domenica 30 giugno 2019

L’educazione emotiva cenerentola a scuola

              Palermo – Anche se circa 500.000 studenti delle scuole superiori stanno ancora sostenendo l’esame di maturità, l’anno scolastico 2018/19 è ormai agli sgoccioli. E si può tentarne un bilancio. Specie dopo l’entrata in vigore della legge 107/2015, che ha fornito nuove indicazioni per la stesura del PDM (Piano di Miglioramento) e del RAV (Rapporto di Autovalutazione) e ha prescritto anche la rendicontazione sociale, cioè il dare conto degli impegni assunti, dell’uso delle risorse, dei risultati conseguiti ai propri stakeholders/portatori di interessi (studenti, famiglie, comunità locale, ecc.), la scuola italiana sta prendendo come modello la forma”azienda”. E’ corretto che una sorta di bilancio sociale misuri, ricorrendo ad opportuni indicatori, le performance delle varie scuole in termini di efficienza (miglior utilizzo delle risorse disponibili), di efficacia (raggiungimento degli obiettivi); ma il problema sorge se, per stare dietro a numeri e grafici, si perde di vista la sostanza e la ‘mission’ educativa dell’Istituzione. 
Un segnale d’allarme  in tal senso è stato lanciato a Firenze nell’ottobre 2018, durante la Fiera educativa Didacta, dal professore Umberto Galimberti e dalla dottoressa Laura Artusio, che - nell’ambito dell’incontro “Educazione emozionale a scuola: il metodo RULER” - hanno sottolineato lo scarso peso occupato nella scuola italiana dall’intelligenza emotiva, nonostante tale componente sia fondamentale per un sano sviluppo della psiche umana.
Prof. Umberto Galimberti
         Galimberti ha ricordato la differenza tra istruzione, mera trasmissione di saperi, ed educazione, che permette ai ragazzi di sviluppare la propria personalità: “L’educazione emotiva è ciò che più scarseggia nel sistema scolastico italiano; quando un ragazzo rimane impantanato nello stadio pulsionale il rischio è che sviluppi forme di violenza e bullismo. La pulsione non si esprime in parole, ma solo in gesti e azioni”. Il professore ritiene poi che per migliorare le cose bisognerebbe “Innanzitutto limitare il numero di alunni per classe, fino a un massimo di quindici studenti; ma soprattutto ci vorrebbe una formazione specifica per i professori, che dovrebbero essere scelti anche in base a criteri emotivi e non solo conoscitivi. Se una persona non è empatica e coinvolgente non può fare il professore. È qualcosa che non si può imparare”. Galimberti lamenta infine l’uso spropositato di strumentazioni tecnologiche nella scuola: “Dovrebbe essere strapiena di letteratura, soprattutto di romanzi, che permettono di definire le proprie emozioni immedesimandosi nella vita degli altri. Il razzismo nasce proprio dall’incapacità di riconoscersi nell’altro, e su questo dobbiamo intervenire oggi più che mai”.
                        La dottoressa Artusio ha poi presentato il metodo RULER di educazione socio-emozionale (SEL). R.U.L.E.R. è  l’acronimo di Recognizing: riconoscere le emozioni nelle espressioni del volto, negli indizi vocali e nel linguaggio del corpo; Understanding: comprendere le cause e le conseguenze delle emozioni; Labeling: classificare l’intera gamma delle emozioni utilizzando un vocabolario ricco; Expressing: esprimere le emozioni in maniera appropriata nei vari contesti; Regulating, gestire e regolare le emozioni efficacemente per avere relazioni sane e raggiungere gli obiettivi. Il fine di questo metodo infatti è quello di riconoscere, comprendere, definire, esprimere e gestire le proprie emozioni.
             Fanno parte del Metodo Ruler anche le tecniche del contratto emozionale, che impegna per iscritto ragazzi, insegnanti e genitori a dare la giusta importanza a quello che provano per creare un ambiente di vita migliore;  le tecniche dei meta-momenti, cioè dei momenti in cui ognuno ragiona sulle proprie emozioni, sulle loro cause, su cosa comporterà il restare di un certo umore; il blueprint, un questionario per dirimere i conflitti che viene somministrato in caso di litigio tra due studenti, con la consegna di esplicitare così le ragioni emotive del conflitto. Dove già sperimentato, il metodo RULER ha fatto registrare minori situazioni conflittuali tra studenti ed insegnanti, perché il metodo costringe le parti, indipendentemente dal ruolo, al chiarimento ed al superamento delle varie incomprensioni, a vantaggio di un clima relazionale più disteso e di un conseguente apprendimento scolastico davvero formativo. 
                Perché, come ci ricorda Aristotele: “Educare la mente senza educare il cuore non è affatto educare”.
Maria D’Asaro, 30.06.19, il Punto Quotidiano

sabato 29 giugno 2019

Spegni





Spegni
Negli occhi
Il riverbero d’oro
Troppi bagliori accecano l’anima
Nuda.   









(Mosca: cattedrali. Foto mari@dasolcare)    

giovedì 27 giugno 2019

Carola, il coraggio di reggere il timone

          "Sbruffoncella", è stata definita  da qualcuno, o "Vero capitano", come in funzione anti-salviniana la indicano i suoi sostenitori? Carola Rackete ha diviso nelle ultime 24 ore le due Italie che sui social si confrontano con toni aspri sull'azione della comandante della Sea Watch.
        L'hashtag che porta il suo nome è entrato rapidamente in tendenza generando moltissimi commenti. E nonostante sia al centro dell'attenzione e delle discussioni social, non è certamente quella la dimensione a lei più congeniale. Carola Rackete, infatti, non ha un account Facebook o Twitter. 
             Parliamo della comandante della nave Ong, battente bandiera olandese, che ha deciso di disobbedire all'ordine del ministro dell'Interno, e di entrare nelle acque territoriali italiane per far sbarcare i 42 migranti da due settimane a bordo della nave. Nonostante ora rischi l'incriminazione per favoreggiamento di immigrazione clandestina, il sequestro della nave e una multa da 50 mila euro.
       Carola Ranecke, tedesca, ha 31 anni, conosce quattro lingue (spagnolo, francese, russo, inglese) oltre quella materna (tedesco). Su LinkedIn si legge come sia laureata in scienze nautiche all’università di Jade nel 2011 e abbia conseguito un master in conservazione dell’ambiente presso l’università inglese di Edge Hill. Oggetto della sua tesi è un tema assai curioso: i nidi degli albatros. Nel 2014, per 8 mesi, ha lavorato nel Parco Naturale della Kamchatka dove ha fatto un po' di tutto: dalla guida per bambini e turisti alla manutenzione logistica delle attrezzature.
All'età di 23 era già al timone di una nave a spaccare il ghiaccio del Polo Nord per uno dei maggiori istituti oceanografici tedeschi: l'Alfred Wegener Institute. A 25 anni diventa invece secondo ufficiale a bordo della Ocean Diamond, mentre due anni dopo riveste lo stesso ruolo nella Arctic Sunrise di Greenpeace.
          Appena trentenne comanda piccole barche per escursioni nelle isole Svalbard, nel mare Glaciale Artico. Carola collabora con la Sea-Watch dal 2016. In passato ha lavorato anche con la flotta della British Antartic Survey e nell'estate del 2018 ha navigato nelle acque gelate dell'arcipelago della Terra di Francesco Giuseppe.  
Infine l'arrivo nel Mediterraneo dove, forse, si svolge la sua esperienza più dura al timone, sia sul piano tecnico che su quello umano e politico. 
           "Ho deciso - ha scritto sul profilo Twitter della Ong - di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo".  
            Intervistata da Repubblica si è definita con parole molto semplici: "La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare tre università, sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto ho sentito un obbligo morale: aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità. (da qui)

Qui le reazioni delle principali forze politiche italiane.

Questa l'opinione di Mao Valpiana:

"Davanti ad una situazione di emergenza, Carola Rackete, la capitana della Sea Watch, ha fatto bene ad agire per necessita', anche se questo comporta la violazione di leggi, in tal caso ritenute ingiuste. La difesa ed il rispetto della vita umana sono principi universali, che rispondono ad una legge superiore, e vengono prima di qualsiasi altra legge umana.
Sostengo percio' l'azione nonviolenta di disobbedienza civile messa in atto. Non solo, voglio esserne partecipe, come esempio di cio' che va fatto in questi frangenti: la vita prima della legge.
Ho quindi partecipato al finanziamento di questa azione umanitaria.
La Sea-Watch merita sostegno contro una legge ingiusta e disumana."
I contributi possono essere versati sul seguente conto bancario:
IBAN: DE77 1002 0500 0002 0222 88
BIC: BFSWDE33BER
Banca di riferimento: Bank fur Sozialwirtschaft Berlin

                                Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento - Verona, 26.06.2019 
(qui il suo blog; qui il blog di Azione nonviolenta)



lunedì 24 giugno 2019

Bianca Guidetti Serra, una donna 'illuminata'

         Se fosse stata ancora viva, l’avrebbe sicuramente difesa lei, la professoressa Rosellina Dell’Aria…
Lei era Bianca Guidetti Serra, nata nel 1919 e morta esattamente cinque anni fa, il 24 giugno 2014.
Bianca Guidetti Serra, impegnata nella Resistenza, avvocato, parlamentare, e' stata una delle figure piu' autorevoli della vita democratica italiana. Nata a Torino il 19 agosto 1919, e' deceduta a Torino il 24 giugno 2014. 

Dal sito della casa editrice Einaudi, ecco il seguente breve profilo: 
"Bianca Guidetti Serra ha svolto l'attivita' di avvocato penalista dal 1947 al 2001 (oltre all'impegno, a fianco del sindacato, in molteplici cause di lavoro, come nel campo del diritto di famiglia e della tutela dei piu' deboli, minori e carcerati). E' stata parlamentare nella decima legislatura (1987-91) e per vari anni consigliere comunale a Torino". 
Tra le opere di Bianca Guidetti Serra: Felicita' nell'adozione, Ferro, Milano 1968; (con Francesco Santanera), Il paese dei Celestini, Einaudi, Torino 1973; Compagne, Einaudi, Torino 1977; Le schedature Fiat, Rosenberg & Sellier, Torino 1984; Storie di giustizia, ingiustizia e galera, Linea d'ombra, Milano 1994; Bianca la rossa, Einaudi, Torino 2009; Contro l'ergastolo. Il processo alla banda Cavallero, Edizioni dell'Asino, Roma 2010. 

Da Wikipedia, qualche notizia in più:
Bianca è la seconda da sinistra, il primo a destra è Primo Levi
Figlia di un avvocato civilista e di una sarta, rimase orfana di padre appena diciottenne; la sua scelta antifascista avvenne fin dal tempo del liceo, per reazione alle leggi razziali di cui vedeva i soprusi che imponevano ai suoi amici ebrei, tra cui Primo Levi e Alberto Salmoni che nel maggio 1945, a guerra appena finita, sarebbe diventato suo marito.
La partecipazione alla Resistenza
Partecipa attivamente alla Resistenza nelle file del PCI e, insieme ad Ada Gobetti per il Partito d'Azione e altre militanti delle varie forze aderenti al CLN, organizza la rete torinese dei "Gruppi di difesa della donna e per l'assistenza ai combattenti della libertà", stampando e diffondendo clandestinamente il giornalino "La difesa della lavoratrice"; organizza brevi comizi clandestini in preparazione del 25 aprile 1945. Furono indirizzate a lei le uniche due cartoline postali con cui Primo Levi dette notizia della sua deportazione e della sua prigionia ad Auschwitz.
Primo Levi e Bianca Guidetti Serra
L'attività da avvocato
Dopo la Liberazione, intraprende l'attività di avvocata penalista: è una dei 6 avvocati donna su 800 appartenenti al Foro torinese. L'impegno professionale e politico di Bianca è attivo nel campo del diritto di famiglia e della tutela dei più deboli, dei minori e carcerati, nelle fabbriche torinesi per assistere gli operai per conto della Camera del lavoro, nelle cause di lavoro come nelle prime battaglie giudiziarie contro la nocività e l'inquinamento ambientale (Ipca di Cirié; Eternit di Casale Monferrato). Negli anni settanta è protagonista di grandi processi "politici" di rilievo nazionale, tra cui quello contro le schedature politiche degli operai alla FIAT.
Operò attivamente in molte associazioni. A nome dei Giuristi democratici, fece parte di delegazioni internazionali a sostegno delle donne carcerate (1959) e dei sindacalisti processati (1973) nella Spagna franchista, e poi ancora in Paraguay (1979) per il caso di un desaparecido argentino. Fu tra i soci fondatori, nel 1961, del Centro studi Piero Gobetti (di cui, nel 1994, divenne presidente per un decennio); con Francesco Santanera fu socia fondatrice, nel 1962, dell'Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affilianti), che si batté per la riforma della legge sulle adozioni, e nel 1965 dell'Uces (Unione contro l'emarginazione sociale) in difesa dei minori maltrattati negli orfanotrofi o negli istituti di ricovero.
L'attività nelle Istituzioni
Negli anni ottanta e novanta partecipa attivamente alla vita politico-istituzionale dapprima in ambito torinese e poi nazionale: candidata indipendente, presentata come capolista dal gruppo di Democrazia Proletaria, viene eletta (1985) nel Consiglio comunale di Torino, e si occupa principalmente di carcere, in particolare sui temi della socialità negli istituti di pena, della ricerca di forme alternative di pena, dei servizi ai detenuti e delle misure per il reinserimento dei detenuti.
Nel 1987 si dimette da consigliere per presentarsi, sempre come indipendente nelle file di Democrazia Proletaria, alle elezioni per la Camera dei Deputati; in Parlamento partecipa ai lavori delle Commissioni giustizia e antimafia occupandosi degli stessi temi di cui si era sempre occupata come avvocata, i temi della legalità e dei diritti, in particolare a tutela dei più deboli: minori, carcerati e lavoratori. Nel 1990, insieme a Medicina Democratica e all'Associazione Esposti Amianto (AEA) partecipa e alla presentazione, come prima firmataria, di una proposta di legge per la messa al bando dell'amianto, approvata poi nel 1992 ("Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto", Legge n. 257 del 27 marzo 1992).
Dimessasi dal Parlamento nel 1991, viene poi nuovamente eletta al Consiglio comunale di Torino, ma questa volta come indipendente del Partito Democratico della Sinistra. Rimase in carica fino al 1999, dimettendosi a metà del secondo mandato della giunta guidata dal sindaco Valentino Castellani. Si è dedicata da sempre a questioni centrali quali la giustizia, la galera, l'ergastolo.
     Ecco cosa disse di lei Peppe Sini - responsabile del Notiziario online: La nonviolenza è in cammino - a Viterbo all'indomani della scomparsa nel giugno 2014: 
"E' deceduta Bianca Guidetti Serra. La nonviolenza, l'antifascismo, il movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per la liberazione dell'umanita', perdono una compagna e una maestra. Resta la sua luminosa testimonianza, resta l'opera sua alacre e generosa, resta la sua lezione di fedelta' al vero e al bene, resta il suo amore per l'umanita'. La lotta che e' stata anche sua, la lotta per la giustizia, la liberta', la solidarieta', la lotta per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani, la lotta per la protezione dell'unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera, questa lotta continua. Bianca Guidetti Serra e' deceduta, ma non muore il valore della sua persona. Tutto travolge il tempo, ma la memoria dell'esistenza delle persone buone resta per sempre con l'umanita' in cammino, per sempre recando conforto e speranza, vivente esempio ed appello costante all'agire morale, alla civile virtu', all'aiuto reciproco, al bene comune".

domenica 23 giugno 2019

L'Italia si innamora delle ragazze del calcio


(Oggi su: il Punto Quotidiano)

              Sebbene battuta uno a zero dal Brasile, la Nazionale di calcio femminile, allenata da Milena Bartolini, è al primo posto nel suo girone e si è già qualificata agli ottavi di finale del Campionato mondiale che si sta disputando in Francia.
La nazionale italiana ha giocato la sua prima partita il 23 febbraio del 1968 a Viareggio, contro la Cecoslovacchia. Fin dall’inizio, ha disputato i vari tornei continentali ed internazionali che in quegli anni nacquero in Europa e nel mondo, ottenendo anche discreti successi. Nel 1984, con la nascita dei campionati europei organizzati dalla UEFA e poi dei mondiali organizzati dalla FIFA, le massime competizioni internazionali femminili divennero equivalenti di quelle maschili. L'8 giugno 2018, a venti anni di distanza dall'ultima partecipazione, la nazionale ha conquistato la sua terza qualificazione ai campionati mondiali. 
Forse non tutti sanno che già nel 1933 un gruppo di donne milanesi e alessandrine decise di cimentarsi nel gioco del calcio. Ma la loro passione sportiva non fu vista di buon occhio dal regime fascista che vietò con un apposito provvedimento alle donne di giocare a calcio. Il palermitano Giovanni Di Salvo nel libro "Le Pioniere del Calcio: la storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista" (Collana UNASCI della Bradipolibri), ha raccontato la storia delle giovani piemontesi, la cui avventura calcistica, seguita a quella delle ragazze milanesi, ebbe vita molto breve. Tra le alessandrine vi era anche Amelia Piccinini, che poi diverrà campionessa nell'atletica (salto in lungo, getto del peso e pentathlon).
"Quello accaduto nel 1933 a Milano e ad Alessandria  - spiega l'autore del libro -  rappresenta un evento significativo ancora poco noto. Per impedire alle donne di poter giocare a calcio prima furono addotte motivazioni mediche, in quanto si credeva che "rischiavano" di subire danni sotto l'aspetto fisico e riproduttivo, che però non trovarono riscontro nel mondo scientifico. E quando questa "folle idea" di giocare a pallone si diffuse da Milano anche ad Alessandria il Regime Fascista decise di intervenire "a gamba tesa" decretando di fatto il divieto alle donne di poter praticare il calcio. 
Così l'avventura delle giocatrici milanesi durò solamente pochi mesi, e ancor meno quella delle loro ‘compagne’ piemontesi, ma la loro storia e il coraggio dimostrato per aver lottato contro stereotipi e pregiudizi e contro un sistema maschilista meritano di essere raccontati”. 
Le campionesse della Nazionale italiana di oggi sono capitanate da Sara Gama (che, oltre a essere un ottimo difensore, è laureata in Lingue e letterature straniere e parla italiano, inglese, francese e spagnolo) e hanno debuttato al Mondiale con due vittorie, ai danni dell'Australia per 2-1 e della Giamaica per 5-0, vittorie che garantiscono appunto l'accesso agli ottavi di finale, mentre è ininfluente la sconfitta per 0-1 contro il Brasile. L'Italia infatti, grazie alla migliore differenza reti, è prima nel girone e sarà impegnata a Montpellier martedì prossimo nel suo ottavo di finale.
Forza azzurre: l’Italia fa la ola per voi!


Maria D'Asaro, 23.06.2019, il Punto Quotidiano

venerdì 21 giugno 2019

L'altrui mestiere

             Avrei voluto recensire il testo di Primo Levi L’altrui mestiere (Einaudi, Torino, 2018,  € 11).
Ma Italo Calvino ne ha scritto una prefazione bellissima. Cedo a lui la parola.
               Primo Levi ha raccolto in volume una cinquantina di scritti apparsi sui giornali (soprattutto su “La Stampa”) che rispondono alla sua vena d’enciclopedista dalle curiosità agili e minuziose e di moralista d’una morale che parte sempre dall’osservazione.
Tra le pagine degne di una antologia ideale “Segni sulla pietra”, che comincia con una ‘lettura’ dei selciati dei marciapiedi torinesi come documento mineralogico, antropologico, storico, e termina con amare riflessioni sull’indistruttibilità della gomma da masticare. L’occhio di Levi si posa sulla città come quello del paleontologo futuro che nelle stratificazioni dell’asfalto scoprirà «come gli insetti del pliocene nell’ambra, i tappi-corona della Coca-Cola e gli anellini a strappo della birra in lattine».
E’ questo il metodo con cui (La mia casa)  egli descrive l’appartamento in cui è nato e in cui tuttora vive (caso di sedentarietà simile a quello delle patelle che «si fissano a uno scoglio, secernono un guscio e non si muovono più per tutta la vita»).
Questi due pezzi e altri del volume esemplificano una ‘letteratura della memoria’ quale può nascere da una mente ordinata e sistematica, in cui dalla concretezza e precisione dei dettagli non manca di scaturire una nota di pathos lirico, pur sobrio e controllato.
Primo Levi
         Stabile/instabile – che comincia che comincia con un elogio del legno, per poi spiegare la sua naturale instabilità al contatto con l’ossigeno e rievocare (…) un caso di autocombustione della segatura – esemplifica altri due ‘generi letterari’ rappresentati variamente nel libro: quello della ‘voce di enciclopedia’ (…) e quello delle ‘memorie di un chimico industriale’, che è un tipo di racconto tutto suo, di cui avevamo avuto dei precedenti nel volume più “primoleviano”  di tutti, Il sistema periodico”. 
Nella chiusa di questo racconto, ecco tornare la vena del Primo Levi moralista: «I contorni di questa stabilità fragile, che i chimici chiamano meta stabilità, sono ampi. Vi stanno compresi, oltre a tutto ciò che è vivo, anche quasi tutte le sostanze organiche (…); ed altre ancora, tutte quelle che vediamo mutare stato a un tratto, inaspettatamente: un cielo sereno, ma segretamente saturo di vapore, che si annuvola di colpo; un’acqua tranquilla che, al di sotto dello zero, congela in pochi istanti se vi si getta un sassolino. Ma è grande la tentazione di dilatare quei contorni ancora di più, fino a inglobarvi i nostri comportamenti sociali, le nostre tensioni, l’intera umanità di oggi, condannata e abituata a vivere in un mondo in cui tutto sembra stabile e non è, in cui spaventose energie (…) dormono di un sonno leggero
Tra gli oggetti dell’attenzione enciclopedica di Levi, i più rappresentati nel volume sono  le parole e gli animali. Qualche volta si direbbe che egli tenda a fondere le due passioni in una glottologia zoologica o in una etologia del linguaggio. Nelle sue divagazioni linguistiche dominano le amene ricostruzioni di come le parole si deformano con l’uso, nell’attrito tra la dubbia razionalità etimologica e la sbrigativa razionalità dei parlanti. (…).
Anche negli scritti che riguardano la letteratura, la capacità di osservazione è la grande dote di Primo Levi: si veda Il pugno di Renzo, in cui dimostra che nei Promessi Sposi i gesti dei personaggi sono tutti sbagliati o impossibili, come gesti di un cattivo attore. E l’osservazione serve da chiave per capire qualcosa di più: 

«Il Manzoni sembra disposto ad ammettere certe soluzioni recitative solo “quando due passioni schiamazzano insieme nel cuore di un uomo”; ma in quello schiamazzo si legge chiara l’avversione cattolico-stoica dell’autore per le passioni di cui il personaggio, pur così amato, è schiavo».
Insomma, la stessa disposizione di spirito anima in Primo Levi l’abito mentale scientifico, la misura dello scrittore e del moralista. Un capitolo, Ex chimico, è dedicato al passaggio dalla sua prima professione a quella di scrittore ed enumera le lezioni valide per entrambe. «L’abitudine a penetrare la materia, a volerne sapere la composizione e la struttura, a prevederne le proprietà e il comportamento, conduce ad un insight, ad un abito mentale di concretezza e di concisione, al desiderio costante di non fermarsi alla superficie delle cose. La chimica è l’arte di separare, pesare e distinguere: sono tre esercizi utili anche a chi si accinge a descrivere fatti o a dare corpo alla propria fantasia».

Italo Calvino

martedì 18 giugno 2019

Ciao, Simona. Grazie.

            Io Simona Mafai la conoscevo di vista. Era spesso presente alla presentazione di libri che, evidentemente, apprezzavamo entrambe. 
      In particolare, leggeva e apprezzava i saggi dell’amico Augusto Cavadi, col quale avrebbe dovuto dialogare a Castellammare del Golfo  il 14 giugno scorso su: L’impegno politico delle donne, dalla resistenza antifascista al femminismo costruttivo.

Con lei se ne va una persona speciale, una mente pensante, un pezzo di storia siciliana e italiana.

Per chi non la conoscesse, ecco una sua scarna biografia su Wikipedia:
Simona, la madre Antonietta, Miriam e Giulia

Nata Simona Mafai essendo figlia dei pittori Mario Mafai e Antonietta Raphaël, era sorella della giornalista e scrittrice Miriam e della costumista e scenografa Giulia. Con le sorelle, in seguito alle Leggi razziali fasciste fu espulsa dalle scuole pubbliche in quanto figlie di una ebrea. Nel 1952 sposò Pancrazio De Pasquale, dirigente del PCI e futuro presidente dell'Assemblea regionale siciliana, trasferendosi quindi in Sicilia. Nel 1976 venne eletta senatore per il Partito Comunista Italiano, carica da lei tenuta fino al 1979. Nel 1980 divenne consigliere comunale di Palermo per il PCI. Fu rieletta nel 1985: nel 1990 lasciò il partito. Nel 1991 a Palermo fu tra le fondatrici, tutte donne, della rivista bimestrale Mezzocielo. 

Anna Puglisi, insieme a Umberto Santino fondatrice del Centro di documentazione Peppino Impastato e promotrice del “No Mafia memorial”, ne traccia un ritratto biografico più caldo ed esauriente (da qui):

Simona è la seconda delle tre figlie di due artisti, il pittore Mario Mafai e la pittrice e scultrice Antonietta Raphaël.  (…) La madre proveniva da una famiglia ebrea di Vilnius, in Lituania. Non era osservante, ma non rinunciava al rito del venerdì sera (lo shabbath) e non ha fatto battezzare le figlie. Dopo la promulgazione delle leggi razziali le tre sorelle, che già erano considerate diverse dalle compagne perché figlie di artisti, antifasciste ed ebree, subiranno l’allontanamento dalla scuola pubblica e Simona nel ’38 si trova in una scuola privata, spaesata tra ragazzi ebrei, che scrivevano in ebraico e frequentavano la sinagoga.
        Nell’estate del ’39 la famiglia decide di trasferirsi a Genova, dove le sorelle Mafai possono frequentare la scuola pubblica: il loro è un cognome “ariano”, della madre non si sa che è ebrea e riescono a eludere la richiesta di presentare il certificato di battesimo. Nel giugno del ’40 l’Italia entra in guerra, cominciano i bombardamenti, le corse nei rifugi. Ma Simona ricorda anche che è il periodo delle prime amicizie maschili, dei balli anche se in famiglia. E anche della presa di coscienza: c’erano dei prigionieri russi che venivano condotti a lavorare, sotto il controllo di soldati tedeschi, passando vicino alla loro casa. Simona e le sue sorelle un giorno decidono di comprare delle sigarette e al loro passaggio le lanciano tra i loro piedi. Simona commenta: «Era un atto di solidarietà concreta e in un certo senso anche rischiosa, fatto in modo del tutto spontaneo da tre ragazze tra gli undici e quindici anni» (da Un lungo incantesimo, da cui sono tratte le altre citazioni).
Simona col marito Pancrazio De Pasquale

         Il 25 luglio ’43 trova la famiglia ancora a Genova, ma il padre decide di tornare a Roma, dove, appena quattordicenne, Simona, pur non avendo ancora una vera e propria formazione politica, inizia il suo impegno, che non abbandonerà più anche se espresso in forme diverse. Bisognava distribuire «l’Unità» clandestina, appiccicare sui muri adesivi su cui era scritto “Viva Lenin”, lanciare volantini dal loggione di un teatro. Nell’autunno del ’44 decide, assieme a Miriam e contro la volontà del padre che per qualche tempo non volle parlare con loro, di andare a vivere in un appartamento affittato assieme ad altri compagni. Mentre si prepara per gli esami di riparazione e per l’ammissione al terzo liceo (ma deciderà che non è necessario avere una laurea e abbandonerà gli studi), viene accettata come dattilografa presso la sede del Partito Comunista, dove le danno da copiare i Quaderni dal carcere di Gramsci. 
          Nel ’46 ci sono le prime elezioni comunali, il Referendum , la Costituente e il sabato e la domenica Simona è impegnata in riunioni e comizi (dove sempre parlava anche una donna) a Roma e nei paesi del Lazio e dell’Umbria. All’inizio del ’48 viene mandata come responsabile femminile regionale in Veneto, dove partecipa alla campagna elettorale per il Fronte popolare, ma non è più come prima, quando ogni comizio vedeva consensi e applausi. E poi in Veneto dominava la Democrazia Cristiana. Nel ’50 a Roma, alla scuola di partito, incontra Pancrazio De Pasquale che, pur avendo soltanto 25 anni era già segretario del Partito Comunista di Palermo e si trovava a Roma perché stava subendo un processo interno per una vicenda legata a dissensi sul modo di condurre la lotta per la terra. 
         L’incontro con De Pasquale l’aiuta ad acquistare un punto di vista critico, a mettere un freno a una qualche «tendenza al fanatismo». Si sposano civilmente in Campidoglio il 3 gennaio 1952 e il rapporto intenso con il marito continuerà fino alla scomparsa improvvisa di lui nel 1992. Affrontano assieme momenti critici, come nel ’56 in cui ci furono le rivelazioni di Krusciov su Stalin al 20° Congresso del Partito Comunista sovietico e l’invasione dell’Ungheria da parte dell’esercito sovietico. Hanno molti dubbi ma rimangono nel partito perché «totalmente d’accordo con la linea politica generale».
           Simona segue il marito in Sicilia, dove trova una «situazione molto più debole politicamente… ma non arretrata dal punto di vista del costume e in particolare del rapporto uomo-donna… Anche nelle zone di grande miseria e degrado sociale, le donne dimostravano vitalità e capacità di rivolta».
Le figlie nascono a Messina, Raffaella nel ’52 e Sabina nel ’57. L’aiuta la suocera, ma Simona «cerca di far fronte a tutto». Era un madre severa ma ricorda: «La mia relativa severità non mi ha mai impedito di esprimere anche fisicamente il mio affetto per loro: abbracci, baci, colazione tutti insieme …». (…)
Con la figlia Raffaella

           Nel ’67 la famiglia si trasferisce a Palermo, che diverrà la sua città e quella in cui si sposeranno le figlie. L’impegno politico diventa più pressante, per i movimenti studenteschi, il sostegno alle popolazioni colpite dal terremoto del gennaio ’68, le lotte per le leggi sul divorzio e sull’aborto. Nel ’76 viene eletta al Senato, dove rimarrà fino al ’79. Simona ricorda che fu un periodo particolarmente pesante, per la situazione politica generale (era iniziato il terrorismo), ma anche dal punto di vista personale perché «la famiglia era completamente disarticolata».
Nel 1980 viene eletta consigliera al Comune di Palermo, dove svolge un intenso lavoro come capogruppo: «Ero determinata a far diventare l’opposizione comunista al Comune un punto di riferimento chiaro nella lotta contro la mafia». È la stagione in cui cadono uccisi dalla mafia tanti che le si sono opposti, tra cui il segretario regionale del Pci, Pio La Torre. 
L’impegno di Simona contro la mafia, terminata l’esperienza al consiglio comunale nel ’90 e lasciato il Partito Comunista, è continuato come componente del direttivo dell’Associazione donne siciliane per la lotta contro la mafia, come fondatrice e collaboratrice della rivista «Mezzocielo», «un giornale rivolto a tutti, ma pensato e realizzato da donne», come attenta osservatrice della realtà politica italiana e animatrice di iniziative culturali e politiche. Di sé dice: «Per quanto mi riguarda quel che ho fatto ho fatto: qualcosa di buono, nulla di cattivo, molto di inutile. Guardo con attenzione e rispetto quello che fanno le altre/gli altri. Vorrei poterlo apprezzare e sostenere».
Con Rita Borsellino

          Infine, ecco alcune parti del suo l'ultimo editoriale sulla rivista Mezzocielo, un elogio  all'anima e alla possibile prassi nonviolenta delle donne: "... Se non combattiamo (e vinciamo) la battaglia delle parole, potremo essere travolti. É una battaglia per cui l'odio non serve. Occorre conoscenza, pazienza e sì, anche gentilezza che può bene accompagnarsi con la più ferma opposizione. Se la differenza femminile ("e sottolineo se") comporta un meno di violenza ed un in più di comprensione verso i diversi, un affidamento non alla forza, ma alle relazioni, sarebbe forse il momento che questa differenza di manifestasse, nelle forme più libere (singole, collettive, occasionali) contribuendo a rendere più civile la vita della società italiana. Opponendo alla violenza l'ascolto; all'autoritarismo il pluralismo; al machismo il femminismo." (ringrazio Enzo Sanfilippo per la pubblicazione su FB)




Grazie di esserci stata, Simona, assieme alla grande Miriam.

Aspettiamo qualche tua dritta da lassù che illumini le nostre scelte politiche.



domenica 16 giugno 2019

A Siracusa Euripide dice no alla guerra

            Nell’incantevole cornice del teatro greco di Siracusa, dal 10 maggio al 23 giugno, per la 55° edizione delle rappresentazioni classiche promosse dall’INDA – Istituto Nazionale del Dramma Antico -  vanno in scena quest’anno “Le Troiane” ed “Elena”. Tema centrale delle due tragedie di Euripide è l’accorata denuncia al femminile, attraverso le voci di Elena, Ecuba, Andromaca, dell’assurdità della violenza e della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie umane. Una singolare e vincente protesta delle donne contro la guerra sarà anche il tema di “Lisistrata”,  nota commedia di Aristofane,  che  sarà rappresentata dal 28 giugno al 6 luglio.
                   Nelle “Troiane”, dopo che i Greci hanno espugnato la città di Troia grazie allo stratagemma del cavallo, le donne della città ormai sconfitta - Ecuba, Andromaca, Cassandra - sono sorteggiate tra i vincitori come schiave. Andromaca sarà colpita un dolore ancora maggiore: il figlioletto Astianatte verrà ucciso scagliato dalle mura di Troia per impedire che diventi un guerriero più forte di Ettore suo padre.
             L’altra tragedia, “Elena”, ci svela poi che la guerra di Troia è stata combattuta per niente: Elena non è mai andata a Troia e non ha mai tradito il marito Menelao. In realtà Paride non ha rapito lei, ma un suo simulacro che Era, adirata con lui, ha sostituito alla donna vera, trasportando quest’ultima in Egitto, ospite del re Proteo e, alla sua morte, di suo figlio Teoclimeno, che vorrebbe sposarla. Menelao però, finita la guerra, approda in Egitto come un naufrago vestito di stracci, che fatica a essere riconosciuto. Elena, riconosciuto il marito, riesce a sottrarsi alle temute nozze con Teoclimeno e a fuggire con Menelao, grazie a un ingegnoso pretesto. Con “Elena” Euripide sottolinea il valore della razionalità intelligente delle donne e la mancanza di senso della guerra. Non riesce a essere spiegata l’infelicità umana, e si registra il fallimento della dimensione religiosa e di una comunicazione efficace con il divino. 
                  Ricche di pathos e di suggestioni esistenziali ed etiche, le due tragedie sono impreziosite da avvincenti effetti scenografici. Siracusa e la magia del suo teatro sono una tappa imperdibile nel mese di giugno.
                                                                                Maria D’Asaro, 16.06.2019, il Punto Quotidiano












(Ringrazio Massimo Messina per le ultime tre foto relative a "Elena", foto pubblicate da Massimo in FB)

domenica 9 giugno 2019

Ma a scuola si può fare politica?

Palermo -  Si è conclusa con una dichiarazione di illegittimità della sanzione di sospensione che le era stata comminata, la vicenda della professoressa Rosa Maria Dell’Aria, docente di Lettere nella classe II E dell’Istituto Tecnico Industriale “Vittorio Emanuele III” di Palermo. La docente era stata sospesa per 15 giorni con l’accusa di non avere vigilato sul lavoro dei suoi alunni che, in una ricerca, avevano paragonato il decreto sicurezza varato dal governo in carica alle leggi razziali emanate nel 1938 dal regime fascista. 
             L’episodio, che ha avuto una vasta risonanza ed è stato variamente commentato nei social, ha posto innanzitutto una questione di merito e una di metodo. Ecco a tal proposito cosa ha scritto il filosofo palermitano Augusto Cavadi:Dal punto di vista del merito, si potrebbe disquisire a lungo se le politiche attuali di questo governo siano razziste o meno. (…) Ma, proprio perché se ne potrebbe discutere a lungo, significa che l’opinione affermativa non è manifestamente infondata. Dunque un burocrate non è qualificato, in quanto tale, a dirimere la questione. Ma, ammesso che la tesi dei ragazzi fosse comunque infondata, si aprirebbe una questione formale di metodo: a scuola le opinioni vanno censurate in nome dell’autorità o discusse (ed eventualmente confutate) in nome della cultura?”
            La vicenda ha riacceso inoltre il dibattito su una questione cruciale: si fa politica a scuola? Ci sono stati molti commenti di segno negativo, sintetizzati nelle affermazioni: “Fuori la politica dalla scuola”, “I professori devono insegnare e basta”, “La scuola non deve essere di parte”, “La scuola deve fare la scuola e la politica deve essere fatta nelle sedi giuste”.
Ma cosa significa realmente fare politica a scuola? Su tale interrogativo, queste le riflessioni della professoressa Rossana Rolando: “Se politica vuol dire indottrinare, orientare in senso partitico, manipolare le menti, come è accaduto storicamente nei regimi novecenteschi (dal fascismo al nazismo allo stalinismo), allora è bene che la politica rimanga fuori dalle aule scolastiche e dagli altri ambiti educativi.
Ma se la politica è lo spazio in cui si organizza la possibilità della convivenza tra le diversità, se è amore per la comunità umana e per il suo destino sulla terra, (…), se è esercizio della parola come mezzo per risolvere i conflitti e come strumento di comunicazione, se è luogo di condivisione della memoria, se è palestra in cui esercitare i valori della Costituzione … allora la scuola è momento politico per eccellenza. Insegnare è preparare le giovani menti ad essere protagoniste consapevoli dei processi democratici, in modo tale da poter assumere in futuro la propria fetta di responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri.” 
            E la docente conclude così le sue riflessioni: “Questo senso altamente politico (e non partitico) non è disgiungibile in nessun modo dalla scuola, nella sua natura di scuola educante, non semplicemente quando si occupa di temi storico-politici, ma sempre. Per questo la cultura può incutere paura al potere costituito e può entrare in conflitto con esso, come è accaduto nel corso dei secoli a quegli intellettuali che hanno promosso il pensiero autonomo. ”
             Altrettante chiare, infine le parole del filosofo Francesco Dipalo:  “Un bravo professore fa politica? Se per fare politica s'intende la becera partigianeria, gli sproloqui televisivi, la stupidità di taluni comizi di piazza, gli slogan urlati o il gossip da fake news no, per carità! 
Se per "fare politica" si intende fornire agli studenti l'abc concettuale e storico per intendere i termini del dibattito politico attuale, nonché gli strumenti critici per decifrare il presente (alla luce del passato) e illustrare i valori fondamentali della nostra carta costituzionale democratica, ebbene sì, non solo ha la possibilità, ma ha l'esplicito dovere di "fare politica". 

Maria D’Asaro, il Punto Quotidiano, 09.06.2019


venerdì 7 giugno 2019

Volo

Matisse: Icaro (1947)





Lampo
di luce,
desiderio e passione,
virgola breve sul nulla.
Volo. 

martedì 4 giugno 2019

Un colpo d'ala per l'umanità

Marc Chagall: Il concerto (1957)
         Oggi non celebriamo Gesù asceso in cielo, mentre noi stiamo a guardare, ma l’ascensione di Gesù, che è questa potenza che dall’alto ci viene comunicata perché questo nostro mondo possa ascendere, svilupparsi, realizzarsi in maniera sempre più alta.
         E noi crediamo che Gesù, risorto e asceso al cielo e che ci dona lo Spirito, è questa forza che ci mette tutti in cammino, che ci risolleva dalle nostre debolezze, che ci fa sognare instancabilmente che è possibile un mondo più bello, più vero, più giusto.
        Ed è a questo dinamismo che noi vogliamo attingere con la celebrazione. E lo sentiamo, a un certo momento  qualcosa che ci viene dentro, forse magari non dura a lungo, perché poi ci stanchiamo di nuovo, poi ricadiamo su noi stessi, poi magari ci passa la voglia, a seconda di quello che succede o a seconda di ciò in cui ci imbattiamo, ci scoraggiamo, sbagliamo … Ed è umanissimo che ciò avvenga.
        Ma l’ascensione è questo atto infinito di Dio che egli celebra con noi, attraverso un’attrazione che ci viene verso l’alto che è già impressa sin dall’inizio della creazione del mondo e che ha avuto fatica a farsi strada nei percorsi complicati dell’evoluzionismo che poi ha portato all’emergenza della coscienza umana, dalla vita degli animali e con la vita degli animali che ci portiamo dentro, perché facciamo un tutt’uno con questo mondo.
        E quest’ascensione, che si cerca di rappresentare anche architettonicamente, in mille modi, con la danza, con la corsa, con mille espressioni, alzando le mani … tutto questo ci dice, ci annunzia che questa nostra vita è vissuta da Dio con noi. E Dio la vuole rendere sempre più simile a quella sua; una vita piena, di grazia, di libertà, di gioia, di festa. (…) 
       E quindi la festa dell’Ascensione riguarda tutti noi, con Gesù. Tutti noi che crediamo e siamo fermamente convinti che la vita vale la pena di essere vissuta nella misura in cui la facciamo ascendere, nella misura in cui diamo un colpo d’ala per imprimere leggerezza all’esistenza di ogni persona. Un colpo d’ala … e gli uccelli ci insegnano che significa. 
       Anche il volare con gli strumenti della tecnica ci fa scoprire la bellezza di questa ricerca instancabile, dell’ascendere verso chi? Verso Dio. Con la qualità sempre ottimizzata della vita di ogni persona, non solo di un gruppo a spese di altri gruppi, a costo di altri gruppi. Questa è invece discesa infernale.
        E quindi, care sorelle e fratelli, dobbiamo continuamente riscoprire questi misteri – in questo caso un mistero glorioso –  (…) che andiamo scoprendo come scatenante di vita bella, dignitosa.
E lasciamo allora che il Signore ci attragga, ci attiri verso di sé. I movimenti processionali che facciamo in chiesa, dal lasciare la casa e venire verso la chiesa – prima processione, che si può fare da soli o in coppia o insieme ai familiari – l’altro movimento, alla processione offertoriale – dove tentiamo di offrire qualcosa del nostro lavoro, della nostra fatica, del nostro impegno – all’ultima processione della comunione, che ci porta all’incontro col Signore, prefigurazione dell’incontro definitivo con lui, tutti questi movimenti liturgici hanno una densità di vita che noi dobbiamo liberare per poi portarcela con noi. 
        Ultima processione, questa volta, quando diciamo: “La messa, cioè è il momento della missione,  andiamo in pace”: portiamo questa pace. Ultima processione che si coestende con la nostra vita di ogni giorno. Portiamo qualcosa di ciò che abbiamo accolto dalla celebrazione, che ha a che fare con tutti. Un beneficio che deve ridondare verso gli altri, che non va trattenuto o imprigionato dentro di noi.

 (sintesi del testo pronunciato da don Cosimo Scordato il 2 giugno 2019 a Palermo nella chiesa di san Francesco Saverio, non rivisto dall’autore: eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)

domenica 2 giugno 2019

2 giugno 1946, la Storia siamo noi

               Chissà se splendeva il sole in Italia settantatré anni fa, quella domenica mattina del 2 giugno 1946 … Sicuramente il clima politico era rovente: infatti gli italiani, quella domenica e il lunedì successivo, venivano chiamati a una scelta decisiva per il paese, uscito solo da un anno dalla seconda guerra mondiale, che nelle regioni del centro nord aveva avuto anche l’epilogo di una dolorosa guerra civile. Ora i cittadini, con un referendum, avrebbero votato per decidere  la forma di stato da dare all'Italia: monarchia o repubblica?
       Per la prima volta anche le donne poterono esercitare il diritto di voto: risultarono votanti circa 13 milioni di donne e 12 milioni di uomini, pari complessivamente all'89,08% degli aventi diritto. I risultati del referendum istituzionale furono proclamati dalla Corte di Cassazione il 10 giugno 1946: la forma repubblicana dello stato fu scelta da 12.717.923 cittadini, il 54,27% dei votanti, mentre 10.719.284 cittadini, il 45,73%, si erano espressi a favore della monarchia.
         La notte fra il 12 e 13 giugno, il presidente  del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi assunse le funzioni di capo provvisorio dello Stato. L'ex re Umberto II lasciò volontariamente il paese il 13 giugno 1946, diretto a Cascais, nel sud del Portogallo.
      Il 2 giugno 1946, oltre a scegliere tra monarchia e repubblica, i cittadini italiani votarono anche i componenti dell'Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale. Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, l'Assemblea Costituente elesse capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola.
         A Palermo e provincia la percentuale dei votanti fu più bassa (circa l’85%) con una schiacciante maggioranza di voti monarchici: il 73%. E qui una nota personale: i genitori di chi scrive, che nel 1946 non si conoscevano neppure, votarono in modo diverso: mamma per la monarchia (forse su consiglio del parroco), papà invece votò con convinzione repubblica. Entrambi hanno raccontato dell’emozione provata al momento del voto, consapevoli di costruire quella domenica, assieme agli altri italiani, un importante pezzo di Storia. 
       Perché, come canta De Gregori, dovremmo crederci sempre che  “La Storia siamo noi”. Ed esercitare con impegno, passione e onestà i nostri diritti e doveri di cittadinanza.

Maria D’Asaro, 2.6.2019, il Punto Quotidiano