lunedì 31 ottobre 2011

Halloween, in salsa siciliana


Scherzetto o dolcetto? - ormai, nel mondo occidentale, i bambini, e non solo, il 31 ottobre festeggiano Halloween, la notte degli spiriti e della zucca intagliata.[1]

In tutta la Sicilia invece, sino a qualche decennio fa, il 2 novembre era per i piccoli la festa dei "morti": a detta di mamma e papà, nella notte tra l’uno e il due novembre, i nonni defunti avrebbero avuto dal Cielo un permesso speciale per ritornare sulla terra e portare doni ai nipotini.
Anche Maruzza e la sua sorellina, la mattina del 2 novembre, trovavano giocattoli, vestitini, vassoi ricolmi di frutta martorana e di "pupi" di zucchero sul  tavolo di vetrolite nera della sala da pranzo.
- Nonno Giuseppe e nonna Salvatrice vi pensano e vi vogliono tanto bene...guardate quanti bei regali vi hanno portato! – La bici rossa e azzurrina, agognata dalla sorellina, il bambolotto con gli occhi verdi, da lei tanto desiderato … Ma i genitori della bambina erano lontani anni luce dall'immaginare quale tributo di pena pagasse la loro figlia  maggiore per il fugace ritorno dei nonnini defunti, per lei assolutamente reale.
Maruzza, tre o quattro anni, dormiva da sola nella cameretta antistante la sala da pranzo dove  i cari trapassati avrebbero collocato i loro doni. Trascorreva la notte fatidica in dormiveglia, ferma ferma nel suo lettino, con gli occhi chiusi a forza sotto le coperte che sorpassavano di gran lunga la sua testolina. Sopraffatta dallo spavento, perché pensava che nonno Giuseppe e nonna Salvatrice, nel loro vagare, non conoscendo bene la geografia della casa, potessero sbagliarsi di stanza. O che, addirittura, sapendola sveglia sotto le copertine, avessero la strana idea di avvicinarsi al suo letto, magari per darle un saluto...
A ogni rintocco dell'orologio del campanile, la bimba,  paralizzata dalla paura, si andava chiedendo: - Saranno già venuti?...devono ancora venire?... Forse... proprio ora, o mamma mia, sono di là...
Allora l’al-di-là diventava  proprio la stanza da pranzo, dietro la porta appena socchiusa. Un locus horribilis, abitato da spiriti misteriosi e inquietanti, pur se consanguinei.
E la bimba si chiedeva perché mai i nonni si fossero scomodati dal loro paradiso, visto che la loro venuta la faceva precipitare in un inferno di terrore...







[1] Sulle origini della festa, vedi il post del Dr. Peter “: 31 ottobre:quando i Celti celebravano l’anno




venerdì 28 ottobre 2011

5 mazzi: un euro…


Quello che non si stanca di abbanniari: “5 mazzi un euro, si pigliassi, signù.” La signora un po’ svanita che dice alla venditrice: “Mi dispiace, questo è un disinfettante. Io volevo un igienizzante”. C’è il ragazzo con la faccia un po’ dura, di uno che è cresciuto troppo presto: ora pulisce le spigole e impreca contro i padroni che lo fanno “sbiellare”: perchè lui non sa di chi siano, quegli sgombri da “puliziare”.
Incontri poi il ragazzo difficile, che il sabato marina sempre  la scuola. E quello che ci andava, una volta, ma che l’ha abbandonata in seconda media: ora vende con disinvoltura le scarpe da ginnastica taroccate.
C’è il signore che vende palloncini. Con uno sguardo  svagato: proprio come quello dei bimbi a cui vanno i balocchi.
Tutti, ci sono proprio tutti, i palermitani speciali. Al mercatino rionale, in via Oreto nuova. Proprio sotto casa mia, il sabato mattina.
Maria D’Asaro ("Centonove", 28 ottobre 2011)

martedì 25 ottobre 2011

Profumo di caldarroste

      La Maruzza bambina finiva i compiti in un baleno: papà le aveva insegnato a leggere e a scrivere a 5 anni. Così, nello studio, era  sempre una Speedy Gonzales.
Interminabili, per lei, i pomeriggi autunnali. Se chiedeva a sua madre:  - Che faccio? - la mamma, in mille faccende impegnata, rispondeva sempre: - Scarpuzze - , locuzione dialettale che si può tradurre: - Devi sbrigartela tu - .
Era la fine degli anni ’60: la TV dei ragazzi cominciava alle 17, Internet era un miraggio lontano, non c’erano amichette vicine con cui giocare. L’unica sua sorellina spesso doveva ancora studiare o aveva la febbre o si annoiava con lei.
Meno male che c'era il nonno. - Nonno, facciamo una briscola? - Perchè no? Però am'a vidiri chi nni iucamu, 'nca senza nenti un c'è piaciri...Talè, nni iucamu Monte Cuccio. -
Alla fine della partita il fortunato vincitore entrava solennemente in possesso della citata montagna.  -  Nonno, ora facciamo una scopa... -  Va bene, ma n'avemu a iucari Monti Piddigrinu...-
L'appartamento al settimo piano offriva un'ampia panoramica sulla città: monti, cupole, chiese, monumenti, palazzi erano lì a fare da pegno per le infinite partite a carte che il nonno e la sua nipotina giocavano insieme.
Mentre Maruzza mescolava con perizia il vecchio mazzo di carte, il nonno tamburellava ritmicamente con i polpastrelli sul tavolo e modulava a mezza voce una canzone dalle parole incomprensibili, se mai pronunciate:  una nenia dolcissima, di vago sapore orientale, che alla bimba evocava un tempo lontanissimo e arcano. E lei rimaneva quasi rapita dal fascino di quella cantilena: avrebbe voluto carpirne il segreto e assaporarne il tenero gusto da favola antica. Ma intuiva che quel motivo struggente sarebbe rimasto per lei inaccessibile. Solo il nonnino doveva averne, da qualche parte, le chiavi preziose.
Tra una scopa e una briscola, Maruzza si affacciava all’ampia finestra e avvertiva l'affaccendarsi consueto della città, mentre l'aria frizzante e i nuvoloni grigi su Monte Cuccio annunciavano un imminente temporale.
Che  le importava?
Dall'angolo della strada, le arrivava un invitante profumo di caldarroste: il termosifone era già caldo ed era un vero piacere appoggiarci la schiena.
E poi, accanto all’antica quercia del nonno, avvertiva una protezione speciale: un talismano invisibile che l’avrebbe salvata da tutte le saette del mondo.

A Palermo in canoa



Non è necessario scomodare Manzoni - che fa coincidere con un acquazzone la fine della peste - per ricordare che la pioggia ha una valenza purificatrice, oltre che di ristoro e frescura. Con spirito simile noi palermitani aspettiamo le piogge autunnali, dopo l’estate e i miasmi irrespirabili causati dalle montagne di immondizia.
La pioggia c’è stata, ma non ha recato l’atteso refrigerio: a Palermo i cittadini hanno assistito allibiti all’allucinante spettacolo di strade trasformate in torrenti, con i rifiuti che galleggiavano dappertutto. Per non parlare delle piogge torrenziali che a Giampilieri, due anni fa, hanno causato decine e decine di morti.
Si certo, le piogge erano state più violente del solito: ma c’è stata sicuramente una responsabilità tutta umana nella tragedia di Giampilieri.
Così nello spettacolo indegno che vediamo a Palermo, per un temporale. Quando un mio vicino si fa filmare in canoa, nella strada inondata. E va su youtube.
 Maria D'Asaro ("Centonove": 21 ottobre 2011)

venerdì 21 ottobre 2011

Per la guerra nè soldi, nè figli di madre

OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE.
PER LA GUERRA NE’SOLDI, NE' FIGLI DI MADRE
"Da bambina ho conosciuto la prima guerra mondiale dai toccanti racconti di nonno Turiddu che, da quel macello, ebbe la fortuna di tornare vivo. Al contrario dei suoi compagni, periti in un'imboscata mentre lui era ricoverato in un ospedaletto da campo per una granata che gli aveva squarciato la pancia.
Non c'e' strada, piazzetta o municipio dei paesi siciliani che non abbia dedicato un angolo ai caduti della cosiddetta grande guerra. Spesso con un monumento, voluto dal regime fascista, inneggiante alla retorica nazionalistico-patriottica. Poiche' amo le Dolomiti, ho visto anche le steli che ricordano i caduti della prima guerra a Brunik/Brunico, Sterzing/Vipiteno, a Dobbiaco/Innichen: li' si ricordano i morti dell'altro fronte...
La Storia, col senno di poi, ci ha fatto capire che quella era una guerra evitabile. Come del resto lo sono - e dovrebbero esserlo - tutte le guerre.
Il prossimo quattro novembre esprimero' un desiderio: che, prima o poi, l'umanita' sia capace di una splendida mutazione antropologica e consideri la guerra un tabu'. Alla stregua del cannibalismo o l'incesto.
Perche' la guerra e' uno spreco tremendo. Di risorse, di tempo. Soprattutto di esseri umani: "Not one more mother's child" implorava Cindy Sheehan, dopo la morte del figlio Casey in Iraq. Allora: per la guerra, ne' risorse, ne' altri figli di madre."
Maria D'Asaro
(Dal giornale telematico “TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO” n.714 del 20 ottobre 2011 (Centro di ricerca per la pace di Viterbo, Direttore Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it)



mercoledì 19 ottobre 2011

101 Storie: La ragazza di vetro

Che fosse fragile, l’avevamo capito già i primi giorni di scuola:  tono di voce appena accennato, sguardo sfuggente, assenze eccessive.Chiamo la madre. O, forse, la madre mi si presenta di sua iniziativa. Un metro e ottanta di garbata delicatezza: - Professoressa, mia figlia è timida …. – Non credo si tratti solo di timidezza – insinuo dolcemente. – In effetti mia figlia è troppo insicura, ha bisogno di incoraggiamento.-
La signora mi dice che si, anche alle elementari, Marisa si assentava, alle volte. Alle elementari, si assentava quasi sempre, sussurra un compagno.
Da novembre, quella ragazzina dagli occhi azzurri, persi e profondi, non viene più a scuola.
Al suo posto, a scuola, viene ogni giorno la madre. A chiedere, supplice, un colloquio con me:
- Dottoressa, mia figlia ha paura … non mi vuole lasciare …  si sente sperduta, dentro la scuola … pensa che le insegnanti non le vogliano bene ..-

Un giorno mi chiede di cambiarla di classe. Ci penso un istante. So che sarebbe solo un buco nell’acqua. Dalla sua dottoressa, un certificato con due paroline che spiegano tutto e non spiegano niente: fobia scolare. Che significa: paura di venire a scuola. Paura ormai entrata nel gotha del DSM IV dell’OMS.[1]
Il problema è se, dietro alla fobia scolare, c’è qualcos’altro. Se è una fobia scolare “semplice”, di solito si risolve naturalmente dopo qualche mese di tribolazione, condivisa tra mamma, papà, nonni, ragazzino e docenti.
Marisa a scuola non ritorna nemmeno dopo Natale. – A casa lei studia, mi creda. Sa tutto a memoria. –
Allora, perché la ragazza non perda quest’anno di scuola, decidiamo  che si presenti in  seconda da esterna. Preparo i programmi. A giugno Marisa affronta la prova. - Ma sai che la ragazzina che ha studiato a casa è più dignitosa di alcuni miei alunni? – Così mi dice, contenta, una delle colleghe che l’ha esaminata.
Adesso Marisa è in seconda. In un’altra sezione. All’inizio parte alla grande. Frequenta, è brava davvero.
Dopo Natale, la sua vecchia paura. – Non ce la faccio, non ce la faccio a entrare in classe, professoressa. –  mi dice trattenendo a stento i singhiozzi.
Proviamo di tutto: a turno, andiamo persino a prenderla a casa.
Marisa rientra. Ma la frequenza è col contagocce. Convinco la madre a un incontro con la psicologa dell’Asp. Dopo un tira e molla, Marisa ci va. Così, dopo qualche seduta, c’è l’incontro di rito:  la madre, la scuola, neuropsichiatra e psicologa. A volte, la fobia scolare nasconde qualcosa di oscuro e complesso, così dicono, senza tergiversare, psicologa e neuropsichiatra. Intanto, un farmaco per placare quest’ansia tremenda, Marisa dovrebbe pur prenderlo …
La madre fugge dalla diagnosi. Marisa, a scuola, viene pochissimo. Dopo un travagliato scrutinio, in terza la ragazza è promossa comunque.
In terza, la musica purtroppo non cambia: Marisa frequenta si e no i primi due mesi. Poi, tranne un’apparizione fugace, dopo Natale, sparisce per sempre dall’orizzonte.
Ma a casa continua a studiare. Ora è seguita da una psicologa e da un’insegnante privata. Sua madre si leva il pane di bocca purchè questa figlia non perda per sempre il suo treno.
Decidiamo di nuovo il ritiro formale e la presentazione, questa volta agli esami di stato, da esterna.
Anche stavolta, Marisa ce la fa. Perché a casa, lei studia davvero.
Dopo la licenza, Marisa vuole continuare a studiare: addirittura al liceo classico.
A scuola, noi vecchi insegnanti facciamo la ola per lei: perché li sconfigga davvero, i suoi fantasmi interiori.



[1] Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders («Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali»), noto anche con l'acronimo DSM, è uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo, sia nella clinica che nella ricerca. La prima versione risale al 1952 (DSM-I) e fu redatta dall'American Psychiatric Association (APA), come replica degli operatori nell'area del disagio mentale all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che nel 1948 aveva pubblicato un testo, la classificazione ICD (International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death), esteso pure all'ambito dei disturbi psichiatrici. Da allora vi sono state ulteriori edizioni: nel 1968 (DSM-II), nel 1980 (DSM-III), nel 1987 (DSM-III-Revised), nel 1994 (DSM-IV) e nel 2000 (DSM-IV-Text Revision o DSM-IV-TR, quella attualmente in vigore). Sono state anche effettuate piccole modifiche nelle ristampe di alcune versioni intermedie; particolarmente significativa la settima ristampa del DSM-II, che nel 1972 espulse l'omosessualità dalla classificazione psicopatologica. Il DSM-V è in fase di pianificazione, e dovrebbe essere pubblicato nel maggio 2013. (fonte: Wikipedia)

domenica 16 ottobre 2011

Terraferma: quando l’obbedienza non è una virtù


(Avvertenza: il commento al film ne svela la trama.)
          Forse, oltre ad averlo profeticamente proclamato don Milani negli anni ’60, persino Socrate oggi sarebbe d’accordo: disobbedire alle leggi del proprio paese, talvolta, è doveroso. Magari anche giusto.
E’ il messaggio esplicito di Emanuele Crialese nel suo Terraferma, ambientato in un’isoletta siciliana senza nome. Dove, contravvenendo alla legge, un anziano pescatore non ci pensa due volte a portare in salvo sulla sua barca gli extracomunitari alla deriva. Ernesto, infatti, è convinto che la legge del mare, salvare chi è in pericolo tra le onde, sia più forte e cogente della legge dei finanzieri. Malgrado lo sguardo di disapprovazione dell’unico figlio rimastogli, con l’aiuto della nuora e del nipote ventenne, Ernesto si prende cura di due delle persone salvate, un ragazzino e sua madre incinta, che viene aiutata a partorire la figlioletta concepita per uno stupro in terra libica. Questi avvenimenti causeranno la difficile scelta di Filippo, il nipote ventenne, che, dilaniato tra diversi, stridenti modelli di vita, alla fine sceglie l’etica scomoda del nonno: dare una mano a chi è in difficoltà nei mari della vita, anche a costo di rischiare la propria.
In Nuovomondo, Crialese aveva messo su una nave i siciliani poveri e disperati di inizio ‘900,  costretti ad emigrare sperando di essere accolti tra le braccia della Statua della Libertà: ora siamo noi italiani gli spettatori del dramma che vede nel nostro mare gli uomini neri per fuggire a guerre, dittature e miseria.
Terraferma, malgrado la lieve pecca di una recitazione talvolta un po’ macchiettistica, con una splendida fotografia e con scene che si imprimono nel nostro cuore, è un film da non perdere.
A cui augurare buona fortuna, nella notte degli Oscar.


sabato 15 ottobre 2011

Disgusto rosanero


Si è laureato il figlio della mia amica: 110, e anche la lode.  Sai che è tifoso del Palermo. E allora vai in uno di quei negozi che vendono articoli sportivi. Compri una cravatta e una tuta rosanero. La cassiera ti dice che non può farti lo scontrino, perché, appena cinque minuti fa, ne avrebbe emesso uno di importo superiore alla merce venduta. Provi a obiettare che lo scontrino ti serve, magari il ragazzo vorrà cambiare qualcosa …  La signora assicura che farà i cambi richiesti, anche senza documento fiscale. Te ne vai due volte scontenta: primo,  perché hai la conferma che a Palermo, per fare cose normali, bisogna essere straordinari. E tu, che straordinaria davvero non sei, non hai trovato la fermezza di pretenderlo, quel benedetto scontrino.  E allora ti senti sconfitta, avvilita. Vorresti emigrare. Magari in Toscana: sperando che, almeno lì, lo scontrino te lo diano senza fiatare.

Maria D’Asaro (pubblicato su "Centonove" il 14.10.2011)

Guerriglieri da giardino


Tutto comincia a Bowery Houston, New York, nel 1973: quando alcuni ambientalisti trasformano uno spazio abbandonato in un giardino. Sono i “guerrilla gardening”: i giardinieri d’assalto. Agiscono di notte: scelgono uno spazio pubblico abbandonato e lo restituiscono alla città, abbellito con piante fiorite. Ora un gruppo di “guerriglieri” opera anche a Palermo. Hanno già sistemato una ventina di aiuole: piazza Camporeale, via Notarbartolo, via Perpignano, via Pitrè. Alla Cala hanno persino piantato settanta piantine di pomodoro, curate dai senzatetto che vivono lì vicino, in roulotte. Puntano sull’effetto sorpresa: piante grasse, gerani, alberelli, anziché degrado e immondizia. I guerriglieri però non tornano ad annaffiare le piantine: sperano che le aiuole fiorite vengano adottate da chi abita lì vicino. Una scommessa severa, per la nostra indolente Palermo: sapranno i palermitani essere scossi  da fiori e piante? Capiranno, come ha scritto un’intrepida guerrigliera che “Chi getta semi al vento, farà fiorire il cielo”?
Maria D’Asaro (pubblicato su "Centonove" il 7.10.2011)

giovedì 13 ottobre 2011

Dedicato a P.


Dedicato a un ragazzo che se ne è andato il 13 ottobre di cinque anni fa. Non per un incidente automobilistico, come l’amica a cui Guccini ha dedicato la canzone, ma per una banale polmonite. Voglio sperare, come canta Guccini, che anche P. continui a sorriderci, da qualche punto dell’universo forse ancora più luminoso del nostro.
Quando si è giovani è strano, pensare che la nostra sorte venga e ci prenda per mano…. Non lo sapevi, ma cosa hai sentito … Quando il cielo di sopra è crollato, quando la vita è fuggita...
Voglio sapere a che cosa è servito vivere, amare, soffrire: spendere tutti i tuoi giorni passati se così presto hai dovuto partire.
Voglio però ricordarti com’eri, pensare che ancora vivi. Voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi.



mercoledì 12 ottobre 2011

Che tempo fa in Italia l'8 ottobre 2011....

Ce lo dice Massimo Gramellini, vice Direttore de "La Stampa".
Condivido, parola per parola, le sue riflessioni.

(Il concorso a Dirigente Scolastico l'ho fatto anch'io: ma non credo di essere riuscita a superare i 100 quiz... Anche e soprattutto perchè non avevo studiato abbastanza!)



Storie per una buonanotte

(III e ultima parte delle riflessioni di Grossman sull'importanza del raccontare storie ai bambini)
E poi, ovviamente, c´è l´umorismo, la possibilità di ridere insieme, di farsi trascinare dalla corrente di un pensiero diverso, buffo, sfrenato, quasi anarchico (dal punto di vista della "realtà" nota al bambino): la possibilità di divertirsi insieme, di infrangere le regole, di sovvertire i punti di vista, di solleticare tutto ciò che è rigido e severo, di scatenarsi e di fare stupidaggini insieme. Spesso, nel pieno di questa turbinosa allegria, il bambino può vedere com´era il padre alla sua età: un bambino piccolo, discolo…Un´altra cosa.    Quando scrivo un racconto per bambini non dimentico che dopo i dolci attimi della lettura, prima di mettere a letto i piccoli, arriva il momento in cui il papà o la mamma spengono la luce e nella camera cade il silenzio, ha inizio il dominio della notte. La notte fa paura, è piena di sogni, di incubi. Il bambino fa fatica a comprendere come mai il sogno è solo suo, nessuno può entrare a salvarlo. E la notte è buia, fitta di ombre. La manica di una camicia che penzola da una sedia appare come un serpente, o la proboscide di un elefante. Un quadro sembra una grande bocca spalancata. Le voci degli altri membri della famiglia – che proseguono le loro occupazioni – echeggiano e risuonano in modo diverso. Ma anche quando quelle voci sono gradevoli e infondono un senso di sicurezza è possibile che il bambino provi a un tratto la sensazione strana, vaga, che un intero mondo vada avanti senza di lui.
Qualche anno fa, il 21 dicembre, dopo aver messo a letto mio figlio Yonatan che allora aveva circa tre anni, gli dissi casualmente che quella era la notte più lunga dell´anno. Gli rimboccai le coperte, gli diedi il bacio della buonanotte, spensi la luce e me ne andai per le mie faccende. Alle primissime luci dell´alba Yonatan si precipitò nella nostra camera, quella dei suoi genitori, sudato e agitato. «Papà, mamma» gridò «è passata, questa notte è finita!». E io potei solo immaginare cosa aveva provato durante tutte quelle ore, la paura che la notte non finisse mai, che il sole non tornasse a splendere... Noi adulti siamo ormai esperti, abbiamo la certezza (o l´illusione?) che le regole del mondo e della natura sono immutabili. Ma un bambino non ha difese. Niente è scontato per lui. La terra gli trema sempre un po´ sotto i piedi e persino il sorgere del sole è una meraviglia che si rinnova. In un certo senso mio figlio era come il primo uomo di cui racconta una leggenda ebraica il quale, quando la sera del primo giorno dopo la Creazione cominciò a fare buio, fu assalito da una terribile angoscia perché era sicuro che Dio avrebbe fatto scendere l´oscurità e distrutto il mondo a causa dei suoi peccati.
Per il bambino l´inizio della notte è la partenza per un viaggio non facile e io spero sempre che la storia che gli ho raccontato lo accompagni in questo viaggio. Che lo protegga e sia per lui un ricordo piacevole da portare con sé, come un bacio sulla guancia.

mercoledì 5 ottobre 2011

Nostra signora e le Sorelle velate

Nostra signora, le Sorelle velate le aveva conosciute all’asilo, dove le insegnavano le belle poesie. E sorteggiavano Gesù bambino, che sorrideva racchiuso in una fragile teca di vetro, adorna di  nastri azzurrini.
Da altre Sorelle aveva imparato il catechismo a memoria. E a giocare a pallavolo, davanti a una rete.
Poi era cresciuta e le aveva frequentate di meno. Da poco, ne aveva incontrate alcune su un treno. Occhi sereni e mani tranquille. Nello sguardo, una luce speciale. Come Teresa, che chiamavano Madre. Adesso, in una chiesa vicina, lei vedeva pregare Sorelline che anelavano al velo: anch’esse con un’espressione beata e  occhi brillanti di pace interiore.
Allora Nostra Signora pensava che avevano scelto lo Sposo migliore. Quello che le avrebbe amate per sempre, che mai le avrebbe tradite: senza depilazioni o slip trasparenti,  anche con i capelli grigi e il ventre spento.
Ma lei rimaneva un po’ Marta, un po’ Maria Maddalena. A volte, con una tristezza infinita per certe vuoti al suo lato sinistro.
Però nostra signora continuava a pregare lo Sposo celeste: perché le donasse una luce e le illuminasse la strada. Perché, se possibile, potesse gustare uno spicchio di gioia e un ritaglio di quiete. Pur senza velo, con un fiocco rosso ai capelli.