martedì 8 marzo 2011

OTTO MARZO



Parafrasando un antico proverbio, potremmo dire: “Dimmi che pubblicità ascolti e ti dirò chi sei”. Oggi infatti la pubblicità ci rimanda donne in estasi solo per un ammorbidente profumato, seducenti corpi femminili accostati a un’automobile inquinante perché il maschio, confuso nei suoi desideri di possesso, sia invogliato a comprarla.


A giudicare dagli slogan diretti all’altra metà del cielo, i problemi delle donne oggi sono la non perfetta colorazione dei capelli, l’intestino pigro e un “fastidioso prurito intimo”.

E poi, l’attualità ci mostra le tantissime giovani donne che decidono di vendersi al potente di turno per fare carriera o che hanno accettato di ascoltare, per 70 euro, le farneticazioni di un dittatore libico. Prima, nella nostra vecchia Europa, lottavamo per non morire di parto, combattevamo contro la subalternità ai maschi, contro la discriminazione sul lavoro. Queste lotte, ora, rimangono alle africane, alle asiatiche.
Noi donne, qui, ne abbiamo fatta di strada…

Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” il 4-3-2011)

4 commenti:

  1. Nonostante il nostro progresso, le donne sono tutt'altro che emancipate. In questo momento forse si parla un po' troppo delle donne che si arricchiscono vendendo il loro corpo ai ricconi, e si perdono di vista le vere difficoltà del mondo femminile, tra le comuni mortali! Ad esempio, il mobbing in azienda se si ha una gravidanza, le discriminazioni durante i colloqui se sei in età "da figli" ecc.

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  2. Che schifo, facciamo schifo.
    poi ci stupiamo del mondo islamico?

    boh.

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  3. @Vele Ivy e Calzino: donne libere e vogliose di un nuovo umanesimo, uniamoci! Facciamo sentire la nostra voce, le nostre proposte, la nostra voglia di vita alternativa.
    Grazie ad entrambe per la vostra attenzione.

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  4. Nell'era del consumismo non sei donna se nel tuo intimo non hai "Chilly", non sei uomo se non hai il calendario di Belen, magari nascosto nel cassetto del comodino, proprio sotto l'ultimo di Faletti che lei ti ha regalato a Natale e che non ti sei neanche degnato di aprire. Peccato, se lo avessi fatto sono sicuro che ti avrebbe coinvolto già dalla prima frase: «Mi chiamo Bravo e non ho il cazzo».

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