corsa a un’altra, lontana, delegazione municipale. La neo-mamma è scoraggiata. Mi dice: “Non ce la facciamo, è troppo tardi”. Arriviamo: l’ufficio sta chiudendo.

Lei entra, io vado a posteggiare.

La trovo seduta con due impiegati: un uomo e una donna. Prendono due libroni che sembrano usciti da un contesto fiabesco: trascrivono già i dati del bambino. L’impiegata è priata di dire alla mamma che ha fatto un corso di arabo… La mia amica annuisce e sorride.
Quei due impiegati hanno fatto la pratica fuori orario. Li ho ringraziati col mio sorriso migliore. Ho detto che gli angeli, in carne e pullover azzurro (colore del pull dell’uomo) esistono forse davvero. Anche in Municipio.

Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” il 25-3-2011)

martedì 22 marzo 2011

DESIDERATA

Un manoscritto trovato a Baltimora, nel 1692.
Copia appesa a casa mia.

Procedi con calma tra il frastuono e la fretta e ricorda quale pace possa esservi nel silenzio.

Per quanto puoi, senza cedimenti, mantieniti in buoni rapporti con tutti. Esponi la tua opinione con tranquilla chiarezza e ascolta gli altri: pur se noiosi ed incolti, hanno anch’essi una loro storia. Evita le persone volgari e prepotenti: costituiscono un tormento per lo spirito. Se insisti nel confrontarti con gli altri rischi di diventare borioso ed amaro, perché sempre esisteranno individui migliori e peggiori di te.

Godi dei tuoi successi e anche dei tuoi progetti. Mantieni interesse per la tua professione, per quanto umile: essa costituisce un vero patrimonio nella mutevole fortuna del tempo. Usa prudenza nei tuoi affari, perché il mondo è pieno d’inganno. Ma questo non ti renda cieco a quanto vi è di virtù: molti sono coloro che perseguono alti ideali e dovunque la vita è colma di eroismo.

Sii te stesso. Soprattutto non fingere negli affetti. Non ostentare cinismo verso l’amore, perché, pur di fronte a qualsiasi delusione e aridità, esso resta perenne come il sempreverde.
Accetta docile la saggezza dell’età, lasciando con serenità le cose della giovinezza. Coltiva la forza d’animo, per difenderti nelle calamità improvvise. Ma non tormentarti con delle fantasie: molte paure nascono da stanchezza e solitudine.


Al di là d’una sana disciplina, sii tollerante con te stesso. Tu sei figlio dell’universo non meno degli alberi e delle stelle, ed hai pieno diritto d’esistere. E, convinto o non convinto che tu ne sia, non v’è dubbio che l’universo si stia evolvendo a dovere.

Perciò sta in pace con Dio, qualunque sia il concetto che hai di Lui. E quali che siano i tuoi affanni e aspirazioni, nella chiassosa confusione dell’esistenza, mantieniti in pace col tuo spirito. Nonostante i suoi inganni, travagli e sogni infranti, questo è pur sempre un mondo meraviglioso. Sii prudente. Sforzati d’essere felice.


Manoscritto del 1692 trovato a Baltimora nell'antica Chiesa di San Paolo. Così credevo anch'io sino a ieri. Grazie alla "soffiata" di un amico/blogger, ecco la vera genesi del manoscritto: Desiderata.

101 Storie: Quando a salvarli sono i nonni... un nonno gentiluomo

Se non fosse stato per i jeans e la maglietta griffata, avresti potuto dire che Roberto veniva fuori da un quadro del Botticelli.

Un ovale morbido; capelli lisci, un po’ ondulati alle punte, color miele maturo; naso perfetto; occhi verde-nocciola che, alla luce, assumevano un brillio colore smeraldo.
Un ragazzo tranquillo. Intelligente. Solo un po’schivo e un po’ pigro.
Affetto da un solo, grave problema: in termini tecnici la chiamiamo frequenza irregolare.[1] Roberto, appunto, si assentava spesso. Mancava almeno due giorni a settimana.

Per capirci qualcosa, convoco i genitori. Al telefono, risponde un papà gentilissimo che contratta con me la data e l’ora di un colloquio, compatibile con il suo lavoro di dipendente di una azienda importante.
Ci vediamo nel primo pomeriggio. Il papà di Roberto mi dice subito che il ragazzo vive con lui e la figlia maggiore, poiché da qualche tempo lui e la madre di Roberto si sono separati. - In modo civile, comunque – tiene a sottolineare.

Gli chiedo il perché delle tante assenze di Roberto. - Roberto la mattina non vuole alzarsi… è pigro, professoressa, solo tanto pigro. Ma farò di tutto per portarlo a scuola assiduamente. -
In realtà la presenza scolastica di Roberto non aumenta granché. Tant’è che, di lì a poco, fisso un altro colloquio, chiedendo esplicitamente di incontrare entrambi i genitori. Che, dopo un po’ di contrattazione sugli orari, si presentano insieme.
Sembrano sereni e rilassati. Forse anche troppo. Lei è una bella signora, alta e snella, con i capelli che sanno di attenzioni frequenti del parrucchiere e con il resto del corpo che parla di cura attentissima da parte della sua padrona. Parla un po’ troppo e un po’ troppo velocemente.

Il papà di Roberto, anche lui alto e piuttosto imponente, capelli precocemente argentati, ma piglio e cuore molto giovani, parla meno e più lentamente. Un po’ gentile, un po’ annoiato, un po’ rassegnato.
A fine colloquio, capisco di aver fatto un buco nell’acqua di una genitorialità sfilacciata: i due si parlano addosso.

Roberto non è contenuto nei loro pensieri: scivola via, impalpabile, attraverso le loro accennate tristezze, non trova posto nelle loro appena percettibili recriminazioni, non riesce a essere trattenuto dalla loro rete, un po’ smagliata, un po’ distratta, di attenzione e di cura.
Scopro che Roberto, a loro dire svogliato e incostante, saltella da casa di papà, a casa di mamma, a casa dei nonni materni. E quando chiedo: - Ma cosa interessa a Roberto? ... Chi lo segue nello studio? - papà e mamma non mi danno una chiara risposta.
All’ennesima assenza, il padre mi fornisce il numero di telefono dei nonni materni dicendo che Roberto ha dormito da loro. Chiamo i nonni.
E comincia un nuovo capitolo della storia.
Mi si presenta il nonno. Una figura d’altri tempi: vestito in modo impeccabile, con giacca e cravatta e, se fa freddo, un cappello di antica foggia per riparare il suo capo, con doppio velo di canizie senile. Cappello che il signore si affretta a togliere precipitosamente non appena compaio alla sua vista. Una gentilezza persino eccessiva, mai però untuosa o servile. Una cortesia antica che, talvolta, mi commuove.
E, soprattutto, un amore sconfinato per quel nipote un po’ perso e svagato.
Che, quell’anno, viene promosso in seconda media.
Chiudendo un occhio su quel mare di assenze. Promosso per “non pregiudicare il positivo inserimento nel gruppo-classe”. Perché il ragazzo ha “buone potenzialità di apprendimento”. Perché il nonno ha fatto di tutto perché Roberto facesse qualche compito, quando era ospite a casa sua.

In seconda media le assenze riprendono. Ancora maggiori dell’anno precedente.
Telefonate continue al padre, ogni tanto alla madre. Anche ai nonni, ovviamente: il nonno è afflitto e contrito. Confessa però che, per ora, il nipote abita e dorme stabilmente dal padre. Quando lo chiamo, il padre dice sempre che domani, sicuramente, Roberto verrà.
Ogni tanto, ho un colloquio con lui.
In primo piano i suoi occhi: chiari, che sorridono si, ma che abitano una loro stanza segreta.
Mi dice che, semplicemente, a scuola gli secca venire. Preferisce dormire. O giocare con la play station. Me lo dice con tutta la naturalezza e il candore del mondo.
I miei formatori mi hanno insegnato come una psicopedagogista dovrebbe confezionare un colloquio: non deve essere evasiva, ma neppure intrusiva, deve capire ma non deve colludere, deve farsi accettare senza essere seduttiva, deve capire qual è il nocciolo del problema, perché si possa affrontare e risolvere, ma non deve essere presa da deliri di onnipotenza.
Forse con Roberto non trovavo la chiave giusta. O, forse, la saracinesca sul suo cuore era troppo serrata. Da questi colloqui, uscivo sconfitta: Roberto sorrideva, sincero, ma sgusciava via come il pesciolino rosso, nella vasca del giardino, che la bimba vuole maldestramente toccare.
Quell’anno le assenze furono veramente tante. Roberto rimase in seconda.

L’anno successivo, nella nuova classe: con nuovi compagni, con qualche nuovo insegnante.
Lo stillicidio delle assenze continua. Telefonate continue. Ogni tanto viene la madre. Poi il padre, da cui Roberto risiede. Il nonno telefona spesso: giustifica, chiede di parlare con un insegnante. Implora comprensione e clemenza. A fine anno, Roberto è promosso, per evitare che ripeta di nuovo la stessa classe e cambi di nuovo i compagni.

Ed eccoci in terza media.
Si ricomincia con la solita altalena: presente, assente, assente, presente, assente, entrato in ritardo.
Roberto è cresciuto: ormai è un ragazzone di un metro e settanta, con gli stessi occhi dolci. Con più di una ragazzina che stravede per lui.
La madre la vedo pochino: impegni di ufficio, la motivazione ufficiale. Anche il padre è più defilato. Lui, una volta l’ha detto, non può farci niente, alla fine, per questo figlio svagato. La figlia maggiore è bravissima, non gli ha mai dato problemi.

A dicembre, Roberto passa di nuovo sotto la giurisdizione dei nonni.
Quasi quotidiano il filo diretto con loro: quell’anno Roberto doveva essere ammesso agli esami.
E allora i nonni lo tiravano materialmente dal letto, lo mandavano a scuola almeno a seconda ora, mi telefonavano a volte, giurando: “Dottoressa, oggi non c’è perché è veramente ammalato …”. E il nonno pietoso consegnava all’Ufficio di Segreteria l’ennesimo certificato medico, con lettera di accompagnamento vergata con la grafia perfetta in uso un tempo che fu.

Quel nonno speciale era diventato di casa, nel mio studiolo.
Poco prima degli esami di terza media, venne a trovarmi. Ci salutammo: ormai la speranza che Roberto sarebbe stato ammesso agli esami era quasi realtà.
In piedi, di fronte alla mia scrivania, quel nonno nutriente mi confidò che la sua vita, negli ultimi anni, era stata veramente difficile. Pensavo si riferisse alla separazione della figlia, al carico di quel nipote bello e indolente.
E invece c’era dell’altro: due anni fa era morta la figlia minore. Trent’anni e qualcosa. Un cancro incurabile.
Il padre fatica a trattenere le lacrime. Mi dice che ha scritto per lei una poesia. Me la legge, commosso. Mi ringrazia, per tutto quello - cioè niente - che ho fatto per Roberto. Mi ringrazia soprattutto per averlo, adesso, ascoltato. Mi lascia la copia della poesia.
Che conservo gelosamente. In una carpetta privata. In un ripostiglio segreto del cuore.

[1] Secondo un vecchio protocollo d’intesa tra l’Osservatorio provinciale contro la Dispersione scolastica e il Comune di Palermo, è considerata frequenza irregolare quella di un alunno che si assenta sette/dieci giorni al mese, senza un valido motivo.

lunedì 21 marzo 2011

ED E' SUBITO SERA




Ognuno sta solo sul cuor della terra


trafitto da un raggio di sole:


ed è subito sera.





Salvatore Quasimodo



(Discusso premio Nobel per la Letteratura nel 1959.
Io gli avrei dato il Nobel solo per questi versi.)


UN PO' SOPRA L'OMBELICO


Era lì, in quel punto preciso: a metà strada tra l’incavo dei seni e un po’ sopra l’ombelico, che nasceva quella nera sensazione di vuoto.
Che poi irraggiava su e giù la sua ragnatela: sino alle gambe, stanche e svogliate; sino al volto, che smarriva il sorriso.
Appariva senza preavviso.
Senza un fischio di all’erta.
Imponendole di ricominciare a lottare, perché il morso crudele non le usasse violenza.
Un giorno, aveva chiesto aiuto a tanti telefoni rosa. Ma ora era sola. Senza fili a cui potersi legare. E doveva decidere in fretta cosa fosse figura, che cosa sfondo.
Il buco nero era stato figura per lunghissimo tempo e primeggiava, ghignando, sui suoi fotogrammi di vita.
Aveva combattuto un casino per strappargli la prima fila. E c’era, da poco, riuscita. Avrebbe tanto voluto che la stretta al petto fosse solo una virgola, uno scarabocchio fugace, nello yin e yang dei suoi giorni.
Perché lei, in primo piano, preferiva l’azzurro. Dell’orizzonte. Del mare dell’anima. Pendant con l’azzurro del cielo. Che si tingeva, oggi, del lunedì di una nuova, spietata e rigogliosa primavera.

Ma forse la sua stagione era sempre e solo l’inverno.
E lei era tentata di arrendersi, di non combattere ancora.
Perché, alla fine, non era neppure sicura di pareggiarla, quella strana battaglia contro la sensazione di vuoto.
Magari erano il groppo alla gola, quel grumo secco di lacrime, quella morsa gelata gli ospiti fissi che le aveva apparecchiato il destino.
E allora, perché ostinarsi a tenerli lontano? Poteva aprire loro le porte, prima che la violentassero ancora. E, magari, poi diventare di pietra.
Una roccia. Che non pulsava. Senza caldi fiumi di sangue e lembi di pelle che brucia.
Così – ne era certa – il vuoto non le avrebbe più fatto male.

domenica 20 marzo 2011

16° GIORNATA IN RICORDO DELLE VITTIME DELLE MAFIE

Solo i due spot per ricordare, in questa promessa di primavera, tutti gli uomini, le donne e i bambini spenti dalle mafie assassine.
Perchè le loro idee e le loro speranze continuino a camminare con le nostre gambe e vivano nei nostri cuori.



sabato 19 marzo 2011

I DOMENICA DI QUARESIMA 13 MARZO 2011


Care sorelle e fratelli, nella prima lettura si afferma che l’uomo, mangiando del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, avrebbe finalmente sperimentato in qualche modo Dio, conoscendo il bene e il male.
Ma Dio non conosce il male.
E quindi è una falsa immagine di Dio che è stata prospettata all’uomo – Adam in lingua ebraica significa appunto “uomo” – con questa suggestione di diventare, di sentirsi Dio, che è l’unica vera, grande tentazione a cui tutti noi siamo esposti: essere come Dio.

Ma noi, Dio non lo conosciamo. Tant’è vero che lo pensiamo come capace di fare il bene e capace di fare il male. “Sperimenterete, appunto, il bene e il male.”

Ma Dio conosce solo il nostro bene. Siamo noi che gli abbiamo imposto, o tentiamo di imporgli, di conoscere quell’oscura possibilità, che si fa strada dentro di noi, di impedire alla luce di brillare, alla bellezza di affascinarci, all’amore di prenderci totalmente, alla giustizia di carezzare i nostri rapporti: di renderli più buoni, più vivibili, i nostri rapporti.

C’è una differenza, appunto, noi sappiamo una cosa più di Dio: quello che sappiamo più di Dio è che sappiamo cosa è il male. Anzi, lo sappiamo fare. Ed è in questa triste possibilità che noi ci ritroviamo sbilanciati verso noi stessi, perché poi il male, alla fine, è l’autodistruzione dell’uomo.

Il male non ha consistenza, potremmo dire che di per sé non esiste: l male è toglierci la vita e quindi auto-annientarci a vicenda, distruggere le nostre relazioni, cioè impedire a Dio di essere Dio. E’ un tentativo che noi proviamo a fare …
Ma, ci dice la seconda lettura, che dove è abbondato il male, e la misura del male è smisurata, non finiamo mai di scoprire di che cosa siamo capaci, non finiamo mai di scoprirlo, e purtroppo non finiamo mai di stupirci, ma – è qui è la bella notizia - dove noi siamo stati capaci di distruggerci, sovrabbonda l’amore misericordioso di Dio.
Il quale resta Dio dinanzi a noi. Anche nonostante noi stessi volessimo negarlo, togliergli spazio nella nostra vita … togliere spazio alla vita dentro di noi.

Ed è qui che, probabilmente, dobbiamo cambiare atteggiamento, care sorelle e fratelli: perché sull’evidenza del male siamo tutti convinti. Ma non dobbiamo soccombere a quest’evidenza. Come spesso abbiamo coltivato, parlando o dando priorità a questo discorso sul male, che pure c’è, che pure è terribile, che pure è insopportabile.
La seconda lettura ci dice che, seppure abbonda il male, sovrabbonda, sopra il male, la decisione di Dio di essere per noi, nonostante tutto. E fino in fondo. Senza abbandonarci mai. Anche se noi siamo in grado di abbandonare Lui. O di voltare le spalle a Lui.

E cosa è Gesù Cristo, in questa pagina bella del Vangelo, se non questa vicinanza di Dio a noi, in tutto. Lui non conosce il male, Gesù non conoscerà il male, ma dovrà fare i conti con le conseguenze del male, le subirà Lui, per primo, fino alla croce. Ma la sua reazione è quella di Dio verso di noi: dinanzi a noi Gesù sa fare soltanto cose meravigliose.

In primo luogo, ecco, ci fa intravvedere che possiamo farcela anche noi, sostenuti dalla sua testimonianza. Questo resistere alle tentazioni, alla tentazione. Che poi, fondamentalmente, è variazione di quell’unica variazione originaria: sentirci Dio, ma fraintendendo l’immagine di Dio, quindi conoscendo anche il male, purtroppo.
Le diverse forme della tentazione: barattare la libertà con un pezzo di pane. Siamo tutti esposti a questa.
Barattare la nostra dignità col potere: “Ti do tutti i regni della terra, se mi adori”.
Barattare Dio con le religioni, che sono tutte tentatrici di Dio, perché hanno una concezione magica: “Buttati che io ti salvo”. Ma io non mi butto, perché devo scomodare chissà quale miracolo. Tutte le religioni sono tentate dal tentare Dio. Ecco la falsa immagine che riaffiora continuamente nei suoi confronti.

Gesù ci libera da ogni religione, per proporci un rapporto che è soltanto relazione pura, pulita, filiale: da figlio a padre, da padre a figlio.
E questa relazione fa crollare tutte le religioni: politiche, religiose, sociali … Non ci sono padroni sopra di noi, non abbiamo da svendere la nostra liberà, non abbiamo da comprometterci con nessuno.
Il Vangelo di oggi si chiude con Gesù in piedi.
Questa figura non da superuomo, non da extraterrestre, ma da uomo che fa riattingere la nostra umanità all’origine, alla sua fonte. Che è l’amore per cui Dio l’ha creata, questa nostra umanità.
Non perché sperimentassimo il bene e il male, come abbiamo voluto fare e come continuiamo a fare, ma perché fossimo a immagine e somiglianza sua. Riflesso della sua luce, del suo amore, del suo splendore, della sua bellezza.
Dovendo, purtroppo, fare anche i conti con le nostre oscurità: con le oscurità della nostra vita e della nostra storia.

(Il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: eventuali errori o omissioni sono della scrivente Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze nella trascrizione dell’omelia)

venerdì 18 marzo 2011

RANDAGI

Un pomeriggio d’inverno, nella mia periferia palermitana.
Vado a piedi, al lavoro.
Per strada, solo un uomo, nel marciapiede opposto, abbastanza lontano: jeans malandati, giubbotto troppo largo, con strisce gialle; in testa un cappello blu e rosso. L’uomo è di pelle scura.

Sta fermo. Tocca qualcosa. Non vedo bene. Metto a fuoco: c’è un cane, ai suoi piedi. Si fa accarezzare. E’ come se stesse facendo le fusa.

L’uomo nero s’incammina, a un tratto. Il cane lo segue. L’uomo cammina, ma continua dolcemente ad accarezzarlo. Adesso siamo di fronte: il signore ha uno sguardo chiuso e accorato.

Poi l’uomo entra dentro un cancello. Il cane si ferma. I suoi occhi somigliano a quelli dell’uomo.

Non è giusto, mi dico, che quell’uomo e quel cane condividano uno stesso destino: di stenti, di solitudine.
Mi chiedo se è troppo sognare una terra che doni, oltre al pane, le meritate carezze, a ciascuno.
Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” il 18-3-2011)

mercoledì 16 marzo 2011

Buonanotte (o Buongiorno) Italia !

Io avrei aggiunto altri volti, specialmente di donne:
Primo Levi, Tina Anselmi, Rita Atria, Nilde Iotti, Giuliana Saladino, Alex Langer, Natalia Ginzburg, Annalena Tonelli...

Forza, Italia! Sorelle e fratelli d'Italia, uniamoci perchè la nostra terra sia più onesta, più bella, più ecologicamente e moralmente pulita.
E anche più viva, più intelligente, ricca di grandi sentimenti e passioni.
E impregnata di pace e serenità


VIVA L'ITALIA (E CERTI ITALIANI)

Io me lo ricordo, il maestro Manzi: insegnava a scrivere agli anziani analfabeti.
E' un'icona, per me:




E poi don Milani, che mi ha convinto dell'importanza di fare scuola in un certo modo:



E i miei Falcone e Borsellino, che hanno dato la vita per una Sicilia (e un'Italia) libera da mafia e ingiustizia. Mentre il premier getta fango sui magistrati, facendo gioire la criminalità organizzata.



Ecco, questi sono i fratelli d'Italia che amo.

sabato 12 marzo 2011

101 Storie: Quando il finale è già scritto…

   Tecnicamente, le condizioni per l’insuccesso scolastico di Marcello c’erano tutte.

    La famiglia disastrata: papà in carcere con condanne pesanti; madre che lavorava fino a tarda notte come cameriera in un locale notturno, e che si occupava di lui e del fratellino più piccolo per poco tempo e con scarso carisma.
Il rifugio che non c’era: dove dormisse il ragazzino, non si capiva. A volte dalla zia, sorella di mamma; a volte dalla nonna materna, con un giovane zio, agli arresti domiciliari, che gli faceva compagnia; a volte a casa di mamma, dalla quale entrava e usciva con la libertà di un adulto.
Infine, la frequenza scolastica irregolare: tutt’al più, Marcello veniva a scuola tre giorni a settimana.

   Tutto questo mi è stato chiaro sin dai primi giorni di scuola, con il ragazzo in ingresso in prima media. Quando la madre di Marcello, con un candore pari solo alla sua palese, disarmante incapacità di reggere il ruolo di madre, mi raccontò subito la litania triste della sua storia. Confermata, qualche settimana dopo, dalla telefonata di un’assistente sociale, con l’ingrato compito di monitorare la situazione di Marcello. “Perché, lei capisce dottoressa, altrimenti il Tribunale prenderà provvedimenti …”

   La situazione scolastica è difficilissima: il ragazzino spesso insulta i docenti, minaccia o fa male ai compagni. Così, di punto in bianco, senza motivi apparenti. Non porta libri e quaderni. Entra e esce dall’aula secondo il suo estro. Marcello, semplicemente, non c’è. Non appartiene al mondo ordinato della scuola.
Ci adoperiamo per dargli il materiale scolastico. Libri, quaderni, colori. L’impareggiabile collega di Tecnologia gli regala una carpetta completa di tutto il materiale, strappandogli l’accenno, inghiottito in fretta, di un sorriso stupito. Perché Marcello ha una bella testa: capisce tutto, è in gamba. Ma, come diciamo in scuolese, non si applica quasi per niente.

   E continua a non esserci. I colloqui con la madre si intensificano. La signora viene puntuale, agli incontri richiesti. La sua imponente presenza fisica evidenzia un’altrettanto evidente assenza di ruolo.
Dopo un ennesimo colloquio, chiede di far uscire anticipatamente Marcello perché deve portarlo dal medico per un controllo. Marcello la vede, la guarda con disprezzo e le dice “Cretina”… La signora, con lo sguardo dell’animale abituato a ricevere colpi, mi dice che il ragazzo ce l’ha con lei perché il padre è in carcere. Perché lei dal marito è ormai separata: “Solo che mi vergogno a mandargli il divorzio in carcere…”
     Intanto, giorno dopo giorno, diventano sempre più netti i contorni della solitudine nomade e disperata di Marcello: spesso le sue assenze sono sconosciute a madre, zia, assistente sociale. Assistente sociale che dà un ultimatum alla signora: o il ragazzino viene a scuola e ha una “fissa dimora” o per lui si apriranno le porte di una casa/famiglia.
La madre giura e spergiura: ha cambiato casa, i fratellini avranno persino una loro stanzetta, nel nuovo rifugio. Ma Marcello, a scuola, continua a non farsi vedere. E quando viene è un fallimento. Gli insegnanti e la sottoscritta registrano la loro immensa impotenza di fronte all’aggressività dolorante del ragazzo.
Che viene puntualmente bocciato. E che, a settembre, con un’istanza del Tribunale dei Minorenni, viene inserito in una casa/famiglia e iscritto in un’altra scuola, più vicina alla nuova struttura/rifugio.
Di Marcello mi resta una montagna di sensi di colpa.
La sensazione di non aver fatto abbastanza.. Dovevo impegnarmi di più, dovevo chiamarlo di più, dovevo sorridergli di più.
Forse potevamo sorridergli tutti di più. Ma lui ce l’ha messa alla grande per non farsi amare. Camminava con un’andatura felpata, simile a quella di una scimmietta dispettosa: con le spalle curve, le braccia penzoloni lungo il suo corpo, piccolo e magro, di ragazzo appena undicenne. Duro e fragile come pochi. Con un ghigno perenne di sfida.
Che mi rimane di lui... Un ricordo che fa male.
E il disegno di un cagnolino. Che mi ha regalato, dopo un colloquio. Con un accenno, subito nascosto, di un distaccato, 'superiore' sorriso.

venerdì 11 marzo 2011

ISOLE A CONFRONTO


Giorni fa chiedo a bruciapelo a un amico che si trova all’Elba: «Quant’è grande la tua isola?» «Beh, un po’ più di Palermo...» Con circa 30.000 residenti d’inverno, e anche 300.000 d’estate. A fronte di 700.000 palermitani, piuttosto stabili.

Da qui un raffronto veloce, tra il palermitano rumoroso e poco amante delle regole e l'elbano, carattere chiuso da isolano all'ennesima potenza, un po' terrone un po' razzista. Tanto incline a parlare ad alta voce, in ogni momento. Proprio come un palermitano.

Divaghiamo sulle vocali larghe, così tanto meridionali, e sui "moccoli", le colorite bestemmie toscane, gettate giù senza alcun ritegno ma senza soverchia malizia.
Le quattro chiacchiere con l’amico si concludono con una riflessione condivisa: in fondo, nel mondo, non ci sono che isole chiuse e invisibili, non sempre separate dall’acqua dal resto della terra.
Il miracolo, forse, è uno solo: quando le isole riescono, tra di loro, a parlarsi.

Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” l’11-3-2011)

giovedì 10 marzo 2011

MARIA MONTESSORI AND ME

Ultima coda all'8 marzo: oggi presenterò ai miei alunni alcuni profili di donne italiane che hanno fatto la storia.
Una di queste è Maria Montessori. Prima donna medico in Italia. Prima donna pedagogista che ha provato che non esistono bambini deficienti o sperduti.




Maria Montessori nacque a Chiaravalle, in Italia. Fu il primo medico donna italiano dell'era moderna. Intraprese un umile obiettivo: cercare di educare gli "idioti" e i "non educabili" a Roma. Aprì la sua prima scuola, a Roma, il 6 gennaio 1907.

Il Metodo Montessori che ne derivò da quell'esperienza fu successivamente applicato ai bambini ed è divenuto famoso in molte parti del mondo. Nonostante le critiche durante il periodo gli anni 1930 e 1940, il suo metodo è stato poi applicato in maniera stabile.

Nel 1907 la Montessori fondò la prima Casa dei Bambini a Roma. Nel 1913 il suo metodo riscosse un discreto interesse in Nord America, che in seguito si affievolì. Nancy McCormick Rambusch rimise in uso il metodo in America, fondando la Società Montessori Americana nel 1960. La Montessori fu esiliata da Mussolini in india per tutta la durata della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto perchè lei rifiutò di modificare i suoi principi ed educare i bambini a diventare soldati. Visse il resto della sua vita in Olanda, che è ora il quartier generale dell'AMI, o Association Montessori Internationale. Morì a Noordwijk aan Zee il 6 maggio 1952. Suo figlio Mario ha guidato l'AMI fino alla sua morte nel 1982.

Pedagogia

Oltre alla nuova pedagogia, gli altri contributi all'educazione della Montessori sono:

* istruzione di gruppo dei bambini di 3 anni, in relazione a determinati periodi dello sviluppo (esempio: 3-5, 6-9, e 9-12 anni)
* bambini come esseri completi, incoraggiati a prendere decisioni
* osservazione del bambino nell'ambiente come base per lo sviluppo futuro (presentazione di esercizi per lo sviluppo delle abilità e dell'apprendimento delle informazioni)
* mobili a misura di bambino e creazione di un ambiente a misura di bambino (microcosmo) nel quale ognuno può svilppuare un mondo a se stante
* partecipazione dei genitori per la cura della salute e dell'igiene come pre requisito per la scuola
* definizione di una scala di periodi dello sviluppo, che metta in rilevo che è necessario stimolare e motivare il bambino (incluso periodi per lo sviluppo del linguaggio, esperimenti sensoriali e vari livelli di interazione sociale)
* Importanza della "mente assorbente", la motivazione senza limiti del bambino ad apprendere competenze nel suo ambiente di sviluppo e a svilppuare le proprie capacità che si presentano in ogni periodo dello sviluppo. Il fenomeno è caratterizzato dalla capacità del bambino alla ripetizione delle attività (esempio: il balbettare come esercizio di lingua che possa portare ad uno sviluppo futuro)
* materiali "auto didattici" e auto correttivi (alcuni basati sul lavoro di Itard e Seguin)

Curiosità
Durante gli anni '90, Maria Montessori è stata raffigurata sulla banconota da 1000 lire italiane sostituendo Marco Polo, fin quando l'Italia adottò l'Euro.

mercoledì 9 marzo 2011

DAL FEMMINISMO MOLTI DONI


Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino", Numero 290 del 9 marzo 2011

DAL FEMMINISMO MOLTI DONI

Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che vi e' una sola umanita', composta di persone tutte differenti le une dalle altre e tutte eguali in diritti.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che sfera personale e sfera politica non sono separate da un abisso: sempre siamo esseri umani.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza del partire da se'.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza dell'incontro con l'altro.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che e' la nascita, l'esperienza e la categoria che fonda l'umana convivenza, l'umano sapere.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che la pluralita', e quindi la relazione, e' la modalita' di esistenza propria dell'umanita'.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che i corpi contano, che noi siamo i nostro corpi.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che ogni forma di autoritarismo, ogni forma di militarismo, ogni forma di dogmatismo reca gia' la negazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che la prima radice dell'organizzazione sociale e della trama relazionale violenta e' nel maschilismo e nel patriarcato.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che solo la nonviolenza contrasta la violenza, che solo il bene vince il male, che solo l'amore si oppone alla morte, che solo l'ascolto consente la parola.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che compito comune e' generare e proteggere la vita, prendersi cura delle persone e del mondo per amore delle persone e del mondo.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che compito comune e' opporsi ad ogni oppressione, ad ogni sfruttamento, ad ogni ingiustizia, ad ogni umiliazione, ad ogni denegazione di umanita', ad ogni devastazione della biosfera.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che solo l'arte della compassione fonda la lotta di liberazione.

martedì 8 marzo 2011

OTTO MARZO



Parafrasando un antico proverbio, potremmo dire: “Dimmi che pubblicità ascolti e ti dirò chi sei”. Oggi infatti la pubblicità ci rimanda donne in estasi solo per un ammorbidente profumato, seducenti corpi femminili accostati a un’automobile inquinante perché il maschio, confuso nei suoi desideri di possesso, sia invogliato a comprarla.


A giudicare dagli slogan diretti all’altra metà del cielo, i problemi delle donne oggi sono la non perfetta colorazione dei capelli, l’intestino pigro e un “fastidioso prurito intimo”.

E poi, l’attualità ci mostra le tantissime giovani donne che decidono di vendersi al potente di turno per fare carriera o che hanno accettato di ascoltare, per 70 euro, le farneticazioni di un dittatore libico. Prima, nella nostra vecchia Europa, lottavamo per non morire di parto, combattevamo contro la subalternità ai maschi, contro la discriminazione sul lavoro. Queste lotte, ora, rimangono alle africane, alle asiatiche.
Noi donne, qui, ne abbiamo fatta di strada…

Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” il 4-3-2011)

venerdì 4 marzo 2011

Quest' 8 Marzo




A te, sconosciuta valletta che ascoltava Gheddafi.



Ho un sogno, per il prossimo otto marzo.


Guardarti negli occhi. Te, una delle 487 ragazze che, il 29 agosto 2010, ha messo tra parentesi il suo senso critico e la sua autonomia di pensiero per ascoltare il pensiero unico di Gheddafi. In cambio di 100 euro, se abitavi vicino a Roma; di 150, se venivi da fuori regione.

Vorrei parlarti dolcemente, magari tenendoti per mano. Senza anatemi facili, senza impartire morali logore da vecchia signora. Accarezzando il tuo sguardo, vorrei dirti semplicemente che ci sono cose che non hanno prezzo: la capacita' di pensare in proprio, il diritto di sentirsi uguali agli uomini, la volonta' di non inginocchiarsi dinanzi ai potenti.
Piu' che dirtelo, vorrei che tu, sorellina giovane, queste realta' le sentissi. Nella tua pelle, nel tuo cuore di donna. Vorrei essere capace di evitare la solita solfa di quella che ha respirato l'aria del '68. Vorrei trovare per te le parole giuste, intessute di sangue e di carne...

Vorrei farti percepire di come sia stato forte per Rosa Parks, nel 1955, rimanere seduta in quell'autobus, a Montgomery, nella parte riservata ai bianchi: perche' i neri d'America, uomini e donne insieme, trovassero la forza di dire no alla segregazione razziale. Vorrei farti sentire l'energia potente di Anna Politkovskaja, che ha donato la sua vita per denunciare sino in fondo gli orrori della guerra in Cecenia. Vorrei presentarti Annalena Tonelli, la missionaria laica dagli occhi cerulei: che ha speso parte dei suoi sessant'anni in Somalia per curare i piu' poveri, le donne sfruttate e mutilate. Vorrei parlarti di quella forza della natura che e' stata Mala Zimetbaum, che non si e' piegata neppure davanti alla ferocia nazista.

Vorrei che trovassimo insieme il filo profondo che ci lega. Che e' il nostro essere donne, la nostra storia di vicinanza alla vita, il nostro essere state raccoglitrici anziche' cacciatrici. Il nostro aver accudito dei figli, gli stessi figli che la societa' violenta permette di uccidere in guerra.
Vorrei mostrarti che difendere i diritti delle donne e' difendere i diritti di tutta l'umanita'. Vorrei farti sentire che le lotte femministe, come dice un mio vecchio amico, sono "la corrente calda della nonviolenza".
Vorrei dirti, infine, quanto sono stata felice di partecipare alla manifestazione del 13 febbraio: quella che chiedeva dignita' per le donne italiane e per il nostro paese. Nessuno mi ha dato un euro, allora. E mi sono pure alzata molto presto, quella domenica, per preparare prima le lasagne ai miei figli...
Ti abbraccio, Maria D'Asaro
(TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO: Numero 484 del 4 marzo 2011
Direttore responsabile: Peppe Sini.)

giovedì 3 marzo 2011

OMELIA DEL 27 FEBBRAIO 2011


27.02.2011 8° T.O. – Anno A

Capita spesso la mattina, soprattutto la domenica, di chiedere: “Oggi che mangiamo?” Magari è la mamma che lo chiede ai suoi figli, per indovinarne i gusti. Oppure ci chiediamo “Oggi chi mi mietto, come mi vesto oggi?” Sono domande che ricorrono puntualmente quasi ogni giorno, a casa….
Ora, non è che Gesù ci vuole criminalizzare, perché ci facciamo queste domande. Ci vuole fare volare alto, come sempre. Il Vangelo ci vuole non fare perdere il nostro tempo, ci insegna ciò che vale veramente la pena di essere vissuto, care sorelle e fratelli. Siamo ancora nel commento delle Beatitudini. Abbiamo ascoltato le Beatitudini, poi tutto il resto, quello che stiamo continuando a proclamare in queste domeniche, è commento alle Beatitudini: in questo caso “Beati i poveri”.

E allora Gesù approfondisce il tema e lo esplicita e ci dà anche alcune indicazioni che noi abbiamo difficoltà a recepire, lo riconosciamo: o i soldi o Dio. Prima indicazione: quando ci sono in mezzo i soldi, facilmente si resta esposti alla negazione di Dio. Dobbiamo fare salti mortali, per poi recuperare il valore positivo di qualcosa di cui abbiamo anche bisogno. Ma è come se Gesù ci mettesse in guardia proprio rispetto a questa radicalità: tutte le battaglie, tutte le guerre … nazionali, internazionali, a casa nostra … se ci badiamo, nascono da questo conflitto. O Dio o i soldi. Quindi ognuno di noi deve imparare a farne a meno il più possibile.

E poi, l’altro aspetto: mangiare e vestirsi. C’è bisogno di mangiare, c’è bisogno di vestirsi. Ma ci dice Gesù che la nostra bellezza non è nel vestito, non è in quello che mangiamo … E’ come se Gesù volesse fare una poesia su di noi: se si guarda il giglio, è bello di per sé…
Anche tu sei bello – ci dice Gesù – non perché puoi ostentare chissà quale opulenza o chissà quale abito o chissà quale status symbol… tu vali per quello che hai dentro di te. Noi valiamo per quello che siamo nella nostra persona, nuda e cruda.

Quindi il Vangelo ci viene incontro a liberarci, non dal fatto che si abbia bisogno di mangiare o di vestirsi di qualche cosa: ma il vestito è vestito, è esterno a noi. Ciò che conta siamo ciascuno di noi: ciò che è dentro, non cosa ha all’esterno, ciò con cui si ricopre. Cosa siamo dentro di noi? Ci interpella il Vangelo, restituendoci la nostra dignità per quello che siamo.

E poi l’affermazione culminante di questo brano, quando Gesù dice: “Allora cercate il Regno di Dio e la sua giustizia.“ Potrebbe essere una scappatoia. E invece, se lo comprendiamo correttamente, è l’unica possibilità che abbiamo di salvarci o di essere salvati.
Se mettiamo al primo posto il Regno di Dio e la sua giustizia, la giustizia che è Dio stesso, allora anche la nostra domanda sul cibo viene ridimensionata. Perché la giustizia che è Dio ci farà guardare anche agli altri che hanno fame come noi, che hanno bisogni, come noi … E quindi guardare al mondo dallo sguardo, con lo sguardo di Dio, significa ridimensionare anche le nostre richieste di realizzazione personale. Perché alla domanda: “Cosa debbo fare oggi?” Devo aggiungere anche l’altra: “E gli altri cosa devono fare, per vivere dignitosamente, insieme con me e io insieme con loro?”

Cerchiamo prima il Regno di Dio e la sua giustizia significa: ridimensioniamo prima tutte le nostre domande, tutte le nostre attese, anche tutte le nostre stesse acquisizioni, perché si reggono su tanti equivoci, su tante sperequazioni che si sono stratificate nell’arco della storia … Il Vangelo ci invita a ribaltare tutto, a ricominciare da capo …

Il Regno di Dio, cioè Dio che vuole garantire la sua signoria divina promuovendo tutte le persone: non soltanto quelle che sono più forti o più capaci… la sua giustizia è che nessuno si perda. E questo ci può fare ridimensionare anche certe nostre pretese.
Quindi non un atteggiamento di fuga, non un atteggiamento di addolcimento della situazione, ma un appello evangelico che ci dice: impariamo a guardare la realtà degli altri insieme con quella nostra. Che è il punto di vista di Dio, che vuole che tutti siano salvi, adesso.

E con tutti dobbiamo sapere condividere. Altrimenti se partiamo solo dal nostro bisogno, non alzeremo gli occhi verso i bisogni degli altri. Avremmo mille nostri bisogni da salvaguardare, mille acquisizioni da custodire gelosamente …
Mentre dobbiamo ridimensionare tutto. Se guardiamo alla realtà dall’alto di Dio che vuole promuoverla per tutti, non solo per una parte, e non a scapito di una parte.
E quindi il Vangelo ci apre gli occhi, ancora una volta. Ecco, ci insegna anche questo sguardo nuovo, allargato sulla realtà, di tutti.

(Il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: pertanto eventuali errori o omissioni sono della scrivente Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze nella trascrizione dell’omelia)
(Interviene poi il presbitero che concelebra, che proviene da Vicenza)

Mi ha colpito trovarmi qui oggi e accogliere questa Liturgia della Parola che ci dà un forte messaggio di tenerezza. Il Dio biblico è un Dio della tenerezza al punto tale che si presenta a noi con l’immagine della mamma e del suo figlio. E non c’è niente di più tenero di questo. Se addirittura ci fosse una madre che si dimentica, Lui no.
E allora mi è venuta in mente, caro Cosimo, l’immagine del grande padre Alex Zanotelli che dice: “Il compito dei cristiani oggi è uno solo: costruire oggi la civiltà della tenerezza.”
Che è fondata su questa scoperta sorprendente anche di quest’amore di Dio che è cura, che è misericordia, che è padre, che è madre, che è fratello, che è sposo, che è vicino, che è prossimo …
Pensavo che la società della tenerezza è il contrario di una società di mafie, di criminalità, di sopraffazioni, di ingiustizie, di predominio del più potente verso il debole. Questo tipo di società ce l’abbiamo anche a Vicenza, sia ben chiaro, non siamo messi meglio di nessuno.
Allora, forse compito per i cristiani italiani che scoprono l’unità d’Italia potrebbe essere quello di aiutarci reciprocamente a trovare queste radici comuni nella tenerezza di Dio per costruire un mondo migliore. E quindi essere, sempre e comunque, diversi: perché il cristiano è un differente. E’ uno che esprime un’alternativa alla logica del mondo.