martedì 31 gennaio 2023

Ci sono donne gonfie d'amore

J.Sorolla: Bagno nella spiaggia

Ci sono donne gonfie d’amore
sono spade e forcelle e assi
nella manica.
Vitalità si sporge
dai capezzoli per un latte piccolo
all’infante. Le condiziona la struttura celeste
quel tessere l’enigma
fino al velo scostato per pochissimo
fino alle sonde acute 
di concentrazione.




Non sono donne in verità
ma passeri sporgenti su nidiate
inermi. L’estate entra
nei vestiti
e s’infila
in un sudore d’ossa delicate.

Sono qui. Portano parte del peso
una polvere di stelle primarie.
Soccorrono ridendo
le sponde d’un cielo
imperfetto che a volte cade.

Piangono. Ogni tanto.
Quel guastarsi del pane
il grave precipizio del tempo.
Sono che non c’è al mondo
bocca che rida meglio
di quella loro fiamma. O leggerezza
in sponda d’infante.

Niente c’è che perfori
come l’incendio a festa
di quel riso. Sono capanne
dove lo stanco pellegrino
piange
un poco
in sere cupe di gravità terrestre.

Dicono «Si nasce in avanti. Verso la fonte
di tutta una luce. Al qui.
Al tempo. Al niente. Càlmati ora».

Sono qui per questo. Portare la parola.
Ridere. Stare senza pensiero.
Dare da mangiare. Essere geniale svolta.
Pulire dove si sporca. Miracolare.
Sono opera intera d’un amore
trapuntato di stelle.

Mariangela Gualtieri Bestia di gioia, Eiinaudi, Torino, 2010, pag, 58,59

J:Sorolla. A la orilla del mar (1908)


venerdì 27 gennaio 2023

Erano quattro giovani soldati a cavallo...

Pino Manzella: Primo Levi (Poeti, scrittori e altre creature inutili...Arsenio ed. 2020)

         "La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Somogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera (…). 
      Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi,
      A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo. 
     Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili, sotto i pesanti caschi di pelo.
    Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo."
Primo Levi, La tregua, Einaudi, Torino, 1997, p.10

Che errore, che orrore non fare partecipare i russi alla commemorazione odierna…



mercoledì 25 gennaio 2023

Ora mattutina

Sto ancora dormendo,
ma nel frattempo accadono fatti.
La finestra sbianca,
le tenebre sfumano nel grigio,
la stanza emerge dallo spazio indistinto,
vi cercano appoggio ombre pallide, vacillanti.

In successione, senza fretta,
poiché è una cerimonia,
spuntano le superfici di soffitto e pareti,
le forme si separano
l’una dall’altra,
il lato sinistro dal destro.

Albeggiano le distanze tra gli oggetti,
i primi bagliori cinguettano
sulla bottiglia, sulla maniglia.
Ora non solo sembra, ma esiste appieno
ciò che ieri è stato spostato,
ciò che è caduto sul pavimento,
ciò che è racchiuso nelle cornici.
Solo i dettagli
ancora non sono entrati nel campo visivo.

Ma attenti, attenti, attenti,
ci sono molti indizi che stanno tornando i colori
e anche la minima cosa riacquista il proprio,
insieme a una sfumatura d’ombra.

Ciò mi stupisce troppo di rado, ma dovrebbe.
Di solito mi sveglio nel ruolo di testimone in ritardo,
quando il miracolo è già avvenuto,
il giorno già costituito
e il mattinale magistralmente trasformato in mattutino.

Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009), 
a cura di Pietro Marchesani, pag. 597, Adelphi, Milano

domenica 22 gennaio 2023

Addio, Biagio: una vita dedicata agli ultimi

       Palermo - “Ci sono uomini che vedono cose che gli altri non vogliono vedere: la povertà, l’abbandono, la sofferenza, la solitudine…Biagio Conte ha visto uomini e donne invisibili, li ha cercati, li ha presi per mano, li ha accolti e accarezzati.  Ha attraversato l’intero catalogo delle sofferenze umane, portando ogni croce, ma non ha mai perso il suo sorriso meraviglioso e pieno di meraviglia”.
       Con queste parole, il giornalista Nicola Alosi ha aperto il Tg Sicilia del 12 gennaio, comunicando la scomparsa di Biagio Conte, missionario laico palermitano morto per un tumore al colon a 59 anni, da trent’anni punto di riferimento per i poveri e gli emarginati del capoluogo siciliano.
Per chi non lo ha conosciuto, non è facile intuire l’enorme fascino emanato da un uomo semplice nella sua straordinarietà, ma che ha preso sul serio il ‘Beati i poveri’ del Vangelo e lo ha testimoniato con la sua vita. 
    Come ha sottolineato l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice: “Biagio ha sentito la presenza di Dio dentro di sé, tanto da riuscire a cambiare la città e a diventare un segno profetico per Palermo”. 
   La storia della sua vita presenta analogie con quelle di san Francesco d’Assisi: anche Biagio abbandona da giovane gli agi di una famiglia benestante per andare a vivere in meditazione e in povertà all’interno della Sicilia. Ecco come ci racconta l’inizio della sua ricerca esistenziale e spirituale Sandro Riotta, un cittadino palermitano vicino alla famiglia di Biagio: “Per ragioni di lavoro conoscevo suo padre, un impresario edile. Nel 1990 lo vidi piangere disperatamente, aveva perso Biagio. Denunciò la sua scomparsa, si rivolse pure a “Chi l’ha visto”…
     Biagio se ne era andato di casa per cercare disperatamente la sua vocazione, che prima credeva fosse quella artistica, per questo era vissuto per qualche tempo a Firenze. Poi, a ventisei, era scappato a piedi ad Assisi, in compagnia solo del suo cane Libertà. Ad Assisi Biagio sente di volersi dedicare all’aiuto degli ultimi e pensa di andare come missionario in Africa.
    Ma, tornato a Palermo, rimane impressionato dalle sacche di miseria e dai tanti bisognosi esistenti in città. E decide di fare il missionario nella sua terra.
    Comincia così a soccorrere i tanti - barboni, alcolisti, stranieri, giovani sbandati, prostitute – che stazionavano la sera nei pressi della Stazione Centrale. Li avvicina e dona loro quello che riusciva a racimolare e a raccogliere nella sua ‘500 bianca: latte, biscotti, the caldo…
    A poco a poco, diviene un punto di riferimento per gli ultimi della città. Fa il suo primo digiuno all’inizio degli anni ’90 per sensibilizzare le Istituzioni sui bisogni e la sofferenza dei troppi poveri di Palermo: con la sua tenacia e il suo disarmante sorriso riesce a muovere le acque stagnanti di una città allora considerata la capitale della mafia. A Biagio sono assegnati alcuni locali in via Archirafi: nasce finalmente la “Missione Speranza e Carità”, dove i bisognosi ricevono cibo, vestiti, sostegno e, se necessario, un posto dove dormire.
   La Missione Speranza e Carità si sostiene con contributi soprattutto di privati cittadini che donano soldi, manodopera o contributi alimentari di vario genere.
   Ma Biagio non si ferma alla realizzazione della struttura di via Archirafi: lotta, con proteste e digiuni, perché si apra anche una casa di accoglienza per donne in difficoltà: donne senza casa, prostitute tolte alla strada, ragazze madri da supportare per reinserirle in un percorso di sostegno. Così, alla fine degli anni’90, a Palermo sorge una casa anche per loro. E poi, negli ultimi anni, viene realizzata una terza struttura, vicina alla prima, per accogliere altri uomini in difficoltà. 
    Nella camera ardente che ha accolto la salma di Biagio c’è stato un viavai ininterrotto di gente; per il suo funerale, celebrato in cattedrale il 17 gennaio dall’arcivescovo di Palermo, la chiesa era gremita, con tantissime persone nel piazzale antistante. A rendergli omaggio e a pregare per lui musulmani, ebrei, indù, protestanti, cattolici, credenti e non credenti. Biagio Conte non ha mai chiesto a nessuno quale fosse la sua religione: per lui la misericordia superava ogni diversità e univa l’umanità in un unico abbraccio.
Lorefice ha ricordato nella sua toccante omelia che “Il 15 settembre del 2018, Papa Francesco a Palermo scelse di non entrare in nessun palazzo, non entrò nel palazzo Comunale, non entrò nel palazzo della Regione, non entrò a Palazzo Arcivescovile. Il Papa scelse di “vivere” Palermo attraverso i segni concreti realizzati da Biagio e dalla comunità della Missione, insieme agli ospiti, ai bambini, ai volontari”.
   Biagio non le mandava a dire neppure su temi come l’impegno contro la guerra e la lotta per la tutela dell’ambiente. In un suo appello del 18 novembre scorso, scriveva, col suo stile rude e diretto: "Basta Italia, non costruire mai più armi, ma strumenti di lavoro: fratelli e sorelle politici e autorità, vi invito a cambiare il modo di vivere e di governare: mettendo in pratica così il dono di essere dei veri costruttori di Pace. Italia, hai il dovere di fermare la guerra in Ucraina e in Russia e non di alimentarla ancora, come hai fatto negli anni, fornendola di tantissime armi, non solo lo Stato dell’Ucraina, ma anche tantissimi altri Stati di tutto il Mondo.”
    E il 23 settembre aveva indirizzato ai giovani di Friday for Future un messaggio di solidarietà, che iniziava con queste parole: “Amati e preziosi giovani del Friday For Future siete il futuro e la speranza, chi dovrà migliorare questo mondo siete voi. Ma è doveroso che noi adulti vi diamo una mano, un aiuto, anche se siamo responsabili di avervi consegnato un mondo corrotto, pieno di materialismo e di consumismo e di tecnologia usata male, che purtroppo non rispetta il buon Dio e tutto l’ambiente che ci sta attorno. E così tristemente si continua ancora oggi a maltrattarlo e ad inquinarlo”
   Biagio dunque Santo subito? Ecco cosa scrive don Cosimo Scordato, teologo palermitano: “La sua testimonianza è una critica silenziosa ai sistemi che stritolano la nostra umanità, i sistemi che lasciano ai margini miliardi di persone. Biagio ha lavorato con i poveri, non per i poveri. Ci consegna una nuova prospettiva del mondo. Biagio è già beato per l’impegno in vita. Questo al di là di ogni eventuale processo di beatificazione che potrà arrivare.”

  Gli fa eco la giornalista Dorella Rizzo: “Perché bisogna per forza proclamare tutti coloro che si sono prodigati per gli altri oltre misura… santi? Ascoltando in tanti anni le notizie giornalistiche che parlavano dei sacrifici fatti da fratel Biagio per il prossimo, quando si incatenava e si dispiaceva per l'indifferenza della società nei confronti dei fratelli bisognosi, ho sentito tutta la disperazione di un uomo, di un laico che non è rimasto a guardare in silenzio ... Siete sicuri che un uomo che ha scelto di servire il Signore da laico senza voler essere nessuno aspetti o sia felice di essere proclamato nientedimeno che Santo? Lasciamo che la sua vita rimanga un esempio che tutti possono emulare, per diventare più che santi direi ... uomini migliori.”  “Con quel suo sguardo azzurro che sembrava sempre un po’ meravigliato, sospeso a metà, tra le rughe d’espressione della fronte, e un sorriso largo, disarmante, contagioso, perfetto” fratel Biagio continuerà comunque a sorridere
     Non perché proclamato santo – anche se le premesse ci sono tutte – ma soprattutto se, seguendo il suo esempio, continueranno a essere realizzati nella nostra terra martoriata, “frammenti di vita alternativa di comunità gioiose, spazi di lavoro, di condivisione e di bellezza”, come ci ricorda don Cosimo Scordato.
     Allora, grazie di cuore, caro Biagio, per aver tracciato a Palermo una via illuminata, gioiosa e creativa di santità universale: osare l’impossibile per il bene di tutti.

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 22.1.23

sabato 21 gennaio 2023

La nonviolenza oltre i pregiudizi

Andrea Cozzo, Francesco Lo Cascio e una signora che ha partecipato
      Ieri 20 gennaio, a Palermo, nei locali della Parrocchia santa Lucia, a piazza della Pace, il MIR – Movimento Internazionale della Riconciliazione – ha organizzato la presentazione del testo di Andrea Cozzo: La nonviolenza oltre i pregiudizi Cose da sapere prima di condividerla  o rifiutarla (Di Girolamo, Trapani, 2022)
      Nonostante il tempaccio, la presentazione - condotta da Andrea Cozzo e Francesco Lo Cascio (responsabile della sezione di Palermo del MIR) - è stata feconda e ricca di interventi significativi.






Il MIR di Palermo, associazione nonviolenta ecumenica, è la sede locale del Movimento Internazionale della Riconciliazione, branca italiana dell'IFOR (international fellowship of reconciliation).

www.ifor.org      mir_sicilia@yahoo.it

Siti Web:

 httP://www.mirSicilia.com  http://www.Ifor.org  http://www.Riconciliazione.wordpress.com

http://it.groups.yahoo.com/group/MIR_Palermo/






Si segnala qui, 
a cura di Antonino Cangemi, una recensione del testo












Questi i siti per chi volesse saperne di più sul Movimento nonviolento:

giovedì 19 gennaio 2023

Qui

Paul Cezanne: Veduta di Auvers (1874 circa)
Non so altrove,
ma qui sulla Terra c’è abbondanza di tutto.
Qui si producono sedie e afflizioni,
forbicine, violini, tenerezza, transistor,
dighe, scherzi, tazzine.

Forse altrove di tutto ce n’è di più,
solo per certe ragioni là mancano dipinti,
cinescopi, ravioli, fazzolettini per il pianto.

Qui ci sono luoghi con dintorni in quantità.
Ad alcuni puoi essere molto attaccato,
chiamarli a tuo modo
e preservarli dal male.


Forse ci sono luoghi simili altrove,
ma nessuno li considera belli.

Forse come in nessun posto, o in pochi,
qui trovi un torso a sé stante,
e insieme a lui gli accessori che servono
per aggiungere bambini propri agli altri.
E poi le mani, le gambe e una testa stupita.

L’ignoranza qui ha molto lavoro,
conta, confronta, misura di continuo qualcosa,
ne trae conclusioni, ne estrae le radici.

So bene cosa pensi.
Qui non c’è nulla che dura,
perchè da sempre e per sempre in balia degli elementi.
Bada però – gli elementi si stancano in fretta
e ogni tanto devono riposare a lungo
fino alla volta successiva.

E so cos’altro pensi.
Guerre, guerre, guerre.
Però anche fra loro capitano intervalli.
Attenti! – Gli uomini sono cattivi.
Riposo! – Gli uomini sono buoni.
Sull’attenti si producono luoghi deserti.
A riposo col sudore della fronte
si costruiscono case e ci si vive alla svelta.

La vita sulla Terra costa abbastanza poco.
Per i sogni ad esempio qui non paghi un soldo.
Per le illusioni – solo se perdute.
Per il possesso del corpo – solo con il corpo.

E come se ciò non bastasse,
si va senza biglietto sulla giostra dei pianeti,
girando a sbafo, nella tormenta di galassie,
in tempi così vertiginosi
che niente qui sulla Terra potrebbe fare un passo.

Su, su, osserva bene:
il tavolo sta dove stava,
sul tavolo il foglio, come è stato messo,
dalla finestra socchiusa solo una folata d’aria
e neanche una crepa paurosa sui muri,
per la quale ti si soffi via – da nessuna parte.

Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009), 
a cura di Pietro Marchesani, pag. 684-685, Adelphi, Milano

domenica 15 gennaio 2023

Golden Globe: “The Fabelmans” vince, ma non convince

       Palermo – “The Fabelmans”, uscito nelle sale italiane il 22 dicembre scorso, ha fruttato a Steven Spielberg due Golden Globe: uno come regista (terzo Golden Globe della sua carriera) e uno come miglior film drammatico. 
      Il film si avvale dell’ottima recitazione di Michelle Williams, nel ruolo di Mitzi, personaggio ispirato alla madre di Spielberg, e di quella di Gabrielle LaBelle, Paul Dano e Seth Rogen, rispettivamente nei ruoli del protagonista - il giovane Sammy Fabelman che scopre e realizza la sua passione per il cinema - di suo padre Burt, ingegnere brillante e iper-razionale, e di Bennie, l’amico di famiglia affabile ed estroverso, adottato come ‘zio’ e non solo. “The Fabelmans” riprende in modo romanzato vicende dell’infanzia e adolescenza del regista statunitense, ed evoca il sogno americano degli anni ’50 e ’60, quando si celebrava la possibilità di realizzare comunque le proprie aspirazioni, magari in California…



      Punto di forza delle due ore e mezza del film è la celebrazione della potenza espressiva del cinema, la decima musa partorita nel ventesimo secolo: Spielberg mostra che l’occhio che guarda dietro la videocamera permette di vedere qualcosa di non immediatamente compreso nella realtà, e conferisce una nuova sostanza narrativa ai frammenti sparsi degli accadimenti della vita.    
     Chi decide di fare cinema, come il giovane Sammy, alias Spielberg ragazzino, assume quasi il potere demiurgico di decidere cosa è figura, cosa starà in primo piano, e sarà quindi manifesto e visibile, e cosa invece diverrà sfondo, prospettiva secondaria.
     Il pluripremiato The Fabelmans ha una perfetta colonna sonora, curata da John Williams, collaboratore di lungo corso del regista: compositore e direttore d’orchestra, Williams, nella sua lunga carriera, ha già vinto cinque Oscar per le sue musiche, più altri numerosi e prestigiosi riconoscimenti.
    Un film imperdibile quindi? Dispiace per il grande Spielberg, ma, nonostante i due Golden Globe, The Fabelmans non convince appieno e non merita un omaggio incondizionato, anche se le due ore e mezza della pellicola scorrono gradevolmente grazie alla consumata maestria del regista.
     Ad avviso di chi scrive, il film sarebbe stato di gran lunga più convincente se Spielberg avesse osato procedere per ‘sottrazione’, tagliando qualche scena, piuttosto scontata e ripetitiva, e alcuni dialoghi, ridondanti e persino didascalici. Non ha convinto, ad esempio l’ingresso dell’anziano zio materno, che pronuncia frasi melodrammatiche ad effetto, non necessarie nell’economia del film; sanno di già visto le scene dei compagni bulli, che picchiano Sammy; fa sorridere, ma sembra a tratti una caricatura, il flirt di Sammy con una compagna di scuola, religiosa fanatica. Come se il sommo Spielberg faticasse a trovare una sintesi espressiva vincente tra l’afflato autobiografico e il desiderio di celebrare l’occhio della macchina da presa, che si inseriscono purtroppo in una serie non sempre felice di clichés cinematografici già visti.
Quandoque bonus dormitat Homerus: anche il grande Omero talvolta sonnecchia, sentenziava il poeta latino Orazio, nel primo secolo a.C. Potremmo parafrasare la stessa affermazione per il nostro illustre regista… Con estremo rispetto per Omero, per Orazio e, ovviamente, per il grande Spielberg



Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 15.1.23

martedì 10 gennaio 2023

Elenco

Ho fatto un elenco di domande
a cui ormai non otterrò risposta,
poiché o sono premature
o non farò in tempo a comprenderle.

L’elenco delle domande è lungo,
tocca questioni più e meno importanti,
e poiché non voglio annoiarvi,
ne rivelerò solo alcune:





Cos’era reale
e cosa sembrava esserlo appena
in questa platea
stellare e substellare,
dove oltre al biglietto d’ingresso
bisogna avere quello d’uscita;

Che ne sarà di tutto il mondo vivo,
che non farò in tempo
a paragonare con un altro mondo vivo;

Di cosa scriveranno
l’indomani i giornali;

Quando cesseranno le guerre
e cosa le sostituirà;

All’anulare di chi
è ora l’anello
rubatomi – perduto;

Dov’è il posto del libero arbitrio,
che riesce a esserci e non esserci
contemporaneamente;

Che ne sarà di decine di persone –
ci conoscevamo davvero oppure no;

Cosa cercava di dirmi M.,
Quando non poteva più parlare;

Perchè ho preso per buone
cose cattive
e cosa mi occorre
per non sbagliarmi più?

Certe domande le annotavo
un istante prima di addormentarmi.
Al risveglio
non riuscivo più a decifrarle.

A volte ho il sospetto
che si tratti di un codice vero.
Ma anche questa è una domanda
che mi abbandonerà un giorno.

Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009), 
a cura di Pietro Marchesani, pag. 619, Adelphi, Milano

domenica 8 gennaio 2023

Edgar Morin traccia la rotta per il futuro

      Palermo – Nelle 75 pagine assai dense del libretto Svegliamoci! (Mimesis Edizioni, Milano, 2022), il filosofo e sociologo francese Edgar Morin fornisce un’acuta analisi delle criticità dell’attuale sistema sociale.
     Il filosofo denuncia innanzitutto il mito del ‘transumanesimo’, termine che indica il completo dominio dell’umano sulla biologia e il potenziamento dell’intelligenza artificiale.  Ma, a suo avviso: “la filosofia transumanista maschera il vero problema dell’umanità, che non consiste nell’aumento quantitativo dei suoi poteri ma nel miglioramento qualitativo delle condizioni di vita e delle relazioni fra gli uomini.”
   Morin afferma poi che che “è il progresso, nella sua forma tecno-economica, a condurre verso il disastro” poiché esso sta trasformando l’antropocene – così viene ormai definita la nostra epoca - in ‘thanatocene’, fase di morte e distruzione. Per Morin, il motore principale della minacciosa crisi incombente è “la potenza prodotta dalla trinità scientifico-tecnico-economica animata dal dominio insaziabile del profitto, come dall’energia implacabile degli Statil”. In tale contesto, la globalizzazione non è stata altro che “una mondializzazione tecno-economica”, realizzatasi sotto l’egida dell’onnipotenza del profitto.
     Viene di conseguenza denunciato il catastrofico imperativo della crescita, dogma della società contemporanea. Già nel 1972, nello studio I limiti dello sviluppo, si sottolineava che il nostro pianeta, con i suoi delicati ecosistemi e i limiti della biosfera, non può sopportare una crescita tecno-economica progressiva: “paradossalmente, dovremmo fermare la crescita per salvare il pianeta e sostenere la crescita per salvare la regolazione delle società moderne.” “Il superamento di questa contraddizione non può che venire da una politica che assicuri la decrescita di tutto ciò che inquina e distrugge e la crescita di tutto ciò che salvaguarda e rigenera”. Ma la maggior parte dei responsabili della vita pubblica sono incapaci di affrontare questa contraddizione e dimenticano “l’interesse generale, che è planetario, per concentrarsi sui propri interessi privati immediati, legati alla crescita economica”.
     Purtroppo – ripete da sempre Morin – l’umanità è incapace di un pensiero complesso, che includa e contemperi gli opposti: “La nostra educazione ci ha inculcato un modo di pensare incapace di collegare le conoscenza per affrontare le complessità della nostra storia e del nostro tempo”; “il pensiero egemonico si fonda su una concezione della razionalità limitata alla logica aristotelica che esclude qualunque contraddizione come un’assurdità”. Secondo Morin, è necessaria invece una rivoluzione paradigmatica, capace di “riconoscere, distinguere e riunire antagonismi complementari”. 
       Con una calzante metafora, lo studioso ci esorta poi a navigare nei mari dell’incertezza, rinunciando a ogni concezione lineare della Storia: bisogna essere capaci di reggere il timone anche nelle acque incerte e drammatiche della modernità, senza l’approdo sicuro di un porto religioso o metafisico, cercando sempre di “trasformare la specie umana in umanità”.
    È necessario allora, incalza ancora il filosofo, “abbandonare il sogno prometeico di dominare l’universo per aspirare alla convivialità sulla Terra”, riconoscendo il nostro legame originario con la biosfera e organizzando di conseguenza modalità di vita sociale adeguate. 
    Dobbiamo, quindi, coltivare una politica pienamente umanista: “una politica nuova che integri in sé l’ecologia, la cui portata è capitale e multidimensionale, riguarda cioè tutti gli aspetti politici, sociali, tecnici e scientifici”.
      E il vegliardo francese conclude il testo con un crescendo di proposte lucide e profetiche, da lui stesso definite “prospettive grandiose in grado di mobilitare energie”: “Salvare il pianeta minacciato dal nostro sviluppo economico. Regolare e controllare lo sviluppo tecnico. Assicurare uno sviluppo umano. Civilizzare la terra”.
     Morin, che non è affatto un utopista ingenuo, sa bene che non si potranno mai eliminare dal mondo la sofferenza e la morte, ma, a suo avviso, si può e si deve “aspirare a un progresso nelle relazioni fra esseri umani, etnie e nazioni. Rinunciare al migliore dei mondi non significa affatto rinunciare a un mondo migliore”. 
    Ed esprime alla fine tre principi di speranza: primo, puntare sull’improbabile, sugli avvenimenti quasi impossibili che comunque possono accadere, cambiando in positivo il corso delle cose; secondo, essere consapevoli che qualunque sistema che trasformi società e persone in macchine non può durare all’infinito; terzo, aver fede sulla creatività e sulle possibilità della mente umana: “le sue possibilità sono incommensurabili, non solo per il peggio, ma anche per il meglio. Se sappiamo come distruggere il pianeta, abbiamo anche la possibilità di sistemarlo”.
    Grazie di cuore, dunque, al vegliardo francese (101 anni compiuti a luglio) che non si stanca di indicare vie di salvezza e invita a percorrerle con grinta, lucidità e coraggio, tenendoci laicamente per mano come ‘fratelli tutti’.
Maria D'Asaro, 8.1.23, il Punto Quotidiano

martedì 3 gennaio 2023

La milizia eroica della differenziata...

   Fanno parte di quel 50% circa di cittadini palermitani che pagano la TARI. Ma non si limitano all’osservanza del  dovere fiscale  e a conferire correttamente l’immondizia nei cassonetti: abitanti di una delle periferie urbane, dove il servizio della raccolta differenziata dei rifiuti non è mai partito, differenziano tutto il differenziabile (umido, plastica, vetro, metalli, carta, apparecchiature elettriche ed elettroniche, batterie scariche, oli esausti…), se lo caricano in auto e lo portano al centro di raccolta più vicino (che spesso vicinissimo non è) utilizzando con pazienza tempo e carburante a caro prezzo. 
      Perché lo fanno? Perché hanno una coscienza ambientalista così pura e marcata da rasentare il masochismo, considerato che non traggono alcun vantaggio personale dalla loro lodevole condotta (neanche un centesimo di sconto sull’importo della Tari). Sono dunque gli eroi silenziosi di una Palermo nascosta e incorrotta, che dovrebbe onorarli come membri di una  laica milizia: la confraternita dell’immacolata differenziazione.

Maria D'Asaro

(Per chi non lo sapesse: 

"Il centro di raccolta è un’area strutturata, sorvegliata e gestita, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee come previsto dall’art. 183, comma 1, lettera m) del decreto legislativo 3 Aprile 2006, n.152, e successive modifiche.
Il centro di raccolta è un servizio a disposizione della comunità cittadina per incrementare la raccolta differenziata, disincentivare l’abbandono abusivo dei rifiuti sul territorio comunale e agevolare anche il recupero del rifiuto.
E’ un’area dove i cittadini possono conferire in sicurezza i rifiuti urbani e finanche quelli ingombranti e rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (fino a 10 ingombranti/pezzi per ogni conferimento) che non possono essere gettati nei tradizionali cassonetti."

Qui informazioni sui centri di raccolta che ci sono a Palermo.