giovedì 3 marzo 2011

OMELIA DEL 27 FEBBRAIO 2011


27.02.2011 8° T.O. – Anno A

Capita spesso la mattina, soprattutto la domenica, di chiedere: “Oggi che mangiamo?” Magari è la mamma che lo chiede ai suoi figli, per indovinarne i gusti. Oppure ci chiediamo “Oggi chi mi mietto, come mi vesto oggi?” Sono domande che ricorrono puntualmente quasi ogni giorno, a casa….
Ora, non è che Gesù ci vuole criminalizzare, perché ci facciamo queste domande. Ci vuole fare volare alto, come sempre. Il Vangelo ci vuole non fare perdere il nostro tempo, ci insegna ciò che vale veramente la pena di essere vissuto, care sorelle e fratelli. Siamo ancora nel commento delle Beatitudini. Abbiamo ascoltato le Beatitudini, poi tutto il resto, quello che stiamo continuando a proclamare in queste domeniche, è commento alle Beatitudini: in questo caso “Beati i poveri”.

E allora Gesù approfondisce il tema e lo esplicita e ci dà anche alcune indicazioni che noi abbiamo difficoltà a recepire, lo riconosciamo: o i soldi o Dio. Prima indicazione: quando ci sono in mezzo i soldi, facilmente si resta esposti alla negazione di Dio. Dobbiamo fare salti mortali, per poi recuperare il valore positivo di qualcosa di cui abbiamo anche bisogno. Ma è come se Gesù ci mettesse in guardia proprio rispetto a questa radicalità: tutte le battaglie, tutte le guerre … nazionali, internazionali, a casa nostra … se ci badiamo, nascono da questo conflitto. O Dio o i soldi. Quindi ognuno di noi deve imparare a farne a meno il più possibile.

E poi, l’altro aspetto: mangiare e vestirsi. C’è bisogno di mangiare, c’è bisogno di vestirsi. Ma ci dice Gesù che la nostra bellezza non è nel vestito, non è in quello che mangiamo … E’ come se Gesù volesse fare una poesia su di noi: se si guarda il giglio, è bello di per sé…
Anche tu sei bello – ci dice Gesù – non perché puoi ostentare chissà quale opulenza o chissà quale abito o chissà quale status symbol… tu vali per quello che hai dentro di te. Noi valiamo per quello che siamo nella nostra persona, nuda e cruda.

Quindi il Vangelo ci viene incontro a liberarci, non dal fatto che si abbia bisogno di mangiare o di vestirsi di qualche cosa: ma il vestito è vestito, è esterno a noi. Ciò che conta siamo ciascuno di noi: ciò che è dentro, non cosa ha all’esterno, ciò con cui si ricopre. Cosa siamo dentro di noi? Ci interpella il Vangelo, restituendoci la nostra dignità per quello che siamo.

E poi l’affermazione culminante di questo brano, quando Gesù dice: “Allora cercate il Regno di Dio e la sua giustizia.“ Potrebbe essere una scappatoia. E invece, se lo comprendiamo correttamente, è l’unica possibilità che abbiamo di salvarci o di essere salvati.
Se mettiamo al primo posto il Regno di Dio e la sua giustizia, la giustizia che è Dio stesso, allora anche la nostra domanda sul cibo viene ridimensionata. Perché la giustizia che è Dio ci farà guardare anche agli altri che hanno fame come noi, che hanno bisogni, come noi … E quindi guardare al mondo dallo sguardo, con lo sguardo di Dio, significa ridimensionare anche le nostre richieste di realizzazione personale. Perché alla domanda: “Cosa debbo fare oggi?” Devo aggiungere anche l’altra: “E gli altri cosa devono fare, per vivere dignitosamente, insieme con me e io insieme con loro?”

Cerchiamo prima il Regno di Dio e la sua giustizia significa: ridimensioniamo prima tutte le nostre domande, tutte le nostre attese, anche tutte le nostre stesse acquisizioni, perché si reggono su tanti equivoci, su tante sperequazioni che si sono stratificate nell’arco della storia … Il Vangelo ci invita a ribaltare tutto, a ricominciare da capo …

Il Regno di Dio, cioè Dio che vuole garantire la sua signoria divina promuovendo tutte le persone: non soltanto quelle che sono più forti o più capaci… la sua giustizia è che nessuno si perda. E questo ci può fare ridimensionare anche certe nostre pretese.
Quindi non un atteggiamento di fuga, non un atteggiamento di addolcimento della situazione, ma un appello evangelico che ci dice: impariamo a guardare la realtà degli altri insieme con quella nostra. Che è il punto di vista di Dio, che vuole che tutti siano salvi, adesso.

E con tutti dobbiamo sapere condividere. Altrimenti se partiamo solo dal nostro bisogno, non alzeremo gli occhi verso i bisogni degli altri. Avremmo mille nostri bisogni da salvaguardare, mille acquisizioni da custodire gelosamente …
Mentre dobbiamo ridimensionare tutto. Se guardiamo alla realtà dall’alto di Dio che vuole promuoverla per tutti, non solo per una parte, e non a scapito di una parte.
E quindi il Vangelo ci apre gli occhi, ancora una volta. Ecco, ci insegna anche questo sguardo nuovo, allargato sulla realtà, di tutti.

(Il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: pertanto eventuali errori o omissioni sono della scrivente Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze nella trascrizione dell’omelia)
(Interviene poi il presbitero che concelebra, che proviene da Vicenza)

Mi ha colpito trovarmi qui oggi e accogliere questa Liturgia della Parola che ci dà un forte messaggio di tenerezza. Il Dio biblico è un Dio della tenerezza al punto tale che si presenta a noi con l’immagine della mamma e del suo figlio. E non c’è niente di più tenero di questo. Se addirittura ci fosse una madre che si dimentica, Lui no.
E allora mi è venuta in mente, caro Cosimo, l’immagine del grande padre Alex Zanotelli che dice: “Il compito dei cristiani oggi è uno solo: costruire oggi la civiltà della tenerezza.”
Che è fondata su questa scoperta sorprendente anche di quest’amore di Dio che è cura, che è misericordia, che è padre, che è madre, che è fratello, che è sposo, che è vicino, che è prossimo …
Pensavo che la società della tenerezza è il contrario di una società di mafie, di criminalità, di sopraffazioni, di ingiustizie, di predominio del più potente verso il debole. Questo tipo di società ce l’abbiamo anche a Vicenza, sia ben chiaro, non siamo messi meglio di nessuno.
Allora, forse compito per i cristiani italiani che scoprono l’unità d’Italia potrebbe essere quello di aiutarci reciprocamente a trovare queste radici comuni nella tenerezza di Dio per costruire un mondo migliore. E quindi essere, sempre e comunque, diversi: perché il cristiano è un differente. E’ uno che esprime un’alternativa alla logica del mondo.

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